30 giugno 2011

Inganni al supermercato


Qualche giorno fa, in un grande supermercato di una catena francese, mentre stavo per infilare nel carrello una confezione di pancarrè, mi sono chiesto: conviene comprare la confezione da 16 fette o quella da 24 fette?

Ho sempre pensato che la confezione più grande fosse la più conveniente: chi produce un bene fa lo sconto all'acquirente se compra una quantità maggiore del suo prodotto, anche perchè alcuni costi sono (quasi) fissi, e quindi incidono di meno sul costo delle confezioni più grandi. Inoltre chi vende il prodotto punta a aumentare il fatturato e per questo dovrebbe essere disposto a fare uno sconto a chi compra di più.

Ma poi ho visto il prezzo: 54 centesimi per la confezione da 16 fette, 98 centesimi per quella da 24 fette. Qualcosa non tornava... quasi il doppio per una confezione che contiene il 50% in più di fette?!?

Ho controllato il prezzo sullo scaffale, scoprendo che, in realtà, il prezzo al kg della confezione da 34 fette era superiore alprezzo della confezione più piccola.
Stupito, ho controllato con altri prodotti che stavo comprando. Non era un caso isolato: in alcuni casi il prezzo al kg o al litro aumentava, anzichè diminuire, per le confezioni più grandi.

Come si spiega?

Forse qualcuno, nel supermercato, ha capito che i consumatori sono ingannabili. Chi si mette a fare i conti per prodotti che non costano neppure un euro? Chi controlla il prezzo al kg o al litro, che è riportato in piccolo sul prezzo presente sullo scaffale?

Molti pensano che la confezione più grande sia più conveniente e la scelgono senza controllare che sia davvero più conveniente.

La fretta, il caos, le distrazioni del supermercato aiutano a ingannare il consumatore. Basta fare un salto nel reparto gastronomia: il prodotto già tagliato e confezionato è molto più caro del prodotto tagliato a richiesta del cliente.

Chi ha fretta o non vuole aspettare con numeretto in mano, sceglie il prodotto preconfezionato, arrivando a comprare -come mi è capitato di vedere sempre nello stesso supermercato- fette di culatello stagionato venduto a oltre 57 euro al kg!

29 giugno 2011

La voragine dei conti pubblici: una causa

Come si è creata la voragine dei conti pubblici in Europa? In alcuni paesi si è passato in pochi anni da un debito tutto sommato modesto (30-50% del PIL) a un debito spaventoso (100-120% del PIL): com'è successo?

Certo la crisi pesa molto sui conti pubblici. Le entrate fiscali sono diminuite per effetto del calo del PIL. Alcune imposte, come quelle sul reddito delle imprese o sui guadagni di borsa, si incassano solo quando l'economia va bene. Quando invece subentra la recessione aumentano le spese dello Stato per sostenere la domanda, le imprese e i lavoratori in difficoltà.

Ma questo non basta a spiegare la crescita rapidissima del debito di alcuni stati. Un ruolo importante l'ha avuto il salvataggio delle banche, come spiega questo articolo del Sole 24 ore (vedi qui) che spiega che le banche irlandesi hanno ricevuto un doppio aiuto: sono state ricapitalizzate con soldi pubblici e si sono liberate dei crediti inesigibili.

In poco tempo banche che vantavano un basso tasso di crediti inesigibili hanno scoperto che la realtà era un'altra: una parte consistente dei soldi prestati era difficile da recuperare.

La crisi e lo scoppio della bolla immobiliare irlandese hanno improvvisamente peggiorato la situazione, rendendo insolventi molti clienti che in precedenza pagavano regolarmente. Ma forse non basta a spiegare l'aumento improvviso delle insolvenze. C'è il sospetto che le banche irlandesi abbiano sottovalutato il rischio, vale a dire che i bilanci siano sostanzialmente falsi. Potrebbero riservare ancora brutte sorprese.
Bilanci falsi come in Grecia, con la differenza, però, che le banche irlandesi hanno potuto contare sul doppio aiuto dello Stato, mentre la Grecia può solo ottenere prestiti da UE e FMI, ma non può scaricare i problemi su altri.

27 giugno 2011

Speculazione all'assalto dell'Italia?


Giovedì sera l'agenzia di rating Moody's ha fatto presente che 16 banche italiane (tra cui colossi come Intesa San Paolo) sono sotto osservazione, o meglio sono sotto osservazioni le loro emissioni obbligazionarie.

L'avvertimento seguiva di pochi giorni un analogo avvertimento relativo ai titoli di stato italiano e al debito di un gran numero di enti locali italiani.

Siamo troppo indebitati e cresciamo troppo lentamente e così le agenzie di rating mettono sotto esame il nostro debito, pubblico e privato, per capire se è il caso di darci ancora fiducia e a quali condizioni.

Dopo l'avvertimento di giovedì sera, a mercati chiusi, molti si aspettavano un crollo dei titoli interessati all'apertura della borsa di venerdì. E invece non è successo. Come se nulla fosse, venerdì i mercati hanno aperto tranquilli e anzi con un buon segno positivo.

Poi all'improvviso, i titoli bancari e l'intera borsa (i titoli bancari pesano molto sugli indici di borsa) sono crollati. Verticale e rapidissimo. In pochi minuti le azioni di Unicredit, Monte dei Paschi e Intesa San Paolo sono letteralmente crollate fino a essere sospese per eccesso di ribasso: il valore teorico era inferiore di oltre il 10% rispetto al prezzo della seduta precedente.

Come si spiega un flash crash simile?
La Consob ha promesso di indagare e ha indicato un colpevole: gli stop loss, vale a dire ordini di vendita inseriti dagli operatori per proteggersi dai crolli dei titoli. Se il valore di un'azione scende, lo stop loss vende a un prezzo predefinito, che serve al proprietario delle azioni per evitare perdite eccessive. Così gli stop loss avrebbero appesantito le perdite dei corsi azionari.
Ma è sufficiente indicare il colpevole negli stop loss e magari nel nervosismo di un mercato dove pochi sono intenzionati a comprare azioni e molti a venderle?

Forse no. Forse la speculazione sta prendendo di mira l'Italia, come potrebbe dimostrare l'aumento del divario (spread) tra i rendimenti dei titoli italiani e quello dei titoli tedeschi, i bund, causato dalle vendite dei nostri BOT e CCT. Più se ne vendono, più il prezzo diminuisce, maggiore è il loro rendimento e quindi il divario tra il rendimento dei titoli italiani e il rendimento dei bund.

Questo significa, però, che in futuro il ministero dell'Economia dovrà promettere rendimenti maggiori per attrarre capitali, con conseguente aggravio per i costi dello stato.

Come se ne esce? Con una manovra seria e severa, fatta subito, credibile per i mercati finanziari. La speculazione è pronta a azzannare l'Italia senza fare distinzioni tra debito pubblico e privato, tra obbligazioni bancarie e titoli di stato. Gli avvertimenti li abbiamo ricevuti e ignorarli, come forse fa l'ex responsabile economico di Forza Italia, Guido Crosetto, che attacca a testa bassa Tremonti, sarebbe pericolosissimo.

Un aumento della spesa pubblica darebbe fiato all'economia e alla maggioranza di governo, ma il prezzo da pagare rischia di essere altissimo, comprendendo un'impennata della spesa per interessi spinta in alto dalla speculazione. Riuscirà la maggioranza di governo a rinunciare alla tentazione di scontrarsi con la speculazione?

25 giugno 2011

Spagna: disoccupazione o lavoro nero?

5 milioni di disoccupati1, in un Paese di 40 milioni di persone possono sembrare un'enormità.
Ma questi 5 milioni sono tutti veramente senza lavoro?
Secondo uno studio sull'economia sommersa spagnola realizzato da un trio di professori di economia e patrocinato da Funcas, ("Fundaciòn de las Cajas de Ahorro", in italiano: "Fondazione delle Casse di Risparmio"), nel Paese iberico ci sarebbero ben 4 milioni di lavoratori senza contratto.2
Insomma: la gran parte dei disoccupati spagnoli quindi in realtà lavorerebbe a nero!

Tutto questo rappresenta spesso un doppio costo per lo Stato: mancanza di imposte, e pagamento dei sussidi di disoccupazione.

Allora qual'è il vero problema della Spagna? La disoccupazione o il lavoro nero?
La prima sicuramente esiste ed è un problema da tenere in conto, tuttavia il secondo fenomeno, (pur non presentando lo stesso impatto mediatico), pare essere ben più diffuso, ed è anch'esso molto preoccupante, ed ovviamente anche svantaggioso per i lavoratori.
Il governo ha già risposto varando un piano per contrastare il lavoro nero3.
In sostanza: chiudere un'occhio inizialmente dando alle imprese possibilità di mettersi in regola nel giro di qualche mese senza grossi problemi, e poi in seguito maggiori ispezioni e sanzioni molto più dure per i datori di lavoro trasgressori.
Più severità inoltre anche per quei lavoratori che, pur essendo impiegati a nero, percepiscono "el paro" (il sussidio statale di disoccupazione più alto in Spagna, a carattere contributivo. Equivalente a tre quarti dello stipendio per una durata di 6 mesi per ogni anno lavorato).
Sembrano essere questi gli ingredienti principali del piano della maggioranza.

Quindi, se le cose andessero bene ed il provvedimento di Zapatero si rivelasse efficiente, nei prossimi mesi  potrebbe verificarsi, (speriamo!), un aumento dell'occupazione dovuto semplicemente alla regolarizzazione di persone che in realtà già stavano lavorando.

Vi lascio però con un quesito che mi preoccupa:
Se presto diventerà più difficile per un'impresa tenere lavoratori a nero, cosa succederà?
Verranno finalmente messi sotto contratto quelli che già ci sono (se l'impresa può permetterselo), o verranno invece definitivamente lasciati a casa,  nella vera e propria disoccupazione, (se i lavoratori regolari venissero a costare troppo)?




24 giugno 2011

La divertente proposta di Abete

Luigi Abete, ex presidente di Confindustria, propone la patrimoniale, come racconta a L'Espresso (vedi qui) ma gli cambia nome.

La sua idea è semplice: mettiamo una patrimoniale, raccogliamo una decina di miliardi e usiamoli per tagliare l'IRES (imposta sul reddito delle società). Inoltre aumentiamo l'IVA e riduciamo l'aliquota sul reddito più bassa per dare un pò di soldi ai consumatori, specie i più poveri.

Ma attenzione: la patrimoniale non dobbiamo chiamarla patrimoniale. Chiamiamola CTC: contributo ordinario per la trasparenza e la crescita.

Ora, a parte il fatto che sarebbe bello sapere cosa c'entra la trasparenza con la patrimoniale, tutto il resto è assai curioso per non dire divertente.

La prima ragione è che Abete propone di fare la patrimoniale, purché, però, non la si chiami patrimoniale. Ecco a cosa portano anni di ideologia (anti-imposte) spacciata per economia.

La seconda ragione è che nessuno pare in grado di capire le conseguenze economiche di una patrimoniale. I pareri sono discorsi. Un aumento dell'IVA colpirebbe i consumi e le persone con i redditi più bassi, che per Abete andrebbero ricompensati con un'aliquota (attualmente il 23%) più bassa. Ma sull'effetto combinato di un'aliquota inferiore e di un'IVA in crescita i pareri sono discordi.

Abete poi pare ignorare che un'abbassamento dell'aliquota premierebbe anche i redditi elevati e, soprattutto, sembra dimenticare che una patrimoniale (comunque la si chiami) estesa anche alle azioni o alle obbligazioni avrebbe effetti non certo positivi per il sistema bancario e delle imprese: chi ha azioni o titoli, li porterebbe all'estero o se ne libererebbe preferendo i contanti o titoli esenti dalla patrimoniale. Le banche con meno soldi e le imprese con minori garanzie ne pagherebbero le conseguenze ovvero si assisterebbe a una minore crescita e a costi di finanziamento delle imprese più alti.

Infine, l'ex presidente di Confindustria nota che si devono prendere soldi da una classe (sociale e/o economica) e spostarli verso altre classi. Vien da chiedersi, sorridendo: vuoi vedere che è diventato all'improvviso di sinistra? che ha capito finalmente qual è il problema economico più importante da risolvere in questo momento?

Insomma, forse siamo di fronte alla solita proposta un pò ridicola di qualche dilettante, così abituato a far prevalere la propria visione ideologica dell'economia da non avere dati certi sugli effetti delle sue proposte, nonostante abbia a disposizione l'ufficio studi di una banca come BNL.

O forse... o forse è solo un modo per preparare il terreno a future imposte patrimoniali che finora quelli come Abete hanno bollato come proposte insensate della sinistra comunista?

22 giugno 2011

Scommessa sull'oro


Qualche giorno fa mi ha incuriosito la pubblicità di Bank of America/Merrill Lynch sul sito Repubblica.it.
Il banner pubblicitario parla di un bond che offre il 5% fisso per tre anni e fino all'8% nei 4 anni successivi.
Tassi elevati, visto che le banche offrono rendimenti decisamente inferiore. Cosa si nasconde dietro il banner?

La prima cosa che si nota, accedendo al sito internet di Bank of America, è che si deve dichiarare di non essere cittadini americani. In un mondo finanziario globalizzato è curioso che si vieti agli americani di leggere il prospetto informativo di un'emissione obbligazionaria in Europa di una banca americana. E' un fatto che ricorda il divieto di trasmettere negli USA certe immagini sui morti americani in Iraq.

Poi si ha la sensazione che chi ha progettato il bond sia uno speculatore che cerca di trasferire il rischio sui risparmiatori facendo leva sulla speranza di ottimi rendimenti e su qualche illusione.

Infatti il bond unisce due cose assai diverse. Un rendimento fisso del 5% lordo per i primi tre anni e un rendimento aleatorio fino a un massimo dell'8% per i restanti 4 anni, calcolato in base all'andamento del prezzo dell'oro. Gli interessi si calcolano moltiplicando il tasso dell'8% per la percentuale dei giorni in cui ogni anno il valore dell'oro sarà compreso tra 1300 e 2100 dollari per oncia. Così se in un certo anno il prezzo dell'oro resta nell'intervallo 1300-2100 $ per il 50% dei giorni Bank of America pagherà il 50% del tasso dell'8%, vale a dire il 4%.

Detto in altri termini, nei 7 anni di durata del bond, Bank of America paga il 15% lordo, vale a dire poco più del 2% annuo, più un rendimento variabile, comprenso tra zero e il 32% per 4 anni (ovvero tra zero e il 4,57% annuo considerando la durata complessiva) che dipende dalla percentuale di giorni in cui il valore dell'oro è compreso tra 1300 e 2100 dollari per oncia.

Dunque si può guadagnare, scommettendo sull'andamento dell'oro, da un minimo del 2.14% lordo annuo a un massimo del 6.71% lordo all'anno. Riformulato in questo modo, l'investimento pare meno allettante di quanto promesso dal banner pubblicitario.

E forse lo è ancora di meno se si pensa che il rendimento offerto dipende dal prezzo dell'oro.
Oggi l'oro è quotato oltre 1500 $, ma cosa succederà in futuro?
Difficile dirlo. L'oro è un bene-rifugio il cui valore sale precipitosamente quando l'economia va male. Ha iniziato a correre alcuni anni fa alimentato dalle incertezze economiche raggiungendo livelli impensabili e continuerà a salire se l'economia non si riprende. Altrimenti il prezzo dell'oro diminuirà insieme al rendimento offerto ai sottoscrittori dei bond di Bank of America.

Perché si emettono titoli legati all'andamento dell'oro? Le ipotesi sono due. La prima è che si sfrutti il rialzo dell'oro per attrarre capitali. La seconda è che l'emittente abbia investito capitali in titoli o imprese legati alla produzione di oro, con un rendimento variabile in base al prezzo dell'oro. L'emissione di obbligazioni serve a trasferire parte del rischio al risparmiatore: se il prezzo resta in un certo intervallo, una parte del guadagno è trasferito al risparmiatore. In caso contrario la banca americana ottiene capitali a basso costo.

20 giugno 2011

Il merito (di Montezemolo e della Gelmini)

Uno dei tormentoni degli ultimi anni è il merito.
Chi merita dovrebbe far carriera più di chi non merita. Si dice... ma poi succede?

Dopo l'arresto di un faccendiere come Bisignani, che si era assunto il compito di mediare tra poteri economici e politici di ogni sorta, raccomandando e trattando per conto terzi, si scopre che il faccendiere aveva legami, tra gli altri, con Montezemolo e il ministro Gelmini, due paladini della meritocrazia. O meglio della retorica della meritocrazia.

Montezemolo, che negli anni '70 venne mandato via dalla Fiat perchè -secondo Cesare Romiti- chiedeva soldi agli imprenditori che volevano incotrare Gianni Agnelli, questa volta ha chiesto a Bisignani di mediare per avere qualche voto in più nella corsa alla presidenza di Confindustria. In cambio ha assunto il figlio di Bisignani alla Ferrari.

Un'altra a contattare frequentemente Bisignani, come spiega Corriere.it, è Maria Stella Gelmini, diventata ministro dell'Istruzione dopo una carriera rapidissima. Laureata in Giurisprudenza, non ha mai accettato la sfida di Bersani di mostrare i suoi voti universitari. E' diventata avvocato in Calabria, perché l'esame lontano da casa era più facile e poi è entrata nel giro giusto dopo essere apparsa -così si dice- in televisione: Rete 4 cercava qualcuno da infilare in un programma di Davide Mengacci nel bresciano e si rivolsero al club locale di Forza Italia. Mandarono la Gelmini e da allora iniziò, misteriosamente, la sua fulminante carriera.

E' difficile credere a questi personaggi e in genere a chi sventola la bandiera del merito
. E non solo perchè sembrano contraddire in prima persona il principio che sembra ispirarli, visto che per primi si affidano alle raccomandazioni e alle amicizie, ma anche perchè, dimostrando di valere meno di quanto comunemente si creda, non hanno le caratteristiche giuste per giudicare il merito altrui.

18 giugno 2011

Grecia e Italia

La notizia che l'agenzia Moodys potrebbe declassare il debito pubblico italiano non fa certo piacere.

Arriva lo stesso giorno in cui la situazione della Grecia pare rasserenarsi un pò, grazie a un rimpasto di governo e alla decisione di Germania e Francia di erogare il prestito ai greci. Senza il quale i greci sarebbero costretti a dichiarare fallimento, con conseguenze inimmaginabili e, presumibilmente, molto gravi per l'economia europea, visto che le banche francesi e tedesche sono piene di titoli pubblici greci.

Ma sarebbe un dramma anche per chi (banche, fondi) ha prestato soldi alle banche francesi e tedesche e per chi ha assicurato i possessori di titoli greci contro il fallimento della Grecia.

Insomma si rischia di trasformare una slavina (il fallimento della Grecia) in una valanga che travolge tutto e tutti. Con conseguenze imprevedibili, come ha sottolineato Draghi, che ha spiegato che si sa come far fallire un'impresa ma siamo impreparati contro la possibilità che fallisca uno Stato.

Per questa ragione conviene prestare alla Grecia i soldi di cui ha bisogno, visto che non può rivolgersi ai mercati per ottenere credito, a meno di pagare un tasso di interesse vicino al rendimento offerto dai titoli in circolazione (a proposito del quale avevo scritto qui), vale a dire un tasso del 25-30%.

Conviene anche spingere, per quanto possibile, chi possiede titoli greci a accettare il rinnovo del debito per diversi anni alle stesse condizioni, come propone la Germania. Ma è controproducente costringere qualcuno a accettare condizioni indesiderate, perchè potrebbe decidere di non sottoscrivere più i titoli pubblici di un paese o d chiedere un interesse maggiore.

Quindi, per dirla in modo assai semplice, i soldi alla Grecia dobbiamo darglieli noi, attraverso UE e Fondo Monetario Internazionale, imponendo al tempo stesso alla Grecia di mettere a posto i propri conti pubblici in un periodo di tempo ragionevole.
Ma non basta, perchè in questa storia c'è di mezzo anche la speculazione. Gli speculatori si liberano dei titoli di un paese per farne crollare il prezzo e innescare una serie di vendite che deprimendo ulteriormente il prezzo, fanno salire i rendimenti e costringono il paese a pagare un interesse maggiore sui nuovi titoli.

E' quel che rischia l'Italia, se dovesse essere declassata da Moodys. La spesa per interessi salirebbe, peggiorando i conti pubblici italiani che già navigano in cattive acque, vista la necessità per il governo di procedere a una manovra correttiva di 40 miliardi o forse più (50-55 secondo Bersani).

Per questo occorre salvare la Grecia ma anche pensare a quei paesi, come Italia, Portogallo, Spagna e Irlanda, che potrebbero essere presi di mira dalla speculazione. Pensando, inoltre, che mentre si possono prestare 100-200 miliardi ai greci, non si possono prestare con altrettanta facilità migliaia di miliardi a economie molto più grandi, come quella italiana.

L'Italia deve perciò fare da sola, intervenendo rapidamente per raddrizzare i conti pubblici. Deve spiegare come intende agire e essere credibile.

Altrimenti rischia un'ulteriore spesa aggiuntiva, quella per interessi, che non producono alcun beneficio per l'economia nè alcun beneficio elettorale in un paese in cui tutti chiedono un'irrealistica riforma del fisco e meno imposte.

17 giugno 2011

Comunidad de Madrid: "Tremontismo" alla spagnola?

Stamattina mentre aspettavo l'arrivo della metropolitana, noto (impossibile non farlo effettivamente..), come sia stato riempito praticamente tutto il tunnel con immagini grandi come una casa firmate dalla Comunidad Autònoma (amministrata dal PP di Gallardòn e della Aguirre, riconfermati da quei ben pochi elettori che hanno votato nelle elezioni appena concluse).
Tutte presentavano lo stesso motivo: un'immagine di un qualche cittadino sorridente, una frase che esprima soddisfazione per i servizi della Comunidad (cioè la regione), ma soprattutto tutte erano marchiate dallo stesso slogan: LA COMUNIDAD DONDE PAGAMOS MENOS IMPUESTOS!".
Che non credo necessiti traduzioni.
Però sì che necessita un piccolo approfondimento:
La capitale spagnola, con la sua provincia, rappresenta una regione a se' stante.
Un pò come se la provincia di Roma fosse una regione propria, non facesse parte del Lazio.
Questo lo dico come premessa, perchè so che molti italiani pensano che Madrid sia il capoluogo della Castiglia (che in realtà nemmeno esiste come regione, o meglio ne esistono due: Castilla La Mancha e Castilla y Leòn).
No, Madrid è il capoluogo di Madrid, (come Aosta per la Valle d'Aosta), nonostante che l'area geografica in cui si trovi sia effettivamente quella della Castiglia.
Ma veniamo alla propaganda de "los populares", (o "populistas" a questo punto..), che tanto sfacciatamente hanno esibito nella metropolitana:
Aldilà della veridicità della frase, che personalmente non possiedo i dati e le conoscenze sufficienti da poterla verificare, ci sarebbe da fare una contestualizzazione importante:
Anche se fosse vero che Madrid sia la regione spagnola dove si pagano imposte minori, se i suoi amministratori fossero persone oneste e sincere accanto metterebbero un'altro cartellone che completi la frase: "...ma anche una delle regioni più indebitate e quella che negli ultimi anni sta aumentando di più il suo deficit", come dimostrano i dati presentati dal Banco de España riguardo al debito pubblico spagnolo dal 1995 fino ad inizio 20111.
Con tutti i problemi che derivano da questa situazione!
E' giusto allora vantarsi di tenere le imposte basse per tutti se stai volando verso la bancarotta? Per lo meno continuando così senza aggiustare mai i conti di sicuro...
Le imposte basse possono andare bene al limite, (anche se io non sarei comunque d'accordo perchè si limiterebbe l'intervento sociale dello Stato..), se sono sostenibili per le finanze pubbliche, altrimenti sono una presa in giro. Penso non ci sia bisogno di studiare economia per affermare con certezza questo.

Proprio come la destra italiana pensa solo a tagliare tasse populisticamente senza curarsi della sostenibilità dei tagli, lo stesso fa la destra spagnola, e se ne vanta pure!

Secondo quanto afferma il sito di economia libremercado.com, l'amministrazione di Gallardòn ha più che triplicato il debito che gli aveva lasciato il suo predecessore del PSOE2.
Questo però temo che i madrileni non lo vedranno scritto nelle pareti del tunnel della metro...

Mentre leggevo i cartelloni mi è venuta in mente la canzone del rapper italiano Fabri Fibra nella sua collaborazione con Gianna Nannini dove definiscono l'Italia "il Paese delle mezze verità".
A quanto pare anche all'estero però l'arte delle mezze verità comincia ad andare di moda...

Come lo definiamo? Tremontismo alla spagnola?


(nella foto in alto Esperanza Aguirre e Alberto-Ruiz Gallardòn immoratalati durante una evidente discussione politica di alto livello...Sicuramente loro sì che avranno molto da guadagnarci dalle imposte basse in effetti...).



16 giugno 2011

Antonio Salas finalmente nel Belpaese!

L' infiltrato. Una storia veraAntonio Salas1 è lo pseudonimo di un famosissimo giornalista spagnolo d'investigazione, (anonimo per motivi di sicurezza).
Si è infiltrato con tanto di telecamera nascosta in collettivi pericolosissimi (facendo arrestare e condannare molti dei loro militanti), come nei naziskin spagnoli, (avventura raccontata nel suo primo libro di successo "Diario de un Skin"), nella mafia del traffico della prostituzione (scrivendo "El Año Que Trafiqué Con Mujeres"), e per finire in bellezza (almeno per ora), nelle reti del terrorismo internazionale per ben 6 anni, descritti in "El Palestino", (alla fine dei quali si è convertito definitivamente all'islam).


A riprova della  veridicità dei suoi racconti ci sono non soltanto i processi penali derivati dalle sue indagini, ma anche "fiction" e documentari trasmessi dalla televisione spagnola, (soprattutto su Antena 3), con tanto di immagini originali registrate dalla sua stessa telecamera nascosta durante l'infiltrazione.
Tanto che ormai tante volte nemmeno più i diretti interessati (come i nazisti), si affannano più a negare le verità svelate da Antonio Salas.

Il mio entusiasmo però deriva dal fatto che finalmente almeno la sua ultima opera (per me una vera e propria perla che se avessi tempo la rileggerei di nuovo), è stata tradotta in italiano, (cambiando il titolo da "El Palestino" a "L'Infiltrato"), ed è a disposizione dei miei connazionali già da questo mese.
A lui è stato dedicato anche un approfondimento ed una intervista tradotta in italiano sul Venerdì di Repubblica2.

Per non anticipare niente del libro tradotto, (illuminante, fra le altre cose, anche per quanto riguarda la conoscenza del mondo arabo), che mi auguro leggeranno in molti, cito una cosa di "Diario de un Skin", il suo primo scritto, che per lo meno forse ha qualcosa  a che vedere con un blog di economia e che penso sia estendibile anche all'Italia:

Quando parliamo di neo-nazismo, inevitabilmente parliamo anche di "movimento ultras": è lì dove di solito tentano, (anche se negli ultimi anni con le leggi più dure le cose stanno cambiando anche in Italia ), i movimenti più estremisti di diffondersi fra i giovani con la scusa del tifo.
Chi finanzia questi gruppi?

Vediamo cosa scrive Antonio Salas nel capitolo "¿El club del Real Madrid apadrina a un grupo nazi?"3:
Infiltrandosi nel gruppo neo-nazista degli "Ultras Sur", nella curva del Real Madrid, (amici degli altri bravi ragazzi italiani degli "Irriducibili" della Lazio), notò come tutti i presidenti del Real andessero a braccetto con i violenti ultras nonostante che davanti ai media prendessero le distanze dalle loro "bravate".
Non riusciva inizialmente a spiegarsi questo fatto. Perchè la società del Real Madrid dovrebbe finanziare un gruppo fanatico e violento d'estrema destra? Perchè dovrebbe permettere ad uno dei suoi capi di vendere in proprio, "sotto-banco", parte dei bigletti dello stadio? Perchè dovrebbe pagargli trasferte, permettergli di tenere magazzini del loro gruppo all'interno del Santiago Bernabeu, addirittura lasciargli le chiavi dello stadio e farceli entrare quando vogliono (anche giocando a pallone), sponsorizzare i prodotti venduti dalle imprese dei capi del gruppo (e anche quelli direttamente del gruppo stesso), concedere pubbliche interviste d'elogio verso di loro ecc ecc?
Per quale motivo le società di calcio dovrebbero compromettersi in questo modo, anche rimettendoci economicamente, con un gruppo di ultras violenti e razzisti?
Le ragioni elencate da Antonio Salas sono 3: appoggio, paura e politica.
Appoggio,
perchè gli ultras con le loro riviste, con i loro striscioni, con i cori che lanciano e con l'importanza che hanno nella curva direttamente o indirettamente, esercitano una grande influenza sulla tifoseria.
Racconta di quanta energia mettevano nel tifo, di come lasciavano completamente la voce allo stadio, e domanda "che succederebbe se tutta questa energia si scatenasse contro la squadra o il presidente?"
Paura, abbastanza comprensibile...Meglio avere un pericoloso delinquente skinhead violento e pronto a tutto, come amico o come nemico?
Politica, testimonia come gli stessi capi degli Ultras Sur, (con metodi a volte legittimi a volte meno, ad esempio obbligando tutto il gruppo e quanta più gente possibile a votare per chi vogliono loro), collaborassero con alcuni candidati alle elezioni di per essere presidente del Real, e come di solito il candidato da loro sostenuto risulti vincitore.

Per le squadre italiane l'ultima ragione non ha motivo d'esistere non essendoci da nessuna parte l'azionariato popolare, (almeno per il momento).
Ma le altre?
E' possibile quindi che anche in Italia le frange del tifo violento abbiano come principali finanziatori le stesse società di calcio?
Rifletteteci la prossima volta che sentite presidenti e dirigenti condannare la violenza e l'estremismo negli stadi...



3"Diario de un Skin" pag. 338 e seguenti

Aggiornamento: in realtà ci sarebbe una piccola cosa del libro tradotto in italiano che mi piacerebbe anticipare...Mi permetto di raccontare solo una cosa, che penso potrebbe interessare un pò a tutti, sia i vari "complottisti" che "debunker", (infatti tempo fa ne parlai anche in una email a Paolo Attivissimo sebbene non ricevetti alcuna risposta). Brevemente:

Nella sua infiltrazione arrivò a diventare un uomo di fiducia di un famoso ed importante terrorista nel panorama del conflitto arabo-israeliano, (di cui non rivelo il nome per non rovinare il libro).
In una telefonata, (ovviamente registrata dal giornalista), Antonio Salas per passare da fanatico terrorista palestinese, disse che l'attentato alle torri gemelle fu una cospirazione voluta dal Mossad per gli interessi imperialisti e sionisti ecc..
Il suo interlocutore rispose più o meno così:

"Menzogne! Conosco personalmente i pianificatori dell'attentato, e posso affermare che si tratta di una grande azione della Jihad, i musulmani dovrebbero andarne fieri e non darne il merito agli ebrei!"

giusto per far riflettere i complottisti...

14 giugno 2011

Referendum













Dunque i referendum sono validi e con buona pace del chimico Battaglia ha votato la maggioranza degli aventi diritto al voto.

Non solo: ha votato SI la maggioranza degli aventi diritto al voto.

Il referendum con il maggiore numero di NO è stato quello sull'energia nucleare. Il 54,8% degli aventi diritto al voto (compresi gli italiani residenti all'estero) ha votato il referendum e il 94,1% di questi ha votato SI.

Ora, il 94,1% del 54,8% significa che il 51,567% di tutti gli italiani con almeno 18 anni ha votato SI, mentre poco più di un terzo di italiani ha eletto il governo in carica. Alla faccia di chi, come Battaglia, considerava addirittura antidemocratico il voto.

I numeri ingannano solo chi vuole essere ingannato e le cose cambiano. In democrazia ma anche in economia. Fare previsioni su una centrale nucleare che si costruirà tra 15 anni come se tutto il resto (i prezzi dell'energia, le tecnologie esistenti, ecc) fosse destinato a restare uguale, non ha senso, proprio come non ha senso dire che i referendum sono antidemocratici perchè vanno contro il volere di un governo eletto 3 anni fa da una minoranza di italiani.

12 giugno 2011

L'assurda valutazione dei bond di Santander

In Spagna esiste da tempo un sistema politico quasi federale. Le regioni godono di ampie autonomie, concesse per contrastare le forze autonomiste. L'altro lato della medaglia è che le regioni si indebitano e usano metodi fantasiosi per continuare a farlo, sfuggendo ai tagli imposti da Zapatero e dagli organismi internazionali.

Si è scoperto ad esempio che qualche regione continua a spendere, e chiede alle imprese di rinviare nel tempo l'emissione delle fatture, per far sembrare la situazione delle finanza pubblica migliore.

La conseguenza è che i mercati iniziano a non fidarsi più neppure delle banche all'apparenza tranquille. Santander ha collocato dei bond per 1,46 miliardi, vendendone solo la metà, nonostante l'agenzia di rating avesse classificato i titoli con una tripla A e nonostante un rendimento superiore al 4,5%.

Ibond sono in buona parte garantiti da crediti di Santander verso gli enti locali spagnoli. Hanno una tripla A, ma non vale nulla, è contraddittoria visto che i bond hanno una garanzia debole.

Un brutto segno, sia perchè si dimostra ancora una volta l'inaffidabilità delle agenzie di rating, sia perchè la notizia, non ufficiale, è il segnale che la crisi finanziaria è tutt'altro che superata e potrebbero esserci spiacevoli sorprese.

La buona notizia è che il consorzio di banche che si occupava di assistere Santander, coprirà la somma mancante e quindi Santander può dormire sonni un pò più tranquilli.

11 giugno 2011

Rubbia sul nucleare


Ieri Repubblica (vedi qui) ha intervistato Carlo Rubbia, celebre fisico italiano che ha vinto il premio Nobel per le sue ricerche sulla materia.

Rubbia spiega che l'energia nucleare costa poco perché i programmi nucleari sono da sempre finanziati dagli stati interessati a produrre armi nucleari. L'energia nucleare è, di conseguenza, una sorta di sottoprodotto dell'attività principale, la produzione di armi nucleari. Costruite le bombe, si prende il materiale nucleare, lo si tratta e poi lo si usa nelle centrali.

Il tutto ha costi elevatissimi, ma l'energia si vende a prezzi bassi perchè il grosso del lavoro lo fanno i militari, naturalmente con soldi pubblici. Da noi non succederebbe e sarebbe lo stato a pagare -senza motivo- i costi della produzione di energia nucleare che altrove finiscono nei bilanci della difesa.

Dove non esiste un programma militare, le centrali non si costruiscono o, comunque, non ci sono privati disposti a spendere soldi per centrali che producono energia dopo 15-20, un periodo troppo lungo per offrire certezze.
Come si fa, infatti, a prevedere quale sarà lo stato dell'arte tra 15 anni? Quanto costerà allora l'energia proveniente da altre fonti? Si inventeranno nuovi modi di produrre energia? E scenderà il prezzo delle energie pulite?
Nessuno lo sa e nessuno vuole correre il rischio di investire almeno 5 miliardi in una centrale che produrrà energia tra 15 anni. Perchè tra 15 anni potrebbe non essere più conveniente produrre energia dall'atomo.

Invece è certo che le centrali nucleari e i processi di trasformazione e gestione del combustibile nucleare e delle scorie oltre a essere molto costosi non offrono alcuna garanzia di sicurezza.

Rubbia invece propone di seguire altre vie, come un maggior sfruttamento dell'energia geotermica, da cui si potrebbe ricavare, in Italia, la stessa quantità di energia offerta da 4 centrali nucleari, però con costi e tempi decisamente inferiori.
Appaiono dunque poco sensate le opinioni di chi, come Battaglia, vuole il nucleare solo perchè l'energia prodotta dalle centrali costa meno. Il costo non tiene conto di alcune variabili importanti: la spesa pubblica, l'evoluzione futura delle tecnologie e dei prezzi.

09 giugno 2011

L'incredibile Franco Battaglia

I dibattiti sul referendum hanno portato in tv un conservatore particolarmente interessante: Franco Battaglia.

E' un bell'esempio di intellettuale ultraconservatore: unisce a una non eccellente competenza per l'argomento di cui parla (l'energia) una buona capacità di confondere le acque e di ridicolizzare gli argomenti avversi e chi li sostiene, il tutto mescolato con una punta di razzismo e di fastidio per la democrazia.

Infatti benchè non sia esperto di energia (è un chimico-fisico teorico) non perde occasione per occuparsene, accusando gli altri (come Di Pietro) di essere poco competenti in materia.

Ma quali sono i suoi meriti? Non certo il curriculum di studi. Piuttosto di aver trascorso, come lui stesso scrive, 12 anni a "perseguire un impegno civico: tentare di riportare entro i binari della scienza il problema della questione ambientale ed energetica".

L'impegno consiste nello scrivere articoli su Il Giornale, libri scritti in collaborazione con i noti scienziati (o forse no...) Silvio Berlusconi e Renato Brunetta, presentati da Vittorio Feltri e impegnandosi -nominato da Berlusconi- per un paio d'anni nell'Agenzia Nazionale Protezione Ambiente.

Insomma, uno scienziato che abbandona i temi a lui cari per impegnarsi in politica come divulgatore su argomenti sconosciuti o quasi.

Sparandola grossa, come successo con l'articolo del 3 giugno su Il Giornale.

Finiti gli argomenti contro il referendum, Battaglia se la prende con il referendum.
E arriva al punto di dire che ha le prove che i referendum sono antidemocratici
.

Il ragionamento è semplice. Se basta il quorum del 51% e 26 elettori dei 51 che si sono recati alle urne votano sì, si abolisce una legge del Parlamento (1). E visto che le leggi sono "espressione di una maggioranza che si già è espressa con le elezioni politiche", allora i referendum sono antidemocratici e la Costituzione è sbagliata!

A parte che i referendum sarebbero legittimi anche se tutti i parlamentari avessero votato a favore di una legge, perchè il potere ultimo appartiene all'elettore, Battaglia dimostra solo di essere un teorico molto lontano dal mondo reale. Basta cercare qualche dato per capire che non esiste alcuna maggioranza (dei rappresentati degli aventi diritto al voto) al governo.

Nel 2008, infatti, la coalizione vincitrice ha ricevuto circa 17 milioni di voti (vedi qui). Gli aventi diritto al voto erano quasi 3 volte tanto: 47 milioni.

Dunque chi governa rappresenta solo 1/3 circa degli italiani oltre i 18 anni. E se un gruppo di parlamentari che non rappresentano neanche il 40% degli aventi diritto al voto può fare una legge, perchè una minoranza degli stessi non dovrebbe avere il potere di cancellare una legge?

La democrazia per gli ultraconservatori è solo un mezzo. Se non produce i risultati sperati, se ne può fare a meno.

E qualche scorrettezza è lecita, anche se sa di razzismo
come in questo articolo in cui Battaglia spiega che la vittoria di Pisapia degraderà Milano a "piccola Beri" (Bari) o anche se rivela intolleranza, come definire "onanismo sfrenato" una conferenza ONU che ha prodotto un accordo (vedi qui).




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(1) Ecco il passaggio: Nel caso non coglieste ancora appieno l’assurdità della cosa, vi invito a riflettere su questa situazione paradossale. Se vanno a votare ben 49 elettori e tutti chiedono l’abrogazione di una legge, essa non viene abrogata. Se, invece, vanno a votare 26 elettori che chiedono l’abrogazione e ad essi si aggiungono 25 elettori che chiedono il mantenimento della legge, questa viene abrogata. Singolare, no?
L’errore che commette la nostra Costituzione è presumere che le leggi in vigore siano frutto di imposizione divina e non, piuttosto, espressione di una maggioranza che si è già espressa con le elezioni politiche.

08 giugno 2011

Meno tasse per tutti?

Ricordate lo slogan di Forza Italia di qualche anno fa che diceva meno tasse per tutti?

Una delle tante promesse disattese da Berlusconi. Qualcuno l'aveva capito subito e aveva creato manifesti fasulli che dicevano: Meno tasse per Totti.

La questione ritorna ogni volta che la destra è in difficoltà. I vari Feltri o Ferrara spiegano che Berlusconi dovrebbe pensare un pò meno ai suoi problemi personalissimi. Invece di parlare agli italiani dei suoi incubi (magistrati e giornalisti ostili) dovrebbe invece rilanciare i vecchi programmi, tornando al vecchio slogan: meno tasse per tutti.

Ma si può fare?

No, perchè il solo modo per ridurre le imposte, come spiega il presidente della Cassa di Risparmio di Genova, Berneschi (vedi qui) è intervenire pesantemente sul welfare.

Vale a dire tagliare drasticamente le pensioni, la sanità e molto altro. Scelta certo impopolare che nessuno -salvo forse qualche estremista- avrebbe il coraggio di fare.

Solo così si potrebbero davvero ridurre le imposte. Il resto, a cominciare dal taglio degli sprechi, non consente risparmi eccezionali, anche se molti sono convinti (o illusi?) del contrario. Specie in presenza di un deficit pubblico che viaggia, senza correzioni, verso il 6% del PIL.

07 giugno 2011

Ripresa nordista

Sono molto interessanti i dati dell'Istat sulla crescita dell'economia nel 2010.

Il PIL del 2010 è salito del 1,3% in Italia, ma non in modo uniforme. Al nord ovest del 1,7%, del 2,1% nel nord est, dell'1,2% al centro e dello 0,2% al sud.

Dunque l'Italia, nonostante tutto, ha ripreso a crescere, ma il sud è fermo.

Come si spiega?

La suddivisione per settori dice che il risultato si deve quasi esclusivamente all'industria che ha ripreso a crescere, trainata soprattutto dalle esportazioni. I tedeschi, ma non solo loro, hanno ripreso a crescere in modo sostenuto e ne hanno risentito le regioni industriali, che vendono i loro prodotti alle industrie o ai consumatori stranieri.

Il peso dell'industria è decisamente inferiore al sud, come testimonia anche l'immagine che riporta la classifica delle città in base alla capitalizzazione di borsa.
Al sud invece ha fatto bene l'agricoltura, che però pesa poco sulla crescita del prodotto, mentre il terziario è rimasto fermo e le costruzioni hanno fatto registrare un calo.

Se fosse per l'industria il nostro PIL sarebbe cresciuto almeno di un 3%, ma c'è il pessimo andamento delle costruzioni e un'economia ferma nel terziario e nella domanda interna. Un altro triste riflesso della mancanza di una politica economica e, in particolare, della politica industriale del governo in carica.

06 giugno 2011

Le cassanate (di Tremonti)


Quando l'ho visto mi sono stropicciato gli occhi. Non ci volevo credere.

Tremonti parla alla Corte dei Conti e dice: secondo le statistiche un italiano su 4 è povero. Alzi la mano chi tra voi è povero. Ecco, vedete, nessuno alza la mano. Forse le statistiche...

L'incredibile osservazione di Tremonti è andata in onda ieri sera, durante Report, seguita dall'osservazione che l'Istat ha corretto la notizia: non è vero che un italiano su quattro è povero. La verità è (sarebbe, è meglio dire) che un italiano su quattro è a rischio povertà. Ipoveri non ci sono. Ci sono persone che potrebbero diventare povere.

Però alla Corte dei Conti non ce n'era neppure uno. Perchè si sa che i poveri, disponendo di tempo a sufficienza, visto che non lavorano, e incentivati a uscire dalla casa popolare mal ridotta dove vivono, non vedono l'ora di andare a sentire cosa si dice alla Corte dei Conti...

Tremonti però i poveri non li trova, e neppure la signora Moratti li ha trovati nei salotti della buona borghesia milanese. Sarà per questo che ha perso le comunali?

03 giugno 2011

Referendum sull'acqua


Domenica 12 e lunedì 13 si voterà per 4 referendum. Due riguardano l'acqua.


Secondo i promotori del referendum (vedi qui) il SI significa abolire norme che ottengono due obiettivi: una remunerazione del capitale investito da parte dei privati pari al 7% e la creazione di società private o miste pubblico-privato con l'obbligo per il soggetto pubblico di ridurre la quota posseduta.

In pratica una privatizzazione, almeno parziale, ben remunerata. Altrimenti non ci sarebbe ragione di privatizzare.

Per i cittadini che "comprano l'acqua" ovvero pagano il servizio offerto da chi distribuisce l'acqua pare certo l'aumento delle tariffe, come si può capire leggendo i bilanci.

Il bilancio (vedi qui) del gruppo SMAT, che distribuisce l'acqua a Torino dice che il guadagno riferito al capitale investito (ROI) è pari al 4% circa. La legge prevede che le società private guadagneranno il 7%. Se si privatizzasse le tariffe aumenterebbero o ci rimetterebbero i dipendenti e/o i fornitori, pagati peggio.

Ma perchè privatizzare l'acqua (meglio: il servizio)? Si indicano diverse ragioni: ridurre i debiti dei comuni, migliorare l'efficienza del servizio, eliminare le odiose pratiche di assunzioni clientelari.

Tuttavia l'efficienza non appartiene per forza ai privati. Anche i privati assumono amici e parenti, attribuiscono più facilmente compensi troppo elevati agli amministratori, possono scegliere i fornitori legati a qualche azionista o amministratore della società, anzichè il più conveniente. Se operano in regime di monopolio, come accade nell'acqua, non sempre hanno interesse a investire e migliorare il servizio, visto che il solo rischio che corrono è il mancato rinnovo, dopo molti anni, della concessione, da parte di politici che peraltro i profitti dell'impresa possono "ammorbidire" in vari modi.

Insomma, le vie dell'inefficienza guidata dal profitto sono infinite, anche nel settore privato, specie nelle aziende monopolistiche, che, come insegna qualsiasi manuale di economia, tendono sempre a tenere alto il prezzo e a ridurre la quantità del bene o del servizio offerto.

Non c'è motivo di invocare la privatizzazione neppure da un punto di vista finanziario. Se il comune privatizza l'azienda dell'acqua, può ridurre i suoi debiti e la spesa per interessi. Se il comune paga -supponiamo- un interesse medio del 5%, perchè non garantire all'azienda dell'acqua un rendimento del 6%, visto che si offre un rendimento certo del 7% alla stessa azienda, se privatizzata?

Solo se il tasso medio sul debito superasse il 7% il comune avrebbe interesse a privatizzare l'azienda dell'acqua e a ridurre il debito.

Se non ci sono motivi per privatizzare e se i referendum faranno tornare pubblica l'acqua, perchè toglieranno l'interesse dei privati, resta una domanda: come rendere più efficiente il servizio e far guadagnare gli enti locali?

Con una serie di regole piuttosto banali. Alcune per ridurre le spese inutili, come quella pubblicitaria. Perchè un'azienda monopolista che offre un servizio essenziale deve pubblicizzare le proprie attività? Si possono poi imporre per legge regole che riducano il numero e le retribuzioni degli amministratori e creare le condizioni perchè le aziende collaborino nell'acquisto di beni e servizi o perchè le aziende minori si possano fondere con aziende più grandi e godere di economie di scala.
Se poi tutto questo non funziona, il servizio è scadente o troppo costoso, si può obbligare il comune con un'azienda inefficiente a venderla. Non ai privati, ma a un'altra azienda pubblica.

Succede già: la torinese SMAT controlla il 30% circa di SAP (un altro 30% è in mano a IREN, una società multiservizio creata unendo le attività nel settore acqua, luce e gas di Torino, Genova e di diversi comuni emiliani) che a sua volta gestisce l'acqua a Crotone e partecipa alla gestione dell'acqua in 82 comuni della provincia di Palermo.

Dunque esitono le soluzioni per rendere il servizio di distribuzione dell'acqua efficiente e magari redditizio per i comuni e si può votare tranquillamente SI al referendum del 12 e 13 giugno sull'acqua pubblica.

01 giugno 2011

Paghereste 3000 euro l'anno per....

Paghereste 3.000 euro l'anno per far parte di un'organizzazione che diffonde le vostre idee?

Lo fanno i soci dell'istituto Bruno Leoni (IBL), un think tank conservatore che si ispira alle idee di un filosofo del diritto e avvocato, Bruno Leoni, barbaramente ucciso nel 1967 da un amministratore di condomini poco onesto.

Leoni, al pari del presidente onorario Ricossa, è stato membro di un altro think tank conservatore, la Mont Pelerin Society, che vantava tra i suoi membri Maurice Allais ed è collegata (vedi qui) ad una serie di organizzazioni conservatrici americane e inglesi come Cato Institute, Heritage Foundation, Atlas, Hoover Institution.

A questi think tank conservatori è stato dedicato un capitolo del libro, L'America in pugno, di Susan George (1) che spiega come da molti anni la destra cerca di riconquistare le opinioni pubbliche americane. Gli elementi comuni dei think tank sono cinque.

Si tratta di organizzazioni che dispongono di molti soldi (primo elemento) grazie ai quali finanziano un gran numero di ricercatori pronti a sostenere le proprie tesi (secondo) divulgate all'opinione pubblica attraverso vari mezzi (terzo), dalle ricerche universitarie alle interviste tv, cercando di collocare propri uomini (quarto) nelle amministrazioni pubbliche, nelle università e ovunque possano contribuire a influenzare l'opinione pubblica. Lo scopo è sostenere politiche conservatrici (quinto) in particolare in campo fiscale: i vantaggi fiscali che derivano dal lavoro delle lobbies giustificano l'investimento nei think tank, specie quando si devono difendere dalle imposte patrimoni miliardari.

L'IBL pare bene integrato in questo sistema di lobbies conservatrici. E' formato da un'elite di giovani che non esitano a discutere di economia pur avendo in maggioranza altre competenze (ci sono ingegneri, filosofi, avvocati, laureati in lettere ecc) e lo fanno con l'atteggiamento di chi è molto sicuro di sè e sa come risolvere i problemi, vantandosi dei premi ricevuto (da un altro think tank conservatore, la Atlas).

L'IBL è partner dell'Heritage Foundation (HF), che nel 2004 disponeva di un patrimonio di 150 milioni di dollari, spendeva 40 milioni di dollari e disponeva di oltre 200 dipendenti, impegnata a produrre interviste (6,5 in media al giorno) e a influenzare l'opinione pubblica attraverso un network radiofonico oltre che cercando di inserire i propri simpatizzanti al Congresso o nei governi repubblicani.

Anche se cercando di apparire seri e oggettivi non sempre ci riescono. Non mancano infatti le (non poche) cadute di stile.

Per esempio sostengono -forse inconsapevolmente?- un personaggio noto per le sue tesi politicamente scorrette come Charles Murray.

Chi è Charles Murray di cui il filosofo Carlo Lottieri ha tessuto le lodi su Il Giornale a gennaio (vedi qui)?

Secondo Susan George (pag. 45) Murray ha ricevuto diversi finanziamenti per un totale di quasi 3 milioni di dollari, quasi tutti da una fondazione di estrema destra, la Bradley Foundation, ed è famoso per due studi, nei quali sostiene che "l'assistenza sociale incrementa la povertà" e che "le facoltà intellettive degli afroamericani sarebbero inferiori a quelle dei bianchi".

Queste tesi, considerate da molti razziste (vedi qui), hanno influenzato non poco le azioni dei governi mentre Murray "ne ha ricavato una fama di esperto autorevole su tali questioni", secondo la George.

Non resta che sperare che Lottieri non sappia nulla di Murray, le cui tesi considera poco rigorose ma interessanti perché politicamente spendibili.

Allo stesso modo c'è da sperare che non sappiano bene chi è Grover Norquist, la cui foto campeggia nella pagine del sito internet di IBL. Infatti chi è liberale, come IBL, non dovrebbe gradire uno come Norquist che, secondo la George, cerca di "prevaricare" gli avversari promettendo di "dare la caccia ai gruppi progressisti a uno a uno e di tagliare loro le sovvenzioni".

Infine appare curioso che il primo nome che appare nel Board of Trustees sia quello dell'amministratore delegato di Aviva Italia, che si definisce il "6° gruppo assicurativo mondiale", specializzato soprattutto in polizze previdenziali. Uno dei cavalli di battaglia dei think tank conservatori come IBL è, infatti, la privatizzazione di tutto ciò che si può privatizzare. A cominciare dalle pensioni.

Per ora mi fermo qui. Credo abbiate capito cos'è l'IBL e come funziona la propaganda, sotto forma di verità oggettiva di esperti neutrali, delle lobbies di destra.

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(1) Feltrinelli, 2008

Link Interni

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