31 marzo 2012

Ci libereremo mai dei vizi nazionali?

Qualche settimana fa nei commenti a un post si parlava di vizi nazionali. Gli italiani ne hanno molti e qualcuno pensa che sia difficile sradicarli.


Resteremo dunque un popolo di furbastri, un pò anarchici e pasticcioni?

Forse no. Come ha scritto Giulio Sapelli in Diario Americano (Bollati Boringhieri, pag. 113-5) è solo una questione di abitudine:

"D'estate e nelle stagioni di mezzo si formano lunghe file dinanzi all'ingresso ela gente attende paziente, chiacchierando e ridendo di gusto. Questo è il cotè fanstatico degli americani del Nord: sono straordinariamente controllati dalle norme sociali e sentono una profonda obbligazione nei confronti delle medesime. Si fa la coda e la si fa ordinatamente, perchè si comprende che in tal modo i disagi per tutti diminuiscono e tutti più celermente potranno usufruire del bene che sono venuti a godere."

"Una simile obbligazione sociale mi colpì anni or sono a Melbourne...Essa è un'insieme di tre nazionalità: quella anglosassone di storico insediamento, che rappresenta un decimo degli abitanti; quella greca che ne rappresenta la metà dei nove decimi restanti e che conta all'incirca gli stessi abitanti dell'altra nazionalità...l'italiana.

Ebbene per le strade e le sterminate spiagge di Melbourne non si trova un pezzetto di carta, una sigaretta, un rifiuto e tutti fanno ordinatamente la coda in ogni dove e con una disciplina ammirabile.

Qualità dell'ordine sociale che sicuramente immediatamente perdono allorquando pongono piede sul suolo di origine delle loro nazioni primigenie, come può testimoniare chiunque conosca la Grecia o il mezzogiorno d'Italia d'estate e abbia visto come si comportano gli immigrati tornati nei paesi d'origine per le vacanze. Mezzo milione di inglesi tengono a bada, culturalmente, sul piano delle regole della convivenza, un numero sproporzionato di cittadini..."

29 marzo 2012

Che Guevara, dove lo mettiamo?

I signoraggisti ricordano le vittime del signoraggio: Abramo Lincoln, John F.Kennedy e Duisemberg per restare tra i personaggi famosi.

Prove, nessuna. Indizi, pochi. Fonti, qualche periodico religioso.

C'è un altro personaggio storico famoso legato al mondo delle banche centrali e morto in modo un pò misterioso: Che Guevara.

Nella rivoluzione cubana gli vennero affidati diversi compiti. Uno di questi è stato quello di presidente della Banca Centrale Cubana. Eppure è morto in circostanze mai del tutto chiarite in uno sperduto villaggio boliviano.

Un banchiere centrale che muore, secondo la tradizione signoraggista non può che essere vittima del signoraggio. Ma stranamente i signoraggisti non ne parlano. Forse perchè ha contribuito alla costruzione del socialismo cubano, che forse ai neofascisti ovvero ai signoraggisti (le due categorie si sovrappongono) non sta simpatico?

27 marzo 2012

Incomprensioni sulle modifiche costituzionali tra le due sponde dell'Atlantico


Recentemente è stato approvato il nuovo Trattato a 25 (Gran Bretagna e Repubblica Ceca si sono, per motivi simili, ma a se stanti, rifiutate di sottoscriverlo) denominato "fiscal compact".
Molti hanno avuto modo di parlarne, ed alcuni, anche di straparlarne. Il testo, per comodità, è accessibile qui.
Avevo già affrontato questo tema, e devo dire che non è cambiata di molto la situazione. I soliti complottisti hanno cominciato ad urlare al lupo al lupo, credendo che una norma espressa in un consesso libero e con più contributi (europarlamento, Consiglio e Commissione), potesse in realtà celare chissà quale golpe.
Devo dire che alcuni contributi, un po' "innocenti" son stati male interpretati, tipo quello del Senatore Morando, che avrebbe detto addirittura un abracadabra stile "completa cessione di sovranità agli Stati uniti d'Europa", nel momento delle indicazioni di voto in commissione. Badate, quest'ultimo link fa riferimento ad una pagina che, per gli elementi che butta nella mischia a casaccio, ho definito bellamente "viziata" anche con i redattori... Le parole sono importanti, per cui i riferimenti velati al fatto che questa proposta di revisione costituzionale abbia più dei due terzi (mi pare il 79% dei consensi ed il 21 restante più per motivi giuridici tecnici di redazione che non per una vera opposizione... premetto che anche a me fa un po' ribrezzo il modo con cui la formulazione è stata proposta), non deve far cadere nell'inganno di qualche cospirazione. Semplicemente, quando si fanno revisioni costituzionali per aggiustamenti "tecnici", come lo sono le materie inerenti la formazione materiale del bilancio, non c'è da stupirsi su queste percentuali di adesione. La parte dell'articolo 138 che evita referendum qualora ci siano i 2/3 dei voti in parlamento, serve per evitare che maggioranze sporadiche possano, in momenti di euforia, modificare da soli la Costituzione, ovvero è un lascito che i costituenti ci han lasciato per evitare che si potesse ripetere il fascismo, famoso per aver avviato la produzione di leggi con forza pari allo statuto albertino (più per debolezza di quest'ultimo), da cui l'appunto che fecero in Assemblea Costituente.

Detto questo, bisognerà aspettare la versione definitiva, ma intanto possiamo affidarci a chi ha scorporato su la proposta e l'ha messa a confronto con il testo vigente, che potete trovare qui.

I dubbi che avevo già manifestato, permangono. Rilevante, per chi ci fa caso, è che il lascito di Einaudi (l'ultimo comma dell'attuale articolo 81), diventi il primo della nuova formulazione, subito dopo due commi nuovi di zecca e, senza mezzi termini, ridondanti.
La parte che han fatto bene, ma su cui hanno evidentemente puntato poco è alla fine della proposta del nuovo articolo 81, dove dice "il contenuto della legge di bilancio... sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta... nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale". Lì si poteva fare di più. Prima che pensare a toccare con l'introduzione di termini che poco si addicono a testi costituzionali (ciclo economico, scusate, in un paper di economia è perfetto, ma lì è pietoso...). Manca, inoltre, un qualsivoglia riferimento all'impossibilità a giocare a fare da scaricabarile tra deputati e Governo, come avviene oggi in Francia, in cui solo gli esecutivi sono responsabili in via diretta dei conti, in quanto nella loro Costituzione è previsto che "Le proposte e gli emendamenti formulati dai membri delle Camere non possono essere presi in considerazione, allorquando la loro adozione abbia, per conseguenza, una diminuzione delle entrate pubbliche, ovvero la creazione o l’aggravio di un onere pubblico", appunto che venne fatto, mi pare da De Gaulle, per rinforzare l'esecutivo e per evitare che i governi partissero con un bilancio e se ne trovassero, senza ben capire come (i membri dei partiti di governo non erano esenti da comportamenti collusivi... tutto lì) un altro.

Quello che più ha destato stupore, mentre esorcizzavo la solita quantità di complottisti quotidiani, è stato l'intervento dei 5 premi Nobel di cui si è parlato anche qui.
Per poter affrontare la questione sono essenziali alcune condizioni:

1) avere sottomano il documento presentato negli USA, per la revisione della LORO Costituzione. Va detto che, a mio parere, gli strali di questi signori sono un po' ipocondriaci, in quanto è da parecchio che non si fa una revisione della Costituzione, e sinceramente ha saputo, in oltre 225 anni di vita, gestire crisi anche peggiori di quest'ultima (se volete poi informazioni sulla strada titanicamente in salita di quella proposta, sono a disposizione).

2) non fare di tutte le erbe un fascio, in quanto le modifiche costituzionali, di cui si parla per gli USA, non è detto che siano le stesse (o che arrivino identiche alla fine dell'iter legislativo) anche in Europa.

3) aver letto il Fiscal Compact, non sono molti articoli, sono TUTTI di carattere tecnico, per cui così noiosi (ai più) da non suscitare stimolo alla lettura... neppure nei complottisti, che difatti, puntualmente cadono sui contenuti.

4) e qui sono all'aspetto più complesso: negli articoli che sono usciti, i cinque vate dell'economia hanno parlato di contrarietà al vincolo del pareggio in bilancio, ma hanno auspicato una riduzione del deficit pubblico...

Ora, i casi sono due: o i giornalisti hanno tradotto male i termini (cosa possibile), oppure non ci stiamo capendo, noi e i premi Nobel, sui contenuti delle proposte di legge.

Nel primo caso, l'esito è molto semplice: il deficit pubblico è quanto le entrate sono inferiori rispetto alle spese, ovvero si spende di più di quanto si incassa. In tal caso, per risanare, riduci la spesa. Perché, chiedere che gli stati, principalmente (son contemplate eccezioni), chiudano almeno in pareggio, è diverso? Anzi, a me pare peggio porre la cosa con "tagliamo la spesa", tagliamo rispetto a cosa? se confrontato ad una norma che imponga un principio basilare del tipo "Tutte le entrate e le spese del Bund devono risultare dal bilancio preventivo" (tratto dalla Costituzione tedesca). In questo secondo caso ho sempre davanti il raffronto, anche come modus operandi suggerito dal legislatore costituzionale.

Nel secondo caso, questi strali sono un messaggio politico, indirizzato esclusivamente ai policy maker USA, in chiave di preventivo ammonimento, in quanto c'è (o meno) un rischio di proposta del tipo "le entrate e le uscite devono essere SEMPRE o in pareggio o in attivo", non contemplando eccezioni, cosa delirante per un qualsiasi docente di economia che non abbia studiato con i vari Tommasi&Friends.
A questo punto, se dovesse essere questa l'interpretazione delle parole dei magnifici 5, appare lapalissiano che nulla di quanto abbiano detto sia applicabile da noi. Basta prendere in mano quel testo noioso e tecnico del fiscal compact, in particolare, all'articolo 3, comma 2 e comma 3 lettera b). Nel caso, si potrebbe scrivere ai Nobel, che si sa, rispondono con più frequenza di certi docenti italiani :D

26 marzo 2012

Argentina: i dati sono falsi

L'Argentina s'è ripresa la sovranità monetaria, spiega chi pensa che la sovranità monetaria sia la panacea di tutti i mali. Ma con quali conseguenze?

Un mese fa l'Economist, che pubblica le statistiche economiche di tutto il mondo, ha spiegato ai lettori che non pubblicherà più i dati ufficiali sull'inflazione argentina. L'istituto di statistica, controllato dal partito di governo, fornisce dati palesemente falsi. L'inflazione vera è stimata tra il 20 e il 30% ma l'ente statale dichiara un tasso di inflazione molto più basso, tra il 5 e il 10%.

Come capire che il dato ufficiale è falso? Semplice: basta analizzare i dati e si scoprono evidenti incongruenze. Ad esempio i salari crescono del 25%.

Se l'inflazione è pari al 10% e i salari salgono del 25%, vuol dire che i dati sull'inflazione sono falsi oppure che l'economia cresce a ritmi incredibili (10-15% almeno). Se accadesse, però, lo Stato non avrebbe alcun problema di bilancio, i conti pubblici sarebbero a posto e gli investitori stranieri farebbero la coda per impiegare i loro capitali nell'economia argentina.

Invece i conti dello Stato non sono in equilibrio. Lo Stato emette titoli di stato, ma poichè nessuno si fida a sottoscriverli, visto che in passato l'Argentina ha dichiarato default, lo Stato costringe la Banca Centrale a comprare i titoli. La quantità di moneta aumenta del 25-30% l'anno. Inoltre i capitali fuggono dall'Argentina, nonostante il governo limiti per legge la possibilità di esportare capitali (come aveva scritto qui Milano & Finanza).

Dunque i dati sono falsi. Non solo quelli sull'inflazione, ma anche quelli sulla crescita: se l'inflazione è maggiore di quanto dichiarato, la crescita del PIL non può che essere inferiore di quel che appare.

L'Argentina cresce meno di quanto sembra, l'inflazione è più alta, i capitali fuggono e nessuno compra i titoli di stato argentini.

Questa è l'Argentina, il paese di sempre: poca crescita (e quella poca dipende dall'andamento dei prezzi internazionali di carne e cereali), capitali che fuggono e deficit pubblici coperti stampando moneta, ovvero creando inflazione, oppure emettendo titoli e poi dichiarando bancarotta, il tutto condito con dati falsi e illusioni collettive.

La sovranità monetaria ha forse risolto qualcosa? No, ha solo alimentato l'ennesima illusione. L'illusione di un paese in crescita, che prima o poi, invece dovrà fare i conti con i suoi squilibri economici.




25 marzo 2012

Cosa resterà della riforma del lavoro?

Leggendo qualche articolo sulla proposta di riforma del lavoro presentata dal governo, con la clausola "salvo intese" che, secondo Mario Monti, significa che la proposta può essere modificata su richiesta del Presidente della Repubblica (cui spetta il dovere costituzionale di firmare le proposte di legge governative), mi domando: cosa resterà della proposta della Fornero?

Già, perché la proposta di riforma suscita molti dubbi. Dubbi dei partiti, in particolare il PD, che criticano i contenuti, così come i lavoratori, che bocciano il governo, la cui popolarità non è mai stata così bassa. Dubbi sulla costituzionalità della legge, sollevati dal solo costituzionalista del governo, il ministro della Salute Balduzzi. Dubbi degli imprenditori che si troveranno a fare i conti con l'aumento del costo del lavoro, misura necessaria per finanziare i nuovi ammortizzatori sociali e disincentivare il ricorso al lavoro precario.

L'idea della Fornero è semplice: si vuole disincentivare il ricorso al lavoro precario, ai finti stage che servono solo a pagare di meno i lavoratori e in cambio si offre una maggiore flessibilità in uscita, poiché si ritiene che sia un errore mantenere in vita aziende decotte e sia preferibile, invece, rendere più dinamico il mercato del lavoro e, in generale, la vita delle imprese.

Una logica di stampo liberista che non va bocciata a priori, ma che suscita molti dubbi. Se da un lato è positivo che si disincentivi il lavoro precario, dall'altro si rende più precario il lavoro, consentendo alle imprese di licenziare un lavoratore per ragioni economiche, con la certezza che non sarà mai reintegrato e che al massimo l'impresa si troverà a pagare una somma stabilita dal giudice.

Gli effetti di questa novità, contestata dai lavoratori (oltre a quelli ricordati da William qui) saranno sia positivi che negativi.

Da un lato si disincentivano tutti quei comportamenti poco onesti da parte del lavoratore difficili da sanzionare e si riduce la microconflittualità. Dall'altro si rende più precario tutto il lavoro, se un'impresa può licenziare senza reintegro anche in caso di motivazioni dichiarate illegittime.

Tale norma è potenzialmente disastrosa, perché l'incertezza può indurre i lavoratori a spendere di meno, (e un'ulteriore diminuzione dei consumi è l'ultima cosa che serve in questo momento) e i licenziamenti potrebbero creare un massa di disoccupati troppo vecchi per trovare un altro lavoro e troppo giovani per andare in pensione.

Un boomerang per lo stato, che si troverebbe costretto a intervenire per sostenere il reddito dei disoccupati e ad affrontare conti pubblici peggiori, per effetto dei minori consumi causati dalla maggiore incertezza.

E' giusto chiedersi allora, cosa resterà della proposta della Fornero, minacciata dal rischio di incostituzionalità e dall'opposizione di molti, preoccupati dalle conseguenze della legge.

Elsa Fornero e Mario Monti paiono non preoccuparsi. La ministra del Lavoro è persona fin troppo risoluta e convinta di aver ragione, e difficilmente lascerà perdere. E neppure Monti lascerà perdere, convinto che si devono applicare all'Italia le regole che si presume siano invocate dai mercati finanziari.

Dunque il governo non si muoverà dalle posizioni assunte finora, salvo correzioni volute dal Presidente Napolitano, che svolgerà il ruolo di mediatore, e il provvedimento sarà considerato dal Parlamento, che si assumerà il compito di decidere davvero, modificando (prima o poi) le regole più indigeste.

24 marzo 2012

Spread, a chi tocca questa volta?

Per qualche mese la parola più diffusa in Italia è stato spread, vale a dire la differenza tra il rendimento dei BTP a dieci anni italiani e gli equivalenti bund tedeschi.

In autunno il governo Berlusconi è crollato perché incapace di contenere l'aumento dello spread. La fiducia nell'Italia diminuiva e lo spread, salendo, trascinava verso l'alto i tassi di interesse pagati dallo Stato sui titoli di stato, mentre il prezzo dei titoli di stato diminuiva, spaventando chi li possedeva.

Con Monti lo spread è sceso e, da qualche settimana, è stato sorpassato dallo spread tra i titoli spagnoli, i bonos, e quelli tedeschi. Mentre lo spread italiano è risalito a quota 318, complice tra l'altro la ripresa dell'interesse verso i bund tedeschi, lo spread spagnolo è salito a quota 360, circa 40 punti in più.

La Spagna preoccupa perché l'economia è debole, come in Italia, ma a differenza dell'Italia il deficit è elevato e il governo non vuole ridurre il deficit al ritmo previsto, ben sapendo che ciò significherebbe peggiorare la situazione economica.


Nel vicino Portogallo le misure prese contro la crisi del debito pubblico sono quelle previste, ma invece di migliorare, i conti pubblici peggiorano, travolti dalla recessione, e peggiorano gli spread.  Ormai i titoli portoghesi rendono oltre il 15% all'anno.

Ben Bernanke e Tim Geithner, ministro del Tesoro americano, hanno criticato le scelte europee che, puntando tutto sulla riduzione dei deficit, stanno sacrificando la crescita.

Gli spagnoli vanno controcorrente, cercando di non aggravare la situazione dell'economia alla ricerca del pareggio di bilancio, ma i mercati li puniscono. L'obiettivo di sostenere l'economia con minori aumenti di imposte e minori tagli alla spesa, rischia di essere vanificato dai tassi di interesse che salgono giorno dopo giorno.

Travolgendo la Spagna e non solo, perché in un'Europa disomogenea, dove alcuni paesi sono virtuosi e altri meno, la speculazione prende di mira il paese debole, con un'economia in difficoltà, elevata disoccupazione e un deficit troppo alto.


21 marzo 2012

La riforma del mercato del lavoro


Da cosa si giudica un mercato del lavoro?

A mio parere, pur non essendo un esperto del settore, si giudica dai seguenti punti:

1. Se crea lavoro, ossia, quantitativamente, dal numero di disoccupati
2. Se i lavoratori sono tutelati
3. Se i lavoratori che perdono il lavoro riescono a ritrovarlo con facilità

Ora, questa riforma io non la comprendo proprio.

Non la comprendo perché non soddisfa nessuno e non capisco quali saranno gli effetti benefici nel lungo periodo.

Innanzitutto non capisco perché eliminare di fatto il limite dei 15 dipendenti. Quando nel 1970 fu redatto lo statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) i legislatori, decisamente più garantisti del governo attuale, prevederono un limite all'applicazione dell'art. 18 nel numero di 15 dipendenti.

Perché questo? Perché giustamente considerarono che in un'azienda piccola, magari con 1 o 2 dipendenti potevano diventare MOLTO importanti i rapporti personali e servivano regole diverse che nelle imprese con 1000 dipendenti.
Detto in altre parole, se ho un dipendente che a un certo punto diventa antipatico e arrogante, lo devo poter mandare via senza troppe storie, perché ci lavoro giornalmente gomito a gomito e quindi la convivenza sarebbe impossibile.

Se pensarono così nel 1970, con il carico di garanzie di allora, perché pensare che oggi sarebbe diverso?

E come può un'impresa piccola sobbarcarsi un maggior costo del lavoro dovuto al finanziamento degli ammortizzatori sociali?

E come può un'impresa permettersi di pagare un indennizzo per un licenziamento per motivi disciplinari da 15 a 27 mensilità?

Certo, per un'impresa come la Fiat che può permettersi di tenere a casa dipendenti pagandoli lo stesso, sarà una vittoria: gli paga l'indennizzo e li caccia. Ma per un'impresa di 3 o 4 dipendenti è un disastro!
Pensate che per in caso di licenziamento per motivi economici (mi cala il lavoro), se il dipendente mi fa una vertenza sindacale e vince, io devo pagargli l'indennizzo! E come faccio se mi è calato il lavoro?
Allora chiudo! E qui c'è ancora un altro nodo oscuro: se chiudo come faccio a pagare l'indennizzo magari per 3 anni ai dipendenti finché non trovano lavoro?

Pensate se sono una ditta individuale con un paio di dipendenti e voglio chiudere perché non ho più lavoro, che faccio? Vendo casa per pagargli la disoccupazione?

Ricordiamoci che qui in Italia le aziende non nascono grandi, ma ci diventano. Ma se gli impediamo nella culla di crescere finiremo con l'avere poche aziende grandi e moltissimi lavoratori autonomi.

Infine non si è considerato l'impatto del lavoro nero. Già oggi abbiamo numeri impressionanti di lavoratori in mobilità o in cassa integrazione che lavorano in nero e prendono il sussidio. Immaginate poi se un lavoratore a cui un'impresa paga l'indennizzo viene beccato dal vecchio datore di lavoro a lavorare da un'altra parte. Si finirà con una serie di cause infinite e costi legali (inutili).

Quindi per rispondere ai punti che ponevo all'inizio, il mio giudizio non è positivo:

1. Non credo che creerà lavoro, anzi, molti decideranno nel dubbio di non assumere il primo dipendente
2. Diminuisce le tutele dei lavoratori nelle grandi aziende
3. Non permette un ricollocamento dei lavoratori in tempi rapidi

19 marzo 2012

Una piramide: la MMM

Piramide finanziaria, catena di sant'Antonio o Ponzi game, come lo chiamano gli americani. Tre parole per designare una truffa che consiste nel raccogliere capitali da qualcuno, attratto dalla promessa di interessi elevati, che si possono pagare solo raccogliendo capitali da altri, a loro volta illusi di ottenere facili guadagni.

Quando non si trova più nessuno disposto a versare capitali, chi gestisce la piramide non può più pagare gli interessi e tutti chiedono indietro i soldi versati. Solo i più fortunati o spregiudicati riescono a ottenerli. Gli altri restano a bocca asciutta.

C'è chi non fa mistero del fatto che sta organizzando una piramide finanziaria, come questo sito http://2011mmm.it/ che fa riferimento a un russo, Sergey Mavrodi, che propone la Mavrody Money Machine e una moneta interna del sistema (forse la moneta convince anche i più restii?).

E'una piramide ma con molta faccia tosta si dice: solo 8 milioni di persone, cioè un millesimo dell'umanità, ha preso parte alla piramide...

Insomma è una piramide, non si fa nulla per nasconderlo e  si chiede di partecipare perchè non è possibile che si trovino abbanstanza allocchi per far sì che chi partecipa oggi guadagni qualcosa. Da non crederci


18 marzo 2012

Politica industriale, un disastro annunciato?


Nei giorni scorsi Elsa Fornero e Mario Monti hanno incontrato i vertici Fiat. Quindi hanno entrambi dichiarato che sono finiti i tempi in cui i governi intervenivano per salvare le imprese e che non è intenzione di questo governo spiegare alle imprese cosa fare.

Ecco le parole della Fornero, riportate dal Corriere:

«Il governo vuole creare un ambiente favorevole per le imprese, non solo quelle che ci sono ma anche quelle che se ne sono andate e quelle che potrebbero investire, e a questi principi è ispirata la riforma del mercato del lavoro. Non spetta invece al governo aiutare le imprese a tirare avanti, magari galleggiando. Non è conveniente per l' economia, l'occupazione e la sostenibilità ed economicità delle prestazioni»

In pratica non dobbiamo aspettarci nessuna politica industriale degna di questo nome. E forse non è un caso che queste dichiarazioni escano dalla bocca di Elsa Fornero, che di politica industriale non s'è mai occupata, e che sul tema Fiat Corrado Passera, a cui spetterebbe l'elaborazione della politica industriale, non dica nulla.

Eppure di cose se ne potrebbero fare, cogliendo l'occasione di una crisi profonda per spingere le imprese a fondersi, sollecitando le imprese sane a comprare altre imprese dello stesso settore, che magari rischiano il fallimento, organizzando le ristrutturazioni delle imprese in difficoltà in modo da favorirne la competitività...insomma organizzando una politica industriale seria.

Il governo sceglie invece di seguire una logica molto liberista, che lascia al mercato il compito di decidere chi sopravviverà alla tempesta che ormai piega e spezza anche gli alberi più robusti da alcuni anni. In Senato tutti i partiti hanno manifestato la loro preoccupazione, eccetto uno: Sacconi ha applaudito all'annuncio che il governo è indifferente alla sorti della Fiat.

Forse Fiat non farà disastri, ma in molti altri settori le scelte del governo rischiano di risultare pesanti per l'occupazione e per il futuro industriale di molte zone del paese.

Il futuro che ci attende non sarà positivo: il disastro industriale continuerà e Monti non farà nulla per contrastarlo, sempre che con la sua miopia liberista, veda cosa sta succedendo.







17 marzo 2012

Mario Batali

«L'avidità accentratrice dei banchieri pigliatutto che oggi controllano la ricchezza è paragonabile al male arrecato al mondo da Stalin e Hitler»

Non è una frase di Beppe Grillo, ma di Mario Batali, famoso chef italo-americano, proprietario di molti ristoranti nelle più importanti città americane.

Dopo essere stato costretto a chiedere scusa ai banchieri, molti dei quali frequentano i suoi ristoranti, Batali è finito sui giornali insieme al suo socio Joseph Bastianich, altro italo-americano con molti interessi nella ristorazione, dopo aver raggiunto un accordo extra-giudiziale con i dipendenti riguardante le mance.

Sì perchè i due imprenditori di origine italiana benchè ricchi e famosi trattenevano tra il 4 e il 5% delle mance di camerieri e barman e li usavano per pagare alcuni dipendenti.

Dopo che alcuni dipendenti hanno fatto causa, è arrivato l'accordo: i dipendenti incasseranno oltre 5 milioni di dollari e in cambio ritireranno la causa. Chissà se Batali chiederà scusa ai dipendenti come ha fatto con  i banchieri o se si sentirà anche lui un pò simile a Stalin e Hitler.

15 marzo 2012

Gotti Tedeschi

Gotti Tedeschi, il presidente dello IOR, la banca del Vaticano, offre il peggio di sè: barzelletta di cattivo gusto e strafalcione. Dice infatti che Keynes è morto a qualche settimana di distanza da Hitler.

Ma mentre il dittatore in realtà s'è suicidato il 30 aprile 1945, l'economista britannico è morto quasi un anno dopo, il 21 aprile 1946.


14 marzo 2012

Domande frequenti sul signoraggio bancario


Riprendiamo e riuniamo qui le domande più comuni formulate sul signoraggio e i dubbi più grandi che possono sorgere leggendo alcune presunte cospirazioni delle banche e dei banchieri, che si leggono soprattutto su internet.

Con "signoraggio bancario" indichiamo la la teoria del complotto che si basa su definizione errata del cosiddetto signoraggio bancario. Alcune delle domande sono state pescate in rete, formulate dagli stessi sostenitore di questa teoria complottista:

-Le monete che noi usiamo non sono vincolate ad un valore come l'oro, quindi il valore dovrebbe essere quello indotto dall'uso. Allora perchè le banche ricevono gratuitamente dalla banca centrale le banconote che poi prestano a noi?

Il valore dipende dal fatto che noi attribuiamo valore a una moneta e la legge ci obbliga a farlo. Noi attribuiamo un valore a una moneta perché sappiamo che altri lo fanno, sia volontariamente sia per effetto di norme che impongono di accettare in pagamento le monete metalliche e cartacee.

Accettiamo assegni, bonifici e altri tipi di pagamento se riteniamo che il pagamento andrà a buon fine o se esiste un sistema che consenta di ridurre al minimo la probabilità che il pagamento non sia effettuato.

Se si potesse decidere se e quali monete accettare, i pagamenti sarebbero molto difficili, perché ciascuno di noi non saprebbe se una moneta sarà accettata dal panettiere o dal giornalaio. Per ovviare a tale problema, che ostacolerebbe fortemente l'attività economica, gli stati hanno deciso di obbligare i cittadini ad accettare la moneta legale nei singoli paesi.

Altro discorso è relativo al legame tra moneta e oro. La convertibilità delle monete in oro serviva non a dare valore alla moneta, ma a garantire la convertibilità di una moneta in altre monete. Sbaglia chi collega oro e valore della moneta.

Le banche non ricevono banconote gratis. Pagano un tasso di sconto alla banca centrale. Come un'impresa può scontare le fatture presso una banca, così la banca può scontare titoli presso la banca centrale, pagando un tasso noto come tasso di sconto. A sua volta la banca farà pagare al cliente cui presta soldi un tasso di interesse.

Perchè succede? La banca sconta titoli quando le occorre avere nuovi capitali che non riesce a raccogliere in altro modo. Scontando i titoli delle banche, la banca centrale fa aumentare, temporaneamente o meno, la quantità di moneta che circola nell'economia.

-Il meccanismo della riserva frazionaria permette a una banca commerciale di prestare n-volte quanto ha fisicamente in riserva. Non sarebbe più corretto portare la riserva al 100%, permettendo così alla banca commerciale di prestare solo ciò di cui veramente dispone?

La banca raccoglie capitali e li presta, tolta la parte trattenuta sotto forma di riserva (legale e volontaria: la riserva legale è versata alla banca centrale). Non presta più di quanto raccoglie.

Quindi non c'è alcuna tecnica misteriosa, tollerata o illecita, che consente alla banca di moltiplicare i soldi.

Il meccanismo del moltiplicatore monetario dice che se la banca centrale immette 1 euro di nuova moneta, il credito complessivo concesso dalle banche sarà pari a diversi euro. Di diversi euro sarà pure l'ammontare complessivo dei depositi presso le varie banche.

Se la riserva fosse pari al 100%, le banche non sarebbero più intermediari, ma soggetti che prestano i soldi posseduti, ricevuti dai soci. In teoria sarebbe possibile, anche se gli effetti sarebbero indesiderabili. Il credito concesso infatti sarebbe molto modesto rispetto a quello offerto attualmente dalle banche, con la conseguenza che un credito scarso metterebbe al tappeto l'economia, alimentata dal credito bancaria.

Quindi chi propone una riserva al 100% non solo non comprende bene la natura delle banche, ma immagina uno scenario che proverebbe danni incalcolabili al funzionamento dell'economia.

-L’Italia ha un debito pubblico dal 1861. Questo dipende dagli sprechi di governo o dalla mancanza di sovranità monetaria?

Dipende dal fatto che i governi italiani hanno costantemente speso più di quanto si incassavano. Ognuno può interpretare come preferisce le ragioni che hanno limitato le entrate e reso eccessive le spese, o può decidere che la colpa appartiene a qualcuno ma non ad altri. Questo giudizio lo lasciamo a chi si occupa di politica. Va detto che con poche eccezioni gli stati di certe hanno una certa quantità di debito pubblico, perchè tutti i governi ritengono politicamente opportuno incassare parte dei soldi spesi attraverso il ricorso al debito.

La sovranità monetaria attiene alla possibilità per i singoli stati di scegliere autonomamente le proprie politiche monetarie e, più in generale, la politica economica.

Se i titoli del debito pubblico sono collocati all'estero (accadeva ad esempio a metà ottocento al Regno di Sardegna), chi sottoscrive i titoli porrà alcune condizioni che vincoleranno gli stati, limitandone la sovranità monetaria, cioè la possibilità di decidere quanta moneta emettere, quali tassi praticare.

-Chi detiene il debito pubblico?

Oltre la metà del debito italiano è in mani straniere, per il resto è nelle mani di banche e cittadini che investono in tal modo i loro risparmi. Tra gli investitori c'è anche la banca centrale che ottiene interessi dai titoli del debito pubblico. Gli interessi sono il vero signoraggio.

-Cosa cambia per il cittadino se chiudono le Banche Centrali?

Succede che non si emetterebbe più nuova moneta. Di fronte a un'economia che cresce, la moneta diventerebbe scarsa, facendo salire i tassi di interesse fino a un livello tale che per molte imprese e consumatori sarebbe impossibile finanziarsi. L'attività economica di conseguenza diminuirebbe. La crescita di economia e occupazione dunque sarebbero fortemente limitati.

Inoltre sarebbero possibili forti shock dell'economia provocati da crisi di fiducia capaci di mettere in crisi il credito o il sistema dei pagamenti.

-Se la Banca Centrale stampasse banconote da cento euro al costo di pochi centesimi e le immettesse in maniera diretta in circolazione nell'economica senza nessuna esigenza o necessità, che cosa succederebbe?

La Banca Centrale crea moneta con una accredito su un conto. Poi una certa quota viene usata sotto forma di contanti anzichè sotto forma di bonifico bancario, assegni ecc. e allora stampa una certa quantità di banconote per soddisfare questa esigenza di contanti.

Le banconote costano in effetti poco. Ma non sono "vendute" e non sono prestate. Sono immesse in circolo come l'acqua viene immessa, in un'auto, in un circuito di raffreddamento e lì circola per raffreddare il motore

Se la produzione di moneta è troppa c'è il rischio che l'economia funzioni peggio del previsto (un pò come succede se l'acqua è poca nel radiatore): creando troppa moneta c'è troppo credito. I soldi prestati servono ad acquistare più beni e servizi e l'eccesso di domanda fa salire i prezzi.

Non esiste però un legame stretto e necessario tra piùni moneta e prezzi più alti. Dipende dal contesto, dalle situazioni concrete.

-Perchè si dà tanta importanza alle questioni monetarie mentre il successo o l'insuccesso di alcune aziende (da Fiat a Parmalat) dimostra che le faccende monetarie hanno poco o nessun peso?

Per decenni le scelte dei governi e delle autorità monetarie a proposito di tassi di interesse o tassi di cambio, hanno occupato le pagine dei giornali, togliendo spazio ad altre questioni di politica economica.
In Italia la struttura industriale è sempre stata debole, e lo stesso dicasi per lo stato. Così ogni qual volta la domanda cresceva, spesso per effetto di una maggiore dose di spesa pubblica, aumentavano prezzi e importazioni, creando tensioni sui cambi. La lira tendeva a svalutarsi, la Banca d'Italia interveniva rialzando i tassi di interesse sia per raffreddare la domanda che per attirare capitali.

Sui giornali si innescavano infinite polemiche sulle scelte relative a cambi e tassi di interesse, circa l'opportunità delle svalutazioni e le relative conseguenze, con favorevoli e contrari e interessi diversi. Invece erano meno popolari e spinosi per qualcuno, gli altri argomenti, come la politica industriale o la politica fiscale. Si preferiva dare le colpe alle banche centrali piuttosto che fare i conti con l'imprenditore miope e magari evasore.

Così succede che qualcuno può semplificare affermando che le banche centrali e le banche in genere sono le sole responsabili di ogni problema economico, dimenticando tutto il resto.

12 marzo 2012

Nobel contro il pareggio di bilancio in Costituzione

Cinque premi Nobel per l'economia, Kenneth Arrow, Robert Solow (nella foto), Peter Diamond, William Sharpe e Eric Maskin  hanno firmato un appello a Obama perchè non si introduca nella Costituzione l'obbligo di pareggiare il bilancio federale.

Le motivazioni riguardano in parte gli effetti sul funzionamento degli organi costituzional, le conseguenze tra organi centrali e periferici, e in parte gli effetti economici del pareggio di bilancio.

La principale ragione economica è che il pareggio di bilancio obbligatorio peggiora le recessioni, perché a farne le spese sarebbero i sussididi disoccupazione, che permettono di evitare una contrazione troppo forte del reddito disponibile. Non permetterebbe inoltre di uscire dalla recessione puntando sulla spesa per infrastrutture o per ricerca e sviluppo, perché la Costituzione americana non distingue la spesa ordinaria dalla spesa per investimenti, scuola, ricerca o la tutela dell'ambiente.

Sarebbe, in altre parole, un emendamento molto conservatore, che colpisce chi perde il lavoro,  accentua gli effetti recessivi senza porre le basi per alcun cambiamento dell'economia e rende meno forte la ripresa dell'economia.

Meglio invece, suggeriscono gli economisti, prendere misure contro il deficit che "comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire".

Infine i cinque economisti spiegano che la Costituzione esistente ha permesso di raggiungere buoni surplus di bilancio alla fine degli anni '90 con opportune scelte, fatte di limiti alla spesa pubblica e di imposte ben distribuite.


11 marzo 2012

Un aspetto particolare dei controlli

Il governo Monti ha introdotto quasi platealmente i controlli. Bar, ristoranti, locali pubblici in genere e auto. Arrivano in una località di vacanza o in una zona piena di discoteche e controllano che si emettano gli scontrini o chi guida l'auto di lusso, di cui analizzano il reddito.

Serve controllare bar e auto di lusso? A prima vista pare di sì, se è vero che si prevede di incassare molti miliardi in più che verranno usati per ridurre la pressione fiscale.

L'obiettivo del governo pare essere quello di spingere i titolari degli esercizi commerciali a dichiarare cifre più realistiche di quelle dichiarate in passato, che spesso sono sembrate ridicole, con imprenditori che dichiaravano meno, in media, dei loro dipendenti.

Ma c'è un aspetto di costume che merita un pò di attenzione: in molti stanno vendendo le Porsche, i SUV, le Ferrari.

Dopo i controlli a Cortina, Portofino, Milano, Sanremo ecc. in molti hanno deciso di vendere le loro auto di grossa cilindrata. La paura di dare nell'occhio e il superbollo spingono 200 proprietari di Porsche alla settimana a liberarsi dell'auto. Svenduta. Qualche commerciante con buoni contatti nell'est europeo ha fiutato l'affare: se gli italiani si liberano della loro supercar, si può comprarla per pochi soldi e rivenderla in Ukraina, Romania, Polonia con un buon guadagno.

L'Italia non cambierà di certo perchè scompaiono dalle strade un pò di Porsche, ma almeno qualche evasore si darà una regolata, evitando di ostentare la propria ricchezza. E questo non può che farci piacere.

10 marzo 2012

Crollo della produzione industriale. O forse...

E' crollata, a gennaio, la produzione industriale.
-2,5% rispetto a dicembre, -5% rispetto a un anno prima. Numeri da brividi. -5.9% l'energia, -5,8 i beni di consumo (-5,8%), -5,4% i beni intermedi e -4.2%  i beni strumentali. -36% addirittura per il settore auto.

C'è chi, come il blog Phastidio, evoca il fantasma di una recessione, provocata dalle incertezze causate dalle manovre economiche, che farà peggiorare i conti causando altre manovre economiche e altra recessione.

Io sono un pò meno pessimista, perché penso che Monti abbia volutamente dimenticato di inserire nei conti pubblici gli introiti derivanti dalla lotta all'evasione, così che i conti pubblici, alla fine, saranno migliori di quanto catastrofisti di turno, e perchè tutti i commentatori paiono non aver considerato che a gennaio c'è stato lo sciopero dei TIR.

Per oltre una settimana Fiat ha chiuso i propri stabilimenti, in diverse regioni scarseggiava la benzina, i mercati ortofrutticoli facevano i conti con l'assenza di frutta e verdura e molte autostrade erano letteralmente bloccate.

Certo siamo in recessione, c'è il credit crunch, cioè le banche non prestano soldi come dovrebbero, lo spread sta scendendo ma fino a poche settimane fa era a livelli preoccupanti e arriveranno nuove imposte che non fanno dormire sonni tranquilli. Ma almeno teniamo conto dei dati veri, se vogliamo provare a fare previsioni.

09 marzo 2012

Un aiuto per Sara

Appello: Sara Tommasi, nota esperta di finanza che pare un tantino strana (diciamo così) nell'intervista alle Iene di ieri, in cui confonde le accise -che sono imposte sulla fabbricazione di beni di consumo- e le imposte, e non sa cosa sia lo spread, cerca un uomo ricco che la esoneri dal dare il peggio di sè.

Se ne conoscete uno, fatecelo sapere. Faremo l'impossibile per favorire la conoscenza tra un riccone e la graziosa esperta di finanza.

Ecco il video:
http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/289228/nobile-nuovi-esperti-di-finanza.html

08 marzo 2012

Miracolo di Draghi?


Stasera alle 21 il mondo potrebbe cambiare faccia...o forse no. A quell'ora scade il termine ultimo entro il quale i possessori di titoli di stato greci devono decidere se aderire allo scambio (swap) tra i vecchi titoli greci, che ormai non valgono più nulla, e nuovi titoli che promettono di restitire parte dei soldi nei prossimi anni a tassi ragionevolmente bassi.

I dati che arrivano ora dopo ora fanno pensare che almeno il 75% dei possessori di titoli accetterà lo swap. In questo caso scatterebbe una clausola dell'accordo, secondo la quale il governo greco può costringere tutti i possessori di titoli a accettare lo scambio.

Se lo swap va in porto, gran parte del merito è di Mario Draghi, che, finanziando le banche europee a tassi dell'1%, ha offerto loro una fonte di guadagno sicura con cui coprire, nei prossimi anni, la perdita derivante dallo swap.


Le banche europee si finanziano pagando l'1% alla BCE e usano i soldi per comprare titoli italiani e spagnoli, che pagano un tasso più alto di 3-4 punti. L'acquisto di titoli di stato italiani e spagnoli, inoltre, fa scendere i tassi pagati dai rispettivi governi e libera risorse private destinate a altri impieghi, aiutando perciò le economie italiana e spagnola.

Cosa succederebbe se non si raggiungesse il limite del 75% di adesioni allo swap?

Difficile dirlo. Il rischio principale, anche se si superasse la soglia del 75% ma non quella del 90% è che i possessori di credit default swap possano chiedere il rimborso delle perdite agli emittenti. I credit default swap sono, in pratica, polizze assicurative che comprono chi li acquista dal rischio di fallimento di un'impresa o di uno stato. Chi li emette, riceve una somma al momento dell'emissione e paga se si verifica il fallimento dell'impresa o dello stato.

Se banche e assicurazioni fossero costette a rimborsare chi ha subito perdite, potremmo assistere a una fuga di capitali, che abbandonerebbero chi può subire perdite, ovvero chi ha emesso credit default swap, ma anche chi possiede azioni di società che rischiano di subire perdite consistenti.

L'effetto a catena potrebbe provocare, secondo qualche stima, perdite complessive per 1000 miliardi di euro. A questo si aggiungerebbero i timori per le perdite non dichiarate da qualche banca e le incertezze per la successiva evoluzione della situazione greca. Perchè di fatto, se non si raggiunge il 75% di adesioni allo swap, c'è il rischio che la Grecia fallisca e che entrino i campo schiere di avvocati che cercherebbero di ottenere il più possibile per i loro clienti, districandosi in una jungla di norme e di tribunali.

Insomma uno scenario tutt'altro che piacevole che forse vanifcherebbe il gran lavoro di Draghi e farebbe ripiompare l'Europa o forse il mondo in uno scenario simile a quello del 2008, quando fallì Lehman Brothers.

06 marzo 2012

Il peso della corruzione


In genere scrivo di fisco ed economia, ma questa volta mi sembra doveroso in seguito alla decapitazione della presidenza del consiglio regionale della Lombardia.
Intanto vi svelo come si pagano tangenti in maniera quasi - come dire - legale? Anche se di legale non c'è niente. Inoltre avviso il lettore che quello che scrivo è solo a scopo didattico, che certe pratiche sono ben conosciute dagli organi inquirenti e che mettere in pratica ciò che scriverò è un gravissimo reato penale e che sono in totale DISACCORDO con certe pratiche criminali.

Ma conoscere serve per imparare e per migliorare.

Ora, il settore dove si pagano più mazzette da sempre sono gli appalti pubblici in edilizia. Quindi ipotizzeremo di avere 2 società, alfa e beta, possibilmente con basi societarie diverse, ma legate per intenti.
La società alfa è la società che fa i lavori e che prende appalti pubblici, la società beta è quella che paga mazzette. Ora, il problema di beta è di costituire fondi neri per pagare tangenti. Descriverò un semplice caso, usato innumerevoli volte, ma sempre efficace.

La società alfa va dal politico X e gli dice: rendimi edificabile il terreno facendo una variante al piano regolatore e io ti faccio arrivare un bel 500.000 Euro (semplifico....).

La società alfa è quella che fa i lavori, la società operativa, la società beta è una società ad esempio di engeenering che fa consulenze, progettazione e studi tecnici.
La società beta sovrafatturerà i propri servizi alla società alfa (le due società saranno ovviamente legate in modo occulto) per 500.000 Euro: ricordiamoci che quantificare servizi professionali è sempre molto difficile!

Poi la società beta contrarrà un preliminare con il politico X per l'acquisto di un suo immobile versando 500.000 Euro di caparra, ma purtroppo, sfortunatamente non avrà i soldi per concludere e sarà costretta a rinunciare alla caparra.

Il nostro politico X allora farà valere la caparra contrattuale e tratterrà i 500.000 e.... approverà la variante al piano regolatore....

Ora, il saldo dell'operazione per la società alfa sono 500.000 Euro di costi e la relativa IVA a credito. Per la società beta il saldo economico è zero ma deve pagare l'IVA a debito (le caparre non sono soggette a IVA), il politico X ha incassato la tangente di 500.000 Euro sotto forma di caparra.

Ora, il meccanismo può essere anche più sofisticato, magari prevedendo società all'estero o pagamenti su caparre all'estero su conti esteri, ma è facile capire che svelare simili meccanismi è estremamente difficile, soprattutto perché tutti ci guadagnano.

E allora chi ci rimette?

Nell'esempio che ho fatto ci rimetteranno di sicuro l'ambiente cementificato e i poveri compratori sui quali verranno riversati i costi della tangente. Ma la norma - purtroppo - non è questa, perché se il meccanismo è replicato per gli appalti pubblici allora i costi della corruzione saranno riversati sui preventivi sotto forma di varianti in corso d'opera. Perché - e questo sia chiaro - gli imprenditori i conti in genere li sanno fare molto bene e se pagano tangenti faranno in modo di riversarle sull'appalto, in un modo o in un altro.

Quindi in definitiva i costi li paghiamo tutti noi perché parte delle nostre tasse servono per pagare mazzette e - anche questo va sottolineato - indipendentemente dal colore politico.

04 marzo 2012

La crisi bancaria colpisce ancora

"Perché insegniamo agli studenti che gli investimenti delle imprese sono finanziati dal risparmio delle famiglie?"

E'la domanda che si fa un professore dell'Università Cattolica su lavoce.info (vedi qui) analizzando l'ultimo finanziamento a lungo termine delle banche europee da parte della Banca Centrale Europea.

Oltre 500 miliardi di euro sono stati prestati dalla BCE alle banche. Ma quasi due terzi dei soldi è servita per sostituire altre operazioni di politica monetaria, vale a dire che i prestiti alle banche prendono il posto di altri prestiti, revocati. Il resto, poco più di un terzo, costituisce un nuovo finanziamento. Soldi in più prestati alle banche che li usano in gran parte per comprare titoli del debito pubblico.

Il mercato interbancario non funziona. Le banche non prendono più i soldi dai risparmiatori o dal altre banche, ma dalla banca centrale. Nel corso del 2011 oltre il 70 per cento della raccolta delle banche italiane arriva dalla banca centrale. I soldi che arrivano dalla clientela italiana (depositi e obbligazioni) sono passati dai 130 miliardi del 2010 ai 24 del 2011, mentre il "contributo proveniente dall’estero.. è stato negativo per 50 miliardi".

Meno soldi entrano nelle banche e meno soldi escono dalle banche per prendere la strada dei prestiti. Inoltre molti soldi fuggono all'estero. Si presta di meno e i costi del credito sono in crescita.

Insomma, la crisi del settore bancario è molto severa e negli ultimi mesi del 2011 ha colpito duramente l'economia. La sola consolazione è che senza una banca centrale che finanzia le banche, la situazione sarebbe molto peggiore.

02 marzo 2012

La provocazione di Ainis


Quando avvengono manifestazioni di protesta contro la costruzione di infrastrutture, ritornano anche le discussioni su quale sia il processo democratico ed il ruolo del sistema decisionale. Michele Ainis, costituzionalista, ieri era alla trasmissione Serviziopubblico condotta da Michele Santoro.

Ainis fa una provocazione, sicuramente anticostituzionale, ma che porta a riflettere: perchè non si istituisce una "camera dei cittadini"? Una terza camera insomma, che poco ha a che fare con l'appellativo mediatico dato alla trasmissione di Bruno Vespa. Questa terza camera potrebbe essere la spalla più decisiva quando la terza gamba della democrazia (come la descrive nel video sopra) è tirata in ballo.

I partiti perdono sempre più il loro consenso, il Parlamento non è una istituzione su cui si ripone sempre meno fiducia. Ainis afferma che per "risanare la frattura tra società politica e società civile è necessario incivilire la prima, politicizzare la seconda. In altre parole, è necessario che la politica non sia più un mestiere, e che i cittadini non ne siano meri spettatori". Ed arriva così ad ipotizzare una terza sede che possa diluire le differenze che esistono tra l'elite politica e la cittadinanza civile, un luogo che riduca l'abisso che esiste tra due condotte di vita così diverse, giustificate solo se parliamo di un periodo storico risalente a diversi secoli fa. Insomma, il suo riferimento diretto è a quella che si chiama demarchia, sistema usato in diversi ambiti attualmente.

La polarizzazione della società e le disuguaglianze, tema portante del libro qui consigliato La misura dell'anima, si potrebbero superare adottando anche politiche economiche appropriate, ma cosa succederebbe se davvero si prelevassero delle persone, a sorteggio, e si facessero entrare nei palazzi istituzionali più importanti?

Economista? No, furbetto

Renato Brunetta nel suo blog propone il Tormentone Spread.

Cos'è? Il geniale ex ministro ha calcolato il valore medio dello spread del governo Monti, in vita da 105 giorni, e il valore medio dello spread negli ultimi 105 giorni del governo Berlusconi, scoprendo che il valor medio durante il governo Monti è superiore di circa 80 punti rispetto a quello medio del governo Berlusconi.

Dunque Berlusconi è meglio di Monti?
Non proprio. Anzitutto perché, come scrive Beppe Scienza nel suo sito, un confronto corretto sarebbe tra gli ultimi 3 mesi del governo Monti e gli ultimi tre mesi del governo Berlusconi o tra il valore dell'ultimo giorno del governo Monti e quello dell'ultimo giorno del governo Berlusconi, confronto che premierebbe Monti.

E poi perchè, com'è evidente guardando il grafico, il governo Berlusconi ha causato la salita dello spread, fino alle dimissioni del governo, mentre con il governo Monti lo spread sta scendendo. L'economista Canova su L'Espresso (vedi qui) si chiede come sia possibile che Brunetta sia un economista, visto che sceglie un inutile valore medio, ignorando la tendenza del valore.

La risposta è il gioco inventato da Brunetta ha un'alta probabilità di essere sempre vincente. Infatti Brunetta considera, oggi, lo spread medio dei primi 105 giorni del governo Monti e, di conseguenza, degli ultimi 105 giorni del governo Berlusconi e poi fa il confronto.

Ma lo spread, durante il governo Berlusconi, è salito rapidamente in un periodo relativamente breve, per effetto di scelte errate e di mancanza di interventi per risanare i conti pubblici. Dunque man mano che aumenta il periodo preso in considerazione per calcolare la media (domani saranno 106 giorni, dopodomani 107 e così via) si aggiungono valori più bassi per Berlusconi e anche per Monti, se lo spread continuerà a scendere. Tuttavia è probabile che la velocità di discesa dello spread sia più lenta della velocità alla quale lo spread, nei mesi scorsi, è salito. E questo perchè è molto più facile perdere la fiducia che riconquistarla.

Infine, allungando il periodo preso in considerazione per calcolare la media, questa varia lentamente, riducendo la probabilità che prima o poi lo spread medio del governo Monti sia migliore di quello di chi l'ha preceduto.


Se a questo si aggiunge che per un certo periodo lo spread è rimasto alto, complice le difficoltà economiche europee e perchè è occorso tempo a Monti per creare un governo e prendere provvedimenti, la conclusione è che è molto alta la probabilità che il valore medio calcolato da Brunetta dica che Berlusconi è meglio di Monti.

Questo è un economista? come si chiede Canova, o solo uno dei tanti politici furbi?

Link Interni

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