31 gennaio 2013

Una motivazione assurda contro la TAV


Tra le motivazioni degli oppositori alla linea ad alta velocità tra Italia e Francia, nota come TAV, ce n'è una tanto semplice da sembrare inattaccabile: tra Torino e Lione non esiste neppure un collegamento aereo. Se poche persone viaggiano tra Torino e Lione, perché mai costruire una costosa linea ferroviaria?

A parte la banale considerazione che la TAV non collegherebbe solo due città, ma due nazioni, visto che nessuno vieta a un milanese o a un veneziano di prendere il treno per andare in Francia o proseguire per la Spagna, c'è un'altra ragione che trasforma una motivazione all'apparenza seria in una bufala: la distanza.

Chi si fa questa domanda forse non s'è mai chiesto: quanto dista Lione da Torino?

Google Earth ce lo dice in pochi secondi: 308 km in auto e 230 in linea d'aria. Troppo pochi anche solo per pensare a un volo aereo.

Per dare un'idea tra Milano e Venezia ci sono 270 km di strada e 246 in linea d'aria. E nessun volo diretto...



30 gennaio 2013

I costi dei consigli di amministrazione

Una società di consulenza (come riporta La Stampa) ha analizzato 390 grandi imprese di 12 paesi europei, tra cui naturalmente l'Italia, prendendo in considerazione i compensi di presidente e membri del consiglio di sorveglianza, dove esiste, ovvero di presidente e consiglieri non esecutivi dove non è previsto il consiglio di sorveglianza.

Alcuni dati sono assai interessanti. In Germania, dove vige la governance duale e a fianco del consiglio di amministrazione opera il consiglio di gestione, che controlla l'operato del primo, i membri dei consigli guadagnano meno che altrove, nonostante si tratti di un paese ricco.

Come è ricca la Svizzera dove le imprese sono generose, assegnando le retribuzioni più elevate: oltre 1 milione per un presidente, 250.000 in media per un consigliere.

Guadagnano molto anche che in Spagna, perchè i consiglieri hanno più incarichi, alla faccia del conflitto d'interesse.

In Italia i presidenti dei consigli di sorveglianza incassano oltre il doppio di un pari grado tedesco: 576.000 euro contro 249.000 dei tedeschi e 339.000 dei britannici e 51.000 degli austriaci.

Inoltre in Italia un presidente incassa il quintuplo di un consigliere, segnando un altro record: la maggior differenza tra presidente e consigliere. In Olanda il presidente incassa solo un 30% in più.

Dunque un'Europa a due velocità anche nei consigli di amminstrazione o di sorveglianza: le retribuzioni meno elevate e le differenze minori sono nel nord Europa, mentre nei paesi mediterranei prevalgono retribuzioni elevate, diseguaglianze e conflitti di interessi.

28 gennaio 2013

Moltiplicatore e FMI

Cos'è un moltiplicatore?

Immaginate un imprenditore che voglia espandere la propria attività economica, e per farlo decida di costruire un nuovo impianto produttivo. Investe 100 per costruire un nuovo capannone, per acquistare i macchinari, per formare il personale e così via.

100 è la spesa dell'imprenditore, che acquista beni e servizi da altre imprese. Queste, per soddisfare le commesse, acquistano altri beni e servizi, supponiamo per un ammontare di 70. Altre imprese, ricevendo ordini per 70, si rivolgono ai loro fornitori per acquistare altri beni e servizi per un ammontare -supponiamo- di 50. E così via.

La spesa iniziale, pari a 100, dà vita a un'altra spesa di 70 che a sua volta genera una spesa pari a 50, che a sua volta...

Alla fine la spesa complessiva è -supponiamo- 300: tre volte la spesa iniziale. Possiamo quindi dire che un investimento di 100 ha fatto crescere il PIL di 300. Il moltiplicatore è 3 pari al rapporto tra l'incremento del PIL (300) e l'investimento iniziale (100).

Per questo si parla di moltiplicatore: un euro di spesa si moltiplica per 3 (in questo caso).

Attenzione: il meccanismo funziona in entrambe le direzioni. Se diminuiscono gli investimenti, diminuisce anche il PIL. Di 3 volte se il moltiplicatore è 3.

Capite allora l'importanza di calcolare il vero moltiplicatore. Serve a capire qual è l'effetto di una politica di austerità: effetto tanto più alto quanto più elevato è il moltiplicatore.

Nel World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, capo economista, scrive (a pagina 41) un paio di frasi assai interessanti.

 "Informal evidence suggests that the multipliers implicitly used to generate these forecasts are about 0,5", ma i dati dimostrano che si tratta di una stima sbagliata: il vero moltiplicatore varia, nei diversi paesi, da 0,9 a 1,7.

Tradotto in linguaggio comune significa che gli economisti che prevedono gli effetti delle politiche di austerità sono molto ottimisti e suppongono che una politica di austerità che imponga sacrifici pari a 100 euro, produca un calo del PIL di 50 euro. Questo avverrebbe perché, come spiegava Krugman (ne avevo parlato qui), le politiche di austerità aumentano la fiducia di imprense e consumatori e l'aumento della fiducia compensa almeno in parte, secondo i teorici dell'austerità espansiva, gli effetti negativi sul PIL dell'austerità.

In realtà però, come spiegano Blanchard e Leigh, accade che se una politica di austerità impone un sacrificio pari a 100 euro, il PIL scende di 90 euro, nella migliore delle ipotesi e di 170 nella peggiore.

L'ottimismo degli economisti che suppongono un moltiplicatore pari a 0,5 è dunque un errore clamoroso, che ricorda quello del professor Giavazzi il giorno dopo il fallimento di Lehman Brothers (vedi qui).





25 gennaio 2013

Gli ineffabili

Qualche giorno fa ho dedicato un articolo alla strana tesi, poco credibile, dell'austerità espansionistica, su cui si basano le tesi di Giavazzi chiamato a tagliare la spesa pubblica.

Sull'argomento ritornano Alesina e Giavazzi sul Corriere (vedi qui) con un articolo che vale la pena riporare (in parte) e commentare.

"Si sta diffondendo una sciocchezza, cioè un'opinione che non ha riscontri nell'evidenza empirica. Il rigore nei conti pubblici sarebbe la ragione per cui la recessione si prolunga e la disoccupazione non scende" inizia l'articolo. Tra i responsabili della diffusione della sciocchezza, ci sarebbe "persino il Fondo monetario internazionale che raccomanda all'Europa cautela nell'aggiustare i conti pubblici".

L'articolo poi continua con due osservazioni: la prima è che "senza austerità, in Italia come in altri Paesi europei, non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle". La seconda è che "l'evidenza empirica dimostra che tagli di spesa, accompagnati da liberalizzazioni e riforme nel mercato dei beni e del lavoro comportano costi di gran lunga inferiori (in alcuni casi addirittura nessun costo) rispetto ad aumenti di imposte".

Ora, senza entrare nel merito della questione se sia meglio aggiustare i conti con tagli alla spesa o con aumenti di imposte, non si può non notare che Alesina e Giavazzi riescono in poche righe a fare un gran pasticcio, senza affrontare il tema principale.

Iniziano il loro articolo parlando della "sciocchezza", ovvero dell'idea che il rigore nei conti è causa di recessione prolungata e disoccupazione, ma invece di occuparsene prima passano a un altro argomento, contestando la tesi del FMI che raccomanda cautela nell'aggiustare i conti pubblici, e poi argomentano banalmente che senza l'austerità imposta da Monti le cose sarebbero andare peggio.

Bella scoperta: il paziente era grave e l'hanno salvato. Ma il salvataggio del paziente non è la risposta alla "sciocchezza" ovvero all'osservazione che l'austerità provoca recessione prolungata e al consiglio del FMI di attuare, se possibile, interventi più leggeri. Semplicemente Alesina e Giavazzi non rispondono, mescolano le carte saltando da un argomento all'altro come due politici navigati.

24 gennaio 2013

La ricetta della crisi


Bene, siamo in piena campagna elettorale e stanno fioccando promesse a destra e a manca sui futuri abbassamenti di tasse, specialmente l'IMU.

Prima di iniziare l'analisi, vorrei far notare che finora quasi nessuno dei politici ha proposto un "piano di battaglia" coerente per il 2013 che permetta di non chiudere l'anno in recessione, ma quasi tutti accettano questo dato come acquisito.

Io personalmente non ho sentito nessuno che abbia detto qualcosa di simile a "appena insediati, faremo questo, questo e questo in modo che il 2013 non lo chiudiamo in perdita dell'1%, ma, anzi, il PIL aumenterà dell'1%".

Parto da questo interessantissimo articolo del Sole24Ore, riprendedo i seguenti dati (fonte: banca mondiale), in cui si evidenzia che il contributo al PIL dell'Italia è così composto:

consumi delle famiglie: 60%
spesa pubblica per consumi finali: 20%
Investimenti fissi delle imprese: 19%
Export: 1%

In pratica risulta chiaro, chiarissimo, che se non si agisce prima di tutto sui consumi delle famiglie, che incidono grandemente sulla composizione del PIL tutto il resto è praticamente inutile.

Allora iniziando a ragionare da questo punto il piano di lavoro diventa improvvisamente molto chiaro:

1. dare più soldi alle famiglie, in modo che queste possano spendere di più. E qui non ci sono molte alternative, bisogna toccare l'IMU o la tassa della mondezza o le addizionali o l'Irpef. Toccare l'IRPEF, posto che la spesa per contributi non è modificabile perché si tratta della pensione, significa in altre parole diminuire il cuneo fiscale, cioè l'IRPEF, cioè meno entrate per lo stato, entrate certe, oltretutto. Possibile?

2. La spesa pubblica. Qui è una questione di filosofia, accentrare sul pubblico o decentrare sul privato? In ogni caso contrarre la spesa significa contrarre il PIL. Ovviamente la ricetta ottimale sarebbe tagliare solo la spesa improduttiva, ma a quanto pare è molto più semplice da dire che da fare.

3. Le imprese. Qui si possono fare alcune cose. Si potrebbe agire sugli investimenti concedendo crediti di imposta a chi investe. Sicuramente meglio che erogare finanziamenti. Io non sono molto convinto dello scambio più iva e meno tasse sulle imprese: per le imprese l'iva è sostanzialmente neutra, ma questo non è vero per i consumatori, che ne sopportano l'onere. Inoltre un innalzamento dell'IVA (previsto in luglio) produrrebbe un'ulteriore abbassamento dei consumi delle famiglie.

4. Export. Fino ad ora l'export ha tirato abbastanza, grazie alla debolezza dell'euro sulle altre valute, dovuta ai problemi dei debiti sovrani dell'area euro. Il problema è che appena i problemi saranno risolti, l'euro ne beneficerà e si rafforzerà sulle altre monete, rendendo problematiche le esportazioni. Quindi la nostra bilancia commerciale è destinata inesorabilmente a tornare in pareggio, se non in passivo.

Quindi mi sta anche bene parlare di IMU, ma diciamo che preferirei sentire un piano complessivo su come affrontare i problemi di crescita economica dell'Italia dei prossimi 3 anni ( anche molte cose su cui si sta glissando...)

23 gennaio 2013

L'auto a aria di Peugeot

Che fine ha fatto il progetto di auto a aria? (ne avevamo parlato qui: auto a aria compressa)

In attesa che i progetti e le parole diventino realtà sulle strade, Peugeot lancia la sua auto ibrida che funziona anche a aria (vedi qui)

Niente a che vedere con i progetti di auto che funziona solo a aria compressa. Si tratta invece di un motore ibrido che usa anche l'aria compressa, utile per fare al massimo un paio di km per volta, segno evidente che i limiti già evidenziati dai progetti di auto a aria, vale a dire il congelamento delle parti meccaniche investite dal flusso di aria, non sono stati superati.




22 gennaio 2013

Le fragili basi teoriche della spending review

Paul Krugman nel libro Fuori da questa crisi, adesso, si domanda: l'austerità può stimolare la crescita economica, ovvero può esistere l'austerità espansionistica?

I paladini dell'austerità
ricordano che questa fa scendere i tassi e salire la fiducia in una economia con i conti in ordine, inducendo imprese e consumatori a spendere di più. Ma basta tutto ciò a compensare gli effetti depressivi dell'austerità?

Secondo Krugman è improbabile che gli aspetti espansivi dell'austerità superino quelli depressivi, e quindi l'effetto netto dell'austerità è quello di far diminuire PIL e occupazione.

Non la pensava così Alberto Alesina che -racconta Krugman nel suo libro- nel 1998 ha pubblicato uno studio secondo il quale l'aumento della fiducia era così forte da far salire il PIL più di quanto l'austerità lo facesse scendere.

Per Krugman lo studio di Alesina, ignorato per anni dal mondo accademico, e ripreso nel 2010, s'è rivelato inattendibile perché Alesina ha ignorato l'effetto su PIL e entrate fiscali di altri fattori oltre alla riduzione della spesa pubblica.

Il Canada ad esempio ha tagliato la spesa pubblica mentre PIL e entrate fiscali aumentavano per effetto dello sviluppo tecnologico. Il Giappone ha varato altre misure espansive che Alesina non ha incluso tra le cause della crescita del PIL e delle entrate fiscali.

Studi successivi di economisti del FMI, hanno incluso altre variabili nei modelli economici, giungendo a concludere che “l'austerità fiscale deprime l'economia anziché espanderla”.

Nonostante questo, l'idea di Alesina sopravvive perchè, conclude Krugman, questi studi dicevano a una elite politica ciò che voleva sentirsi dire: i tagli alla spesa fanno crescere l'economia. E nelle elite mettiamoci pure altri due bocconiani più o meno famosi: Mario Monti, che, come sappiamo, non ha avuto dubbi a portare avanti una politica di forte austerità nel corso del 2012, e Francesco Giavazzi.

Giavazzi è stato consulente del governo con il compito di scoprire quali tagli effettuare ai contributi alle imprese. Ebbene, il documento, ricco di considerazioni teoriche riguardanti gli aspetti positivi di tagli drastici, si fonda proprio sulle medesime tesi inattendibili di Alesina, che sta preparando altri studi con Giavazzi sullo stesso argomento.

Forse è un bene che lo studio di Giavazzi (e altri) non abbia prodotto alcun effetto: sarebbero stati probabilmente effetti negativi.
Krugman conclude che nonostante la credibilità della tesi che dell'austerità espansionistica sia venuta meno

21 gennaio 2013

I verbali della FED

Sono stati resi pubblici i verbali della FED del 2007. Un anno importante perché la crisi che da fine 2008 ha colpito duramente USA e Europa, nel 2007 stava iniziando. I primi allarmi sulla bolla immobiliare e sul rischio connesso ai mutui subprime risale ai primi mesi del 2007, quando sono arrivati i primi dati allarmanti: si iniziava a costuire meno case e i prezzi stavano scendevano pericolosamente.

Il calo dei prezzi allarmava perchè gli immobili erano una garanzia dei prestiti concessi ai consumatori americani. Minori garanzie volevano dire rischi per le banche e quindi capitali in fuga. Così è iniziata la crisi.

Ora i verbali della FED, il cui board dei governatori decide come intervenire sui mercati dopo una complessa discussione sull'andamento dell'economia americana, ci spiega che il pericolo innescato dal calo del prezzo degli immobili è stato sottovalutato nel corso del 2007.

Bernanke e soci hanno ritenuto poco probabile che il problema dei mutui subprime, che erano solo una piccola parte dei mutui totali, e che gli effetti sull'economia sarebbero stati modesti. Si pensava che avrebbero fatto scendere in modo modesto un mercato azionario i cui valori erano visti come un pò gonfiati.

Il compito della FED, ritenevano Bernanke e soci, non era salvare imprese o individui, ma stabilizzare i mercati.

Parole imbarazzanti perché negli anni successivi è arrivata la crisi, i mutui subprime si sono dimostrati il detonatore di una crisi terribile e la FED ha salvato, insieme al governo degli USA, molte imprese sull'orlo del crack.

Dunque la FED è responsabile per non aver previsto la crisi e di averne sottovalutato le conseguenze?

Sì e no.

Sì perché i modelli economici e le regole di intervento della FED erano e probabilmente sono sbagliati. Il rischio è stato sottovalutato, l'intervento è stato tardivo e limitato fino al momento del fallimento di Lehman Brothers. Si sperava che la ferita si rimarginasse da sola, salvo cambiare strategia quando il disastro di Lehman aveva cambiato le caratteristiche, soprattutto psicologiche, della crisi.

No perchè effettivamente fino al fallimento di Lehman la situazione, benchè difficile, sembrava sotto controllo C'erano segnali preoccupanti, ma nulla lasciava presagire il disastro successivo e era opinione comune che Lehman se la sarebbe cavata come era successo 6 mesi prima con Bear Stearns.

I verbali non hanno aggiunto nulla che non si sapesse già e suggeriscono un ricambio di uomini, idee e politiche economiche e monetarie.

18 gennaio 2013

La moneta di platino

Tra circa un mese gli USA raggiungeranno il limite del debito pubblico fissato per legge. Repubblicani e democratici sono al lavoro per alzare il limite e evitare scenari da incubo, ognuno cercando di decidere come ridurre il deficit.

Di fronte al pericolo di non trovare un accordo, un deputato democratico, JerryNadler, s'è inventato un escamotage: creare una moneta di platino del valore di 1.000 miliardi di dollari da depositare presso la FED ottenendo in cambio l'equivalente in dollari da spendere in attesa che repubblicani e democratici trovino un accordo e alzino il tetto del debito.

Nadler ha fatto sua l'osservazione di alcuni economisti, che nel 2010 spulciando le leggi americane scoprirono che mentre le leggi regolamentano la presenza di oro, argento e altri materiali nelle monete americane, nulla si dice del platino.

Così, almeno in teoria, il Tesoro americano potrebbe coniare -com'è suo diritto- una moneta commemorativa in platino, potrebbe stampare sulla moneta il valore desiderato e poi cederla alla FED facendosi accreditare l'equivalente in dollari.

L'escamotage ha attirato l'attenzione di Paul Krugman, che in passato aveva invitato Obama a usare tutti gli strumenti a sua disposizione per alzare il tetto del debito senza cedere alle richieste dei repubblicani.

Coerente con le vecchie idee, Krugman ha sposato la proposta paradossale di Nadler, naturalmente bocciata dal governo degli Stati Uniti, che preferisce, come in passato, trattare con i repubblicani per alzare il tetto del debito.

16 gennaio 2013

Abenomics

Qualche settimana fa i giapponesi alle urne hanno scelto di cambiare maggioranza parlamentare. Shinzo Abe, 58 anni, conservatore, è diventato primo ministro e ha deciso un radicale cambiamento della politica economica giapponese in senso keynesiano.

Tra soldi pubblici e capitali privati, il Giappone spenderà 170 miliardi di euro. Metà li mette il governo, metà gli enti locali e i privati.

Si investirà in tecnologia, ambiente, energia e lavori pubblici, per sistemare i danni causati dallo tsunami. Inoltre si offriranno aiuti ai redditi più bassi con l'obiettivo di aumentare i consumi.

Da sempre infatti i consumi sono il punto debole del Giappone. Il giapponese è più parsimonioso dell'americano e il più basso livello di consumi non fa bene all'economia. Per stimolare la domanda, da 20 anni a questa parte i giapponesi ricorrono alla spesa pubblica e al debito, che finanziano coi i loro risparmi.

Il risultato è un debito del 236% e un deficit del 10%, che tuttavia sono controbilanciati da un elevato tasso di risparmio, da un tasso di disoccupazione inferiore a quello europeo e da forti esportazioni.

Esportazioni che trarranno beneficio anche dalla politica monetaria. La banca centrale del Giappone è vincolata dal tasso di inflazione, il cui tetto è fissato all'1%. L'inflazione ha spesso lasciato il posto alla deflazione, cioè a prezzi che calano, che tuttavia non fa bene all'economia perché imprese e consumatori non acquistano oggi ciò che domani possono comprare a prezzi più bassi.

La volontà del governo è invece di alzare il target per l'inflazione fino a arrivare in futuro al 3%. Ciò consentirà alla banca centrale di emettere moneta in gran quantità per finanziare direttamente o indirettamente il debito pubblico, le imprese e i consumatori.

Lo yen ne risentirà, ma il suo calo non potrà che favorire la crescita attraverso un aumento delle esportazioni. Diventeranno più care, è vero, le importazioni ma questo non dovrebbe essere un problema per un paese da sempre privo di materie prime e abituato a usarle con parsimonia, puntando invece sui settori a più alto valore aggiunto per creare un surplus commerciale.

Dunque un progetto ambizioso che dovrebbe far crescere il PIL del 2% nell'arco di un anno. Se funzionerà sarà un importante esempio per l'Europa, dove invece prevalgono le politiche di austerità di segno opposto.

14 gennaio 2013

Renzo Rosso

Renzo Rosso ha rilasciato una curiosa intervista all'edizione italiana dell'Huffington Post in cui parla di CGIL, Italia e ...Danimarca.

Per l'imprenditore veneto l'Italia è un paese da riammodernare, incominciando dalla CGIL, che è indietro di trent'anni e con cui Rosso polemizza per la questione McDonald's. La pubblicità della multinazionale americana in cui si promettono 3000 posti di lavoro era stata criticata dal maggior sindacato italiano perchè tirava in ballo la Costituzione.

La CGIL ha fatto notare che la maggior parte dei lavoratori hanno contratti per poche ore settimanali, ma per Rosso invece McDonald's è "un’azienda seria che i posti di lavoro li crea veramente".

Altre critiche Rosso le riserva all'Italia: l'Italia è un paese corrotto, si evade, le imposte sono alte, ci sono i poteri forti e quindi serve una rivoluzione, un cambiamento radicale.

Per costruire quale paese? Secondo Rosso dovremmo prendere spunto dalla Danimarca, dove "non c’è differenza di classe sociale per il tipo di occupazione che hai: se fai il baby sitter o il badante non sei una persona – come succede da noi – squalificata, c’è la valorizzazione dei ruoli".  

"Detto questo -aggiunge immediatamente dopo Rosso- le tasse vanno abbassate perché con questo regime fiscale le aziende italiane non possono sopravvivere..."

Dichiarazioni curiose, per due motivi.

Il primo motivo è che Renzo Rosso ha fondato un impero iniziando da un prodotto "diverso", jeans trattati per sembrare vecchi e consumati, acquistati da persone che vogliono distinguersi e per questo sono disposte a spendere molto. E' curioso che chi ha raggiunto il successo differenziando il prodotto e puntando su clienti che vogliono sentirsi diversi poi prenda come punto di riferimento un paese dove le differenze sociali sono meno forti.

Il secondo motivo è che in Danimarca la pressione fiscale è tra le più alte d'Europa. Ridurre le differenze sociali ha un costo...e numerosi benefici.

Possiamo avere una società con meno differenze pagando meno imposte e con imprese che puntano a vendere prodotti differenziati per venire incontro alle esigenze di chi vuole sentirsi diverso e superiore agli altri?

Renzo Rosso ha notato i benefici del sistema danese, ma non sembra disposto a pagarne il prezzo. Da buon italiano chiede infatti di ridurre le imposte prima di chiedersi come i danesi raggiungono i benefici.

11 gennaio 2013

L'imprenditrice a servizio pubblico

Ho seguito per qualche minuto Servizio Pubblico con ospite Silvio Berlusconi.

Giusto il tempo di sentire le bizzarre teorie di un'imprenditrice veneta (vedi qui)che invece di fare una domanda all'ex presidente del consiglio sulle difficoltà delle imprese, ha spiegato le sue idee sulla moneta e le banche.

L'imprenditrice ha sottolineato che gli imprenditori faticano a trovare credito e ha spiegato che i governi sbagliano a salvare le banche. Meglio dunque lasciare che le banche falliscano? La signora non s'è chiesta: se le banche falliscono, poi chi eroga il credito? Se la mucca fa troppo poco latte e la trasformiamo in hamburger, forse il latte a disposizione aumenta?

Poi l'imprenditrice ha spiegato che da Monti si aspettava solo una riforma monetaria e che tutti i problemi si risolverebbero con la sovranità monetaria.

Che significa, in soldoni: ridateci la lira e diamo alla Banca d'Italia la libertà di emettere lire in quantità. Possibile?

No. Gli USA possono emettere più dollari del necessario senza causare un eccesso di inflazione e svalutazione perché il mondo è pieno di soggetti che acquistano dollari. Non solo per utilizzarli, ma anche come strumento di riserva.

Lo stesso accade, sia pure in misura ridotta, con l'euro, acquistato dalle banche centrali e dagli investitori. Non potrebbe succedere con la lira.

Se emettessimo lire in gran quantità per risolvere i nostri problemi, la lira si svaluterebbe, i capitali girerebbero alla larga dall'Italia e l'inflazione salirebbe, rendendoci meno competitivi.

La sovranità monetaria dunque non è una soluzione. E' solo un'illusione, buona per qualche personaggio strambo in un programma televisivo


10 gennaio 2013

Paradossi dello spread

Lo spread almeno per adesso è sceso sotto quota 300, allontanando il pericolo di nuove manovre a carico degli italiani già gravati da tante tasse e imposte.

Ma la discesa, gradevole per italiani e spagnoli, rischia di essere indigesta per i tedeschi. Per la Germania infatti una discesa dei tassi nei paesi del mediterrano rischia di essere accompagnata da un aumento del tasso di interesse pagato sul debito pubblico.

Per carità, nulla di grave. La Germania è e resta l'economia più forte del continente e l'asta dei titoli pubblici tedeschi non andrà mai deserta.

Ma i tassi cresceranno per i tedeschi, proprio perchè sono troppo bassi. Se infatti arrivano buoni segnali dai paesi meno virtuosi, gli investitori tornano a comprarne i titoli. attratti dai tassi più alti e molti si domandano: se si sta riducendo il rischio di un investimento in titoli italiani o spagnoli, perchè comprare quelli tedeschi che rendono meno?

I titoli tedeschi sono andati a ruba quando le prospettive dell'economia dei paesi meno virtuosi erano pessime. Gli investitori si fidavano solo dei titoli tedeschi che rendevano poco ma erano privi di rischio.

Adesso che lo spread scende, iniziano a far gola anche i titoli italiani. Ottima notizia per gli italiani perchè gli acquisti di BOT e BTP significa un ulteriore calo dello spread e quindi della spesa per interessi. Ma notizia non tanto buona per i tedeschi che sono costretti a pagare di più a fronte di un minor interesse per i loro bund.

09 gennaio 2013

Cara sanità americana

Nel 2014 negli Stati Uniti entrerà in vigore la riforma sanitaria voluta da Obama, che ha introdotto alcune novità importanti per estendere la copertura sanitaria a tutti i cittadini a stelle e strisce.

Le assicurazioni non potranno più rifiutare le cure ai pazienti, come accadeva prima della riforma. Le assicurazioni cercavano una scusa per non pagare le cure dei malati cronici, che costano all'assicurazione più di quanto pagassero per assicurarsi.

Perchè lo facevano? Per ottenere profitti, ovvio.

Così di fronte al maggior costo di cure che le assicurazioni non potranno più rifiutare, con l'inizio dell'anno sono aumentati i costi di molte assicurazioni. In alcuni casi l'aumento ha superato il 25%, che si va ad aggiungere agli aumenti introdotti appena dopo l'approvazione della riforma sanitaria.

Le assicurazioni non vogliono rinunciare ai profitti e scaricano sui cittadini e sulle imprese i maggiori costi di un'estensione dei diritti degli assicurati.





07 gennaio 2013

L'anno che verrà...


Dopo un anno vissuto pericolosamente, iniziato con il quasi fallimento dell'Italia e terminato con i twitter di Mario Monti, cosa possiamo dire di aver imparato in quest'anno?
Punto il dito su alcuni fatti che mi sembrano degni di nota:

1. Gli economisti non ci prendono sempre. Basterebbe rileggere i commenti di giusto un anno fa, vedi ad esempio Roubini con l'Euro. I pareri degli economisti valgono come quelli di chiunque altro: a volte ci prendono, a volte no. Prevedere il futuro è difficile per tutti!

2. La politica conta molto, ancora. Nonostante sia stata ampiamente svalutata, criticata e tacciata di non saper rispondere alle esigenze dei cittadini, se vuole qualcosa riesce ad ottenerla, in barba ai mercati e a tutti i poteri forti. In quanti hanno scommesso sul fallimento della Grecia? Invece i greci hanno pianto lacrime e sangue, ma hanno tenuto duro, a fatica, ma sono ancora li (e anche noi, mi verrebbe da dire).

3. Ci sono alcune banche troppo grandi per fallire. E questo non è un bene. Chi governa o governerà tali banche lo sa e la politica dovrebbe trovare un modo per evitare l'azzardo morale di fare tutto, tanto ci penseranno i cittadini con le tasse a risolvere tutti i problemi. Le banche dovrebbero tornare ad assolvere un ruolo sociale nell'economia, in virtù dei tanti (forse troppi) privilegi di cui godono.

4. Finanza ed economia reale sono due realtà diverse, ma interconnesse con una cinghia di trasmissione che trasmette le perturbazioni in senso bidirezionale. Le perturbazioni finanziarie si trasmettono all'economia reale, e viceversa. In genere però il sistema finanziario anticipa i movimenti dell'economia reale.

5. Qualcuno ha informazioni migliori di altri. Rassegnamoci, non avremo mai il consiglio giusto su che mercato andrà bene o male. Le informazioni costano tantissimo e chi le ha non le condivide affatto. Chi le ha in genere sono le grandi banche di affari e di investimento. Se voi avreste la dritta giusta sul prezzo del mais tra 6 mesi lo direste ad altri o ve lo terreste tutto per voi?

Le strane idee di Mario Monti

"Non ho riflettuto sul mio futuro. Quello politico finisce a primavera" ha detto Mario Monti al Washington Post (vedi qui), salvo, come sappiamo, fare il possibile per tornare a Palazzo Chigi dopo le elezioni di febbraio.

Il piatto forte è l'agenda Monti, condita di qualche promessa elettorale: un punto in meno di Irpef e il non alzare di un punto l'Iva a luglio è possibile, secondo Monti, forse dimenticando la bocciatura, a ottobre, del taglio dell'IRPEF, perché accompagnata da altre proposte sgradite alla maggioranza.

Monti vuole forse dirci che propone il taglio dell'IRPEF e la rinuncia all'aumento dell'IVA senza altre conseguenze sgradevoli per il contribuente? O ripropone il vecchio pacchetto di misure, dimenticando quelle meno gradite?

Non lo sappiamo, e non sappiamo in cosa consisterebbe la modifica dell'Imu. Due settimane fa Monti disse: "Promettere di togliere l'Imu è
bellissimo... e anche promettere di ridurre altre tasse
". "Se si farà
senza grandissime azioni di politica economica un provvedimento
come questo chi verrà a governare un anno dopo, non dico cinque anni dopo ma un anno dopo, dovrà rimettere l'Imu doppia
".


Il Monti politico pare aver preso il sopravvento sul Monti risanatore e prudente, e per questo le idee strane paiono non mancare.

05 gennaio 2013

Aristotele e l'economia



Articolo tratto da Sbilanciamoci.info, articolo di Federica Martiny

Lo scorso 15 novembre a Budapest, Benoît Cœuré, uno dei membri dell'Executive Board della Banca Centrale Europea, ha iniziato la sua introduzione al convegno su costi ed efficienza nei sistemi di pagamento al dettaglio citando Aristotele, in quanto è stato colui che per primo ha teorizzato le tre funzioni della moneta: riserva di valore, unità di conto e mezzo di scambio. La citazione era funzionale a concettualizzare il mandato e l’opera della BCE nell’attuale situazione di crisi. In un momento come questo, tuttavia, sarebbe stato più utile ricordare cosa scrisse Aristotele sull’economia.

Aristotele è stato il primo a essersi chiesto a che cosa serve l’economia: «Che l’oiconomia, (l’amministrazione della casa e delle proprietà) e la crematistica (l'arte di accumulare ricchezze) non siano identiche è chiaro: infatti all’una spetta procurare i beni, all’altra usarli», scrive il filosofo nel I libro della Politica e più avanti specifica: «Una sola specie di acquisto è una parte naturale dell’economia: quella che si deve praticare per raccogliere i mezzi necessari alla vita e utili alla comunità politica e familiare. Ed è ragionevole affermare che la vera ricchezza consista in questi mezzi. La quantità di simili mezzi per una “vita buona” non è infinita».

Per Aristotele l’obiettivo non può essere una crescita illimitata dei beni materiali – del Pil, diremmo oggi – anzi, l’ossessione per l’accumulo di denaro e ricchezze ci distrae inevitabilmente dalla ricerca di una “vita buona” e ci fa vivere in modo innaturale. E la “vita buona” non è una ricerca individuale, funzione delle preferenze soggettive, che ciascuno può decidere. È un progetto collettivo, che è compito del politico perseguire, per arrivare a un’economia “naturale”, che amministra le ricchezze con lo scopo di garantire la possibilità di realizzare la “vita buona” per i membri della comunità politica.

Per Aristotele è la politica, che avendo come proprio fine ciò che è meglio, «si prende grandissima cura di rendere i cittadini persone di un certo tipo, e buone, e capaci di compiere belle azioni». Del resto anche «l’economia si cura più degli uomini che della proprietà inanimata e delle virtù dei primi più che di quella della proprietà che chiamiamo ricchezza». L’economia, cioè l’amministrazione della casa e della città, dovrebbe occuparsi delle virtù degli uomini (e delle donne), oltre a far tornare i conti delle finanze familiari e delle casse dello Stato.

Aristotele era dunque un teorico anticapitalista ante-litteram del IV secolo a.C.? Ovviamente no, era un insegnante di filosofia molto benestante – il suo allievo più illustre è stato Alessandro il Grande – che possedeva proprietà e schiavi. Il pensiero di una redistribuzione della ricchezza non lo ha mai sfiorato. Ma per lui la ricchezza è solo “l’insieme degli strumenti che hanno a disposizione la famiglia e la città” e per ciò stesso essa deve avere un limite.
Non sono cose da banchieri centrali, queste, specialmente di una Banca centrale come la BCE che nel suo statuto non solo non ha l’obiettivo della “vita” buona” di Aristotele, ma non ha neanche la piena occupazione che si trova nello statuto della Federal Reserve americana.

Per la BCE quello che conta è solo la stabilità dei prezzi, in base a quanto stabilito dal trattato di Maastricht, che ha dato vita a più di un rovesciamento. L'Euro è la prima moneta della storia senza Stato, l’amministrazione della moneta è affidata a una banca centrale, la BCE, che è sottratta alla responsabilità della politica: i compiti che Aristotele assegnava alla Politica sono stati cancellati dal dogma liberista dell’indipendenza della banca centrale. Nell’Europa che abbiamo costruito l’economia si sottrare al controllo della politica, la lotta all’inflazione viene prima della disoccupazione, l’accumulazione di ricchezza fine a se stessa distrugge la possibilità di “vita buona”. Lo sanno bene quei 608 mila giovani sotto i 25 anni che in Italia che sono disoccupati e in cerca di lavoro e i quasi 900 mila disoccupati che nel 2012 hanno presentato domanda di disoccupazione.

04 gennaio 2013

Isole Falkland, 30 anni dopo

Qualche giorno fa la presidente dell'Argentina, Cristina Kirchner, ha fatto pubblicare su alcuni giornali inglesi una lettera in cui si chiede la restituzione all'Argentina delle isole Falkland, chiamate Malvinas dagli argentini.

Le isole distano alcune centinaia di km dall'Argentina e sono abitate da poco più di tremila persone. Godono di ampia autonomia ma appartengono alla Gran Bretagna che per riprendersele, nel 1982, dopo l'invasione argentina, scatenò una guerra costata la vita a 649 soldati argentini e a 255 britannici.

Nel 1982 in Argentina la giunta militare era travolta dalle proteste e dalla crisi economica. La guerra delle Falkland-Malvinas era un tentativo di salvare la dittatura, ma si trasformò nell'atto conclusivo di un'esperienza tragica, che aveva visto per anni i militari argentini impegnati nello sterminio di migliaia di oppositori politici.

Colpisce a oltre 30 anni di distanza la lettera della presidente Kirchner, alle prese con conti pubblici che non tornano, alta inflazione (si vedano questo articolo), rischio di default.

Viene da chiedersi se la nuova richiesta di restituzione delle isole non sia semplicemente un modo di distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica argentina dai gravi problemi economici che potrebbero riservare amare sorprese.

03 gennaio 2013

Giannetto e il Tea Party

Oscar Giannino (o Giannetto come lo chiamarono durante il confronto tra i candidati a leader del centro-sinistra) andrà da solo alle elezioni politiche, anche se insieme a un folto gruppo di personaggi di cui questo blog s'è spesso occupato.

Si tratta anzitutto dell'Istituto Bruno Leoni, di cui abbiamo parlato alcune volte (ad esempio qui), un gruppo di pressione ultraconservatore, a cui si aggiungono alcuni economisti altrettanto conservatori, come Luigi Zingales, Mario Baldassarri, Michele Boldrin, e personaggi vari De Nicola (ne avevo scritto qui), Chicco Testa e Enrico Montesano (un comico, a destra, non manca mai).

Dunque l'Istituto Bruno Leoni ha un suo partito ed è un bene. Perchè finora chi ha fatto parte dell'associazione è parso un tecnico, esperto di una materia, chiamato da giornali e tv per fornire un parere autorevole. Invece si tratta spesso di finti esperti il cui vero obiettivo pare esser quello di propagandare una visione politica, sociale e economica precisa.

Una visione così liberista che Mario Monti ha negato a Giannino la possibilità di allearsi al centro di Casini e altri.

Giannino dice di voler evitare agli italiani qualsiasi sacrificio, facendoli fare soltanto allo Stato. La spesa pubblica -propone Giannino- deve diminuire del 6% in 5 anni perchè si possa far scendere del 5% la pressione fiscale. Aggiunge anche che è vergognoso il livello delle pensioni minime, che pertanto devono aumentare.

6% del PIL ovvero 100 miliardi da tagliare alla spesa pubblica. Equivale al 25% della spesa pubblica al netto di pensioni e interessi sul debito. Come è possibile mettere in cantiere un taglio così forte?
Un dato inverosimile, che ricorda tanto la promessa di un milione di posti di lavoro del 1994. A farla fu Silvio Berlusconi e sappiamo quanto poco fosse credibile. Sarà per questo che Monti ha detto no a Giannino?




01 gennaio 2013

Grazie, Presidente

Ultimo discorso di fine anno per Giorgio Napolitano, presidente ancora per qualche mese, quasi interamente dedicato all'economia.

Segno di un anno difficile dal punto di vista economico. Tanto difficile che l'economia ha sfrattato dal discorso presidenziale altri temi, di solito affrontati in questa occasione.

Napolitano, dedicando la sua attenzione alla crisi, ricordando i gravi problemi in particolare del sud e della Sardegna in particolare, sottolineando i drammi sociali, sembra aver riempito i vuoti lasciati dal presidente del Consiglio Monti che, nella conferenza stampa di fine anno, ha descritto come inevitabili le scelte del suo governo e dimenticato i tanti problemi legati alla politica di austerità.

Ma soprattutto il Presidente ha fatto un vero discorso moderno e di sinistra quando ha sottolineato la necessità di redistribuire i sacrifici (E’ dunque entro questi limiti che si può agire per affrontare le situazioni sociali più gravi. Lo si può e lo si deve fare distribuendo meglio, subito, i pesi dello sforzo di risanamento indispensabile, definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica, che va, in ogni settore e con rigore, liberata da sprechi e razionalizzata) e quando ha affermato il ruolo negativo delle diseguaglianze sociali nella crisi (una rinnovata visione dello sviluppo economico non può eludere il problema del crescere delle diseguaglianze sociali. Si riconosce ormai, ben oltre vecchi confini ideologici, che esso è divenuto fattore di crisi e ostacolo alla crescita proprio nelle economie avanzate).

Un discorso dunque innovativo, di un presidente che non si può che ringraziare per il coraggio avuto in questi anni difficili e anche ieri sera nel suo ultimo discorso agli italiani.


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