29 giugno 2014

Caro Renzi ti scrivo (dalla Maserati)

Nelle scorse settimane sono giunte diverse notizie sui burrascosi rapporti Fiat-sindacati.

Da Nola (dove Fiat ha esiliato gli operai sgraditi di Pomigliano d'Arco) arriva la notizia del licenziamento di alcuni operai in cassa integrazione, colpevoli di aver esposto un manichino di Marchionne impiccato. A Torino invece sono difficili le trattative sul rinnovo del contratto, con offerte giudicate insufficienti dai sindacati e invece adeguate a un'azienda in perdita (in Italia e in Europa) da parte di Fiat.

L'accordo non c'è e i sindacati protestano bloccando gli straordinari in tutte le aziende. Decisione a cui l'azienda risponde rinunciando agli straordinari e annunciando il mancato trasferimento di 500 operai da Mirafiori a Grugliasco, salvo poi fare marcia indietro pochi giorni dopo, con Marchionne che visita lo stabilimento Maserati e annuncia la marcia indietro.

Come spiegare tutto questo? Semplice: Fiat in Italia è e resta un'azienda che perde soldi. La "colpa" è del mercato delle auto di massa, per capirci le varie Panda e Punto, che resta depresso e provoca le perdite, mentre alcuni modelli e marchi vendono bene.

Per questo Marchionne va alla Maserati e conferma il trasferimento dei 500 operai da Mirafiori pochi giorni dopo che Fiat ha dichiarato il contrario. Non ci sono alternative. Se Fiat non vuole rinunciare al mercato europeo, e certamente non vuole, deve cambiare i modelli e usare gli stabilimenti italiani.

Quando i nuovi modelli hanno successo, Fiat ha bisogno dell'impegno degli operai, come questi hanno bisogno dei nuovi modelli e degli investimenti di Fiat per tornare a lavorare.

Quindi urge un accordo nella direzione del buon senso, limitando il potere di chi nell'azienda, nei sindacati o tra i semplici lavoratori punta allo scontro e favorendo invece le soluzioni condivise e concordate.

Gli operai della Maserati hanno scritto a Renzi. Chiedono di pensare agli operai ancora in cassa integrazione, ma forse dovrebbero chiedere nuove regole per far sì che i rapporti azienda-sindacati producano risultati positivi per tutti.

26 giugno 2014

Non c'è solo il calcio. O forse si...

Intervistato dopo l'eliminazione della nazionale di calcio dai Mondiali in corso in Brasile, il presidente del CONI Giovani Malagò ha fatto notare che in Italia non esiste solo il calcio (vedi qui).

Vero, ma è anche vero che il calcio, pur con le sue esagerazioni, è probabilmente il solo sport italiano che si mantiene da solo, attraverso la vendita dei diritti televisivi, gli sponsor, i biglietti delle partite, il merchandising.

La maggior parte degli altri sport invece vive di soldi pubblici (è il caso di molti sport che diventano popolari solo nel corso delle olimpiadi) o dei soldi degli sponsor.

E quando lo sponsor non c'è più...sono guai.

Ne è un esempio la Mens Sana, squadra di basket di Siena che ha vinto gli ultimi 7 campionati e che sta giocando la finale scudetto contro Milano. Fino allo scorso anno Siena poteva godere di una generosa sponsorizzazione del Monte dei Paschi, la banca cittadina.

Poi le perdite della banca hanno spinto la dirigenza a tagliare le sponsorizzazioni. La società ha ceduto alcuni dei migliori giocatori ma non è riuscita a mettere a posto i conti e neppure ha perso la propria incredibile capacità di far bene. Così la soceità rischia nei prossimi giorni di vincere l'ottavo titolo italiano consecutivo e di fallire.

Altro esempio a Cuneo. La Bre Banca Lannutti, sponsorizzata da una banca e da una società di trasporti, ha ottenuto ottimi risultati negli ultimi anni ma non si iscriverà al prossimo campionato se non arriverà qualcuno disposto a comprarsi la società.

All'origine di questi fallimenti, sportivi e/o economici, c'è anche la crisi, che ha imposto tagli non solo agli sponsor, ma anche agli enti locali, che in molti casi finanziavano lo sport locale direttamente o attraverso le sponsorizzazioni di società controllate.

Insomma il calcio con tutte i suoi limiti è pur sempre uno dei pochi sport che in Italia vivono di vita propria, senza soldi pubblici, senza dirigenti che devono far contenta la "piazza" o decidono quale sport finanziare magari per ottenere un tornaconto di altro genere.

25 giugno 2014

Diritti UEFA

La UEFA ha pubblicato un breve resoconto sulla distribuzione dei diritti per la partecipazione alle coppe europee (Champions e Europa League) nella stagione appena terminata. I dati riservano qualche sorpresa.

Il Real Madrid che s'è aggiudicato la competizione ha portato a casa 57 milioni di euro così divisi:

- 8,6 milioni per la partecipazione;
- 5,5 milioni di premi partita nel girone iniziale (1 milione per ogni vittoria, 500.000 euro per ogni pareggio);
- 3,5 milioni per la partecipazione agli ottavi di finale;
- 3,9 milioni per la partecipazione ai quarti di finale;
- 4,9 milioni per la partecipazione alla semifinale;
- 10,5 milioni per la finale;
- 20,5 milioni dal cosiddetto market pool, vale a dire una quota di diritti che dipende da una serie di fattori, come l'essersi iscritta alla Champions come vincitore o secondo (o terzo o quarto) in campionato o dai soldi spesi dalla televisione del proprio paese per aggiudicarsi i diritti tv.

E qui iniziano le sorprese, perchè la quota derivante dal market pool è per la Juventus di 31 milioni, superiore a quella del Real Madrid, superata in questa voce anche da Napoli (25 milioni), PSG (quasi 34) Manchester United (23), Olympique Marsiglia e Milan. Potere delle tv nazionali, pronte a svenarsi per trasmettere la Champions in prima serata.

Curiosamente le squadre tedesche ottengono dal market pool meno delle altre squadre di grandi paesi europei: il Bayern Monaco sfiora i 19 milioni, il Borussia Dortmund i 15.

Ben più povera è l'Europa League, che paga 1,3 milioni per la partecipazione, 200 mila euro per ogni vittoria nel girone e 100 mila per il pareggio.

La partecipazione ai turni successivi valgono 200 mila euro per i sedicesimi, 350 mila per gli ottavi, 450 per i quarti, 1 milione per la semifinale.

La vittoria invece regala 5 milioni, mentre 2,5 milioni vanno agli sconfitti.

Anche nell'Europa League c'è il market pool che anche questa volta premia italiane e francesi. La Fiorentina ha ricevuto oltre 8 milioni complessivi, di cui oltre 5 arrivano dal market pool.

La Juventus passata dalla Champions all'Europa League alla fine porta a casa oltre 7 milioni dall'Europa League, un pò meno dei diritti che avrebbe ricevuto se avesse raggiunto i quarti di finale di Champions. Complessivamente la Juventus supera i 50 milioni, una somma simile a quella incassata dall'Atletico Madrid, sconfitto in finale di Champions.



24 giugno 2014

Il trucchetto dell'Atletico Madrid

Lo scorso maggio l'Atletico Madrid ha vinto il campionato spagnolo e è stato sconfitto ai supplmentari nella finale di Champions League. Un risultato straordinario per una società molto meno ricca di Real Madrid o Barcellona, ventesima per introiti in Europa.

C'è però un trucco che potrebbe presto diventare illegale nel mondo del pallone.

Quando una squadra acquista un calciatore e spende -supponiamo- 5 milioni di euro, sopporta per ogni anno in cui il giocatore è sotto contratto un costo, l'ammortamento della somma spesa, vale a dire una parte dei 5 milioni spesi.

Più alta è la somma spesa più alto l'ammortamento, più è difficile per le squadre con ricavi modesti permettersi un giocatore costoso.

Ma cosa succederebbe se il giocatore fosse acquistato da una società esterna che lo presta alla società di calcio? La società esterna sopporterebbe l'ammortamento e la società calcistica con gli stessi soldi potrebbe disporre di più calciatori di buon livello, non dovendo sopportare per ciascuno di essi il costo dell'ammortamento.

Per fare un esempio, la Juventus ha speso nella stagione 2012-13 circa 150 milioni in stipendi e 50 in ammortamenti. Senza costi per ammortamenti, avrebbe potuto spendere 50 milioni in più per gli stipendi. Una cifra enorme, sufficiente a pagare 5 stipendi (più le imposte) di giocatori del calibro di Tevez o Buffon.

La società esterna nel caso dell'Atletico è un fondo di investimento che acquista i calciatori e poi li rivende. Pagando in tutto o in parte il cartellino dei calciatori acquistati, il fondo regala all'Atletico i minori costi di cui s'è detto, ma poi è libero di cedere i calciatori non appena sia disponibile un acquirente.

Per questo l'Atletico sta vendendo molti dei suoi giocatori migliori: il fondo che li ha acquistati adesso li vende, capitalizza i successi dei propri calciatori.

Il ricorso a un fondo non è nuovo nel mondo del calcio. In Sud America esistono fondi che investono sulle promesse di molte società di calcio e li rivendono non appena arriva una buona offerta da una squadra europea.

Usare un fondo per alleggerire i costi di una squadra però crea problemi, che potrebbero spinegere l'UEFA a vietarli.

La prima ragione è che chi ricorre al fondo ha un indubbio vantaggio economico rispetto a altre squadre. La seconda è che il fondo può influenzare i risultati sportivi, se tra i proprietari sono presenti individui o società che hanno interessi in squadre diverse.

Proprio l'Atletico quest'anno è stato protagonista di un episodio inquietante: il occasione della semifinale con il Chelsea è spuntata una clausola nel contratto di prestito (dal Chelsea all'Atletico Madrid) del portiere Courtois che imponeva una penale alla squadra spagnola nel caso in cui il portiere avesse giocato in Champions League contro la squadra inglese.

20 giugno 2014

Il reverse charge


Ultimamente il governo, tra le varie proposte volte a combattere l'evasione fiscale, sta proponendo l'applicazione nelle transazioni intermedie il "reverse charge".

Vediamo come funziona e perché dovrebbe combattere l'evasione.

Nella contabilità classica, quando compro per 122, la somma è composta da 100 di imponibile e 22 di IVA.
Questi 22 sono iva che ho pagato al fornitore e rispettivamente sono:

per il fornitore iva a debito (perché ha venduto)
per l'acquirente (me) iva a credito (perché ho comprato)

Quando vado a vendere, venderò poniamo per 300 (in questo caso 200 è appunto il valore aggiunto) + IVA, quindi a 366, dove 66 sarà per me iva a debito.

Ogni mese (o trimestre) devo liquidare l'IVA facendo la differenza tra IVA a debito e IVA a credito, quindi:

66 - 22 = 44

Il mio debito IVA sarà di 44, che verserò allo stato con l'F24. In questo modo, se ci sono molti passaggi, ogni passaggio aggiungerà un pezzetto di valore aggiunto e il versamento dell'IVA sarà frazionato su tanti soggetti.

Il reverse charge invece fa sì che il versamento dell'IVA sia tutto a carico dell'ultimo soggetto che vende al cliente finale, che per definizione non detrae l'IVA, essendo questa un'imposta sui consumi.

Vediamo come funziona:

Quando il mio fornitore emette la fattura, sarà riportato solo l'imponibile, quindi, seguitando sull'esempio precedente, 100, indicando la non imponibilità ai sensi dell'articolo di legge apposito.

Quando ricevo la fattura dovrò, contabilmente, aggiungere l'IVA sulla fattura di acquisto (22) e contemporaneamente emettere una autofattura contabilizzando il solo valore dell'IVA a debito.

In pratica, esattamente come avviene per gli scambi intracomunitari, dovrò registrare contemporaneamente l'IVA a credito e a debito, questo per far sì che l'operazione rientri nel volume di affari (altrimenti era troppo facile).

Quando poi vado a rivendere, venderò a 300 senza applicare l'IVA, indicando a mia volta che l'imponibile non è soggetto a IVA per effetto del reverse charge.

L'effetto pratico, a parte i tecnicismi contabili, è che compro e vendo senza applicare l'IVA e che il valore aggiunto, di passaggio in passaggio aumenta.

L'ultimo anello, quello che vende al pubblico privato, invece comprerà in regime di reverse charge, ma dovrà applicare l'IVA che sarà calcolata sul valore finale di vendita.

In pratica, il versamento dell'IVA, invece di essere frazionato per tutta la molteplicità di soggetti intermedi, sarà addossata solamente all'ultimo soggetto che in genere è la GDO (grande distribuzione organizzata).

Questa semplificazione serve per eliminare le frodi IVA, infatti con l'applicazione del reverse charge sarà sufficiente tenere sotto stretto controllo solo la GDO che verserà tutta l'IVA della catena. Già da oggi la GDO emette scontrini non fiscali in quanto trasmette in telematico gli incassi giornalmente.

Poveri inglesi

Negli anni '80 in Gran Bretagna s'è assistito a una gigantesca trasformazione del paese in senso liberista. La chiusura di molte attivi, la privatizzazione di molti servizi, la fine dei sussidi pubblici hanno trasformato un nazione di operai e minatori in una nazione di finanzieri, attirati a Londra da basse tasse, libertà di licenziare e tutto l'armamentario delle ricette liberiste.

A distanza di oltre 30 anni fa quella rivoluzione, lo studio di otto università inglesi dimostra che le diseguaglianze in Gran Bretagna sono aumentate, che una parte della popolazione fa fatica a procurarsi un'appartamento decente e a godere di una buona alimentazione, che molti vivono in condizioni economiche simili a quelle di un paese del terzo mondo, benchè dispongano di un lavoro e abbiano una vita normale.

Semplicemente la riforma liberista iniziata dalla Thatcher ha spostato il reddito, sia geograficamente che tra settori economici. Oggi chi vive a Londra e lavora nella finanza ha redditi molto più elevati, rispetto a 30 anni fa, rispetto a chi vive nel resto dell'isola britannica e lavora in altri settori economici.

Così spesso normali cittadini con un lavoro normale, in assenza di uno stato capace di regolare i mercati o promuovere politiche industriali ma anzi impegnato in una costante opera di demolizione di regole e tutele, sono diventati poveri come in un paese del terzo mondo.

17 giugno 2014

Abbonamento con rimborso

In queste settimane le squadre di calcio stanno programmando la stagione 2014-15 con il calcio mercato e il rinnovo degli abbonamenti.

La Juventus ha fatto lievitare i prezzi degli abbonamenti nei settori più popolari a 390 euro in caso di rinnovo, 440 euro in caso di nuovo abbonamento. Una cifra notevole: un abbonato della Roma che voglia rinnovare l'abbonamento spenderà un terzo in meno, 265-270 euro.

La Juventus ha uno stadio più piccolo e per questo alza i prezzi, forte anche dei risultati sportivi che attirano spettatori. L'importante è che i biglietti non restino invenduti e lo stadio sia pieno (o quasi) in occasione di ogni partita.

Il rischio di non riempire lo Juventus Stadium in effetti c'è. Molti tifosi juventini arrivano a Torino da altre regioni e a volte gli orari e i giorni delle partite possono creare problemi agli abbonati. Il posto resta vuoto.

Per questo motivo entra in gioco il secondary ticketing, vale a dire la possibilità di cedere per un numero limitato di gare l'abbonamento a un amico (al massimo si possono indicare tre nominativi) o di farsi rimborsare dalla Juventus parte dei soldi spesi per abbonarsi (1/19 dell'importo dell'abbonamento per ogni partita non goduta). La Juventus accredita la somma e mette in vendita il posto non goduto.

Qualcuno ne approfitterà per "vendere"qualche partita importante, ripagandosi parte della somma spesa, mentre la Juventus rivendendo i posti rimasti liberi otterrà l'effetto di uno stadio pieno e incasserà qualche soldo in più.

In fin dei conti un biglietto per lo stadio altro non è che un diritto (di vedere una partita) cedibile su un mercato secondario come i diritti su azioni o altri beni. Finalmente in Italia a qualcuno, oltre ai bagarini, è venuto in mente di sfruttare questa possibilità. Vedremo aste per vendere i biglietti di gare importanti o prezzi variabili come succede con i biglietti aerei?

Le opere necessarie (o forse no?)

Ennesimo criticabilissimo articolo del duo Alesina e Giavazzi sul Corriere, il 5 giugno. La tesi è più o meno sempre la stessa: diminuiamo la spesa pubblica, mettiamo più soldi nelle tasche dei cittadini, anche aumentando il deficit, perchè la spesa pubblica significa corruzione.

I due opinionisti del Corriere, fa notare Gustavo Piga, commettono qualche errore, citando dati in libertà (vedi qui) e come al solito dimostrano qualche lacuna teorica nonchè la tendenza a cercare dati che confermino le loro teorie.

Ma quello che mi ha colpito di più è la considerazione che servono "opere davvero produttive". Piga si chiede cosa siano e si risponde ricordando le necessità urgenti dell'Italia, come la manutenzione delle scuole, le opere per la difesa del suolo, interventi per salvare le tante Pompei.

Sabato scorso, di fronte al rischio di forti temporali in Piemonte con conseguenti danni ambientali, La Stampa ha intervistato uno studioso del CNR che ha spiegato in buona sostanza che le opere ambientali come lavori sull'alveo dei fiumi, servono più a soddisfare interessi economici che a diminuire il rischio di alluvioni, frane, ecc.

Opinione simile a quella, ad esempio, di Marco Travaglio, secondo il quale le grandi opere necessarie sono già state fatte e quelle in corso d'opera sono state pensate per ottenere tangenti.

E' uno scenario poco incoraggiante quello che ho provato a descrivere. Viviamo in un paese in cui sappiamo che servono gli investimenti pubblici per rilanciare l'economia ma molti non li vogliono, sostenendo che servirebbero solo a creare occasioni per distribuire tangenti, mentre chi sostiene la necessità di investire non ha bene idea sul da farsi e si domanda quali siano le opere necessarie (sempre che lo siano).

14 giugno 2014

Tedeschi nel pallone

Per i tedeschi noi italiani siamo un popolo poco affidabile, poco onesto, pieno di furbetti. Come dargli torto se il nostro presidente del consiglio è Berlusconi? Loro invece sono (o meglio, sarebbero) integerrimi e rigorosi, pronti a imporre al resto d'Europa le stesse regole che hanno reso ricca la Germania.

Un esempio delle virtù tedesche è il calcio. Il Borussia Dortmund che quest'anno ha acquistato Immobile, capocannoniere della Serie A, l'anno scorso ha raggiunto la finale di Champions dopo esserse di fatto fallito qualche anno prima. Si sono impegnati a tenere a posto i conti, hanno puntato sui giovani, hanno ceduto i migliori giocatori per far cassa e hanno programmato la crescita della squadra al punto da arrivare tra le prime in Germania e in Europa.

La squadra che più di ogni altra ha saputo programmare e vincere è il Bayern Monaco, che ottiene ottimi risultati anche senza i giocatori da 100 milioni di euro, come Bale o Cristiano Ronaldo.

Però non è tutto oro quel che luccica. In poche settimane due scandali hanno mostrato un altro volto del calcio tedesco.

Prima Uli Hoeness, a lungo presidente del club tedesco, è finito in carcere per frode fiscale. Ha sottratto al fisco guadagni per oltre 30 milioni di euro e oggi si trova in una cella, con la speranza di godere di qualche sconto di pena in cambio del pagamento delle imposte dovute e di una forte multa.

Poi è toccato a Beckembauer, il mitico Kaiser Franz, vincitore di un mondiale nel 1974. La FIFA gli ha inflitto tre mesi di squalifica per non aver collaborato all'inchiesta sulla presunta corruzione che ha portato all'assegnazione dei mondiali del 2022 al Qatar.

Si sospetta che i qataroti abbiano usato i soldi del petrolio per elargire regali e benefits vari per ottenere i mondiali. Beckembauer non collabora e la FIFA la punisce.

Non è la prima volta che l'assegnazione dei mondiali solleva sospetti a carico dei tedeschi. Nel 2012 Blatter ha dichiarato che i mondiali del 2006, svoltisi in Germania, sono stati comprati. A favore dei tedeschi ci furono un paio di delegati che improvvisamente cambiarono idea, assegnandoli alla Germania dove Beckembauer presiedeva il comitato organizzatore dei mondiali.

12 giugno 2014

Citazioni divertenti: l'ombrello di struzzo

"Noi al billionaire abbiamo un ombrello di struzzo a 34.000 euro. Tu quanti ombrelli di 'sto cavolo di struzzo pensi che abbiamo venduto al billionaire? Nessuno, serve solo a far parlare di noi. E' pubblicità"

Flavio Briatore, The Apprentice, in vena di raccontare i suoi trucchi di marketing.


10 giugno 2014

Lo spread dei paesi emergenti

In questi giorni, dopo il voto e dopo la diminuzione dei tassi voluta dalla BCE, lo spread è ancora sceso.

Ma com'è lo spread dei paesi emergenti, che dispongono di una loro moneta e quindi della famosa sovranità monetaria?

Secondo il grafico che trovate qui: http://intermarketandmore.finanza.com/files/2014/06/emerging-market-domestic-debt.jpg lo spread è salito al massimo degli ultimi 6 anni.

I capitali, come detto numerose volte, si stanno spostando verso Europa e Stati Uniti, facendo salire i rendimenti (e quindi il costo) del debito dei paesi emergenti, nonostante possiedano una loro moneta. E ciò accade proprio mente le economie dei paesi ricchi si stanno riprendendo.

Lo spread in crescita testimonia questo passaggio di capitali verso l'euro e il dollaro.

Conviene pensare di uscire dall'euro quando lo spread dei paesi emergenti (con economie che crescono molto più velocemente di quella italiana) è ai massimi degli ultimi sei anni?


07 giugno 2014

Le due Italie


Tempo fa mi è capitato di sentire l'intervento del professor Vaciago che trovate qui:
http://www.radioradicale.it/scheda/395422/contrastare-il-declinismo-delleuropa-una-nuova-visione-per-le-imprese-italiane  (vi consiglio anche di sentire l'intervento di Marianna Mazzuccato) e mi ha colpito la semplificazione, assai utile per capire l'economia: il PIL dipende in buona parte dall'industria.

Mi è venuto in mente leggendo i dati sul PIL del 2013 in Italia. Sono dati impressionanti. A fronte di un calo del PIL nazionale di quasi il 2%, si sono registrate differenze enormi tra le diverse aree del paese.

Nel nord ovest il PIL è sceso dello 0,6%, nel nord est del 1,5%, del 1,8% al centro e del 4% al sud.

Analogo l'andamento dell'occupazione con cali che vanno dallo 0,3% nel nord ovest al -4,5% del sud. Impressiona il dato della produzione industriale. Nel nord ovest e nel nord est si sono registrati cali di oltre il 3% mentre al sud il calo, o meglio il crollo, è stato di oltre l'8%.
 
Ci sono due Italie, come spiega Vaciago. Una in cui industrie e servizi riescono a resistere alla crisi e fa parte dell'Europa più avanzata e una che invece soccombe, mostrando risultati economici che ricordano quelli della Grecia




05 giugno 2014

TASI vs IMU: chi guadagna e chi perde

Nel mese di giugno molti italiani (non tutti) pagheranno la TASI, l'imposta sui servizi indivisibili che ha sostituito l'IMU.

Qualcuno ha fatto i calcoli scoprendo che pagherà meno, mentre altri lamentano una TASI superiore all'IMU. Com'è possibile?

Facciamo un esempio. Prendiamo il caso di una grande città. Le grandi città (o almeno la maggior parte) applicano l'aliquota massima, il 3,3 per mille. Nel 2012 applicavano l'aliquota massima per l'IMU, il 6 per mille.

Supponiamo che nel passaggio dall'IMU alla TASI le esenzioni siano rimaste le stesse e quindi occupiamoci soltano dell'aliquota per l'abitazione principale.

Con la TASI una famiglia italiana pagherà il 3.3 per mille, vale a lo 0.33% del valore catastale. Con l'IMU si pagava il 6 per mille, vale a dire lo 0,6% del valore catastale meno la detrazione fissa di 200 euro.

Qual è il valore catastale che rende indifferente pagare l'IMU o la TASI?

Il valore è 74.000 euro (circa), che comporta il pagamento di un'imposta di 244 euro in entrambi i casi.

Se il valore catastale è superiore, supponiamo 100.000 euro vediamo cosa succede: con l'IMU del 2012 si paga 400 euro (risultato di un'aliquota dello 0,6% su 100.000 euro cioè 600 euro meno 200 di detrazione fissa), mentre con la TASI si paga 330 euro (3,3 per mille di 100.000). Con un valore catastale di 50.000 euro si paga 100 euro, 165 euro con la TASI.

Quindi con la TASI sono favoriti gli immobili con rendite catastali medio-alte, e sfavoriti gli immobili con valori catastali bassi.

Sorgono a questo punto alcune domande?

Forse si penalizzano i più poveri? Viene voglia di rispondere positivamente. Ma
dobbiamo anche considerare che la TASI serve a pagare i servizi, di tutti i cittadini potenzialmente possono godere allo stesso modo. Inoltre c'è da chiedersi: i valori catastali riflettono i valori reali degli immobili o quandomeno rappresentano correttamente le differenze nei valori reali?


02 giugno 2014

L'ultima sparata dei signoraggisti

Il 30 aprile s'è tenuta l'assemblea degli azionisti della Carige, la Cassa di Risparmio di Genova. Tra i partecipanti c'è un signoraggista, Marco Saba, come riporta il verbale dell'assemblea, noto per le tesi signoraggiste e gratuiti insulti (anche al sottoscritto).

Su delega della signora La Banca, proprietaria di una sola azione (che vale meno di 50 centesimi di euro), Saba ha spiegato: il mio intervento riguarda la legalità del bilancio della Carige perchè le banche, a suo parere, oltre a intermediare capitali, "creano denaro" quando "prestano o investono", con la conseguenza che i crediti verso la clientela per oltre 25 miliardi di euro dovrebbero considerarsi ricavi.

I conti della banca andrebbero corretti, per Saba. Si passerebbe da circa 2,5 miliardi di perdite a oltre 22 miliardi di utile, oltre 7 euro per ogni azione.

Così racconta il verbale dell'assemblea (grazie a Marco M. per averlo scovato). Qualche considerazione.

Esiste davvero qualcuno che crede alle sciocchezze che scrive. Ma ci crede solo lui. Infatti un'azione di Carige continua a valere poche decine di centesimi, mentre varrebbe molte decine di euro se producesse molti euro di utili.

Anche perchè un dubbio è legittimo: l'autore di questa perla di saggezza economica sostiene che le banche svolgono attività di intermediazione e creano denaro. Come fa a dire che tutti i 25 miliardi di euro prestati alla clientela sono denaro creato e non, invece, il frutto dell'intermediazione della banca?

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