30 aprile 2015

Fornero incostituzionale

La Corte Costituzionale ha bocciato un articolo della riforma Fornero che bloccava la rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo.

L'obiettivo della norma era ridurre nell'immediato la spesa pensionistica. Una manciata di miliardi in meno di spesa negli anni 2012 e 2013 per dare quella sistemata ai conti pubblici che nel 2011 il governo Berlusconi ha rimandato facendo salire lo spread e poi il governo Monti ha realizzato sotto il ricatto dei partner europei.

Nel frattempo sono successe alcune cose importanti. Gli interventi del governo Monti hanno però depresso l'economia, provocando del PIL un calo di quasi il 5% in tre anni (2012-14), almeno un milione disoccupati e danni irreversibili a diversi settori industriali.

Lo spread è però sceso non perchè l'Italia sia diventata virtuosa (si veda in proposito questo: http://www.econoliberal.it/2013/12/se-mario-monti-non-avesse-fatto-nulla.html ) ma perchè la BCE di Draghi ha copiato la FED intervenendo pesantemente.

La sentenza della Corte Costituzionale impone una riflessione giuridica perchè è grave fare leggi incostituzionali e questo mina la credibilità del legislatore (e non a caso la Fornero ha subito precisato che la scelta non fu solo sua ma di tutto il governo), ma anche una riflessione economica: bloccare stipendi pubblici e pensioni ha contribuito a far diminuire il PIL e servirebbe cambiare rotta.

Intanto c'è l'occasione di veder eche effetto fa riprendere l'indicizzazione all'inflazione delle pensioni. Perchè è questo l'effetto della sentenza della Corte: un aumento delle pensioni, anche se non tutte.

Una decisione che può contribuire a far salire i consumi e quindi può avere un impatto positivo sull'economia, direttamente perchè i soldi si spenderanno o almeno si spera, e indirettamente, perchè potrà convincere anche i più riottosi che l'austerity è controproducente ed è necessario andare nella direzione opposta.


27 aprile 2015

Le strane ricette di Ricolfi

Luca Ricolfi è un professore dell'università di Torino. Sociologo, insegna le metodologie d'indagine, ma spesso scrive articoli in cui propone la sua ricetta. L'ha fatto spesso sulle colonne del quotidiano La Stampa parlando di politica.

Un suo libro sulla sinistra antipatica ha spinto molti politici di destra a considerarlo un intellettuale di sinistra da citare proprio per criticare gli avversari politici (la destra) e giustificare le proprie idee.

Ultimamente s'è dato all'economia, riportando le tesi della Fondazione David Hume, una fondazione (che pare non avere un sito) che si propone come indipendente e concentra un pò di cervelli...di destra.

Oltre a Ricolfi, l'altro presidente è infatti Piero Ostellino, noto liberista, che considera sinistra e stato come nemici.

Sul Sole 24 ore Ricoldi rimprovera alla sinistra di schierarsi "per le politiche di espansione monetaria, come il Quantitative Easing di Draghi" che aumenterebbe le differenze in quanto "i tassi di interesse bassi inflazionano il valore degli asset (titoli e immobili), favoriscono la speculazione, e per questa via, premiano innanzitutto i livelli alti della gerarchia sociale", come sostiene "Pascal Salin, in uno dei libri più interessanti sulla lunga crisi di questi anni (“Tornare al capitalismo per evitare le crisi”, Rubbettino 2011)".

Chi è Salin? Un professore emerito con idee molto liberiste, sostenitore delle vecchie e poco interessanti idee della scuola austriaca. Per gli economisti della scuola austriaca l'inflazione era un male assoluto (avevano vissuto sulla loro pelle l'alta inflazione tra le due guerre mondiali) e i prezzi, quindi anche quel particolare prezzo che è il tasso di interesse, devono essere lasciati liberi di fluttuale. Inoltre la politica monetaria deve funzionare come una medicina da prendersi in piccole dosi sempre uguali per garantire la fiducia dei soggetti economici.

Di qui la contrarietà al quantitative easing. Una contrarietà ideologica, perchè i fatti dicono che il quantitative easing negli USA ha prodotto effetti positivi. Come è ideologico tutto il pensiero di Salin.

Ricolfi non può sostenere una tesi così azzardata e allora cosa fa? Spiega che secondo Salin i tassi bassi farebbero salire i valori degli asset, aumentano la disuglianza, e quindi a suo dire sbaglierebbero i progressisti che sostengono il quantitative easing.

Facciamo qualche considerazione finale.

Mi pare molto ingenuo credere che i progressisti possano ascoltare Ricolfi. Perchè Salin ha idee tutt'altro che progressiste e perchè non è affatto interessato al tema delle disuglianze. Segnalando che "i tassi di interesse bassi inflazionano il valore degli asset" e sempre che questo si verifichi davvero, Salin vuole lanciare un allarme: per lui i tassi troppo bassi distorcono il mercato e le distorsioni sono causa di difficoltà economiche peggiori di quelle che si vorrebbero risolvere.

Se poi l'analisi di Salin fosse condivisibile, tassi di interesse più elevati impoverirebbero i ricchi che possiedono immobili e azioni, riducendo le disuguaglianze in termini di ricchezza, ma costringerebbero uno stato con un debito pubblico elevato a imporre sacrifici che ricadrebbero soprattutto sui più poveri, per controbilanciare la maggior spesa per interessi.

Che progressista è quello che per non far salire la ricchezza di pochi impone sacrifici a molti, di solito i più poveri?

Insomma Ricolfi pare non sapere bene quali tesi propone. O forse lo sa bene e prova a far passare per neutrali e credibili le visioni ideologiche che condivide?

22 aprile 2015

Poletti

Sconcerta lo scontro tra il ministro Poletti e Tito Boeri, economista e presidente dell'INPS.

Quest'ultimo propone di dare un aiuto, sotto forma di integrazione di reddito, agli ultra 55-enni che perdono il lavoro. Poletti invece propone di distribuire aiuti a tutti i disoccupati in modo indiscriminato.

Uno spirito da "cooperativa" (il mondo da cui proviene Poletti è quello delle coop emiliane) o forse solo un progetto politico, con l'obiettivo di contrastare le proposte di reddito minimo dei grillini, promettendo tutto o almeno qualcosa a tutti?

Forse la risposta vera è una sconcertante mancanza di capacità di analisi del ministro "made in coop". Perchè è noto che esistono diverse categorie di lavoratori. Quelli con un'età oltre i 50 anni hanno più difficoltà a trovare un lavoro quando lo perdono, e la riforma delle pensioni crea a questa categoria di lavoratori non poche difficoltà.

Se si vuole che l'economia si trasformi per diventare più competitiva, si deve accettare che le imprese, cambiando, riducano il personale. E come non pensare ad ammortizzatori per chi ha meno possibilità di ricollocarsi?

Poletti pare vivere in un altro mondo, come dimostra la proposta di far lavorare gli studenti. O forse ci mostra soltanto il vero volto delle cooperative?

18 aprile 2015

Auto di lusso

Questa è l'Italia del reddito medio: più alto nelle zone con un verde più scuro, vale a dire a nord e in parte del centro, più nelle province di Milano, Torino, Roma, Bologna, Modena, Trento.

Le province più povere sono invece ala sud, in Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia.

Poi c'è un'altra Italia, quella dei consumi di lusso. Quell'Italia che compra la Porsche o la Ferrari, per mostrare prestigio e potere oppure per togliersi uno sfizio.

E questa seconda Italia è molto diversa. La vedete in questa seconda cartina, che riporta uno spread, ovvero una differenza tra il numero di auto di lusso immatricolate e quelle che dovrebbero esserci in base al reddito. 

Non c'è da stupirsi se nel nord della Sardegna ci sono molte auto di lusso. In fin dei conti la zona di Olbia è quella della Costa Smeralda.

Meno comprensibile invece è il gran numero di auto di lusso in zone del sud dove il reddito medio è decisamente basso. Non dovrebbero essercene così tante ma ci sono, come in buona parte del nord-est.

Sono un segnale di redditi che sfuggono al fisco, in alcuni casi perchè frutto di attività poco lecite, ma anche del fatto che in certe parti di Italia, il successo, il benessere, anche se risultato di attività poco lecite, va mostrato, esibito.

14 aprile 2015

Sparare cifre a caso

Come sempre, dopo la presentazione il 10 aprile del DEF, il documento di economia e finanza che spiega come andranno i conti pubblici in futuro, non mancano le critiche.

Unimpresa, associazione di piccole e medie imprese nata nel 2003, lamenta una "stangata da 100 miliardi in 5 anni".

Il presidente dell'associazione lamenta una presa in giro del governo, figlio di un "giro di vite" su Irpef, Ires e Iva per quasi 80 miliardi e inoltre un aumento della spesa della pubblica amministrazione di "quasi 38 miliardi" in 5 anni.

C'è da preoccuparsi?  Nel sito di Unimpresa è presente la seguente tabella, che concentra i dati del DEF:


C'è un aumento della spesa?Partiamo dal fondo, vale a dire dal dato del PIL. Il governo prevede dal 2016 e il 2019 una crescita tra l'1,3% e l'1,5%.

Prendiamo il dato del PIL per esempio del 2016 (1.687.708) aggiungiamo un 1,5% di crescita prevista nel 2017 e otteniamo una somma (1.713.023) inferiore al PIL 2017. La differenza è l'inflazione prevista, pari a circa un 1,5%.

Se in quattro anni si considera l'inflazione, non c'è allora da stupirsi dell'aumento della spesa (4,5%) dal 2015 al 2019), che al massimo -secondo le previsioni- aumenterà tanto quanto l'inflazione. In termini reali la spesa non aumenterà.

C'è una stangata sulle imposte?

Le entrate aumenteranno, secondo le previsioni del governo, ma senza aumenti sostanziali della pressione fiscale. L'aumento previsto delle entrate di 100 miliardi si deve perciò alla crescita del PIL e non ad un aumento della pressione fiscale, sostanzialmente stabile.

Allo stato attuale degli accordi con l'UE il governo deve prevedere il pareggio di bilancio. Si spiega in questo modo la differenza tra la crescita delle entrate previste (+100 miliardi) e la crescita della spesa (+38 miliardi).

Se le previsioni si riveleranno azzeccate, nel 2019 ci sarà pure un surplus di una decina di miliardi.

In conclusione il servizio studi di Unimpresa nel commentare il DEF crea un allarme esagerato, smentito dai dati offerti dallo stesso servizio studi.

13 aprile 2015

I soliti due....

Alesina e Giavazzi (A&G), nostre vecchie conoscenze, scrivono oggi sul Corriere un articolo intitolato Lo slancio perduto di Renzi in cui spiegano che Renzi sembra "aver perso slancio sulle riforme" e a loro parere per far crescere l'Italia servono "sgravi fiscali consistenti", vale a dire tagli "accompagnati da corrispondenti e congrue riduzioni della spesa".

Ok, uno pensa, adesso ci spiegano che si deve tagliare questo e quello. E invece no. Per A&G tagliare la spesa senza ridurre i servizi è "impossibile" e tagliare i costi della politica o della corruzione non porterà grossi vantaggi.

D'altra parte aggiungono i due editorialisti del Corriere "i servizi e l’assistenza ai poveri e anche al ceto medio vanno garantiti e, in alcuni casi, ove possibile, migliorati. Ma non possiamo continuare ad offrire servizi gratuiti a chi sarebbe in grado di pagarli".

La soluzione dunque è far pagare i servizi a chi può: uno studente universitario di una famiglia benestante deve pagare molto di più e così il malato che se lo può permettere. Anzi tutto ciò stimolerà a dire di A&G.

L'ultima trovata di A&G stimola qualche considerazione.

Efficienza e spesa non vanno necessariamente di pari passo. Il cittadino che paga di più può pretendere un trattamento privilegiato, con conseguenze etiche importanti: immaginate cosa succederebbe se chi paga di più chiedesse di saltare le liste d'attesa per un esame o di avere ripetizioni da un professore.

La presenza di una categoria privilegiata potrebbe anzi portare a un peggioramento del servizio offerto al contribuente "normale".  Un primario ospedaliero per esempio potrebbe pretendere un aumento di stipendio per dedicare più tempo e energie ai contribuenti più ricchi, mandando assistenti malpagati e con poca esperienza a occuparsi dei malati che pagano di meno. In tali circostanze il servizio migliorerebbe? A mio avviso no, salvo forse per i ricchi.

Tutto questo naturalmente senza considerare gli effetti dell'evasione, che costringerebbero gli onesti a pagare di più e stimolerebbero forse qualcuno a diventare meno onesto.

Per cui la proposta di A&G è di dubbia (molto dubbia) utilità. A meno che pensino che l'efficienza dei servizi dipenda da poche persone, i benestanti, quelli con un reddito elevato. Forse A&G pensano che costoro, pagando di più, userebbero le conoscenze e l'influenza di cui dispongono (chi ha redditi elevati facilmente è un imprenditore, un dirigente o un professionista) per chiedere alla classe politica di migliorare il servizio.

La democrazia si indebolirebbe. E poi siamo sicuri che migliorerebbe il servizio per tutti e non solo per qualcuno? Inoltre costoro potrebbero preferire ricorrere a servizi privati, per cui non avrebbero alcun interesse a migliorare i servizi offerti dallo Stato, usando invece la loro influenza per evitare di pagare imposte aggiuntive.

Infine, l'obiezione forse più importante: se A&G predicano una riduzione delle imposte perchè la soluzione per loro è far pagare di più certi servizi?



 

08 aprile 2015

Lo strano caso del signor Grillo

Porta a porta di ieri sera (per chi volesse vedere la puntata eccovi il link: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b61f1e4e-c91c-4941-8f11-62730347113e.html#p=0) parla di imposte e intervista un dipendente, tale Paolo Grillo, che mostra la sua busta paga di gennaio


Il lordo risulta di oltre 2900 euro mentre il netto è pari a circa 1640 euro. Di qui la considerazione dell'impiegato: pago il 46% di imposte e l'affermazione che sarebbe giusto il 30%.

Ma c'è qualcosa che non torna. E lo si capisce un attimo dopo. Lo stesso dipendente dichiara che la retribuzione lorda annua è pari a 30 mila euro circa. Le immagini lo confermano:


e dicono la verità: su quasi 31 mila euro lordi il signor Paolo paga 7215 euro di irpef e 498 di addizionale regionale.

Prima anomalia: se tutti i messi il reddito lordo fosse di quasi 3000 euro, come può il signor Paolo avere un reddito lordo annuo di 30.000 euro? Sarebbe vicino o superiore ai 40.000 euro.

Seconda anomalia: aggiungiamo pure un altro 1% di addizionale comunale che fanno altri 300 euro e arriviamo a poco più di 8000 euro di imposte su un reddito lordo di 31000. Ovvero poco più di un 25% del reddito, meno dell'imposta "equa" del 30%.


04 aprile 2015

L'importanza dei tassi

Il blog di Civati (vedi qui) riporta i dati dell'economia italiana nel 2014 per accusare il governo di propaganda.

L'economia italiana nel 2014 non è andata bene, ma un dato tra quelli riportati da Civati è sbagliato: il saldo primario è stato positivo dell'1,6% del PIL e non negativo (il saldo primario comunque è in calo. Di qui probabilmente l'errore).

Un pò di conoscenza e di esperienza avrebbe permesso di capire l'errore. Il saldo primario è la differenza tra entrate e uscite dello Stato al netto della spesa per interessi (cioè senza considerare la spesa per interessi). E quest'ultima risente di titoli del debito pubblico emessi a tassi molto più elevati dei tassi attuali.

Così la spesa per interessi è almeno il 4,5% del debito pubblico. Se il saldo primario fosse negativo dell'1,6% i conti non tornerebbero. All'1,6% si deve aggiungere il 4,5% di spesa per interessi e il deficit sarebbe superiore al 6%.

Invece il deficit è del 3%, percentuale risultato della somma di un avanzo primario dell'1,6% e di una spesa per interessi pari a circa il 4,5%.

C'è un aspetto molto positivo in questi dati: se i tassi di interesse pagati dallo Stato resteranno bassi (oggi si emettono titoli di stato a tassi vicini allo zero, almeno per le scadenze più brevi), basterà tenere sotto controllo la spesa pubblica e pochissimi sacrifici per raggiungere il pareggio di bilancio, che è una condizione indispensabile per ridurre il rapporto deficit/PIL.

Non è irrealistico pensare che, se i tassi resteranno bassi, in 3-4 anni la spesa per interessi possa diventare del 2-2.5% del PIL e che possa scendere ulteriormente in seguito. In questo caso il deficit si scenderebbe sotto l'1% e basterebbe poco, un pò di crescita e il controllo delle spese, per raggiungere il pareggio di bilancio.


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