28 giugno 2015

Il suicidio di Tsipras

Il governo greco ha scelto la via più pericolosa per tentare di risolvere la crisi del debito greco. È la via del referendum. Si chiederà al popolo di scegliere: le misure volute dall'Europa o le proposte del governo?

Se vincono le prime, l'esperienza politica di Tsipras e Varufakis si concluderà, presumibilmente, visto che saranno smentiti dal voto popolare.

Se vince il no di Tsipras, la Grecia si infilerà in un percorso pieno di incognite con buone probabilità di dar vita a un disastro economico senza precedenti. Tsipras sarà un politico finito, e magari, volendo andare oltre si possono anche immaginare scenari drammatici).

Dunque perché scegliere questo doppio scenario suicida?

Le ipotesi più semplici sono tre. La prima è che credano davvero alle loro proposte, al punto di portarle alle estreme conseguenze. Potrebbero considerare il  fallimento come atto necessario per fare rinascere una nuova e migliore Grecia (ed Europa), facendo pagare il conto all'avversario, anche perché i greci ormai hanno poco da perdere.

La seconda è che non riescano a staccarsi dalle idee populiste è che anche al governo non sono riusciti a essere realisti.

In questo secondo caso il danno per la cosiddetta sinistra estrema che ha creduto in Tsipras sarà enorme, se tutto andrà come previsto, ovvero un crollo del PIL (se falliscono le banche non mi stupirei se calasse anche del 20% in 2-3 anni), disoccupazione alle stelle, rivolte e magari un defenestramento poco amichevole del governo.

La terza è che pensano che un fallimento ci sarà comunque perchè al resto d'Europa conviene.

19 giugno 2015

Alesina sulle disuguaglianze

Risultati immagini per alesinaAlberto Alesina scrive sul Corriere un elogio della disuguaglianza (Il merito delle società diseguali, è l'inquietante titolo) che merita qualche osservazione.

Lo spunto gli è stato offerto dal festival dell'economia di Trento dove "gli economisti-guru della sinistra - Paul Krugman, Thomas Piketty, Joseph Stiglitz"hanno previsto "una degenerazione del capitalismo verso lidi di diseguaglianza mai visti nella storia recente".

La disuguaglianza, osserva Alesina,è oggi quella di 100 anni fa, ma, aggiunge, la disuguaglianza crea incentivi: "Vorremmo forse, in nome della total
e uguaglianza, eliminare i premi monetari a uno scienziato che fa un’importante scoperta? O quelli a un imprenditore che innova..?"

Non ci posso credere! Alesina sostiene che la disuguaglianza incentiva più dell'uguaglianza, come se l'alternativa a una economia con forti disuguaglianze fosse un'economia dove tutti sono uguali e non un'economia con minori disuguaglianze, invocata invece dai vari Krugman, Picketty e Stiglitz.

Dopo questa osservazione che ricorda chi considera "comunisti" gli avversari politici, Alesina spiega che le disuguaglianze sono accettabili se le persone meritevoli possono scalare i gradini della scala sociale attraverso la scuola che dev'essere basata sulla "meritocrazia e [la] competizione nel mercato [che] garantiscono giustizia e mobilità sociale".

Ma perchè in una società di forti disuguaglianze chi occupa i posti migliori dovrebbe accettare la competizione? E' più probabile un ricco che sogna una società in cui i suoi figli devono competere alla pari con il figlio del povero o una società in cui il ricco cerca di garantire ai propri figli delle vie privilegiate per il successo negando al tempo stesso ai figli altrui di accedere alle stesse possibilità?

18 giugno 2015

Grexit?

I prossimi giorni potrebbero essere decisivi per decidere le sorti della Grecia, che si trova a scegliere tra le misure richieste da Francia e Germania, che potrebbero rinviare una ripresa dell'economia ellenica, e l'insolvenza, con (quasi) conseguente fuoriuscita sia dall'euro che dall'Unione Europea.

Qualcuno potrebbe pensare che il default sia la soluzione dei problemi greci, che dipendono proprio da un debito pubblico enorme in rapporto al PIL. Senza l'onere degli interessi i conti pubblici greci migliorerebbero?

E' una tesi debole, vera solo se dopo il default tutto continuerà come prima: stesso PIL, stesse entrate fiscali, stesse spese, fatta eccezione per la spesa per interessi, azzerata dal default.

E' molto più realistico immaginare che il default greco si accompagni ad una fuoriuscita della Grecia dall'euro e dalla UE e, soprattutto, da una crisi bancaria drammatica. Il default in assenza di un accordo significa per la Grecia niente più prestiti per anni. Non solo fine dei prestiti allo Stato ma anche al sistema bancario, che potrebbe, come sempre, acquistare titoli di stato greci.

La crisi bancaria farebbe ulteriormente calare il credito a famiglie e imprese, e inoltre anche i pagamenti più banali potrebbero essere a rischio. Inoltre continuerebbe la fuga dei capitali, che potrebbe essere mortale per molte banche greche nel caso di passaggio a una nuova moneta.

La nuova moneta si svaluterebbe, con qualche limitato beneficio per l'economia e molti problemi, e nessuno sarebbe in grado per molto tempo di dire quale sarà il cambio nei confronti dell'euro. Tale incertezza spingerebbe i greci, se non l'hanno già fatto, a mettere in salvo i propri risparmi in euro, lasciando le banche in una situazione critica.

Oggi la BCE garantisce la liquidità delle banche greche, ma cosa succederebbe in caso di uscita dall'euro? La Grecia sarebbe costretta a chiedere enormi prestiti a qualche stato straniero, come la Russia di Putin, con conseguenti implicazioni politiche, oppure a riempire le banche di una moneta (la nuova dracma) destinata a svalutarsi e non poco.

Insomma se c'è uno scenario probabile, è questo: il default greco significherà una crisi ancora peggiore, con conseguente aumento di povertà e disoccupazione.

Se il PIL cala, se aumenta la disoccupazione, se il credito viene ridotto, le entrate dello Stato non possono che diminuire. Ma uno Stato che non ha accesso al credito non può permettersi di spendere più di quanto incassa.

La probabile crisi innescata dal default costringerebbe quindi la Grecia a realizzare sacrifici ancora peggiori di quelli richiesti da Europa e BCE.


14 giugno 2015

Zimbabwe

Alla fine lo Zimbabwe s'è arreso.

Da molti anni l'ex Rhodesia è un paese con un'economia disastrata che stampa moneta per tentare di aggirare i problemi economici, provocati da un regime che ha espropriato le proprietà dei bianchi, indotti anche con la violenza a lasciare il paese, per distriburle a persone incapaci di gestirle.

Ma stampare moneta in quel contesto significa soltanto generare inflazione. Occorrono milioni di miliardi di dollari dello Zimbabwe per avere 1 dollaro americano. I commercianti cambiavano i prezzi due volte al giorno, e circolavano monete straniere più affidabili, ma soprattutto più pratiche della moneta locale, perchè l'iperinflazione costringeva a usare enormi quantità di banconote per i pagamenti.

Da domani niente più dollaro dello Zimbabwe. Il paese africano passa al dollaro statunitense, con buona pace di chi invoca la sovranità monetaria.

PS: 5 anni avevamo mostrato una banconota da 25 miliardi di dollari. Oggi le banconote dello Zimbabwe sono dell'ordine delle centinaia di migliaia di miliardi di dollari.

12 giugno 2015

Assolto....

Come avevamo previsto (vedi qui: http://www.econoliberal.it/2011/07/dsk.html ) Strass Kahn alla fine è uscito senza condanne dallo scandalo che lo ha costretto alle dimissioni.

Il Fondo Monetario, che Berlusconi indicava come l'unico capace di risolvere la crisi greca, s'è defilato e se n'è andato anche Olivier Blanchard, che nei suoi anni al Fondo è riuscito a seminare il dubbio tra gli economisti pro austerità.

Qualche piccola vittoria del buon senso in mezzo a tante sconfitte a opera dei liberisti.

09 giugno 2015

Fiat e General Motors

Dopo che Fiat ha comprato la moribonda Chrysler, dando vita a un importante gruppo automobilistico mondiale, FCA, un'altra importante operazione potrebbe interessare il mondo dell'auto: la fusione di FCA con General Motors, che fino a qualche anno fa era il più grande produttore mondiale di auto.

L'idea è di Marchionne, l'amministratore di Fiat-Chrysler, che pensa che in futuro ci saranno poche grandissime multinazionali dell'auto. E, ritenendo che qualche azienda sparirà e qualche altra sarà assorbita da un produttore più grande, prende l'iniziativa per non doverla subire.

Marchionne ha anche un piano industriale. Il manager italo-canadese osserva che le case automobilistiche spendono ogni anno somme enormi per progettare e produrre pezzi unici, impiegabili solo sui modelli di una marca. Se i produttori unissero le forze per produrre componenti capaci di funzionare sulle auto di marchi diversi, i costi per le case automobilistiche diminuirebbero, con indubbi benefici per gli azionisti (più utili) ma anche per le case produttrici stesse, perchè abbassare i costi significa poter investire di più in nuovi prodotti.

L'idea di Marchionne di una fusione con General Motors si può sviluppare quindi in due modi differenti: con una vera e propria fusione e con un accordo di collaborazione per sviluppare piattaforme o componenti comuni e diventare più competitivi.

Per ora GM ha rifiutato la proposta di Marchionne che però ha dalla sua alcuni hedge funds, azionisti di GM. Tali fondi potrebbero, su richiesta di Marchionne e spinti dal proprio interesse, spingere GM a sedersi al tavolo delle trattative, dando vita a qualcosa che potrebbe suscitare molto scalpore nei prossimi mesi o forse anni.

06 giugno 2015

Giavazzi sulla Grecia

Sul Corriere Francesco Giavazzi si occupa di Grecia per spiegare che l'Europa dovrebbe dare meno peso alla questione greca sia perchè i temi importanti di cui occuparsi sono (o sarebbero) altri, vale a dire i grandi scenari globali, le questioni che riguardano Cina, India o Turchia.

La Grecia per Giavazzi ha deciso di rifiutare l'efficienza e la modernità, spiega Giavazzi, rifiutando le misure che la trojka, che oggi non si chiama più così, vuole imporre ai greci per finanziarne il debito, che da anni la Grecia non può, avendo perso ogni credibilità ed essendo di fatto insolvente, finanziare sul mercato.

Giavazzi ha ragione? I greci devono cambiare atteggiamento, Tsipras e Varoufakis pretendono troppo?

Facciamo un salto indietro di 5 anni. Sul Corriere nel 2010 Giavazzi osservava che "Il vero problema della Grecia non è il debito, ma la mancanza di crescita. Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare".

In parole semplici: la Grecia deve crescere perchè i sacrifici imposti siano un pò meno drammatici.

Un economista serio a questo punto farebbe notare due cose: la prima è che la crescita invocata da Giavazzi non s'è vista. Anzi il PIL greco è diminuito e non di poco. Ciò nonostante -e questa è la seconda cosa da notare- i conti pubblici sono migliorati, tant'è vero che nelle trattative in corso si parla della misura dell'avanzo primario, vale a dire del saldo del bilancio (saldo positivo, quindi avanzo) al netto della spesa per interessi.

Già, perchè la Grecia ha un bilancio in pareggio, come pochi paesi europei virtuosi. I sacrifici hanno prodotto risultati. Alcuni molto negativi (PIL in calo, povertà e disoccupazione) ma almeno uno positivo: il bilancio è in pareggio.

Un economista serio dovrebbe spiegare che Tsipras ha le sue buone ragioni: se si costringe la Grecia a far crescere l'avanzo primario, si rischia di soffocare la crescita.

A differenza di cinque anni fa, Giavazzi non pare interessato a discutere di Grecia, se non per dire che è un paese dal PIL irrilevante rispetto al PIL dell'Europa e intenzionato a non modernizzarsi. La ragione è che cinque anni fa Giavazzi era preoccupato non della Grecia ma della Spagna.

Il geniale Giavazzi scriveva: "lavarsi le mani della Grecia, spingerla a abbandonare l'euro significa spostare l'attenzione sulla Spagna. A differenza della Grecia, la Spagna non è piccola".

Oggi la paura che la crisi del debito sovrano si estenda alla Spagna e magari all'Italia non esiste e quindi l'economista Giavazzi può tranquillamente sorvolare sulle questioni economiche che riguardano la Grecia, identificando le posizioni dell'ex trojka con la modernità e dimenticando di aver scritto: "Al vertice europeo della scorsa settimana, Silvio Berlusconi — che queste cose le capisce al volo e nutre anche un sano scetticismo verso la vanità di Bruxelles — ha chiesto che la gestione delle crisi nel Sud dell’Europa venga delegata al Fondo monetario internazionale. Diversamente dall’Europa, il Fondo ha gli strumenti e l’esperienza per intervenire, e negli anni ha anche imparato che alzare la voce non è una buona strategia".

Sarebbe utile che ci ritornasse, visto che qualche settimana fa il Fondo Monetario s'è defilato dalla questione greca, proprio come sta facendo lui.

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