14 dicembre 2018

BCE: fine del QE, anzi no

Mario Draghi ha spiegato che l'acquisto di nuovi titoli da parte della Banca Centrale Europea finirà a fine anno. La BCE smetterà di comprare nuovi titoli di stato e di imprese private per decine di miliardi come sta accadendo da anni, ma userà i soldi finora investiti (oltre 2,5 migliaia di miliardi), reinvestendo le somme che incasserà man mano che i titoli andranno in scadenza.

Insomma cambia poco. I dati dell'economia non sono buoni, lo dicono diversi indicatori economici e lo dice implicitamente la BCE che non alza i tassi anzi prevede che per il resto del mandato di Draghi resteranno fermi. Tutto ciò significa che i risparmiatori continuano a essere prudenti negli acquisti, i soldi non escono facilmente dai conti correnti, i titoli di stato o i bond non si vendono come dovrebbe succedere se tutto filasse liscio.

Quindi la BCE continuerà a investire una somma ingente in titoli di vario tipo senza tuttavia aumentare tale somma. E' un primo passo verso un cambio che sarà lento e graduale. Per ora si smette di far crescere la somma investita in titoli ma non si riduce.

Se la BCE non usasse i soldi incassati (vendendo titoli in scadenza) per comprare altri titoli, i tassi inesorabilmente aumenterebbero più del desiderato e una crescita molto debole rischierebbe di peggiorare ulteriormente.

La decisione della BCE di non procedere a nuovi acquisti può anche essere letta alla luce delle polemiche di questi giorni sul deficit pubblico italiano. L'UE spinge perchè il deficit venga ridotto. Chiede di scendere sotto il 2% mentre il governo puntava al 2,4%.

Se la BCE comprerà titoli in quantità fissa, un paese che aumenta più del previsto il debito pubblico rischia di pagare un interesse maggiore. E visto lo spread che per l'Italia oscilla tra i 270 e i 300 punti base contro i 45 della Francia e i 115 della Spagna, far crescere il debito vuol dire rischiare di più di subire tassi alti, già costati almeno un miliardo di maggiore spesa in 6 mesi di governo.

07 dicembre 2018

Ecotassa

La componente 5 Stelle del governo italiano ha inserito nella manovra per il 2019 un sistema bonus/malus per le auto: chi inquina di più paga di più e si offrono incentivi per auto ibride e elettriche.

E' un provvedimento giustamente molto criticato e poco sensato che rischia di avere effetti negativi sia per l'economia che per l'ambiente.

In passato s'è incentivata la rottamazione, soldi con cui si scontavano le auto nuove, vendute in sostituzione di un'auto vecchia o si tagliava per qualche anno il bollo auto, magari chiedendo al venditore/produttore di praticare un altro sconto.

Il provvedimento serviva a sostituire auto con motori inquinanti (euro 0 o euro1) con motori meno inquinanti (euro 4 o 5) ma anche a stimolare un settore in difficoltà. Le crisi infatti spingono i consumatori a tagliare la spesa per beni durevoli come case, auto, elettrodomestici, rinviando o rinunciando all'acquisto.

Un incentivo in somma fissa, ad esempio 1000 euro ad a auto, aiutava la vendita di auto di piccola cilindrata, solitamente meno costose, permettendo un maggiore risparmio percentuale: se un'auto costa 10 mila euro, uno sconto di 1000 significa un -10% nel prezzo finale, e il 5% se l'auto costa 20 mila euro. Quindi l'incentivo alla rottamazione era anche un aiuto a chi può spendere poco (di solito perchè ha pochi solldi) per acquistare un'automobile nuova.

Questo succedeva qualche anno fa. L'attuale govreno invece punta a incentivare auto elettriche e ibride e tassare le auto più inquinanti. Iniziativa lodevole nelle intezioni ma con alcuni limiti.

Le auto elettriche appartengono a una nicchia di mercato dove i prezzi sono molto elevati. Le case automobilistiche non producono molte utilitarie elettriche anche perchè il costo elevato delle batterie rende impossibile venderle a un prezzo da utilitaria. La Volkswagen Golf elettrica per esempio costa il doppio delle stessa auto a benzina, 40 mila euro.

Un incentivo che arriverà al massimo a 6.000 euro difficilmente sposterà le scelte dei consumatori, soprattutto perché non risolverà le difficoltà di ricarica (in Italia le colonnine per le ricariche scarseggiano) e l'auto elettrica sarà ancora un prodotto di un mercato di nicchia.

Differente è il caso delle ibride, che restano auto con un motore tradizionale e pertanto soggette a sconti inferiori, applicati in ogni caso su automobili che non sono generalmente utilitarie. Il beneficio riguarderà auto straniere e auto mediamente costose, acquistate di solito da chi ha redditi alti.

La conseguenza forse più negativa riguarda però le auto tradizionali. Una tassa calcolata sull'inquinamento può penalizzare in misura maggiore le auto di piccola cilindrata. Un'automobile da 10 mila euro non ha un motore di cilindrata molto inferiore a quella di un'automobile che costa il doppio. Anzi è più probabile che quest'ultima disponga di dispositivi come il turbo che servono a consumare di meno e quindi che inquini di meno.

I margini di guadagno ridotti delle automobili più piccole (e meno costose) rendono inoltre meno probabile che il produttore riduca il prezzo così da compensare l'ecotassa che fnirebbe per essere pagata da chi acquista l'auto, mentre i produttori di auto di maggiore cilindrata o ibride hanno margini di guadagno maggiore e quindi possono evitare di far pagare l'ecotassa al cliente.

Infine la presenza di una ecotassa può avere effetti negativi sugli acquisti da parte di chi vuole sostituire l'auto vecchia e meno ecologica. L'ecotassa disincentiva le sostituzioni di auto vecchie e più inquinanti con auto nuove, mancando l'obiettivo di ringiovanire il parco auto degli italiani, che continueranno a inquinare con auto vecchie.

Insomma il provvedimento del governo rischia di avere effetti controproducenti, di aiutare i produttori stranieri e chi ha molti soldi da spendere.

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