La ricetta liberista non è una novità. Dal 2015 al 2019, con la presidenza di Mauricio Macrì, imprenditore di origini italiane, ha raccolto molto consenso senza riuscire però a risollevare le sorti economiche (ne avevo parlato qui) di un paese sempre alle prese con conti pubblici disastrosi, un'inflazione alle stelle (con molti dubbi sui dati ufficiali), la svalutazione della moneta nazionale e fughe dei capitali, che, insieme, rendono ingestibile il debito pubblico.
Milei ha proposto tagli molto forti alla spesa pubblica e in particolare alla scuola, considerata sinonimo di indottrinamento, e alla sanità. L'obiettivo è ridurre il deficit che, finanziato dalla banca centrale, genera inflazione a 3 cifre. Ma i tagli, che renderanno ancora più incerta la vita degli argentini e colpiscono il "capitale umano" non possono che creare problemi all'economia e quindi anche alle entrate fiscali in un paese dove già il 40% delle famiglie vive sotto la soglia della povertà.
L'inflazione, poi, è legata anche alla svalutazione della moneta nazionale. Il governo Milei ha immediatamente svalutato il peso: se prima ne servivano 400 per avere 1 dollaro, adesso ne servono 800. Inoltre ha liberalizzato le importazioni, finora sottoposte a autorizzazione. I limiti alle importazioni si adottano quando le riserve in valuta estera sono basse e anche per aiutare le produzioni nazionali.
Qual è dunque la ragione di questi provvedimenti?
Milei ha studiato lavorato come economista per un'importante banca inglese, HSBC. Di solito queste banche cercano per conto della loro clientela occasioni di investimento in grado di produrre ottimi rendimenti. E, ovviamente, sono infastiditi da regole, imposte, diritti, ecc..
Milei sembra sperare di trasformare l'economia argentina in un paese pronto a ospitare imprese straniere. Un'alternativa ai paesi asiatici o del centro-sud america alle prese con diversi fattori di instabilità. E' una ricetta lodata dal FMI, che tradizionalmente chiede tagli alla spesa, bassi salari, liberalizzazioni ignorando le conseguenze: stati impoveriti che sprofondano in crisi ancora peggiori, con crescenti sofferenze umane e poche prospettive di sviluppo.