14 dicembre 2018

BCE: fine del QE, anzi no

Mario Draghi ha spiegato che l'acquisto di nuovi titoli da parte della Banca Centrale Europea finirà a fine anno. La BCE smetterà di comprare nuovi titoli di stato e di imprese private per decine di miliardi come sta accadendo da anni, ma userà i soldi finora investiti (oltre 2,5 migliaia di miliardi), reinvestendo le somme che incasserà man mano che i titoli andranno in scadenza.

Insomma cambia poco. I dati dell'economia non sono buoni, lo dicono diversi indicatori economici e lo dice implicitamente la BCE che non alza i tassi anzi prevede che per il resto del mandato di Draghi resteranno fermi. Tutto ciò significa che i risparmiatori continuano a essere prudenti negli acquisti, i soldi non escono facilmente dai conti correnti, i titoli di stato o i bond non si vendono come dovrebbe succedere se tutto filasse liscio.

Quindi la BCE continuerà a investire una somma ingente in titoli di vario tipo senza tuttavia aumentare tale somma. E' un primo passo verso un cambio che sarà lento e graduale. Per ora si smette di far crescere la somma investita in titoli ma non si riduce.

Se la BCE non usasse i soldi incassati (vendendo titoli in scadenza) per comprare altri titoli, i tassi inesorabilmente aumenterebbero più del desiderato e una crescita molto debole rischierebbe di peggiorare ulteriormente.

La decisione della BCE di non procedere a nuovi acquisti può anche essere letta alla luce delle polemiche di questi giorni sul deficit pubblico italiano. L'UE spinge perchè il deficit venga ridotto. Chiede di scendere sotto il 2% mentre il governo puntava al 2,4%.

Se la BCE comprerà titoli in quantità fissa, un paese che aumenta più del previsto il debito pubblico rischia di pagare un interesse maggiore. E visto lo spread che per l'Italia oscilla tra i 270 e i 300 punti base contro i 45 della Francia e i 115 della Spagna, far crescere il debito vuol dire rischiare di più di subire tassi alti, già costati almeno un miliardo di maggiore spesa in 6 mesi di governo.

07 dicembre 2018

Ecotassa

La componente 5 Stelle del governo italiano ha inserito nella manovra per il 2019 un sistema bonus/malus per le auto: chi inquina di più paga di più e si offrono incentivi per auto ibride e elettriche.

E' un provvedimento giustamente molto criticato e poco sensato che rischia di avere effetti negativi sia per l'economia che per l'ambiente.

In passato s'è incentivata la rottamazione, soldi con cui si scontavano le auto nuove, vendute in sostituzione di un'auto vecchia o si tagliava per qualche anno il bollo auto, magari chiedendo al venditore/produttore di praticare un altro sconto.

Il provvedimento serviva a sostituire auto con motori inquinanti (euro 0 o euro1) con motori meno inquinanti (euro 4 o 5) ma anche a stimolare un settore in difficoltà. Le crisi infatti spingono i consumatori a tagliare la spesa per beni durevoli come case, auto, elettrodomestici, rinviando o rinunciando all'acquisto.

Un incentivo in somma fissa, ad esempio 1000 euro ad a auto, aiutava la vendita di auto di piccola cilindrata, solitamente meno costose, permettendo un maggiore risparmio percentuale: se un'auto costa 10 mila euro, uno sconto di 1000 significa un -10% nel prezzo finale, e il 5% se l'auto costa 20 mila euro. Quindi l'incentivo alla rottamazione era anche un aiuto a chi può spendere poco (di solito perchè ha pochi solldi) per acquistare un'automobile nuova.

Questo succedeva qualche anno fa. L'attuale govreno invece punta a incentivare auto elettriche e ibride e tassare le auto più inquinanti. Iniziativa lodevole nelle intezioni ma con alcuni limiti.

Le auto elettriche appartengono a una nicchia di mercato dove i prezzi sono molto elevati. Le case automobilistiche non producono molte utilitarie elettriche anche perchè il costo elevato delle batterie rende impossibile venderle a un prezzo da utilitaria. La Volkswagen Golf elettrica per esempio costa il doppio delle stessa auto a benzina, 40 mila euro.

Un incentivo che arriverà al massimo a 6.000 euro difficilmente sposterà le scelte dei consumatori, soprattutto perché non risolverà le difficoltà di ricarica (in Italia le colonnine per le ricariche scarseggiano) e l'auto elettrica sarà ancora un prodotto di un mercato di nicchia.

Differente è il caso delle ibride, che restano auto con un motore tradizionale e pertanto soggette a sconti inferiori, applicati in ogni caso su automobili che non sono generalmente utilitarie. Il beneficio riguarderà auto straniere e auto mediamente costose, acquistate di solito da chi ha redditi alti.

La conseguenza forse più negativa riguarda però le auto tradizionali. Una tassa calcolata sull'inquinamento può penalizzare in misura maggiore le auto di piccola cilindrata. Un'automobile da 10 mila euro non ha un motore di cilindrata molto inferiore a quella di un'automobile che costa il doppio. Anzi è più probabile che quest'ultima disponga di dispositivi come il turbo che servono a consumare di meno e quindi che inquini di meno.

I margini di guadagno ridotti delle automobili più piccole (e meno costose) rendono inoltre meno probabile che il produttore riduca il prezzo così da compensare l'ecotassa che fnirebbe per essere pagata da chi acquista l'auto, mentre i produttori di auto di maggiore cilindrata o ibride hanno margini di guadagno maggiore e quindi possono evitare di far pagare l'ecotassa al cliente.

Infine la presenza di una ecotassa può avere effetti negativi sugli acquisti da parte di chi vuole sostituire l'auto vecchia e meno ecologica. L'ecotassa disincentiva le sostituzioni di auto vecchie e più inquinanti con auto nuove, mancando l'obiettivo di ringiovanire il parco auto degli italiani, che continueranno a inquinare con auto vecchie.

Insomma il provvedimento del governo rischia di avere effetti controproducenti, di aiutare i produttori stranieri e chi ha molti soldi da spendere.

30 novembre 2018

Paragone, Castelli e Padoan

Ieri sera su La7 mi è capitato di sentire Gianluigi Paragone, un tempo giornalista della Lega e oggi senatore del Movimento 5 Stelle, spiegare che FCA ha fiducia nell'Italia al punto di aver annunciato 5 miliardi di investimenti per la 500 elettrica, la Renegade ibrida e la Jeep Compass da prodursi in Italia (oggi si produce in Messico).

Un giudizio come un altro? No, un giudizio sbagliato. Dove dovrebbe produrre FCA le auto destinate al mercato EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) se non negli stabilimenti disponibili? Produrre in Italia significa tre cose: primo, risparmiare i costi di trasporto rispetto alle auto prodotte in Messico o negli USA; secondo, ridurre i rischi di maggiori costi a causa di variazioni del cambio e per l'introduzione di possibili dazi (la guerra dei dazi di Trump rischia di portare a dazi europei); e, terzo, vuol dire sfruttare gli impianti perchè hanno costi elevati anche se la produzione è ridotta ai minimi termini.

Quindi Paragone confonde una parte (l'Italia) con il tutto (una macro area da cui dipendono le scelte di FCA in Italia) e finge che l'alternativa per FCA all'investimento in Italia sia un investimento in un altro paese, concludendo che se investe in Italia è perchè crede nell'Italia. In realtà per FCA l'alternativa è investire dove ha già impianti o non investire affatto e quindi la scelta non significa fiducia nell'Italia, ma fiducia che il mercato EMEA assorba le auto prodotte.

Lo stesso errore, cioè confondere quello che succede in Italia con quello che succede in un'area più grande, lo ha fatto il Sole 24 Ore da cui  Laura Castelli ha preso una tabella usata per spiegare all'ex ministro Padoan che lo spread non influenza il tasso Euribor e quindi i tassi dei mutui. A quello scambio di battute son seguiti molti articoli che spiegano che la tabella era vera, ma aveva ragione pure Padoan, anzi forse più Padoan della Castelli e quindi che, se anche l'euribor non dipende dallo spread, tuttavia lo spread in aumento significa che prima o poi i tassi sui mutui saliranno.

Poco s'è ragionato sulla tabella del Sole 24 Ore che mette in relazione lo spread italiano (la parte) con un tasso, l'euribor, derivante dalla media dei tassi registrati da 20 grandi banche europee (il tutto). 20 grandi banche, al massimo 2 saranno le italiane, e si tratta di banche grandi mentre nulla si dice delle banche più piccole, che possono invece avere problemi di finanziamento, ovvero possono andare incontro a razionamento del credito o pagare tassi più alti.

Come si può pensare che uno spread  in risalita per effetto quasi esclusivamente di scelte del governo italiano possa influenzare l'euribor? Le due grandezze (spread e euribor) possono al massimo variare per effetto di una terza forza che influenza entrambe, ma non serve molto a capire che difficilmente una delle due causa variazioni rilevanti dell'altra.

28 novembre 2018

Verso la recessione

Qualche giorno fa Ennio Doris, intervistato da La Stampa, ha spiegato che i suoi clienti (Doris ha fondato Mediolanum dopo aver fatto a lungo il promotore finanziario) e amici veneti votano per la Lega, hanno fiducia in Salvini ma non comprano i titoli di Stato.

Come dire che si fidano del Governo quando parla di alcuni temi (sicurezza, immigrazione) ma non sull'economia, tanto che la vendita dei BTP Italia ha deluso le aspettative e molti portano i risparmi all'estero.

Gli italiani sono prudenti, perchè spaventati dallo spread, che in 6 mesi di governo è salito a livelli mai visti negli ultimi 5 anni, e temono effetti collaterali, come un aumento delle imposte per coprire un deficit che nella maggioranza si vorrebbe più grande e nei mercati più piccolo.

Qualche effetto a dire il vero s'è già visto: chi ha in portafoglio i titoli di stato (e lo stesso vale per chi ha azioni) è virtualmente più povero. Se vendesse oggi titoli acquistati un anno fa, incasserebbe meno di quanto ha speso.

Chi ha investito i risparmi in titoli di stato e vuol comprare qualcosa (ad esempio ha la possibilità di acquistare un'auto con lo sconto) o la necessità di usare i soldi (l'auto s'è rotta), rischia di subire perdite cedendo i titoli, e quindi rinvia l'acquisto o spende meno.

Lo spread in aumento e il timore che uno spread fuori controllo significhi più imposte o tagli futuri, spingono i consumatori a essere più prudenti negli acquisti. Se ne stanno accorgendo i commercianti, che da mesi registrano un lento calo delle vendite.

I partiti di governo che negli scorsi anni hanno ferocemente criticato i provvedimenti di Monti in quanto recessivi, dimenticano che il governo dei tecnici nacque da uno spread altissimo causato da un deficit fuori controllo. Si limitano a ricordare le scelte di Monti dimenticando il contesto.

Non hanno imparato la lezione e continuano a ripetere "i mercati capiranno" oppure "gli italiani ci aiuteranno" anche se i dati smentiscono il loro ottimismo.

Invece gli italiani e i mercati la lezione l'hanno capita. Stanno alla larga dai titoli pubblici e riducono i consumi temendo il futuro, con la conseguenza di neutralizzare la manovra: se l'obiettivo del governo è alimentare la crescita. il realismo degli italiani sta facendo rallentare l'economia al punto che diventa probabile una crescita negativa, vale a dire una recessione.


23 novembre 2018

Genova, non solo Morandi

E' di qualche giorno fa la notizia che l'autorità portuale di Genova e Savona ha pubblicato il bando per la progettazione della nuova diga foranea, la struttura che difende il porto e i cantieri navali dalle mareggiate. La nuova diga costerà un miliardo (in parte potrebbe essere pagato da una società cinese in cambio della partecipazione a alcune attività portuali, e sarà spostata al largo di 500 metri rispetto all'attuale, permettendo l'attracco di gigantesche navi porta container.

Genova oltre al porto ha anche il peggiore viadotto, il famoso Morandi crollato in parte il 14 agosto. Crollo che segnala la debolezza delle infrastrutture che collegano il più importante porto italiano con la pianura padana. L'autostrada A7 che va verso Milano è una delle più vecchie d'Italia, al punto che la carreggiata verso sud è la trasformazione di una strada degli anni '30.

Più moderna invece la A26 che da Genova porta verso il confine svizzero, ma è anche un'autostrada con qualche criticità. I viadotti verso Genova son molto alti, in alcuni casi superano i 100 metri, e qualcuno fa paura, al punto che Autostrade ha sospeso i trasporti eccezionali. Una sciagura per le industrie lombarde e piemontesi che possono usare soltanto la A26 per portare i carichi eccezionali al porto di Genova.

A questo si aggiungono i problemi del trasporto ferroviario. Le linee che collegano la Liguria con la pianura, indispensabili per il traffico merci, risalgono a fine '800. Il progetto di un terzo valico, ovvero di una ferrovia aggiuntiva, è in via di lenta realizzazione.

Insomma il porto può crescere purchè non ci siano vincoli. Così funziona l'economia: una crescita potenziale diventa effettiva se non ci sono vincoli. Non basta gioire per una fabbrica che può produrre di più, occorre che non ci siano altri vincoli a fermare la crescita.

Il crollo del viadotto progettato da Morandi è un vincolo in più per l'economia ligure e del nord ovest che utilizza il porto di Genova. Soffrono le industrie, soffrono i servizi legati al porto e ai trasporti, oltre ai cittadini che ogni giorno devono fare i conti con l'assenza di una parte molto frequentata dell'autostrada A10.

I costi del crollo in termini di danni provocati e di calo del fatturato per le imprese e quindi di minori imposte e contributi incassati dallo Stato, dovrebbe spingere il Governo a fare in fretta. Servono investimenti da effettuare in fretta per ricostruire il Morandi e ammodernare ferrovie e autostrade. Una buona alternativa all'impiego di risorse con finalità propagandistiche.

18 novembre 2018

Varoufakis italiani

Sabato 17 il Corriere ha raccontato che il ministro Savona avrebbe confessato ai collaboratori e ai membri del governo che la situazione è peggiore del previsto.

Si aspettava una Commissione Europea più conciliante e si ritrova un'Europa rigida, con il rischio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo causato non da una forte spesa in investimenti, come suggeriva il ministro sardo, ma per finanziare la spesa corrente sotto forma di reddito di cittadinanza, un pò di flat tax e un pò di aggiramento della legge Fornero.

Savona (con il governo) mi ricorda Varoufakis; un economista poco ortodosso che da ministro delle finanze della Grecia assunse un atteggiamento spregiudicato nelle trattative per uno dei tanti salvataggi della Grecia. Varoufakis pensava che i partner europei, spaventati dalle conseguenze di un fallimento della Grecia, avrebbero accettato un accordo più favorevole ai greci. 

Le cose andarono diversamente perchè i finanziatori del debito greco non si fecero spaventare e il governo greco di cui Varoufakis faceva parte pensò anzitutto alle conseguente per il proprio paese in caso di mancato accordo e decise così di cedere alle pressioni della trojka.

A distanza di qualche anno il governo italiano sembra voler imitare le posizioni di Varoufakis. Di Maio e Salvini spiegano che tra pochi mesi la commissione UE in carica sarà un ricordo, ma non dicono cosa potrebbe succedere, lasciando che gli elettori immaginino l'arrivo di una commissione più accondiscendente, che accetti un deficit maggiore.

Probabilmente, però, ciò non accadrà. Un'Europa in cui dovessero trionfare i partiti sovranisti sarà un'Europa più ostile verso l'Italia, come dimostra la richiesta dell'Austria di aprire una procedura contro l'Italia. Saranno meno disponibili a ascoltare le ragioni dei paesi che chiedono di poter violare gli accordi presi, avranno paura che un paese poco virtuoso possa causare danni pure a loro e quindi non vedranno di buon occhio le richieste italiane.

Lo spread sta segnalando da tempo che un braccio di ferro con l'UE partirebbe da posizioni sfavorevoli. Una partita persa prima di giocarla. I ministri politici vorrebbero imitare Varoufakis che puntava a convincere la controparte sbandierando le conseguenze per l'Europa di un fallimento greco, mentre i più responsabili e consapevoli ministri tecnici puntano a non tirare la corda perchè la battaglia, come segnala lo spread a oltre 300 punti, rischia di essere persa prima di iniziare.


13 novembre 2018

Manifestazione Sì TAV

Sabato 10 novembre a Torino s'è tenuta la manifestazione Sì TAV, promossa da 7 donne (dirigenti, libere professioniste) e un ex sottosegretario ai trasporti, il forzista Giachino.

Nel mirino l'amministrazione comunale 5 stelle, guidata da Chiara Appendino, colpevole di immobilismo. E non potrebbe essere diversamente: i 5 stelle in Piemonte da sempre stati contrari alle grandi opere, hanno sbandierato lo spettro del debito eccessivo di Regione e comune di Torino e sollevato il sospetto che le opere pubbliche e buona parte della spesa pubblica siano solo strumenti per difendere interessi, distribuire incarichi a parenti e amici, ecc., insomma per mantenere in vita clientele utili ai partiti.

I manifestanti di sabato ricordano i 40 mila che manifestarono nel 1980, dopo settimane di occupazione della Fiat da parte degli operai, sostenuti dai sindacati, che a migliaia l'azienda in crisi aveva deciso di espellere dalle fabbriche. Era la rivolta di una borghesia insicura e impaurita da una crisi drammatica che rischiava di travolgerne le certezze.

E' assai probabile che molti tra i manifestanti Sì TAV abbiano votato Chiara Appendino, sperando in una svolta positiva, per i propri interessi e per la città. Si son trovati invece una svolta negativa in cui ogni progetto è valutato con timore di fare qualcosa che non coinvolge gli elettori e sprecare denaro pubblico.

Il tutto in un contesto economico negativo, nel quale il PIL rallenta, la spesa per interessi cresce, soprattutto a causa di dichiarazioni poco responsabili dei partiti di governo su deficit e rapporti con l'Europa in senso lato, l'occupazione diminuisce complici le nuove regole sul lavoro, e la locomotiva tedesca dà segni di stanchezza.

Così si chiede di portare avanti la TAV quasi per disperazione, ignorando gli effetti positivi sull'ambiente di un'opera che potrebbe togliere i TIR non solo dalla val di Susa ma anche dalla Val d'Aosta e da altri valichi stradali alpini. Si punta solo alla spesa, che può aiutare un sistema industriale piemontese per il quale la sindaca Appendino sta per chiedere lo stato di crisi.

Insomma non c'è niente di positivo nella manifestazione si sabato, solo paura e ritorno ad un passato che come ricorda Gad Lerner, ha aperto una stagione difficile per Torino.




06 novembre 2018

Senza Euro e con l'emissione di moneta

I sovranisti italiani immaginano un ritorno al 1980, anno in cui non esisteva l'euro e neppure il divorzio tra la Banca d'Italia e il ministero del Tesoro, avvenuto nel 1981.

Supponiamo allora di tornare a quel 1980 e cerchiamo di capire cosa potrebbe succedere nell'economia italiana.

Il divorzio del 1981 si realizzò con la decisione di togliere l'obbligo per la Banca d'Italia di comprare i titoli invenduti alle emissioni di titoli di stato. Tale obbligo consentiva al Tesoro di emettere BOT, CCT, BTP ecc ben sapendo che un compratore ci sarebbe stato. O, in altri termini permetteva allo Stato di spendere di più e collocare i titoli ai tassi stabiliti dal governo.

Viene da chiedersi perché servisse l'obbligo di acquisto dei titoli invenduti. La risposta è che ci si voleva tutelare contro il rischio che alle aste dei titoli di stato la domanda fosse inferiore all'offerta. Ma si voleva anche tenere i tassi e quindi la spesa per interessi a livelli più bassi.

Detta così si potrebbe concludere che il ritorno al 1980 potrebbe essere positivo: lo Stato spende più di quanto consentito dai vincoli europei e dal buon senso, e la spesa per interessi resta sotto controllo, se alle aste dei BOT e del BTP c'è la Banca d'Italia a comprare i titoli invenduti.

Ma c'è un rovescio della medaglia che molti ignorano, anzi più di uno

Se la Banca d'Italia entra nelle aste dei titoli di stato è forse perché mancano i capitali privati? Gli italiani sono grandi risparmiatori e il risparmio supera ogni anno il deficit statale, ma i risparmiatori-investitori non si fidano di titoli che offrono un tasso di interesse troppo basso e sanno che c'è un rischio svalutazione della moneta, quando è emessa in quantità eccessiva.

Quando la Banca d'Italia interviene per comprare i titoli di stato accade proprio questo: la banca emette moneta, più di quanta ne emettono altri paesi, e la moneta si svaluta.

Se dunque tornassimo all'euro e emettessimo moneta ovvero la Banca d'Italia avesse l'obbligo di comprare i titoli di stato al momento dell'emissione, finiremmo per avere un moneta destinata a svalutarsi, con conseguenze negative anche per le imprese.

Se i titoli di stato sono in una moneta che si svaluta, serve un rendimento sufficiente a coprire il rischio di perdite. E questo rendimento sarebbe richiesto non solo allo Stato ma anche a famiglie e imprese che ricevono prestiti.

Allora che senso ha immaginare un ritorno alla lira e soprattutto l'emissione di moneta da parte della Banca d'Italia? Lasciare una moneta che permette di pagare tassi molto bassi, per una moneta che si svaluta e quindi impone tassi alti, appare un suicidio, una mossa politica senza senso.


28 ottobre 2018

La manovra recessiva

Oliver Blanchard (ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale) e Jeromin Zettelmeyer, un economista che ha lavorato alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e per ministeri tedeschi, sul sito de La Voce sollevano parecchi dubbi sulla manovra del governo.

Il governo italiano s'è intestardito sul 2,4% mentre l'UE si aspettava un deficit più basso, l'1,6% destinato a scendere negli anni successivi. Uno 0,8% in più che promette una maggior crescita. Quando? Secondo i due economisti nell'ipotesi più ottimistica lo 0,8% in più potrebbe generare una maggior crescita del 1,2%, ovvero 150 euro di PIL in più per ogni 100 euro di maggior spesa.

Questa è l'ipotesi più ottimistica, che immagina un moltiplicatore pari a 1,5, mentre è più realistico immaginare un moltiplicatore più basso, pari a 1, che garantirebbe una crescita dello 0,8%, cioè 100 euro in più di PIL per ogni 100 euro di spesa in più.

Fin qui sembra tutto positivo: la maggior spesa genera un maggior PIL e si tratta solo di capire a quanto ammonta la crescita.

Però c'è lo spread. Da quando è in carica il governo Conte, lo spread è passato da circa 140 a oltre 300.

Con lo spread che aumenta, cresce la spesa per interessi cresce, la disponibilità di capitali diminuisce, aumenta la spesa per interessi di imprese e famiglie e c'è anche un effetto patrimoniale: il valore delle azioni scende e ciò allontana i capitali dall'Italia e induce una minore spesa da parte di chi subisce perdite in borsa, vale a dire i consumatori ma anche le imprese (le azioni possono essere usate come garanzia di crediti).

L'aumento dello spread -osservano Blanchard e Zettelmeyer- è poi considerato dal governo in modo assai strano: si lascia intendere che lo spread sia indipendente dalle scelte del governo, mentre è chiaro che lo spread cioè il prevalere delle vendite di titoli di stato (con conseguente aumento dello spread) o degli acquisti (con lo spread che diminuisce) dipende in buona misura dalle scelte del governo e dalle dichiarazione dei suoi ministri, come peraltro ha sottolineato Draghi qualche settimana fa.

Il maggior spread ha effetti negativi sul PIL per un importo stimato nello 0,8% del PIL ogni 100 punti di maggior spread. Spread che è salito di 160 punti, per cui l'effetto negativo è di quasi 1,3% del PIL.

Ricapitolando, un deficit del 2,4% del PIL invece del 1,6% provoca nella migliore delle ipotesi una maggior crescita del 1,2% e dello 0,8% nella peggiore ma più realistica, mentre l'aumento dello spread fa calare il PIL di quasi l'1,3%.

Quindi il 2,4% di deficit, salutato dai grillini come un successo politico senza precedenti, rischia di provocare un peggioramento del PIL compreso tra lo 0,1 e lo 0,5% del PIL.

Insomma lo 0,8% di maggior deficit voluto a tutti i costi e celebrato come una vittoria del popolo rischia di diventare un problema per l'economia italiana.
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Si ringrazia Francesco Cuccuini per la segnalazione


24 ottobre 2018

Quota 100

Negli scorsi anni uno dei cavalli di battaglia dei partiti che oggi governano è stato il contrasto alla legge Fornero. Legge che alzando in modo brusco l'età della pensione, ha creato problemi ai cosiddetti esodati (persone che son state spinte dalle aziende a dimettersi per andare in pensione) che all'improvviso si son trovati senza lavoro e senza pensione. E anche senza la possibilità di andarci in tempi brevi.

La Lega ha cavalcato quota 100 cioè la possibilità di andare in pensione quando la somma dell'età e degli anni di contributi pensionistici raggiunge o supera 100.

Alzare l'età pensionabile produce effetti molto positivi per i conti dell'INPS. Ogni anno di lavoro in più vuol dire un maggior incasso di contributi pensionistici e minore spesa per pensioni, quindi un vantaggio doppio per i conti. Quota 100 significa invece che l'INPS deve erogare una pensione e rinunciare a incassare contributi, di solito di importo inferiore alla pensione erogata.

Per cui "quota 100" crea un buco nei conti che il governo dovrebbe coprire. Se un lavoratore va in pensione 5 anni prima lo Stato dovrebbe versare i soldi dei mancati contributi versati e 5 anni di pensione.

Invece pare non andrà proprio così: chi andrà in pensione prima con quota 100 vedrà l'assegno tagliato. Cos ache fa pensare che i soldi per permettere quota 100 andranno a coprire solo il mancato incasso dell'INPS e non la maggiore spesa per l'erogazione delle pensioni.

Se l'assegno pensionistico diminuisce per chi userà quota 100?

E' probabile che il ricorso a quota 100 alla fine riguarderà solo chi ha un buon motivo per accontentarsi di un assegno più basso, come ad esempio i lavoratori vicini alla pensione che hanno perso il lavoro o si trovano in imprese in crisi destinate a chiudere. Meglio una pensione più bassa di nulla.

Gli altri, come i dipendenti pubblici invece diranno no a quota 100. Se accettassero ci sarebbe un problema in più per lo Stato: una parte dei lavoratori andrebbe sostituita e lo Stato dovrebbe erogare i trattamenti di fine rapporto, ulteriore esborso di decine di miliardi.

Non è detto infine che mandare a casa quasi mezzo milione di lavoratori in anticipo voglia dire assumerne altrettanti giovani. Ma questo è un altro discorso, che influisce però sui conti dell'INPS e dello Stato.


16 ottobre 2018

Gli italiani speculano sull'Italia?

I politici a corto di argomenti economici son soliti ricordare che gli italiani sono, nel loro complesso, ricchi, molto ricchi. In rapporto al PIL siamo più ricchi di alcuni paesi europei. Vien da dire grazie all'evasione che ha fatto crescere il debito pubblico, ma non è questo che mi interessa.

I dati sulla ricchezza vengono tirati in ballo quando si parla di debito pubblico: c'è molta ricchezza -suggeriscono i politici- che andrebbe considerata quando si parla appunto di debito. Si sottointende o si lascia credere che la ricchezza privata e il debito pubblico si compensino, quasi che fosse scontato che gli italiani debbano comprare i bot o come se la ricchezza dei privati fosse una specie di garanzia del debito pubblico.

Eppure debito pubblico e ricchezza privata son due cose diverse. La grande ricchezza privata non finanzia a qualsiasi condizione il grande debito pubblico. I privati comprano e vendono bot, cct, ecc.come qualunque altro investitore. Lo provano i dati di Bankitalia, ricordati oggi da Federico Fubini, il miglior giornalista economico del Corriere.

Fubini racconta che ad agosto le banche italiane hanno venduto titoli di stato italiani per circa 9 miliardi dopo averne comprati per quasi 30 a prezzi scontati, ovvero quando le incertezze politiche hanno fatto salire lo spread e scendere i prezzi.

Insomma le banche investono o disinvestono come tutti. Certo le banche italiane possono decidere di avere uno occhio di riguardo verso i titoli di stato italiani, ma non sono felici di subire perdite causate da scelte politiche che fanno salire lo spread. Se questo sale, le banche italiane possono decidere di vendere almeno in parte i titoli di stato, per ricomprarli successivamente, a un prezzo inferiore.

Le banche italiane quindi partecipano come le banche e i fondi stranieri al grande gioco della speculazione e, come altri soggetti, cercano di evitare le perdite.

E' bene quindi non credere troppo a chi contrappone al debito pubblico il grande risparmio degli italiani come se una sola mente potesse usare la ricchezza degli italiani per finanziare i debiti degli stessi (tramite lo Stato). Chi lo dice vi inganna o semplicemente immagina scenari che non è detto si possano verificare.


12 ottobre 2018

Tutta colpa della FED?

Le ultime due sedute della borsa americana hanno visto l'indice Dow Jones scendere del 5%, come il NASDAQ, l'indice dei titoli tecnologici, provocando l'ira del presidente americano Donald Trump.

Il calo si deve sicuramente alla presenza di titoli sopravvalutati. La borsa ha creduto in Trump, nelle promesse di meno imposte e più crescita e i valori sono cresciuti. E' quasi naturale che in questi casi arrivi prima o poi il momento di un calo, anche forte. Tra le cause scatenanti i rialzi dei tassi a opera della FED.

La banca centrale americana sta facendo risalire i tassi. L'economia americana va a gonfie vele. Cresce il PIL, le imprese investono, la disoccupazione è sotto il 4%, Trump ha tagliato le imposte facendo accelerare la crescita e causando un incremento del debito pubblico.
In altre parole, ci sono tutte le condizioni per un rialzo dei tassi, scongiurando il rischio di inflazione e di eccessiva crescita degli investimenti e soprattutto del debito.

A Trump che parla di una economia americana vittima delle scelte europee e asiatiche tutto ciò non piace e attacca la FED. Vorrebbe continuasse a tenere i tassi bassi perchè sa che i rialzi porteranno ad un incremento della spesa per interessi, con conseguente necessità di tagliare la spesa e/o aumentare le entrate.

Anche lui, come il governo italiano, pensa che in economia ci possano essere solo vantaggi dalla propria politica economica. Rischia di imparare a proprie spese che invece esistono anche gli svantaggi, segnalati e contrastati per fortuna dalla Banca Centrale americana.


06 ottobre 2018

L'anno che verrà - Il reddito di cittadinanza

Primo articolo di una serie che spero (per ragioni di tempo, la fattura elettronica incombe...) di riuscire a pubblicare prima della fine dell'anno sulle misure contenute nella finanziaria per il prossimo anno. In questi articoli cercherò di esaminare i provvedimenti facendo ogni sforzo per rimanere il più possibile obiettivo.

Primo articolo sul reddito di cittadinanza.

Trattando il reddito di cittadinanza non si può fare a meno di partire dalla filosofia del provvedimento, che, nelle intenzioni degli estensori sarebbe di combattere la povertà. Innanzitutto bisogna premettere che c'è già in Italia un provvedimento in questo senso: il REI (Reddito di inclusione), come spiegato qui sul sito dell'INPS. Si tratta di un provvedimento assolutamente minimale per poveri assoluti (quindi ben al di sotto della soglia di povertà relativa) per i quali sono previsti relativamente pochi fondi (circa 2 miliardi di Euro, comunque). Quindi una scelta logica sarebbe stata di potenziare il REI ampliandone gradualmente beneficiari e fondi. Il REI viene gestito non dai centri dell'impiego, ma dai servizi sociali dei comuni.

Il reddito di cittadinanza, invece, sarà gestito dai centri dell'impiego, ragguagliando il reddito dei richiedenti a 780 €/mese e in contropartita bisognerà eseguire lavori socialmente utili per i comuni di residenza e accettare le offerte di lavoro "congrue" e non troppo distanti dall'abitazione. Inoltre verrà erogato su bancomat e potrà essere speso solo per determinati beni, anche se attualmente non si sa né chi né come saranno fatti i controlli ex post.

Quindi il reddito di cittadinanza non si propone di essere semplicemente un sussidio, ma presuppone il reinserimento nel tessuto lavorativo del soggetto richiedente. E' interessante notare che, pure essendoci nella storia del nostro paese cassa integrazione per disoccupati (prima, poi sostituita dalla NASPI, ora pare resuscitata...) mai si è pensato a un tale sussidio universale e forse sarebbe bene chiedersi "perché?".

Iniziamo l'analisi.

In Italia la disoccupazione e la povertà non sono uniformemente distribuite, così come l'occupazione. Innanzitutto non è detto che tutti cerchino lavoro: se non lavoro e non lo sto cercando, non sono disoccupato, ma semplicemente "inoccupato", ecco una mappa tratta da "Repubblica"
. Poi, è interessante anche quella della disoccupazione:
e infine quest'altra interessante mappa sul lavoro "nero":
.

Dalla sovrapposizione di queste mappe si evince chiaramente che quello della disoccupazione in Italia non è un problema generalizzato, ma un problema enorme del mezzogiorno: si va dall'estremo di alcune province del nord in piena occupazione (anche oltre la piena occupazione) a province del sud con disoccupazione vicina al 30%, altissimo numero di inoccupati e altissima incidenza del lavoro nero.

La prima considerazione ovvia è che il reddito di cittadinanza è una misura essenzialmente per il sud d'Italia, dove sono evidenti i seguenti rischi:

1. Cosa impedirà a chi ora lavora "in nero" di percepire anche il sussidio? I richiedenti saranno concentrati nel sud d'Italia quindi come controllare? Quanti controllori serviranno? Ricordiamoci che le "manette" minacciate sono difficilmente attuabili: si pensa davvero di riuscire a fare centinaia di migliaia di controlli e mandare in galera (per 6 anni... ohibò... nemmeno per omicidio colposo...) migliaia e migliaia di persone?

2. I richiedenti dovrebbero ricevere 3 offerte dai centri dell'impiego compatibili con le proprie abilità, da ciò si desume che i centri dell'impiego agiranno su base provinciale (o regionale). Ma come potranno arrivare 3 offerte da regioni dove attualmente si arriva oltre il 20% di disoccupazione e non ci sono aziende che assumono (tecnicamente manca la domanda di lavoro). Se già ci fosse un unico centro per l'impiego nazionale allora forse le cose andrebbero un po' meglio, ma comunque si dovrebbe mettere un conto un consistente flusso di migrazione da sud verso nord.

3. Come riformare i centri per l'impiego perché offrano formazione e offerte di lavoro? E' evidente che il problema sarà massimo al sud, dove però non ci sono imprese che assumono. I centri per l'impiego rischiano di diventare dei centri per il sussidio.

4. Chi si prenderà la responsabilità di revocare il sussidio se il beneficiario non risulterà "degno" (magari ha comprato un pacchetto di sigarette: un acquisto "immorale") o un domani se non ci dovessero essere più risorse per finanziarlo? Che forza politica potrà eliminarlo una volta che una vasta platea di soggetti ci farà conto per campare?

5. Che lavori "socialmente utili" dovranno svolgere i beneficiari? Dalle intenzioni dovrebbero essere i comuni a organizzarli. Ma se i beneficiari fossero migliaia e migliaia, cosa gli si farà fare? E chi controllerà, organizzerà e verificherà tutto ciò? Magari serviranno altri dipendenti comunali per organizzare i lavori socialmente utili. Inoltre le aziende che svolgevano quei lavori, che fine faranno? Magari saranno costrette a chiudere e a licenziare i dipendenti e che fine faranno questi disoccupati? Ah, dimenticavo, chiederanno il reddito di cittadinanza... facile, no?

6. Cosa impedirà di tramutare tutti gli inoccupati in disoccupati, cioè di tramutare la quieta casalinga (ci perdonino per l'esempio...) in un'assatanata disoccupata richiedente il reddito di cittadinanza?

Ci sono esempi in giro per il mondo? Beh, ne riporto uno qui (dal sussidiario.net):

29 settembre 2018

Strana esultanza per il deficit

Nelle pagine social di molti sostenitori dei Movimento 5 Stelle circola l'immagine che vedete. Si rimprovera ai mass media di non aver attaccato i governi precedenti, anzi un partito, per i deficit passati.

E' un modo per allontanare l'attenzione da una scelta del governo che i mercati non hanno gradito. Il governo ha spiegato infatti che il debito pubblico nei prossimi 3 anni salirà di circa 100 miliardi più del previsto e il deficit resterà al 2,4% del PIL, interrompendo il percorso virtuoso che si può capire facilmente leggendo i dati nell'immagine. 

I mercati hanno reagito male alla notizia che l'Italia rinnega gli accordi precedenti e hanno venduto i titoli di stato italiani e le azioni, facendo salire lo spread a 269 (40 punti in più). E' una bocciatura più grave di quella dei tg, dei giornali o dei social, perchè uno spread che sale significa maggiore spesa per interessi. 40 punti ovvero uno 0,4% in più, con un debito di oltre 2300 miliardi vogliono dire oltre 9 miliardi di spesa per interessi, cifra che peggiora se teniamo presente che 2 marzo ovvero l'ultimo giorno di campagna elettorale, lo spread era 140, praticamente la metà dell'attuale.

L'ha detto Draghi qualche settimana fa: i politici italiani al governo hanno fatto danno e la misura oggettiva è la risalita dello spread e il calo della borsa, fattori che causano una maggior spesa per interessi dello Stato ma anche di famiglie e imprese.

Ministri competenti e prudenti avrebbero aspettato a festeggiare e eviterebbero di accusare altri partiti di aver fatto deficit minori.

28 settembre 2018

A pensar male....

A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca, diceva perfidamente Giulio Andreotti.

Oggi per la terza volta in pochi mesi lo spread corre verso quota 300 mentre la borsa ha toccato qualche ora fa un preoccupante - 4,6%, con le azioni delle due principali banche italiane che perdono oltre l'8% e una perdita di valore dei titoli posseduti dallo Stato di oltre 1 miliardo.

Colpa dell'aggiornamento di un documento economico che stabilisce un deficit del 2,4% l'anno per i prossimi 3 anni, rinnegando gli accordi presi in precedenza con l'UE sul deficit.

I mercati l'hanno presa male, malissimo, come era già successo a maggio quando parevano fallire i tentativi di fare un governo e poi a agosto, di fronte a affermazioni dei ministri desiderosi di soddisfare gli elettori sforando i limiti al deficit.

La nascita del governo e affermazioni tranquillizzanti hanno poi spinto verso il basso lo spread e verso l'alto i valori in borsa. Almeno fino a ieri, quando è parso chiaro che avrebbero prevalso le spinte per soddisfare le richieste dei partiti di governo, a scapito del deficit.

A questo punto è chiaro a tutti cosa si aspettano i mercati e come reagiscono. E' chiaro che le affermazioni di Di Maio che s'è detto sicuro di convincere i mercati sono parole al vento, è evidente che alzare il deficit vuol dire alzare lo spread e quindi la spesa per interessi, peggiorando ulteriormente i conti pubblici.

Meno chiaro è la ragione di scelte dall'esito scontato. Una ipotesi che si può fare è che si vogliono illudere gli elettori, magari con tanto di festa sotto il balcone di Palazzo Chigi, per poi spiegare che se certe promesse non si possono mantenere dipende da altri.

Ma viene anche il sospetto che dietro ci sia una regia: qualcuno potrebbe dirigere il gioco delle dichiarazioni, rassicuranti e allarmanti per i mercati, per realizzare grandi guadagni sui mercati finanziari.

A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca, come diceva Andreotti.


16 settembre 2018

Lehman, un ricordo personale

I 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers mi spingono a raccontare un episodio accaduto diversi anni prima. Dovevo sostenere un esame e nel libro di testo un paragrafo afferma che, se si privatizzano le banche, è bene che si pongano limiti al possesso di quote di azioni di banche da parte di imprese industriali.

Non capendo il motivo decido di chiederlo al professore, autore del libro di testo. La spiegazione è che se la banca è indipendente, può spingere l'impresa a fare scelte anche drastiche per ridurre e eliminare le perdite, mentre se una impresa (grande) controlla una banca può persistere nell'errore che genera perdite perchè si fa finanziare dalla sua banca.

In caso di fallimento dell'impresa, la banca subisce perdite, e magari fallisce. Ma le banche si prestano soldi tra loro, così il fallimento di una banca può coinvolgere altre banche che a loro volta potrebbero fallire o, nella migliore delle ipotesi, potrebbero subire perdite e di conseguenza ridurre il credito a famiglie e imprese.
La crisi di una impresa può quindi per provocare danni molto più grandi se la banca è posseduta da una impresa. Di qui la necessità di limiti al possesso di azioni di banche da parte delle imprese.

Di questa spiegazione mi sono ricordato la sera del 14 settembre 2008, alla notizia che Lehman Brothers non sarebbe stata salvata. Mi era chiaro che il fallimento avrebbe coinvolto altre banche, molto meno che la paura del fallimento avrebbe creato una sfiducia generalizzata con conseguente fuga di capitali, vera causa della crisi come ricorda in questi giorni Ben Bernanke, ex numero uno della FED.

La maggiore consapevolezza delle dinamiche della crisi dovrebbe mettere in allarme chiunque, conoscendo un pò di economia, continua a sostenere tesi assurde come l'uscita dall'euro e spingerli a bollare come pericolosa fantasia tale ipotesi.

12 settembre 2018

Lehman, 10 anni fa

10 anni fa, lunedì 15 settembre, falliva Lehman Brothers e iniziava la crisi più pesante dopo quella degli anni '20 dello scorso secolo.

Come si è arrivati al fallimento?

La crisi dei mutui subpime è iniziata oltre un anno prima, quando hanno iniziato a scendere i valori degli immobili negli USA. Una bolla immobiliare teneva in piedi un sistema squilibrato, fatto di consumi esagerati rispetto ai salari modesti, colpa delle politiche economiche conservatrici che hanno stimolato comportamenti predatori.

I consumatori impoveriti compravano case ricevendo credito garantito dalla crescita dei valori immobiliari, concesso da banche che si finanziavano emettendo titoli complicatissimi.

Quando la bolla immobiliare è scoppiata, sono crollati i valori di quei titoli complessi e, di fronte al rischio che le banche -soprattutto alcune- perdessero enormi somme, i depositati hanno iniziato a chiudere i conti e cercare di salvare il salvabile.

Il fallimento di Lehman è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: se fino a quel momento molti erano spaventati e temevano perdite, da quel giorno è stato il terrore a prevalere e solo ingenti interventi delle banche centrali e degli stati hanno permesso al sistema di non crollare con effetti ancora più drammatici.

Sarebbero bastate somme tutto sommato modeste per salvare Lehman, ma la ricerca di una soluzione di mercato lo ha impedito. Eppure nessuno ha imparato la lezione e in 10 anni abbiamo visto il dramma della Grecia, gli interventi per aiutare o salvare paesi come Portogallo o l'Irlanda, i provvedimenti per tamponare la crisi dello spread in Italia, le infinite inutili polemiche sulle banche salvate o aiutate.

Nel frattempo non dappertutto l'economia ha recuperato il terreno perso e, dove è successo, in molti hanno pagato un prezzo molto caro per la gioia di partiti nazionalisti, xenofobi, egoisti che paiono la brutta copia di chi guidava malissimo l'economia nei primi anni 2000.

26 agosto 2018

ILVA

Gara illegittima ma non annullabile perchè l'ILVA non si vende facilmente. Si potrebbe sintetizzare così la conferenza stampa di Luigi Di Maio sul parere chiesto all'avvocatura dello Stato sulla gara per l'assegnazione dell'ILVA (parere per ora non reso pubblico).

Non entro in questioni giuridiche, anche se sarebbe facile sottolineare le contraddizioni del ministro che da studente di giurisprudenza almeno il significato delle parole potrebbe farselo spiegare. La questione economica invece è chiara e tutto sommato semplice.

Il governo precedente ha fatto un bando per vendere l'ILVA e ha vinto una cordata. L'altra cordata di imprese realmente interessata all'acquisto, una volta sconfitta ha acquistato altre acciaierie (le ex Lucchini) e quindi non è più interessata all'ILVA.

Resta un unico potenziale acquirente, che ha un enorme potere: se Di Maio decidesse di annullare la gara, l'unico acquirente potrebbe anche tirarsi indietro o acquistare a condizioni diverse, magari meno gradite dal Governo.

Governo che vorrebbe un impegno dell'acquirente a assumere un maggior numero di lavoratori e teme la piazza, cioè le proteste di chi resterà senza lavoro.

Per annullare una gara e ricominciare da capo servono soldi, perchè l'ILVA è in perdita e finchè non si trova un acquirente è lo Stato a pagare, e soprattutto un altro acquirente. Se non lo trovano, conviene non rischiare e tenersi l'acquirente uscito dalla gara.

Si spiegano così le affermazioni di Di Maio sulla gara che non si può annullare anche se illegittima: in realtà il ministro vuol dire che se non si trova un altro acquirente non c'è molto che lui possa fare, salvo cercare di dare la colpa ad altri. Sperando che chi perderà il posto accetti le sue parole e non protesti troppo.

14 agosto 2018

Disastro annunciato

Di fronte al ponte crollato a Genova rileggetevi l'articolo del 2012, con la foto del ponte Morandi sulla val Polcevera

http://www.econoliberal.it/2012/11/perche-e-difficile-credere-nella.html

Ci spiegheranno poi i no-tutti (tav, terzo valico, gronda ecc) come la pensano.

13 agosto 2018

Di Maio sullo spread

Trovo molto gravi le parole di Di Maio al Corriere: "se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo sappia che non siamo ricattabili. Non è l'estate del 2011 e a Palazzo Chigi non c'è Berlusconi, che rinunciò per le sue aziende"

Gravi perché confonde pericolosamente l'interesse di una persona o di un gruppo di persone (partito o movimento) con gli interessi dell'Italia.

La speculazione colpisce dove c'è un problema. Se, come accade in Turchia, c'è un elevato tasso di inflazione e la banca centrale tiene troppo bassi i tassi, lo speculatore pensa che prima o poi la moneta è destinata a svalutarsi e scommette su questa possibilità.

Il politico può invocare il complotto o un intervento divino ma non può nulla contro uno squilibrio perché lo speculatore capisce che il prezzo di un'azione, un cambio tra due monete, un tasso di interesse, prima o poi si modificheranno.

E' stato così nel 1992 con la svalutazione della lira italiana: c'erano le condizioni (la lira era una moneta debole di una economia con più inflazione e conti pubblici disastrosi) perchè accadesse ed è successo.

Il politico può pensare per tempo a tenere a posto i conti e a fare politiche economiche che rafforzino l'economia o, in Italia, a allontanare le ipotesi si uscita dall'euro. In caso contrario lo speculatore fa il suo mestiere e si ferma solo se esiste una istituzione come la BCE con somme a disposizione talmente grandi da sconfiggere lo speculatore.

Di Maio sembra pensare che lo speculatore voglia imporre agli italiani misure economiche sgradite, come nel 2011 con il governo Monti, e che lo faccia attraverso il ricatto del politico. Per cui politici non ricattabili finirebbero per non imporre nulla.

Purtroppo non ha capito che le misure di Monti furono la conseguenza di errori fatti dal governo Berlusconi che rimase fermo di fronte a conti pubblici in peggioramento e pertanto stimolò la speculazione a vendere i titoli di stato italiani facendo salire lo spread. Senza le scelte di Monti il problema sarebbe rimasto, per la gioia degli speculatori, e alla fine il conto per gli italiani sarebbe stato più salato. Di Maio non lo capisce (o finge di non capirlo), rischiando di creare grossi problemi agli italiani.

25 luglio 2018

Marchionne

Sergio Marchionne che n'è andato suscitando molta emozione, qualche pessimo commento di chi lo detestava e di chi ha cercato di cavalcarne i meriti (per esempio Di Maio che dice avrei voluto parlargli di auto elettrica...come dire insegnerei a Ronaldo come si gioca a calcio) e una infinità di aneddoti e giudizi sui mass media. Si legge dei maglioni, delle battute, degli scontri con i sindacati, della Fiat portata all'estero. Aspetti interessanti ma che non riguardano la sostanza delle cose, alla quale invece Marchionne era collegato come tutti i grandi capitani di impresa.

Io son sempre stato dalla sua parte, ho scritto diverse volte giudizi positivi su ciò che accadeva in Fiat/FCA negli anni di Marchionne e qualche volta mi son sentito chiedere il perchè.  Ebbene la ragione è semplice: credo che Marchionne fosse molto compente, uno che ha studiato e capito molto meglio di altri l'argomento senza per questo giocare a fare il primo della classe.

Quando si leggevano o sentivano ipotesi azzardate (mi viene in mente questa: Giannino su Alfa Romeo ) pensavo: cosa avete studiato o meglio cosa avete finto di studiare per arrivare a spararla così grossa? 

Ecco, userò rischio con Marchionne non esisteva, non avrebbe mai elaborato ipotesi simili, assurde perchè contrarie a qualunque lezione economica oltre che al buon senso. Se vogliamo ricordarlo usiamo pure gli aneddoti. Son facili da ricordare, stimolano. Ma ricordiamoci anche che era molto competente, capace di andare alla sostanza delle cose come pochi altri. Qualità rara nel nostro paese.

20 luglio 2018

L'Alitalia di Toninelli

Pare che la principale preoccupazione del governo, o almeno della componente 5 Stelle del governo sia non scontentare nessuno. Lo dimostra il ministro dei trasporti Toninelli che vuol tenere nelle mani dello Stato la maggioranza di Alitalia, dichiarando che la compagnia area deve finire nelle mani di chi pensa a far volare gli aerei, che c'è "cassa", che si supereranno le norme dell'Unione Europea che vietano gli aiuti di Stato, gli stessi che permettono di dire che c'è cassa cioè soldi con cui pagare il carburante (se non paghi subito gli aerei restano a terra).

A Toninelli andrebbe chiesto come si fa a salvare una compagnia che produce perdite da troppo tempo ed è piccola in un mondo in cui i fallimenti di compagnie aeree sono all'ordine del giorno è anche i colossi non se la passano tanto bene perchè la concorrenza è spietata.

Bisognerebbe anche chiedere cosa avessero in mente i vari capitani coraggiosi guidati da Colaninno che hanno perso soldi prendendosi Alitalia oppure le compagnie aeree che hanno fatto offerte per parti della compagnia aerea italiana: non facevano volare gli aerei? Non hanno perso soldi?

Toninelli non vuol spiegare ai lavoratori di Alitalia che il loro futuro non è nella compagnia aerea, indica la mala gestione come causa di tutti i mali come se Alitalia fosse quella di un tempo, un monopolista che fa pagare centinaia di euro per un volo Milano-Roma.

Purtroppo per lui non è così, Alitalia da sola continuerà a subire perdite e quindi resta una domanda: se anche l'UE non avesse nulla da dire su una Alitalia al 51% in mano allo Stato, chi comprerà il 49% di una società spdestinata a accumulare perdite?

15 luglio 2018

Milan

Aggiorniamo la situazione del Milan di cui avevamo scritto oltre un anno fa http://www.econoliberal.it/2017/04/milan.html

Mr Li ha perso il controllo del Milan per non aver versato 32 milioni, dopo avere pagato a Berlusconi diverse centinaia di milioni e essersi fatto prestare dal fondo Elliott centinaia di milioni pagando un tasso di interesse superiore al 10%. Com'è possibile?

I fatti suggeriscono che dietro agli avvenimenti degli ultimi 2-3 anni ci sia la regia dell'ex proprietà: Li è stato sempre affiancato da uomini legati a Fininvest cioè a Berlusconi e oggi per la presidenza si candida PaoloScaroni, da sempre legato all'ex cavaliere. Li, che ha pagato con fondi provenienti da paradisi fiscali, sollevando molti dubbi sui veri proprietari del Milan, non s'è mai comportato da proprietario. Mai un'intervista, un progetto, una trattativa con acquirenti, un progetto di ristrutturazione di una società di calcio che perde molti soldi.

Per cui è plausibile che Li fosse solo una pedina di un gioco più grande, il cui obiettivo era far tornare in Italia fondi su conti esteri senza rivelarne il vero proprietario, usando due persone senza troppa credibilità per cercare di salvare la faccia (sportiva) comprando Bonucci e molti altri giocatori mentre sarebbe stato più sensato spendere poco per risistemare i conti. Un vero proprietario l'avrebbe fatto: con conti a posto avrebbe trovato credito presso le banche e si sarebbe liberato delle clausole del contratto con Elliott.

Un finto proprietario poteva solo eseguire un copione scritto da altri, consegnando il Milan a Elliott e a dirigenti che non muovono un dito senza il consenso di Fininvest.

Cosa succederà adesso?

Si possono fare due ipotesi. La prima è che Elliott cerchi un acquirente, dopo essersi assunto i debiti della società, vero prezzo della stessa pagato a Fininvest. La seconda è che torni in campo Berlusconi,  spiegando che non finanzierà più il Milan come un tempo, forte di qualche annata pessima che convincerà i tifosi che è meglio un Berlusconi che non spende di avventurieri che promettono vittorie ma poi ti lasciano in mutande.

07 luglio 2018

Pensioni, come funzionano - 1

Come funzionano i sistemi pensionistici?

Esistono due sistemi per erogare le pensioni, il sistema a capitalizzazione e quello a ripartizione.

Nel sistema a capitalizzazione il lavoratore o l'impresa per conto del lavoratore versa i contributi a un fondo pensione che investe i capitali ricevuti ed eroga la pensione, il cui ammontare dipende dalla somma dei contributi versati, dal rendimento degli stessi (investiti in azioni, obbligazioni ecc), dall'età di pensionamento vale a dire dal numero di anni in cui il lavoratore riceverà i contributi.

Più si paga, più breve è il periodo di erogazione della pensione (che dipende dall'età del pensionamento e dalla durata media della vita), più alto è il rendimento dei soldi investiti, maggiore sarà l'assegno pensionistico.

Questo sistema pensionistico ha indubbi vantaggi: non grava sulle casse dello Stato, almeno in linea di principio, perché ognuno incassa i soldi che ha versato più gli interessi maturati; stimola il risparmio, rende disponibili grandi capitali per gli investimenti in attività produttive o per l'acquisto di titoli di stato, contribuendo in tal modo al buon funzionamento dell'economia e infine stimola politiche economiche responsabili: uno Stato che stimolasse l'inflazione o spendesse troppi soldi per ascoltare richieste populiste causerebbe una perdita ai futuri pensionati.

Naturalmente ci sono anche dei rischi. L'assegno pensionistico può essere troppo basso perché il pensionato ha versato troppo poco oppure perché il fondo pensione ha subìto perdite, come successo soprattutto con i fondi americani che avevano investito in azioni crollate con la crisi.

In questi casi lo Stato può essere costretto a intervenire a sostegno delle pensioni basse. Interviene in ogni caso per rendere obbligatorio il fondo pensione, ben sapendo che molto spesso il lavoratore da giovane non pensa alla pensione e quindi si può trovare diversi decenni dopo a godere di un assegno pensionistico basso.

Lo Stato -come capiremo meglio nella seconda parte- deve anche pensare alle pensioni di chi non ha versato contributi pensionistici perché non obbligatori, e a chi è stato espulso dal lavoro.

03 luglio 2018

La Disneyland del sottosegretario Siri

Il sottoseretario leghista Siri, vero ispiratore della flat tax, spiega le sue idee economiche degne più del fantasioso mondo di Disneyland che di un governo serio.

Per fare quello che hanno promesso, servono 70 miliardi, di cui 50 per la flat tax e il resto per avviare il reddito di cittadinanza e l'abolizione della legge Fornero. Ovvero le promesse potrebbero costare di più ma per adesso si accontentano di iniziare, poi si vedrà.

70 miliardi corrispondono a più del 4% del PIL, quasi tutti da reperire visto che Siri invoca un allentamento dei vincoli sul rapporto deficit/PIL ma solo per portare il rapporto al 2,6-2,7%.

La principale fonte di finanziamento è un condono, ovvero dovrebbero pagare, secondo Siri, aziende e persone che non hanno potuto pagare. Il sottosegretario pensa infatti che la maggioranza dei casi di evasione riguardino aziende e persone che non paga per necessità.

Ma l'ipotesi di Siri (non si paga per necessità) pone due problemi.

Il primo è che se l'impresa non ha pagato per necessità, è difficile che disponga dei soldi necessari per aderire al condono. Non è neppure probabile che le banche prestino all'impresa in difficoltà i soldi per pagare. C'è quindi il rischio che il condono porti pochi soldi allo Stato, vanificando l'obiettivo di recuperare i mancati introiti derivanti dalla flat tax.

Il secondo è che, per lo stesso motivo, il beneficio della flat tax in termini di consumi e investimenti possa essere minimo perchè una parte almeno del risparmio di imposte sarà usato per pagare le imposte e per alimentare i risparmi. Chi ha vissuto un periodo di difficoltà è poco propenso a spendere i soldi risparmiati grazie alla flat tax, mentre preferirà essere prudente e tenere i soldi per il futuro.

Per Siri la flat tax sarà finanziata con un aumento di consumi, investimenti e PIL. Ipotesi suggestiva ma debole, sia per i motivi detti pirma, sia perchè è dubbio che i consumatori spendano il "regalo" fiscale. E' invece verosimile che i consumatori siano frenati dalla previsione di imposte future o anche solo dal reddito elevato di alcuni. Chi ha un reddito elevato tende a spendere una percentuale più basse del proprio reddito rispetto a chi ha un reddito basso, e quindi che la flat tax faccia salire i consumi al punto di compensare le minori entrate fiscali è più che dubbio.

Inoltre la maggior spesa finirà in parte nell'acquisto di beni di importazione con benefici scarsi per le produzioni italiane e per l'occupazione.

Un'altra preoccupazione di Siri è lo spread che pensa sia causato dalle banche straniere che gestiscono il risparmio degli italiani. La soluzione sarebbe emettere titoli di stato riservati a un pubblico di italiani.

E' bene ricordare che le incertezze post voto del 4 marzo hanno fanno salire lo spread perchè son prevalse le vendite di titoli di stato italiani e hanno indotto i risparmiatori a portare all'estero decine di miliardi. Perchè mai in questo contesto, i risparmiatori italiani dovrebbero comprare titoli di stato riservati agli italiani a un tasso basso?

Siri forse pensa che i risparmiatori siano manipolati dalle banche? L'idea che qualcuno possa comprare titoli con un rendimento inferiore a quello offerto dal mercato ricorda qualche iniziativa dei tempi del fascismo, cosa ridicola in un mondo dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce.

Per indurre gli italiani a comprare titoli del debito pubblico servono sicurezze (politiche, economiche) che l'avventura della flat tax non può offrire.

28 giugno 2018

Calcio estivo

Il Milan fuori dalle coppe per un anno. Così ha sentenziato l'Uefa, che ha punito gli ultimi bilanci negativi della squadra milanese. Per iscriversi alle coppe, le società calcistiche non devono superare alcuni limiti nelle perdite e dimostrare che in futuro i conti andranno a posto.

Il Milan invece oltre alle perdite, ha spiegato che i ricavi da sponsorizzazioni e eventi in Cina raggiungerà in pochi anni livelli incredibilmente alti. Una somma così grande (5 volte gli incassi previsti dal Barcellona) che nessuno ci crede.

Come se non bastasse, la scorsa estate il Milan ha comprato una decina di giocatori spendendo oltre 200 milioni. Una scelta scriteriata per una società in perdita con soci cinesi che hanno fatto arrivare con molta fatica qualche milione nelle casse del Milan al fine di coprire le perdite.

Non stupisce quindi la scelta dell'Uefa.

Il caso del Milan non è l'unico a preoccupare il mondo del calcio. C'è il caso del Chievo e delle plusvalenze fasulle fatte col Cesena, che nel frattempo è fallito. Ognuna delle due squadre prendeva giocatori giovani e sconosciuti e li vendeva all'altra valutandoli molti milioni. Tizio era ceduto dal Chievo al Cesena per 5 milioni e Caio dal Cesena al Chievo per 4,5 milioni,

Striscia la notizia ha scoperto che erano valutazioni false, trattandosi quasi sempre di giovani sconosciuti che poi finivano in qualche squadra di dilettanti. Lo scopo però era evidente: creare una plusvalenza (se un giocatore viene venduto a 5 milioni e arriva dal vivaio i 5 milioni sono una plusvalenza ovvero un guadagno per la società) con cui far apparire un bilancio sano ed evitare di mostrare un bilancio con forti perdite, spaventando le banche finanziatrici e costringendo i presidenti a versare altri soldi nelle società.

Le inchieste di Striscia hanno allarmato la procura del calcio che indaga. Potrebbero arrivare squalifiche e potrebbe verificarsi un vero terremoto nel calcio se emergessero altri casi analoghi.

Le finte plusvalenze sono il segnale che il calcio, o almeno molte società hanno conti da brividi. E in questo senso un'altra scelta preoccupante potrebbe essere il decreto che Di Maio sta preparando per limitare il gioco d'azzardo, fermandone la pubblicità. Praticamente tutte le squadre della serie A hanno una società di scommesse tra gli sponsor. Per alcune è lo sponsor principale.

Togliere somme ingenti a bilanci in difficoltà non è una buona idea.

22 giugno 2018

Spread, come sale

Come mai lo spread ogni tanto si impenna facendo preoccupare gli esperti di economia?

Supponiamo che lo Stato emetta un titolo che scade dopo 10 anni e paga un interesse del 2% annuo. Chi lo compra spende 100 e si trova in mano un titolo che permetterà di incassare 100 alla scadenza.

Tuttavia il titolo del debito pubblico, come qualsiasi bene o servizio, ha un valore che dipende dalla domanda e dall'offerta. Se il titolo vale 100 e chi lo possiede vuole venderlo, proverà a venderlo a 99,8. Se non trova un compratore cercherà di venderlo a 99,5 oppure a 99,3, e così via fino a quando trova un compratore.

Un eccesso di vendite deprime il valore del titolo di Stato, come mostra il grafico. In poche settimane il valore di un CCT con scadenza 2025 è passato da oltre 100 a meno di 90. Chi comprato a 90 si trova un titolo che oltre a offrire il 2% annuo, garantisce un incasso finale di 100.

Chi investe 90 incassa alla fine 100 oltre agli interessi. Il rendimento complessivo del titolo sale oltre il 2%, e, di conseguenza, lo spread che è la differenza tra il rendimento di due titoli, i titoli decennali di Italia e Germania.

16 giugno 2018

Blog sempre più in pericolo: arriva denuncia anche per blasfemia

Un blog che tratta temi psicologici e biografici nei giorni scorsi ha ricevuto una denuncia per blasfemia e offesa al credo religioso. “turpiloquio e poco rispetto nei confronti della religione cattolica”, queste le parole che stanno rimbalzando nei social.

Quanto appreso sarebbe probabilmente il primo caso del genere in Italia, quantomeno riferito a un semplice blog che ha intenti tutt’altro che rivoluzionari o provocatori. Attualmente la normativa italiana prevede una sanzione per atti riconducibili alla blasfemia, reato che, a partire dal 1999, è stato depenalizzato e ridotto a illecito amministrativo.

La pagina di cui si parla (oudassam.it) tratta di argomenti legati alla psicologia e alla crescita personale, esposti attraverso vicende in ambito lavorativo e sentimentale. L’autore, utilizzando un linguaggio da strada talvolta crudo, talvolta ironico, è molto laconico nelle sue risposte alla vicenda. “Mi sono meravigliato ma non ne faccio uno scandalo – commenta – mi spaventa molto, però, che sia ancora presente una deriva di questo tipo”.

Un caso emblematico che mette in luce una patina di moralismo che emerge sporadicamente nel nostro paese. In proposito, la Chiesa pastafariana italiana ha lanciato un’iniziativa contro le leggi sulla blasfemia e in difesa della libertà di parola. La normativa italiana mette in evidenza tutte le contraddizioni alla base del concetto di tutela del sacro richiamando l’attenzione sull’assurdità di quelle normative che in diversi paesi puniscono la blasfemia. Paesi tra i quali c’è anche l’Italia, perché se il reato è stato depenalizzato e ridotto a illecito amministrativo nel 1999, è pur vero che chi bestemmia su internet è passibile di istigazione a violare leggi, reato vero e proprio.

13 giugno 2018

Tria rassicura l'economia

La sofferta nascita del governo Conte ha avuto effetti negativi su spread e borse.

Le promesse di reddito di cittadinanza e flat tax unitamente ai dubbi sull'euro hanno causato la vendita di titoli di stato, con conseguente aumento dello spread e perdita di valore dei titoli di stato che, presenti in abbondanza nelle banche, hanno fatto diminuire il valore azionario delle stesse banche, che sono i titoli più importanti nel listino milanese.

Ora, venerdì 8 giugno i titoli azionari parevano piuttosto depressi, su valori in molto casi inferiori a quelli registrati quando il tentativo di 5 Stelle e Lega di formare un governo pareva naufragato.
Lunedì invece lo scenario è cambiato e l'indice della borsa italiana fa segnare un sorprendente +3,5%.

Una giravolta che si spiega con l'intervista di Tria, neo ministro dell'economia, al Corriere. In buona sostanza Tria ha spiegato che il suo compito è controllare i conti evitando sforamenti e avventure: il debito diminuirà, niente deficit aggiuntivo.

I mercati si sono convinti. Forse di meno Salvini che ha iniziato la sua personale crociata contro le ONG che recuperano in mare i migranti. L'argomento più importante è diventata l'Aquarius mentre nelle dichiarazioni dei principali leader politici paiono essere scomparsi i temi economici, ovvero le promesse elettorali di spese gigantesche con poche coperture.

I mercati sono tranquilli ma lo saranno gli elettori quando si renderanno conto che i soldi che aspettano non arriveranno? E lo saranno i politici che su promesse di spesa hanno conquistato il potere esecutivo?

10 giugno 2018

Grillo e la Ruhr

Uno delle questioni che il governo dovrà affrontare nelle prossime settimane è il futuro dell'ILVA, su cui interviene (a titolo personale, secondo il ministro Di Maio) Beppe Grillo.

L'ILVA ha diversi stabilimenti e 14 mila dipendenti. 11 mila sono a Taranto che trasforma il carbone in acciaio poi trasformato da altri stabilimenti tra cui quello di Genova, dove invece i dipendenti sono meno di 2000.

Grillo non fa proposte precise, ma racconta del caso della Ruhr, dove un gigantesco intervento pubblico ha portato alla chiusura di miniere e di aziende che usavano il carbone e inquinavano acqua, terreni e fiumi. Il risanamento ha portato alla creazione di parchi musei, luoghi di divertimento che oggi Grillo indica come un possibile futuro, insieme a centri di ricerca per studiare "l'energia del futuro", forse dimenticando che Taranto produce altro.

E' possibile chiudere l'ILVA a Taranto con un progetto simile a quello della Ruhr in Germania?

A mio avviso no.

Una prima ragione è che nel caso della Ruhr parliamo di una zona di centinaia di km quadrati, una vera e propria regione industriale, a Taranto (e a Genova) di uno stabilimento, per quanto grande. Il contesto è diversissimo. La Ruhr è nel cuore ricco dell'Europa, nella benestante Germania e a due passi da Francia, Belgio, Olanda. In quel contesto, servito da 1400 km di autostrade, una volta riconvertiti i siti industriali, ripuliti fiumi e terreni, non è difficile trovare visitatori per i musei, per i parchi e investitori per fabbriche ristrutturate e messe a disposizione delle imprese a pochi km da città come Dortmund o Dusselforf.

Taranto invece è stata scelta come sede di una grande acciaieria perché città povera in una regione periferica. Si puntava a creare sviluppo e occupazione in una parte di Italia da cui le persone fuggivano dalla disoccupazione per andare a cercare fortuna nelle grandi. Creare a Taranto attività per il tempo libero, centri di ricerca o fabbriche rischia di essere un flop nella misura in cui si spera di fare arrivare visitatori e investimenti da regioni più ricche o dall'estero, oppure di creare più posti di quelli persi. Inoltre non sarebbe nè semplice nè immediata la riconversione dei lavoratori.

A Genova poi l'altoforno è stato spento più di 10 anni fa nell'ambito di un accordo tra l'ILVA e la Regione Liguria, dopo decenni di morti per inquinamento nel quartiere di Cornigliano. Buona parte delle aree lasciate libere sono state riutilizzate, in una città dove una trasformazione come quella della Ruhr c'è già stata: a partire dalla fine degli anni '80 buona parte dei magazzini inutilizzati del porto antico sono diventati musei, ristoranti, residenze private, sedi di facoltà universitarie.


03 giugno 2018

Le vere idee di Salvini sullo spread

In meno di una settimana, siamo passati da una crisi di governo lunga, piena di veleni, di dichiarazioni ostili anche verso il presidente della Repubblica, al giuramento di Giuseppe Conte e dei suoi ministri, tra i quali Matteo Salvini, che aveva fatto saltare mesi di trattative impuntandosi sul nome di Paolo Savona, respinto dal Quirinale.

Nel frattempo abbiamo visto i mercati finanziari che cambiavano atteggiamento: se erano rimasti per due mesi quasi indifferenti alla mancanza di un governo, con l'inizio delle trattative tra Movimento 5 Stelle e Lega lo spread ha cominciato a salire e i titoli azionari a scendere, segno evidente che le preoccupazioni su notizie allarmanti per il bilancio pubblico hanno favorito le vendite di titoli di stato e azioni.

Con il fallimento delle trattative, domenica 27 maggio, le vendite hanno prevalso e in pochi giorni lo spread ha superato quota 300. Matteo Salvini e Luigi Di Maio si son mostrati tranquilli, comportandosi, in giornate molto convulse nelle quali ogni possibilità di fare un governo pareva tramontata, come se lo spread non fosse un problema, ma il risultato di scelte sgradite di speculatori e ribadendo, soprattutto Salvini, che in Italia non doveva comandare Berlino, cioè la Germania accusata di ingerenza negli affari economici altrui.

Poi all'improvviso, mercoledì 30 maggio tutto è cambiato e in due giorni si è giunti alla formazione di un governo senza Paolo Savona all'economia.

Ha forse vinto Berlino? Pare proprio di no. La svolta sarebbe arrivata dalla Lega. Qualcuno ha parlato con Mario Draghi che ha spiegato che uno spread elevato significa due cose.

La prima è tassi di interesse, e quindi spesa pubblica, in crescita. Ma questo l'aveva già detto il Presidente Mattarella commentando la rinuncia di Conte a formare un governo, nel pomeriggio di domenica 27 maggio.

La seconda è che uno spread elevato rischia di provocare un giudizio negativo delle agenzie di rating, al punto che la BCE potrebbe essere costretta a non comprare più titoli di stato italiano, anche in questo caso con effetti molto negativi per la spesa pubblica per interessi e quindi sulla possibilità per il governo di trovare i soldi per attuare il proprio programma.

Salvini può gridare al complotto, può affermare che non vuole un'Italia sotto il giogo di Berlino ma sa bene (o forse glielo spiega qualcuno nella Lega) che i titoli di stato che rappresentano l'enorme debito pubblico italiano devono essere acquistati da qualcuno pagando tassi di interesse possibilmente bassi.

Così, avvertito da Draghi della possibili conseguenze delle proprie scelte politiche, cede proprio come ha fatto prima di lui Berlusconi, che nel 2011, di fronte a mercati che vendevano i titoli di stato facendo salire alle stelle lo spread, ha lasciato la presidenza del consiglio e accettato le ricette economiche di Mario Monti.

Se la propaganda impone di invocare il sovranismo e il complotto di Berlino, la realtà impone accordi e compromessi per non mettere a rischio di conti pubblici e trovarsi a governare una economia con conti pubblici disastrati. Alla fine, comunque la si pensi, lo spread è uguale per tutti e tutti corrono ai ripari prima che diventi un pericolo per lo Stato.

31 maggio 2018

Il piano B di Savona - 2

4. L'uscita dall'euro comporterebbe complicati problemi legali: i debiti euro di banche, imprese, risparmiatori e dello Stato andrebbero pagati nella nuova moneta? La svalutazione della nuova lira spinge a rispondere di no, il creditore vorrebbe indietro euro e gli effetti negativi per l'economia in caso di ricorso ai tribunali sarebbero elevati: i creditori non rinnoverebbero i prestiti e gli effetti negativi si sentirebbero sulla produzione, i consumi, i rapporti tra contribuente e Stato.

5. E' difficile ristrutturare il debito in misura rilevante senza ripercussioni. La BCE non potrebbe accettare di non incassare per intero i soldi dovuti dall'Italia quando i titoli pubblici scadono. Anzitutto perchè anche altri paesi di cui la BCE ha comprato i titoli vorrebbero uno sconto e poi perchè le perdite sarebbero a carico di tutti i paesi soci, tramite le loro banche centrali, della BCE e, naturalmente, questi paesi non accetterebbero.
Poi anche ammesso di convincere stranieri titolari di titoli del debito pubblico italiano a rinunciare a parte dei propri soldi, una volta concesso lo sconto, banche e risparmiatori stranieri diserterebbero le aste dei titoli pubblici italiani, delle obbligazioni emesse dalle imprese, delle azioni di aziende italiane. O, come minimo, chiederebbero tassi di interesse elevati per prestarci soldi. Soldi di cui l'Italia avrebbe bisogno perché il fine di un taglio del debito è la possibilità di fare in futuro un maggiore deficit ovvero più debiti per dare impulso all'economia.

6. L'insieme di fughe di capitali di italiani, svalutazioni e ostilità di investitori stranieri, avrebbe effetti negativi anche per le banche, ridotte come lo Stato a veder evaporare i capitali stranieri e a pagare di più i soldi, con conseguenze negative per la concessione di credito e quindi per lo sviluppo economico.

7. Tutto ciò perchè lo si farebbe? Come detto, la prima ragione è per permettere allo Stato di avere un deficit maggiore. Ma questo vuol dire anche che in pochi anni il debito tornerebbe ai livelli precedenti, a meno che le scelte di spesa siano azzeccate e inducano maggiore crescita. La seconda ragione è rendere più competitive le imprese attraverso la svalutazione. I prodotti italiani all'estero costerebbero di meno e quelli stranieri di più.
Sappiamo però che se un paese di un'area economica bene integrata svaluta la propria moneta, anche altri paesi possono decidere di svalutare la loro moneta e l'effetto finale non è detto sia positivo per chi ha svalutato per primo. Nel nostro caso potremmo assistere a una fuoriuscita dall'euro con relativa svalutazione di altri paesi o semplicemente alla svalutazione di monete diverse dall'euro di paesi europei.
L'effetto positivo della svalutazione è in ogni caso limitato da altri fattori: i prodotti italiani si fanno spesso con componenti provenienti da paesi stranieri, e quindi il calo del prezzo del prodotto italiano potrebbe essere modesto. Inoltre i fornitori stranieri, viste le incertezze sulla moneta, potrebbero imporre al cliente italiano condizioni meno favorevoli e quindi più onerose. Maggiori costi che ridurrebbero il beneficio di una svalutazione.

8. Infine se il piano è svalutare di un 15-25% la nuova lira, possiamo dire che questo è un obiettivo tutt'altro che certo. Una moneta come la nuova lira sarebbe più facilmente oggetto di speculazioni e di oscillazioni. Non ci sarebbe una BCE a difendere la moneta ma solo una Banca d'Italia con molti meno soldi, come ai tempi dell'uscita dallo SME. Anche in questo caso, le incertezze post uscita dall'euro spingono a credere che l'idea del piano B di Savona sia davvero pessima e che gente sensata eviterebbe questo progetto.

Il precedente articolo: Il piano B di Savona - 1

29 maggio 2018

Il piano B di Savona - 1

Il mancato ministro Paolo Savona, silurato dal Presidente Mattarella in nome della difesa del risparmio, tutelato dall'articolo 47 della Costituzione, aveva un piano per uscire dall'euro.

Si tratterebbe di stampare 8 miliardi di nascosto, decidere di notte di uscire dall'euro, per riaprire i mercati il lunedì mattina con una moneta svalutata del 15-25%, controlli sui capitali per limitare fughe di capitali, una riduzione del debito pubblico grazie a accordi con i creditori internazionali.

Un piano pieno di problematicità che cerco di elencare (sperando di non dimenticarne qualcuna).

1. Le banconote sono falsificabili e stampare banconote difficili da falsificare richiede un lungo lavoro di preparazione e, soprattutto, tecnologie che pochi al mondo possiedono. Le aziende che stampano banconote lavorano a stretto contatto con i governi che sono i loro clienti. Difficile che si possa fare una moneta diversa senza che nessuno ne sappia nulla. In più si deve trasportare negli sportelli bancari, nelle filiali della Banca d'Italia, negli uffici postali. Qualcuno verrebbe a saperlo, a meno di rischiare di riaprire negozi, banche e imprese senza una moneta legale, cosa che provocherebbe effetti economici pesanti.

2. Per creare una moneta serve una legge o un decreto. In ogni caso il Presidente della Repubblica, contrario all'abbandono dell'euro, dovrebbe firmare. Per cui è difficile possa succedere.

3. La segretezza dell'operazione potrebbe essere superflua: basterebbe il sospetto di un abbandono dell'euro per provocare fughe di capitali. La gente sposterebbe i soldi all'estero, acquisterebbe monete più solide (magari sotto forma di fondi di investimento che solitamente hanno sede in luoghi come il Lussemburgo) per poi presentarsi il giorno dopo e ottenere molte lire in più. Con lo stesso fine, altri farebbero la coda in banca per ritirare euro da tenere in vista dell'uscita.

1 - continua

25 maggio 2018

Calenda sullo spread

Ottima sintesi di Calenda (dopo 3 minuti circa dall'inizio dell'intervista) sulla vera questione che pone uno spread in aumento:

http://www.la7.it/piazzapulita/video/carlo-calenda-a-piazzapulita-24-05-2018-242537

20 maggio 2018

Argentina, si piange sempre

Due anni e mezzo fa gli argentini hanno eletto Mauricio Macrì presidente.

Di origini italiane, a capo dell'impero economico di famiglia, Macrì ha vinto promettendo una rivoluzione economica di stampo liberista fatta di tagli alla spesa assistenziale, apertura dei mercati, in particolare dei capitali, licenziamento di dipendenti pubblici, soprattutto se assunti con criteri politici dai precedenti governi, e stimoli agli investimenti stranieri.

Una ricetta che non sta dando i risultati attesi. I mali tradizionali dell'economia argentina, ovvero inflazione, svalutazione, conti pubblici in profondo rosso si sono ripresentati.

Il taglio dei contributi pubblici ha stimolato l'inflazione, che l'istituto di statistica non ha neppure saputo misurare negli anni scorsi al punto che nessuno credeva ai dati ufficiali. Il peso è crollato, complice un mercato della valuta di modeste dimensioni (l'acquisto o la vendita di modeste quantità di pesos possono causare forti oscillazioni del il cambio in un paese che di fatto usa e ragioni in dollari)  spingendo la banca centrale argentina a alzare i tassi al 40% anche per contrastare la (solita) fuga di capitali dal paese.

La scarsa credibilità dell'economia argentina ha fatto sì che gli investimenti sperati non siano avvenuti, nonostante il programma liberista. Anzi non appena sono cresciuti i tassi americani i potenziali investitori hanno preferito i titoli di stato americani al rischio di investire nel pesos argentino.

Così l'ultimo collocamento di titoli di stato è riuscito solo grazie all'intervento della banca centrale e ad una telefonata di Macrì a Trump perchè convinca qualche fondo americano a acquistare un pò di bond argentini.

Insomma niente di nuovo sotto il sole argentino. La ricetta economica liberista non ha cambiato nulla. Il ripresentarsi dei vecchi mali dell'economia ci ricorda che una moneta sovrana in una economia debole può solo illudere di risolvere i problemi in modo semplicistico.

03 maggio 2018

Un film sullo scoppio della bolla

La sera del 1° maggio Paramount Channel ha trasmesso La grande scommessa, film sullo scoppio della bolla immobiliare negli USA

Si ispira a una storia vera. Michael Burry, gestore dell'hedge fund Scion Capital che come pochi altri gestori di fondi, capisce che c'è una bolla immobiliare: i prezzi degli immobili salgono mentre gli stipendi degli americani restano fermi. Indaga e scopre che ci sono segnali preoccupanti, come il crescente numero di americani che non riescono a pagare i mutui, e comprende che se i tassi aumenteranno il numero di insolvenze crescerà. Anzi ne è certo perchè molti mutui prevedono tassi crescenti nel tempo.

Così decide di investire in derivati che garantiscono enormi guadagni in caso di crollo del mercato. In pratica una scommessa sul crollo del settore immobiliare e delle obbligazioni emesse a fronte dei mutui per l'acquisto di case. Numerosi informazioni suggeriscono infatti che le obbligazioni sono piene di mutui giudicati in modo troppo ottimistico. Le insolvenze saranno molte di più del previsto, complici le agenzie di rating e le commissioni pagate dai finanziatori ai venditori di mutui, che così hanno interesse a mentire sulla solvibiità dei clienti.

La scommessa su un crollo appare vincente ma ci sono alcuni ostacoli.

Il primo è che i clienti dei fondi pensano che la scommessa porterà perdite pesanti se -come tutti sostengono- il mercato immobiliare è destinato a non crollare.

Il secondo è che mancano i derivati per scommettere sul crollo. Ma le banche, pensando che la scommessa sia perdente, non esitano a creare tali strumenti.

Il terzo è morale. Mentre i protagonisti del film raccolgono informazioni che confermano le loro ipotesi, si rendono conto che il crollo su cui puntano significa un dramma per milioni di famiglie che perderanno casa e lavoro e vuol dire recessione mondiale.

Insomma, se vi capita, guardate La grande scommessa, uno dei pochi film a tema economico con un insolito Brad Pitt (nella foto).

27 aprile 2018

Arturo Artom

Nell'immaginario del Movimento 5 Selle, un ruolo chiave lo gioca l'innovazione tecnologica, che ruota attorno a internet.

Arturo Artom è un imprenditore che nei primi anni 2000 pareva un profeta di internet, la sua azienda proponeva connessioni via satellite. E' sparito dalle cronache dei giornali per anni per apparire come ambasciatore del Movimento 5 Stelle. L'Espresso ne offre un ottimo profilo: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/04/26/news/chi-e-arturo-artom-l-uomo-business-di-casaleggio-1.321037

11 aprile 2018

Garanzie sulle banche venete

In questo video l'onorevole Sibilla del Movimento 5 Stelle suggeriva che il salvataggio della banche venete (Veneto Banca e la Popolare di Vicenza) costasse 17 miliardi e non 5 come sosteneva invece il ministro dell'economia Padoan dicendo: "Padoan ci tiene a dire che sono 5 miliardi e non 17".

Una notizia degli ultimi giorni spiega che aveva ragione Pier Carlo Padoan: Intesa Sanpaolo rinuncia alla garanzia statale su bond "venete" titola il Sole 24 Ore.

Cerchiamo di capire cosa è successo. Le banche venete in crisi hanno visto, prima di essere vendute a Intesa San Paolo, un deflusso di capitali. I correntisti hanno ritirato i loro risparmi, temendo di subire perdite, e aperto conti presso altre banche, a cominciare proprio da Intesa che poi ha sottoscritto i titoli emessi dalle banche venete alla disperata ricerca di liquidità.

Dopo l'acquisizione delle banche venete, Intesa San Paolo ha acquistato gran parte delle obbligazioni emesse dalle banche venete, diventando creditrice di se stessa. Di qui la scelta di annullare le obbligazioni e ha comunicato al ministero di rinunciare alla garanzia che lo Stato ha offerto al momento dell'emissione.


01 aprile 2018

Il signoraggista emette moneta

Il sogno dei veri o presunti esperti di signoraggio è forse quello di emettere moneta per appropriarsi del signoraggio. Le criptomonete sembrano offrire questa possibilità. Ma ci sono dubbi, come spiega questo articolo della Stampa che ci parla dell'iniziativa di Marco Saba http://www.lastampa.it/2018/03/31/economia/dal-bitcoin-allo-schema-ponzi-nuove-monete-e-vecchie-truffe-ZhksCVPycE7roh7eWsCryO/pagina.html

Altri dubbi li potete leggere nel sito http://equacoin.net/

17 marzo 2018

Torino 2026

Il prossimo anno a Milano si assegneranno le Olimpiadi invernali 2026. I comuni che hanno ospitato le Olimpiadi del 2006 hanno chiesto a Torino di provare a candidarsi ricevendo prima una risposta negativa del grillino Davide Bono, capogruppo in Regione, che ha spiegato che per regolamento le Olimpiadi non possono essere assegnate al paese che ospita la sessione del CIO che decide l'assegnazione e poi il via libera di Grillo, secondo il quale le Olimpiadi si possono fare purchè non si spenda e non si costruisca troppo.

Le Olimpiadi del 2006 sono costate diversi miliardi di euro, buona parte dei quali per opere necessarie, da fare in ogni caso, come il completamento di due autostrade (Torino-Bardonecchia e Torino-Pinerolo), la ristrutturazione/costruzione del Palavela a Torino, dei palazzetti del ghiaccio a Pinerolo e Torre Pellice, dell'aeroporto, il rifacimento di molti impianti di risalita in tutto il Piemonte e non solo nella zona delle gare, la costruzione di uno spazio destinato a ospitare grandi eventi soprattutto musicali (l'attuale PalaAlpitour) e di residenze universitarie.

Altri impianti come l'Oval sono stati impiegati, dopo le Olimpiadi, in modo diverso, e altri ancora, in particolare i trampolini di Pragelato e la pista del bob di Sansicario non si sono più usati, per una discutibile scelta del CONI, decisione che ha fatto parlare di sprechi.

Secondo il Movimento 5 Stelle che amministra Torino e che a Roma s'è opposto al progetto di Olimpiade, tutto ciò non si dovrebbe replicare. Si vorrebbe una Olimpiade low cost con l'impiego delle strutture esistenti e interventi minimi. In pratica le Olimpiadi non cambierebbero nulla nel territorio, servirebbero solo a riempire gli hotel e a fare pubblicità a luoghi che già oggi godono della fama legata all'Olimpiade 2006.

Vale davvero la pena spendere soldi per far conoscere un territorio ben conosciuto perchè ha ospitato l'ultima Olimpiade invernale disputata in Europa?

05 marzo 2018

Promesse elettorali

Gli italiani hanno votato premiando i partiti più populisti, i grillini al sud, la Lega al nord.

Tra i pochi dati in controtendenza per il Movimento 5 Stelle c'è quello di Torino, dove la sindaca Chiara Appendino spiega che il movimento cala perché sta mettendo in ordine i conti della città.

A me pare un'ottima chiave di lettura delle vicende politiche degli ultimi anni. Si vota col portafogli in mano, non importa la situazione generale di un paese, ma la propria condizione personale.

La situazione complessiva del paese e dei conti pubblici interessa poco e chi se ne occupa non viene premiato dagli elettori. Il PIL in crescita è sembrato ininfluente, mentre nel 2014 gli 80 euro hanno suscitato speranze e illusioni, premiando Renzi alle Europee così come quest'anno le promesse economiche di questa campagna possono spiegare la vittoria di Lega e M5S e la sconfitta del PD e di Berlusconi.

Oggi inizia una nuova corsa, quella dei partiti vincenti a mantenere le promesse. Promesse spesso impossibili, e per questo si definiscono populisti, sia perchè le somme da spendere sarebbero enormi sia perché esistono vincoli di bilancio previsti dalla Costituzione e da accordi europei.

Il tutto in un contesto economico positivo ma non troppo. La crescita dell'economia è concentrata al nord, il sud arranca ormai da quasi 10 anni anzi da quando s'è ridotto in modo drastico il flusso di denaro che stimolava la domanda.

L'economia italiana, i bilanci statali sono quindi vincoli formidabili per i partiti che tuttavia vorrebbero accontentare elettori che guardano al proprio interesse personale e son pronti a cambiare voto in un attimo.




25 febbraio 2018

Nino Galloni

Guardando distrattamente un programma in tv sulle non entusiasmanti elezioni, mi sono imbattuto in Nino Galloni, una vecchia conoscenza del piccolo mondo che qualche anno fa girava attorno alle frottole sul signoraggio e che oggi si candida con un suo partito, il Partito del Valore Umano.

Un economista con un curriculum degno di nota che tuttavia fa proposte che ...  non saprei come definire.

Eccone una: https://www.movisol.org/07news169.htm

Incurante dello storico problema della mancanza, in Sicilia e Calabria, di buoni collegamenti ferroviari e stradali o degli storici problemi economico-finanziari dell'Eurotunnel che collega Francia e Regno Unito, Galloni ipotizza un tunnel ferroviario (secondo la cartina, ma poi nel testo si para di camion) di 150 km tra la Sicilia e la Tunisia, da inserire niente di meno che "nella rete di strutture planetarie che vanno dallo stretto di Bering al Mediterraneo"

Poi si parla di 4 isole artificiali che sarebbero un attivo finanziario dell'operazione perchè consentono "il ripopolamento della fauna marina locale" la pesca selettiva e un "turismo di qualità".

E infine si considera fattibile l'opera supponendo il transito di un camion ogni 5 secondi per 20 ore al giorno. Tutti i giorni per 40 anni. Niente interessi da pagare sul debito generato dalla spesa stimata di 20 miliardi perchè i governi stamperebbero moneta.

Ecco. Giudicate voi questa chicca, a me scappa da ridere.

Link Interni

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