24 settembre 2016

La recessone è finita un anno prima

Mentre il 2016 sta entrando nel suo ultimo trimestre, l'ISTAT offre nuovi dati sul PIL del 2014. Avete capito bene, il 2014.

Per calcolare il PIL servirebbero i dati (veri) dei conti di milioni di imprese, oltre che della pubblica amministrazione. Si sa che le imprese non sempre dichiarano il vero e quindi si combinano diversi tipi di informazioni, prevenienti dalle imprese ma anche da altre banche dati come ad esempio l'INPS, allo scopo di fare una stima il più possibile corretta.

Per fare i conti in tempi ragionevoli, poi, l'ISTAT usa i dati di un campione di imprese come base su cui calcolare il PIL e la relativa variazione nel tempo.

Dal 2014 però s'è deciso di affiancare al metodo del campione integrato con altri dati disponibili, un metodo che prende in considerazione i dati di bilancio di quasi 4 milioni e mezzo di imprese oltre ai dati usati in precedenza.

C'è voluto tempo per raccoglierli e elaborarli, ed è saltata fuori la sorpresa. Il PIL 2014 non è sceso dello 0,3% ma è salito dello 0,1%. Significa che la recessione iniziata con la fine del governo Berlusconi è finita nel 2014 invece che nel 2015, come credevamo. La differenza non è piccola, sono 8-9 miliardi di euro in più. Cala il rapporto tra il debito e il PIL, perchè sale il PIL.

Una buona notizia per l'Italia, ma forse non tanto per l'ISTAT. E' normale che i dati economici siano corretti. S'è vista tante volte una crescita dello 0,5% diventa 0,4 oppure 0,6%, ma mai un -0,3% che si trasforma in un +0,1, cambiando il significato del dato.

Sarà interessante capire il significato di questa sorpresa statistica. E' casuale? Il campione usato era poco rappresentativo? Perchè i dati ottenuti usando oltre 4 milioni di imprese differiscono così tanto da quelli ottenuti tramite il campione? E soprattutto: possiamo fidarci dei dati economici ottenuti studiando campioni di imprese?


23 settembre 2016

Una modesta proposta sui giochi mancati di Roma

Virginia Raggi ha detto no ai giochi olimpici del 2024, affermando che non è intenzione del suo partito fare altri debiti. Una tesi modesta che ha suscitato molte polemiche da parte di chi sperava di poter vedere le Olimpiadi nella capitale, forse sopravvalutando la probabilità che venissero assegnate a una città che non è proprio un modello.

Sul piano economico qualcuno ha sottolineato la perdita di potenziali posti di lavoro, PIL e occasioni per portare turisti nella città eterna.

Ma se anche l'occasione è persa -e io sono tra quelli non dispiaciuti della scelta della sindaca- ci sono altri modi per produrre effetti economici simili a quelli che avrebbe potuto generare l'improbabile Olimpiade.

La ragione è che molti dei soldi spesi per un'Olimpiade non finiscono sui campi di gara. L'Olimpiade invernale di Torino per esempio è stata l'occasione per finanziare il rinnovo di diversi impianti di risalita obsoleti, per completare l'autostrada Torino-Bardonecchia e la Torino-Pinerolo, per costruire strade in val Chisone (la valle che sale al Sestriere) per rendere più veloce il percorso evitando il passaggio nei centri abitati (con benefici pure per la sicurezza e la tranquillità degli abitanti), per ammodernare l'aeroporto, per costruire residenze per gli studenti delle università torinese, per costruire un palazzetto dello sport (l'attuale PalaAlpitur) capace di ospitare grandi eventi musicali, ecc.

In altre parole si sono messe tra le opere olimpiche molti interventi che si sarebbero dovuti fare in ogni caso e che hanno dato nel tempo i loro frutti in termini di maggiore afflusso di persone a Torino.

A questo punto l'idea è chiara: riprendiamo in mano il dossier olimpico, e dall'elenco delle opere togliamo tutto quello che non serve a fare un'Olimpiade ormai sfumata e concentriamoci sul resto. Era prevista una strada? Bene, valutiamone l'utilità senza giochi. Se serve la facciamo. Eviteremo sprechi, opere inutili e Roma migliorerà, almeno si spera.

17 settembre 2016

Carlo Azeglio Ciampi

In cosa è consistita la grandezza di Carlo Azeglio Ciampi, ex Presidente della Repubblica ed ex governatore della Banca d'Italia, morto ieri a 95 anni?

Per giustificare la fama potrebbe bastare l'elenco dei compiti affidatigli: oltre che Presidente e Governatore è stato anche ministro e Presidente del Consiglio, segno inequivocabile di qualità notevoli, ma in realtà non basta.

Ciampi ha assunto gli incarichi quasi sempre in momenti molto difficili per l'Italia. Quando divenne Governatore, la Banca d'Italia era alle prese con uno scandalo senza precedenti. Il direttore generale Sarcinelli era in carcere e il governatore Baffi agli arresti domiciliari con accuse false, vendetta di una pessima politica contro chi si era opposto al salvataggio di Sindona a opera dello Stato.

Ciampi risollevò la Banca d'Italia in un clima pesantissimo, gestì crisi complicate, come il fallimento del Banco Ambrosiano al centro di uno scandalo che tirava in ballo il Vaticano, la Mafia e la P2.

Ma anche risolvendo quei casi, c'era un'economia in difficoltà, dominata da un'inflazione che negli 80 superò il 20% annuo. Ciampi riuscì a portare l'inflazione a livelli europei, prima come Governatore e poi da Palazzo Chigi, dove entrò mentre l'Italia era in piena tangentopoli, subentrando a un governo, quello di Giuliano Amato, costretto a dimettersi perchè metà dei ministri erano stati travolti dalle inchieste giudiziarie.

Ogni volta Ciampi ha fatto bene e s'è reso sempre più credibile, usando poi la credibilità per affrontare altri problemi con l'aiuto di chi, come l'Europa, era invece scettico sulla capacità dell'Italia di affrontare i momenti difficili.

Insomma ha lavorato in momenti straordinariamente complicati e l'ha fatto come meglio non si poteva. Per questo sarà ricordato da tanti e detestato da chi trae benefici da un'Italia peggiore.

08 settembre 2016

Hanjin

Il commercio internazionale è in subbuglio a seguito del fallimento della settima azienda di navi porta container al mondo, la coreana Hanjin. Le 85 navi coreane hanno difficoltà a rifornirsi di cibo, acqua e carburante, e merci per 15 miliardi di dollari sono bloccate sulle navi o porti in attesa di una nave che potrebbe non arrivare mai.

Basta dare un'occhiata al Baltic Dry Index, per capire che il settore dei trasporti via nave non se la passa bene. L'indice misura i costi dei trasporti marittimi di merci non liquide (dry, ovvero è escluso il petrolio e i prodotti chimici, mentre sono comprese merci come il carbone, alcune materie prime o il grano) e negli ultimi tempi è piuttosto basso.

Colpa della crisi naturalmente, che fa scendere la domanda di materie prime e di beni finiti, e quindi di trasporti, ma anche -secondo quanto scrive Repubblica- di un aumento delle navi provocato dai bassi tassi di interesse.

La disponibilità di denaro a basso costo facilita l'investimento tramite il debito. Se hanno ragionato così quelli di Hanjim -forse su suggerimento di qualcuno che crede che i tassi influenzino l'investimento- hanno purtroppo sbagliato. Si dovrebbe investire, come insegna l'economia, solo per soddisfare una domanda futura maggiore.

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