30 aprile 2011

Esercito: e se avesse ragione la Lega?

Ho segnalato tempo fa che la sola voce del bilancio statale che aumenta è quello relativo alla Difesa (vedi qui). Mentre si taglia dappertutto e, in particolare, nel settori settori pù legati al mondo produttivo (dai contributi alle aziende all'università passando per le energie pulite), la difesa invece riceve più soldi, anche se l'ultima guerra italiana è finita 66 anni fa.

Ci sono state, è vero, guerre, ma si è fatto di tutto per farle sembrare una cosa diversa. Nel 1991, ad esempio, l'Italia ha partecipato alla guerra del golfo per liberare il Kuwait da Saddam Hussein. La guerra è stata ribattezzata operazione di polizia internazionale, come se si dovesse fermare un automobilista indisciplinato.

Anche il cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, s'è lamentato perchè -ha spiegato- chi fa la guerra poi non ha il coraggio di chiamarla guerra.

L'articolo 11 della Costituzione infatti pone limiti stringenti alle guerre. Ricordo di una nazione sconfitta che teme che vuole limitare il potere dei governi.

Nonostante l'articolo 11, i governi non esitano a usare la forza militare, come sta succedendo con l'intervento in Libia. Come arginare questa situazione e, soprattutto, diminuire le spese militari che aumentano?

Un suggerimento arriva dalla Lega, che oggi chiede al governo di rispettare l'articolo 11 (vedi qui) : regionalizzare l'esercito e usarlo per scopi di protezione civile.

Calderoli, preoccupato di fermare l'arrivo di clandestini, ha chiesto un esercito regionale per respingere e gestire i clandestini dal nord Africa.

Gli scopi della proposta non sono nobili, ma il metodo va preso in considerazione. In Italia ogni volta che c'è un problema e non si sa come risolverlo, lo si delega ad altri. La raccolta dell'immondizia a livello nazionale è problematica? Si sposta il problema a livello regionale e si decide che l'immondizia sia gestita nei confini regionali. E se non basta si delega il problema alle province: ognuno deve smaltire la sua immondizia.

E perchè non fare lo stesso con le forze armate? Se si regionalizzassero le forze armate, si potrebbe usare buona parte dei militari in altro modo, non solo per la protezione civile. Ad esempio per compiti di polizia urbana o per la difesa del territorio.

Il governo potrebbe gestire direttamente una parte dei militari per la difesa del territorio nazionale contro eventuali attacchi esterni. Se volesse avere a disposizione un maggior numero di militari dovrebbe dichiarare una guerra oppure dovrebbe chiederli alle regioni, incontrando il probabile rifiuto di alcuni, poco propensi a mandare in guerra o in missione all'estero i propri dipendenti. Dovrebbe chiedere a un vigile di lasciare il paese in cui lavora per mettersi a disposizione del governo che, in violazione dell'articolo 11, li vuol spedire a fare la guerra in qualche luogo lontano. Certamente in molti non sarebbero d'accordo e se la prenderebbero con la propria Regione.

Insomma, regionalizzare l'esercito, come propone -con altri fini- la Lega, pare un buon modo per spingere l'Italia a rispettare la Costituzione e a limitare la spesa militare, che scandalosamente aumenta anno dopo anno.

27 aprile 2011

Come la Nutella ha salvato l'agricoltura della Langhe


Le Langhe sono le colline del sud del Piemonte, al confine con l'appennino ligure. Oggi sono note per la buona cucina, per i vini pregiati, per i tartufi, per gli agriturismi creati da svizzeri e tedeschi, ma qualche decennio fa erano un luogo di povertà diffusa, raccontata da scrittori come Fenoglio.

Una delle famiglie più ricche d'Italia vive proprio nelle Langhe, dove produce prodotti famosissimi, come la Nutella. Sto parlando naturalmente dei Ferrero, colpiti nei giorni scorsi dalla morte dell'amministratore del gruppo, nonchè figlio del proprietario, Pietro Ferrero.

A colpi di Nutella, merendine Kinder, ovetti con sorpresa e cioccolatini, i Ferrero hanno creato un impero economico, ma hanno anche salvato le Langhe, come racconta il fondatore di slow food, Carlin Petrini.

Difficile immaginare un personaggio più diverso dai Ferrero. Se Ferrero produce industrialmente merendine, Carlin Petrini si occupa, con Terra Madre, di beni agricoli prodotti con metodi antichi da piccoli gruppi di contadini in qualche luogo sperduto della terra. Se Ferrero è amico di Berlusconi e s'è fatto coinvolgere nell'affare SME (si veda qui), Carlin Petrini, che non nasconde le sue simpatie politiche, ha un passato di sessantottino.

Eppure Petrini racconta che Ferrero ha salvato le Langhe, il territorio e l'agricoltura di quella parte , ieri povera e oggi benestante, di Piemonte.

Nel dopoguerra la povertà ha svuotato le Langhe. Con l'industrializzazione, i contadini non hanno esitato ad andare a lavorare in fabbrica. Hanno abbandonato le colline e sono andati a fare gli operai, alla ricerca di qualche certezza e qualche soldo in più.
Le campagne si sono spopolate e sono rimasti in pochi a coltivare le colline, che rendevano poco, perchè allora il vino era un alimento povero, usato da sempre per dimenticare le asprezze della vita e per assumere qualche caloria in più.

I pochi che sono rimasti a vivere nelle Langhe hanno trovato un'opportunità nell'industra dolciaria di Ferrero, che aveva bisogno di manodopera per produrre la Nutella o le uova di cioccolata. L'industra ha riempito la pancia di molti e non s'è dimenticata del mondo contadino. Ha valorizzato la nocciola locale, l'ha comprata e usata nei dolci e ha dato una mano (economica) ai contadini che hanno continuato il vecchio e meno redditizio mestiere degli avi.

Il lavoro in fabbrica, nella fabbrica di prodotti di largo consumo, ha valorizzato i prodotti locali (la Ferrero fa ampio uso nei suoi prodotti della nocciola della Langhe) e ha trattenuto i contadini, salvando i prodotti e le produzioni locali, come ci racconta lo stesso Carlin Petrini su La Stampa (vedi qui).

26 aprile 2011

Il mercato della prostituzione



In Spagna l'esercizio della prostituzione è considerato giuridicamente un'attività "alegal", termine che non conosco in italiano, ma che secondo il dizionario della Real Academia Española significa semplicemente “ne’ regolato ne’ proibito” 1 .
Il Codice Penale spagnolo infatti si limita a vietarne e sanzionarne lo sfruttamento, il lucro per conto di terzi “anche qualora ci fosse consenso”, e qualsiasi tipo di induzione, favoreggiamento, relazione ecc ecc, nel caso di minori, (insomma sembrerebbe quasi che in teoria il cliente dovrebbe sempre farsi mostrare la carta d’identità!…), o incapaci psichici2.

Questa situazione di "alegalità"permette alla Spagna di tenere aperti tranquillalmente almeno 945 “locales de alterne” (bordelli), con  un fatturato, (globale; in tutto il Paese), di circa 27 milioni di euro alla settimana.3
Si tratta forse dell’unico settore dell’economia spagnola ad aver resistito alla crisi.

Investire nel business del mestiere più antico del mondo in Spagna è possibile nonostante la mancata regolarizzazione, senza venire accusati di sfruttamento. In questo modo:

l'imprenditore mette a disposizione un locale con camere da letto, materiale erotico vario, servizio di sicurezza, bar ecc e la prostituta paga un affitto settimanale per usufruire della stanza.

La prostituzione quindi la esercitano in proprio, (almeno ufficialmente...Visto che gli agenti della Guardia Civil, i carabinieri spagnoli, si trovano ad arrestare continuamente mafie che gestiscono tale mercato e che alle associazioni che promuovono il reiserimento nella società delle prostitute risulta che in  realtà il 90% siano obbligate...).3

In Italia comunque tale investimento è impossibile a causa  della legge Merlin del 19584,  tuttora in vigore, che proibisce non solo lo sfruttamento ed il lucro, ma anche la presenza di strutture aperte al pubblico in cui si esercita la prostituzione.
Infatti l'art.3 della suddetta legge afferma: "E' punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 500.000 a lire 20.000.000,  [... ] :2) chiunque avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione;
3) chiunque, essendo proprietario,
[...] qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione".
E' interessante secondo me confrontare come i due sistemi incidano economicamente nel business della prostituzione, (vista anche la diffusa idea che tale attività andrebbe regolarizzata perchè si tratterebbe di un fenomeno che si produce lo stesso, legale o meno).

Nel  caso italiano le stime sul giro d'affari parlano di circa 90 milioni di euro al mese.5
Sono sicuramemente tanti, ma rapprensentano comunque un guadagno minore rispetto alla Spagna, dove in totale risultano essere 18000milioni di euro all'anno contando solo i soldi per la contrattazione di prestazioni sessuali6.

Dati che personalmente mi lasciano supporre che la maggiore tolleranza del Paese campione del mondo incrementi il business della prostituzione, (considerando anche il fatto che gli italiani sono molti di più degli spagnoli). 
Se allora siamo d'accordo che lucrare su donne obbligate dalla fame, dalla droga o dalle mafie a vendere il proprio corpo sia sbagliato, e se, come pare a guardare i dati, aumentando l'offerta di prostituzione, (perché in fondo i bordelli fanno questo), se ne incentiva la diffusione, la regolamentazione non risulta la strada giusta.

Secondo me il sistema migliore, (di nuovo), è quello svedese: punire il cliente.7 
Contrastando così le mafie ed evitando allo stesso tempo di colpire le donne spesso costrette a tale situazione.
Gli svedesi sanno bene che intervenire sulla domanda funziona meglio che intervenire sull'offerta, ne sono esperti. E funziona anche con i mercati criminali.

Confidando nel fatto che, (come afferma l'ispettore di polizia svedese nel suddetto articolo di La Repubblica7), la polizia abbia i mezzi e la capacità di reprimere anche gran parte di giornali, riviste e siti internet che contengono annunci di prostituzione.


Il problema però è:
potrebbe mai il Paese della "movida", messo in ginocchio dalla crisi, rinunciare ad un mercato di tali dimensioni?


 2http://www.colectivohetaira.org/web/legislacion/154-articulado-del-codigo-penal-espanol-en-relacion-a-la-prostitucion.html
4http://isd.olografix.org/faq/l75_58.htm

22 aprile 2011

Cosa significa essere di sinistra?


Qualche settimana fa il Giornale ha attaccato Michele Santoro, copevole di mandare la figlia in una scuola francese. Come può, s'è chiesto il quotidiano di Berlusconi, scegliere la scuola privata un personaggio di sinistra come Santoro?

La notizia è stata ripresa da Maria Laura Rodotà (Corriere della Sera) che ha detto: Santoro dovrebbe dare un'opportunità alla scuola pubblica iscrivendovi sua figlia.

Santoro ha risposto che la scuola è pubblica ma a pagamento e che la sua scelta non affossa a scuola pubblica.

Ma che significa essere di sinistra?

"Il carattere distintivo della sinistra -ha scritto Norberto Bobbio*- è l’egualitarismo". Egualitari, secondo Bobbio, sono coloro che "danno maggiore importanza...a ciò che li rende uguali piuttosto che a ciò che li rende diseguali". Pensano che le diseguaglianze siano il risultato di attività umane e che sia possibile contrastarle, rendendo gli individui un pò più uguali.

Invocano i "diritti sociali, come il diritto all'istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla salute" la cui ragion d'essere è una "ragione egualitaria" in quanto "tutti e tre mirano a rendere meno grande la diseguaglianza tra chi ha e chi non ha, o a mettere in condizione un sempre maggior numero possibile di individui di essere meno diseguali rispetto a individui più fortunati per nascita e condizione sociale"*.

Per questo di solito la sinistra è legata a una maggiore imposizione fiscale: la riduzione delle diseguaglianze richiede di redistribuire le risorse prendendole da chi ha un maggior reddito e ricchezza e destinandole a pagare i servizi dai quali altrimenti la parte meno ricca della popolazione sarebbe esclusa.

Al contrario la destra non è ostile alla diseguaglianza, pensa che gli individui nascono diseguali e ritiene che si può fare poco o nulla per cambiare le cose, considerando inutili o controproducenti i tentativi di ridurre le diseguaglianze.

Bobbio nota poi che, la destra e la sinistra estrema sono storicamente autoritarie, al contrario di destra e sinistra moderate, ovvero di conservatori e socialdemocratici.

Il modello socialdemocratico esiste dagli anni '30 del Novecento, quando nell'Europa del nord e soprattutto in Svezia con economisti come Wicksell, Myrdal e Hammarskjold s'è usata la spesa pubblica per redistribuire il reddito e sostenere la domanda.

L'alternativa al capitalismo selvaggio di tipo americano, in cui una parte non piccola dell'elettorato desidera ancora oggi che molti servizi (come scuola, sanità) siano privati, pagati solo da chi può permetterseli, non è dunque il socialismo di ispirazione marxista, che ha dato pessima prova di sè nell'URSS di Lenin e Stalin, ma il modello socialdemocratico nord europeo.

Con buona pace di chi, a destra o a sinistra, sventola il marxismo come spauracchio o speranza.
E anche di chi pensa che destra e sinistra non esistono più: finchè è possibile scegliere quale ruolo deve avere lo stato nell'erogare servizi, offrire protezione dalle incertezze e scegliere il livello e la distribuzione delle imposte da far pagare ai cittadini, una distinzione tra destra e sinistra esisterà sempre.



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* Norberto Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli, pag. 79 e seguenti

20 aprile 2011

Una piccola lezione di economia


Nell'ultima puntata di Report è andato in onda un filmato intitolato Il prezzo (qui il link) che offre una piccola lezione di economia.

Dopo 8 minuti dedicati alle speculazioni sul prezzo delle materie prime, si raccontano due storie.

La prima riguarda un gruppo di coltivatori toscani che producono grano. Resisi conto che il prezzo del grano è basso, decidono di mettersi e per produrre pasta. La chiamano pasta del coltivatore toscano, costa 75 centesimi e consente agli agricoltori di incassare 26 euro a quintale, molto più di quanto offerto l'anno scorso dal mercato.

La seconda riguarda invece un gruppo di acquisto solidale della Brianza che ha deciso di farsi fare il pane anzichè comprarlo dal panettiere, pagando di più sia la materia prima che il lavoro del mulino e del fornaio.

Hanno infatti calcolato che il 40% del prezzo del pane finisce alla distribuzione, cioè al negoziante che lo vende. Il 33% circa al fornaio, circa il 17-18% a chi macina il grano e il resto, meno del 10% a chi produce la materia prima.

Se si riduce la percentuale destinata al commerciante, si può pagare comprare il pane a prezzi convenienti pagando di più il contadino, chi macina il grano e il fornaio che sforna le pagnotte.

Il GAS brianzolo riduce i costi di distribuzione, ovvero si sostituisce al negoziante. E, come farebbe un negoziante, decide cosa comprare e da chi. A parità di qualità, il negoziante sceglierebbe la farina, il mulino e il fornaio meno costosi. Il GAS sceglie in modo diverso e paga i fornitori più di quanto farebbe il negoziante.

Entrambi, negoziante e GAS, possono scegliere cosa comprare e da chi, mentre il il contadino non può scegliere con altrettanta facilità a quale prezzo vendere il suo prodotto. Subisce il prezzo imposto dal mercato (gli anglofoni dicono che è un price taker), ovvero dall'interazione tra chi vende e chi compra grano. Subisce la concorrenza di altri che offrono lo stesso prodotto a un prezzo più basso e, se vuol vendere il suo prodotto, deve adeguarsi al prezzo più basso.

Può però cercare di entrare in un altro mercato, meno concorrenziale e più redditizio, quello di chi produce e vende il pane o la pasta direttamente al consumatore finale o al negoziante. Come coltivatori toscani di grano duro.

E' una piccola lezione che dovrebbero imparare molte imprese e imprenditori che subiscono la concorrenza cinese o dei paesi dell'est dove la manodopera e altri costi sono inferiori a quelli italiani.

18 aprile 2011

TNT e la mafia

Qualche mese va, visitando un sito di vendite on line e cercavo di capire quanto costasse la spedizione della merce a casa, mi sono accorto di un particolare: il sito richiedeva un supplemento per la spedizione (tramite il corriere Bartolini) in Calabria e Sicilia.

Com'è possibile?

Non ho trovato una risposta ma ho formulato qualche ipotesi. Ho pensato che il corriere non avesse filiali in quelle regioni e che il supplemento dipendesse dalla necessità di rivolgersi a un corriere locale. Poi ho controllato, scoprendo che il corriere opera in Sicilia e Calabria come in qualunque altra ragione.

Un'altra ipotesi è che i clienti in quelle zone siano pochi e che, di conseguenza, l'azienda di commercio online non sia riuscita a strappare buone condizioni per quelle regioni.

Un terza ipotesi è più inquietante: si deve pagare qualcosa a qualcuno in regioni dove pesa molto la criminalità organizzata.

E un indizio in tal senso arriva da una notizia inquietante: il Tribunale di Milano ha commissariato le filiali milanesi di un grande corriere internazionale, TNT.

TNT fa poco ricorso ai propri dipendenti e svolge buona parte del lavoro di consegna delle merci trasportate attraverso altri corrieri, società indipendenti che lavorano per conto di TNT.

Le inchieste giudiziarie stanno dimostrando che nel milanese un buon numero dei corrieri di cui si serve TNT è in mano a mafiosi che usano sistemi poco gradevoli per prevalere sui concorrenti.

Dopo i commercianti pizzo-free avremo trasporti liberi dalla mafia? Qualcuno rinuncerà ai servizi di un corriere che, pur di risparmiare sui costi, si rivolge ad aziende esterne in mano ai mafiosi?

17 aprile 2011

Derivati al pesto


BNP Paribas e il comune di Genova hanno chiuso il contratto relativo ai derivati sottoscritti da una società del comune nel 2007, come racconta Repubblica (vedi qui).

Questi contratti sono assai diffusi in Italia. O, meglio, erano diffusi fino a qualche anno fa. Le banche si offrivano di finanziare il debito dei comuni facendo ricorso a contratti complicatissimi che prevedevano il pagamento di interessi variabili collegati a una serie molto complessa di parametri.

In cambio di soldi freschi e di un rinvio, di fatto, del pagamento degli interessi, la banca otteneva due risultati invidiabili: copriva i rischi dei propri investimenti in altri titoli (in caso di fallimento dei certi soggetti il comune avrebbe pagato -almeno in parte- le perdite subite dalle banche) e otteneva il pagamento di interessi ben più elevati.

Il comune invece avrebbe avuto un vantaggio nel lungo periodo solo se i parametri di riferimento (ad esempio i tassi di interesse) si fossero mantenuti all'interno di un certo intervallo. In caso contrario avrebbe pagato interessi elevati e questo perchè di fatto il comune, sottoscrivendo i derivati, si assumeva parte dei rischi della banca.

Una volta scoperti, questi contratti hanno suscitato l'interesse dei magistrati. Che si sono chiesti perchè mentre in Europa si vietava l'uso di derivati, da noi Tremonti li ha permessi, ma soprattutto se fossero leciti e se per caso ci fossero reati da portare davanti a un tribunale.

Nella peggiore delle ipotesi dietro all'adozione dei derivati ci sono interessi e forse reati. Nella migliore invece i derivati sono solo strumenti molto complicati con conseguenze difficili da comprendere per molti e espongono i cittadini al rischio di pagare interessi elevati per scelte fatte da un sindaco che non ha capito bene cosa sottoscriveva e che non pagherà per le conseguenze politiche delle sue scelte.

E così è bastato un esposto per indurre BNP Paribas a scendere a più miti consigli e chiudere la partita dei derivati sottoscritti dal comune di Genova. Una buona notizia. Un'iniziativa che speriamo altri comuni imitino al più presto.

14 aprile 2011

Un debito ventennale....

Ho preso spunto da questo interessante articolo dell'Ansa per fare due conti.

Dunque, L'Europa ci chiede di ridurre il debito pubblico in venti anni per la parte eccedente al 60% del rapporto Debito/PIL.

Ora, di che cifre stiamo parlando?

Fare due conti non è proprio semplicissimo, perché parlaiamo di rapporti influenzati dalla crescita: il rapporto debito/PIL cambia se aumenta il PIL, quindi poniamo alcune (realistiche) ipotesi di base:

1. L'Italia crescerà nei prossimi 20 anni dell'1% all'anno
2. Il PIL oggi è (circa) 1.555 miliari di Euro e il debito (circa) 1.850 miliardi di Euro, quindi il rapporto è il 118,97%.

Se il debito fosse pari al 60% del PIL dovrebbe essere di 933 miliardi di Euro, quindi per differenza dall'anno "1" bisognerà ridurre il debito di 917 miliardi in 20 anni, quindi il primo anno (917/20) di 45,85 miliardi di Euro!

Il secondo anno avremmo il PIL aumentato dell'1%, cioè 1.570,55 Miliardi, quindi cambierà il rapporto debito/PIL e serviranno di nuovo 45,36 miliardi di Euro.

E così via per circa 20 anni. Ipotizzando, come ho detto all'inizio, un tasso di crescita dell'1% la cifra richiesta calerebbe molto lentamente, scendendo sotto i 30 miliardi di Euro solo dopo il 15° anno.

il 20° anno ci ritroveremmo con un PIL di 1.900 miliardi di Euro e con un debito di 1.127, al di sotto del 60%.

E' possibile?

Possibile si, auspicabile sicuramente, probabile non lo so. Anzi, lo vedo molto, molto difficile.
Il debito pubblico in Italia è sempre salito e anche quando il rapporto è sceso, è successo perché è aumentato il PIL, ma in valore assoluto il debito non è mai sceso.
Qui si chiede non solo di tenerlo fermo, ma addirittura di farlo scendere di circa 45 miliardi di Euro l'anno.

E' ovvio che il tasso di crescita incide moltissimo, infatti se lo raddoppiamo, ipotizzando un tasso al 2% il primo anno servirebbero solo 36 miliardi di Euro!

Ma dove trovare tutti quei soldi?

Infatti diminuire le uscite significa per lo stato spendere meno e quindi meno PIL!

13 aprile 2011

L'impennata dei tassi


La banca centrale ha appena alzato il tasso di sconto ufficiale all'1,25%, ma già l'Euribor a 3 mesi aveva ampiamente anticipato l'aumento, come si può vedere qui e attualmente sta tranquillamente veleggiando verso l'1,33% (oggi).

La motivazione ufficiale della BCE è che l'inflazione sta rialzando la testa, quindi è necessario un progressivo aumento dei tassi per raffreddarla.
E faccio presente che con tale espressione i tassi continueranno ad aumentare dello 0,25% a trimestre, fino ad arrivare al 2% nel primo trimestre 2011.

Ma serviva questo aumento?

Probabilmente guardando le cose in ottica continentale forse la risposta è si, ma guardando come stanno andando le cose qui in Italia, non ne sono tanto convinto.

Innanzitutto l'inflazione che stiamo scontando è un'inflazione importata, dovuta principalmente all'aumento del prezzo del petrolio e di molte materie prime, alimentari ed industriali.
Poi le banche italiane non è che si stiano distinguendo per spinta creditizia, anzi, negli ultimi mesi non fanno altro che chiudere i cordoni della borsa, complice anche l'entrata in vigore di Basilea 3.
Infine, ma non ultimo per importanza, un aumento dei tassi significa più interessi da pagare sul debito pubblico, argomento su cui siamo particolarmente sensibili e su cui già il primo ministro Greco si espresso con preoccupazione.
Infatti Grecia e Irlanda e a breve il Portogallo, beneficeranno di ingenti prestiti che poi dovranno essere restituiti, ma con che tassi?
In casi estremi si rischia l'insolvenza di quasi tutto il Sud Europa (Grecia, Portogallo, Spagna e... l'Italia? Chi lo sa?) a beneficio di chi sta crescendo in Europa, cioè di Germania e, in misura minore, la Francia.

Quindi siamo in presenza di un'Europa a due velocità e che necessiterebbe di due politiche monetarie!

12 aprile 2011

Il Paese "neo-borbonico"

In precedenti post è stata descritta, attraverso fonti primarie, l'economia dell'antico Regno delle Due Sicilie evidenziandone il sotto-sviluppo, la povertà, l'analfabetismo dilagante, la miseria ed il dominio del sistema del latifondo.
E' stato mostrato che non furono i nordici ad imporre le politiche che misero in crisi le imprese del Sud post-unificazione.
Nei commenti si è notato più volte come lo Stato borbonico fosse in realtà una tirannia oppressiva, come i contadini meridionali insorsero contro di essa e come i cittadini acclamarono, (giustamente), l'arrivo dei Mille e l'unità d'Italia.

Dopo la spedizione garibaldina uno penserebbe: "finalmente i Borboni hanno smesso di far danni!"
Invece non è così.
Infatti esiste ancora oggi un Paese il cui Re si chiama "Juan Carlos Alfonso Víctor María de Borbón y Borbón-Dos Sicilias", (normalmente abbreviato in "Juan Carlos I de Borbón").
Uno dei tanti, (ma forse il minore), fardelli che la dittatura franchista ha lasciato in eredità agli spagnoli.

I danni di cui parlo tuttavia non sono politici.
Il Re di Spagna non ha alcun potere di questo tipo, nemmeno quello del Presidente della Repubblica Italiana di rimandare una volta le leggi alle camere. La sua unica utitlità sociale è quella di rappresentante della Nazione, di firmatore di leggi e nomine, e di soporifero la notte di fine anno.
Anzi, dal punto di vista politico forse, a questo preciso Re, c'è da riconoscere il merito d'aver appoggiato il processo di transizione democratica dopo la morte del "Caudillo", (nonostante la controversa vicenda del 23 Febbraio 1983 e le varie teorie complottiste che girano intorno al fallito golpe).
Anche se comunque, io personalmente ritengo la monarchia anti-democratica a prescindere dai meriti dei singoli regnanti: qualsiasi persona potenzialmente potrebbe arrivare ad essere presidente di una repubblica, ma se non nasce principe non potrà mai arrivare ad essere re in una monarchia. Dov'è quindi il principio dell'uguaglianza fra i cittadini?

Ad ogni modo i danni borbonici a cui mi riferisco sono più che altro, (come nel Regno delle Due Sicilie), di carattere economico: quanto costa alla Spagna il vitalizio del firmatore di leggi ed oratore del 31 Dicembre?
L'articolo 65 della Costituzione del '78, traducendo il più letteralmente possibile, afferma:
"Il Re riceve dalle finanze dello Stato una quantità globale per il mantenimento della sua Casa e Famiglia, e dispone liberamente della stessa"1.

Concretamente però, quanto s'intasca "Gianni Carlo"? Per esempio 8,9 milioni di euro sia nel 2009 che nel 20102...Ma non basta: l'amministrazione pubblica paga anche il personale civile impiegato nella Casa Reale2 (senza contare i vari altri privilegi).
"Anche gli italici Presidenti della Repubblica però sicuramente quanto a privilegi non scherzeranno", penserà chi legge.
D'accordo...Non se la passano certo male neanche loro.
Ma intanto le retribuzioni vanno negli ordini di centinaia di milioni di lire o di centinaia di migliaia di euro3-4.
Cifre ben distanti da quelle borboniche.

Fanatici neo-borbonici, accontentatevi di Napolitano...Non avrà la divisa ma almeno è più economico!


11 aprile 2011

Parmalat-Lactalis e il mercato che non funziona

Da qualche settimana si assiste alla vicenda Lactalis-Parmalat.

Dopo il fallimento del 2003, l'amministratore delegato Enrico Bondi ha rimesso le cose a posto: ha ceduto le attività non redditizie, ha chiuso le vertenze con le banche e ha quotato in borsa l'azienda di Collecchio, pagando i creditori della vecchia Parmalat con azioni della nuova società, che produce ogni anno 2-300 milioni di utili netti.

Per questo Parmalat fa gola a molti, a cominciare dalla francese Lactalis che ha acquistato il 29% delle azioni. Questo significa che chiunque volesse acquistare Parmalat dovrebbe lanciare un'offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni del gruppo di Collecchio. E forse non gli converrebbe.

Il governo ha reagito con norme che ostacolano le scalate da parte degli stranieri. I francesi, in passato, hanno impedito agli stranieri di acquistare le loro aziende e oggi Tremontii applica le stesse regole, rinnegando l'idea che sia il mercato a decidere.

Sulla vicenda è intervenuto sul Corriere un buon giornalista come Massimo Mucchetti (vedi qui) cui ha risposto, sul corriere.it, Roger Abravanel (vedi qui).
Chi è e cosa dice Abravanel?

E' un ingegnere che dopo 35 anni presso una società di consulenza americana oggi si occupa di fondi di investimento. In pratica uno che compra e vende aziende, investe in aziende che possono crescere e rivende le partecipazioni per fare utili. Spesso incurante della sorte di chi ci lavora. Ma soprattutto è un guru dei sostenitori della meritocrazia.

Non a caso la sua rubrica su corriere.it si chiama Meritocrazia. Un'invocazione al mercato, al meglio che prevale sul peggio, alla libertà che vince sulle regole.

E infatti l'ingegnere scrive: "Mentre le società avanzate sono entrate in una era «post-industriale» dove si valorizza il talento e il paradigma economico non richiede più fabbriche di piccole imprese che producono prodotti, ma grandi imprese che valorizzano eccellenza e talenti che producano idee per farle crescere, noi siamo ancora fermi ad un modello obsoleto di piccole imprese industriali che esportano grazie a un imprenditore geniale che riempie le fabbriche per i suoi operai. Per «tenerci Parmalat», non abbiamo bisogno di meno libertà economica e più protezionismo, ma di azionisti eccellenti in grado di competere con Lactalis nel creare idee che creano più valore per i suoi azionisti e più opportunità per i suoi lavoratori".

Tradotto in italiano: non ci interessano fabbriche e operai, ma solo il meglio degli ingegneri e dei manager capaci di far produrre un bene a qualche disgraziato del terzo mondo (che non vogliamo neppure sapere chi è) un bene e venderlo in giro per il mondo.

Peccato che l'Italia sia piena di operai che non aspirano a perdere il posto e non si possono trasferire rapidamente in manager di alto livello.
Peccato che in mercati come quello alimentare la crescita sia molto lenta e che, quindi, non ci siano certezze su lavoro e crescita: Lactalis anzi potrebbe integrare le proprie attività in Italia (dove gestisce marchi come Galbani e Invernizzi) con quelle di Parmalat tagliando i lavoratori di troppo.

Peccato che Lactalis sia considerata un'azienda poco trasparente e facile al ricatto.
E peccato che -soprattutto- Lactalis abbia una strana idea del mercato "libero", come insegna la vicenda di Moretta, che dubito Abravanel conosca.

Moretta è un paese della provincia di Cuneo in cui esisteva, fino al 2006, uno stabilimento di trasformazione del latte. Dalla Nestlè è passato al gruppo Lactalis che un giorno decide di poter fare a meno del latte e dell'impresa di trasformazione. Meglio lasciare lo stabilimento con vista sul Monviso per uno nell'hinterland milanese.

I lavoratori, i sindacati e la politica locale si mobilitano per salvare i posti di lavoro dei dipendenti e dei fornitori, ma non riescono a far nulla. Lactalis chiude e non vuole neppure cedere lo stabilimento, anche se le offerte non mancano.
Per Lactalis deve restare chiuso ad arrugginire. Lactalis rinuncia a incassare un bel pò di soldi pur di non avere un concorrente capace di offrire lo stesso prodotto e di sfruttare il latte degli stessi fornitori.

Insomma il mercato non funziona come vorrebbero i liberisti. Alcuni economisti l'hanno spiegato da molto tempo (e qualcuno s'è portato a casa il premio Nobel) ma i liberisti, sempre attenti al merito (il proprio o quello altrui) non se ne sono accorti.

10 aprile 2011

Eredità vs Herencia

Studiando diritto civile in Spagna, ho notato che (aldilà dei matrimoni omosessuali etc. che in questo blog non ci interessano, non avendo trascendenza economica), uno dei punti più differenti rispetto al sistema italiano è quello sull’eredità (che in spagnolo si dice herencia).
E’ necessaria però una premessa: alcune regioni spagnole, (Catalogna, Paese Basco e qualche altra), godono di certi privilegi legislativi che gli permettono, in determinati ambiti del diritto privato (tra cui l’eredità), di emanare nel loro territorio leggi proprie diverse dal resto della nazione, (“vecinidad civil foral” la chiamano, mentre in tutte le altre regioni vige la “vecinidad civil común”). In questo confronto, quelle a cui faremo riferimento saranno le norme previste dalla vecinidad civil común, valide nella gran parte della Spagna.
Per non dilungarci troppo ad analizzare ogni singola eventualità, (che ci vorrebbero 10 interventi), prendiamo un esempio di una famiglia di padre, madre e due figli, nella quale muore il padre.
Senza testamento: In Italia1 la moglie ormai vedova eredita 1/3 del patrimonio ed i figli erediteranno in parti uguali i restanti 2/3 (se fosse stato un figlio unico si sarebbe preso interamente i 2/3).
In Spagna2 la moglie non eredita niente, il codice civile spagnolo è categorico: i diritti del coniuge vivo si limitano al mero usufrutto di una parte dei beni del coniuge deceduto, (se sono separati, anche separati "di fatto" senza sentenza, nemmeno l'usufrutto, mentre in Italia il coniuge separato senza sentenza ha gli stessi diritti del coniuge convivente).
Nel nostro caso erediterebbero l'intero patrimonio i due figli in parti uguali, la moglie otterebbe solo il diritto d'usufrutto di 1/3 delle proprietà ereditate da loro, (per esempio il diritto di abitare nella casa della famiglia). Senza discendenti ereditano gli ascendenti, poi i parenti in linea collaterale, infine lo Stato, in nessun caso il coniuge.

Con testamento: in Italia1 la quota legittima riservata dalla legge è del 25% per il coniuge, e del 50% da dividersi in parti uguali tra i vari figli.
Rimane quindi una quota disponibile del 25% che il testamentario può lasciare a chi desidera.
In Spagna2 il testamento invece funziona così: si divide il patrimonio in 3 terzi, detti: tercio de legítima, “de mejora”, e de libre disposición”. La legítima va agli eredi in parti uguali. La mejora (“miglioramento”), è una specie di premio che il testamentario (volendo) può attribuire arbitrariamente ad uno degli eredi, oltre alla legittima. Infine il terzo di libera disposizione da poter destinare a chi si vuole, (magari qualcosa al coniuge vedovo rimasto a bocca asciutta, o magari no).
Conclusioni:
Il diritto italiano si preoccupa molto di più di tutelare il coniuge.
Quello spagnolo pare quasi “ignorarlo”, (limitandolo al mero diritto di usufrutto, togliendo anch'esso nel caso di separazione), forse per non incentivare eventuali matrimoni d’interesse.
Inoltre il diritto spagnolo propone un curioso terzo di “mejora” vincolato agli eredi, ma da poter utilizzare come premio per l’erede “preferito”.
Infine, nel nostro caso, la Spagna lascia una maggior quota disponibile (1/3 contro un 1/4 dell'Italia), da gestire come vuole il testamentario, permettendo una maggior libertà nel disporre dei propri beni.

Insomma, eredità o herencia?
González, editoriale: UNED
2 “Compendio de Derecho Civil”, autore: Carlos Lazarte González, editoriale: UNED

09 aprile 2011

Barnard e i signoraggisti: dov'è la differenza?

Ne "Il più grande crimine" Paolo Barnard prende le distanze dai profeti del signoraggio.

Partito "per affrontare il presunto ‘complotto del signoraggio bancario’", Barnard si rende conto che "i signoraggisti non mi offrivano garanzie di autorevolezza, essendo un gruppo assortito di avvocati, medici, traders, giuristi, internettiani non meglio qualificati e/o imprecisati affaristi, insomma, tutto meno che economisti e monetaristi".

Insomma niente di credibile, fatta eccezione "per un paio di nomi accreditati(*), come ad esempio il prof. Willem Buiter, allora professore London School of Economics" (oggi chief economisti presso la banca americana Citigroup) che gli dice: "Chiunque veda nel signoraggio bancario un complotto, è un orso decerebrato".

Il complotto non c'è e i signoraggisti sono poco credibili, secondo Barnard. Che però elabora le stesse proposte dei signoraggisti, e anche in ritardo.

Un signoraggista (vedi qui) nel maggio 2009 proponeva di ricostruire l'Aquila stampando moneta: "Per affrontare la situazione della ricostruzione lo Stato Italiano deve creare ed emettere gratuitamente il denaro".

Barnard propone la stessa cosa, ma 22 mesi dopo, nel marzo 2011: "Se lo Stato avesse ancora la propria moneta sovrana ci sarebbero i soldi per ricostruire L’Aquila’ . Stampando semplicemente i miliardi di euro che occorrono e utilizzandoli per pagare cantieri, tecnici e materiali" (vedi qui).

Dov'è la differenza?

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(*) accreditato da chi? forse da Gheddafi che finanziava la London School of Economics?

08 aprile 2011

Le stranezze di un fondo di investimento

Dopo aver letto i commenti al post precedente, sullo scandalo dei Parioli, mi sono chiesto: è possibile ottenere rendimenti decisamente superiori a quelli dei BOT?

Sono andato a cercare i fondi di una grande banca, IntesaSanPaolo. Uno aveva un nome invitante: Eurizon Azioni Alto Dividendo Euro (vedi qui). Un tempo si chiamava SanPaolo Azioni Italia.

Il fondo, nato nel 1995, in effetti ha offerto un buon rendimento: +417%, corrispondente a circa il 10% annuo (a tasso composto). Dunque sembrano esistere strumenti speculativi che offrono (onestamente) un rendimento a due cifre.

Cercando qualche dato in più si scoprono però alcune stranezze. Nel sito Eurizon il fondo Azioni Alto Dividendo Euro è inserito tra i fondi italiani. Viene da pensare che sia un fondo composto per lo più da titoli italiani, mentre è composto per il 31,8% da titoli francesi, per il 26% da titoli tedeschi, per il 13% da titoli spagnoli, per il 7,7% da titoli olandesi. I titoli italiani rappresentano solo l'11,7% del portafoglio. Forse bisognerebbe spiegare che un fondo italiano è un fondo creato in Italia.

Poi il rendimento è certamente buono, se paragonato ai BOT, ma poco incoraggiante se paragonato al benchmark, cioè a un indice teorico di riferimento. Quasi mai nell'ultimo decennio il fondo ha fatto meglio del benchmark e a volte ha fatto assai peggio.
Nel 2005 ha ottenuto un +11% contro un 25% del benchmark. Nel 2007 un -4,7% contro un +2,1% del benchmark.

In sostanza se il gestore del fondo, dopo aver comprato titoli nella stessa proporzione dell'indice di riferimento, se li fosse dimenticati, avrebbe ottenuto risultati migliori.

Per questo pare esagerata la commissione di gestione del fondo dell'1,9% annuo a cui si aggiunge la commissione di entrata (fino ad un massimo dell'1,5%): si paga per la gestione di un fondo che rende meno del portafogli titoli di riferimento.

Anche perchè c'è da dubitare che si gestisca davvero il portafoglio titoli. Una gestione attiva di un portafoglio titoli prevede (almeno a mio parere) che si venda un titolo quando il valore è alto o quando il suo valore diminuisce per poi ricomprarlo a prezzi inferiori. Questo ha fatto ad esempio la Fondazione CRT (vedi qui) che nell'anno peggiore per le borse ha ottenuto il miglior risultato di sempre.

Ma il fondo di Eurizon è riuscito a perdere il 40% nel 2008, replicando la pessima performance del benchmark. Com'è possibile? La sola spiegazione è che mentre i mercati crollavano, i gestori del fondo siano rimasti a guardare, "dimenticandosi" di vendere le azioni per poi ricomprarle in un secondo tempo. Tanto la commissione la incassano lo stesso.

06 aprile 2011

L'ultima catena di Sant'Antonio


La catena di S.Antonio (detta anche piramide o Ponzi game) è una truffa assai banale. Il truffatore convince delle persone a affidargli i risparmi con la promessa di un rendimento elevato, e usa i soldi raccolti per pagare gli interessi. Il truffato è tranquillo, almeno finchè gli interessi arrivano abbondanti e il truffatore può fare quel che vuole con i soldi altrui, almeno finchè non si scopre la truffa.

La truffa è scoperta quando troppi clienti chiedono indietro i soldi. Il truffatore, se è prudente, tiene un pò di contanti, quanto basta per rimborsare qualche cliente e continuare a raccogliere denaro. Ma prima o poi la raccolta di nuovi capitali si esaurisce e la truffa viene a galla.

E' quanto successo a Roma, con l'Egp, una finanziaria che ha truffato molti clienti danarosi, come l'ex calciatore Rizzitelli o l'attore Davide Riondino.

A capire che si trattava di una truffa è stata la criminalità organizzata. Quando esponenti di una famiglia criminale hanno chiesto indietro i soldi, ricevendo qualche scusa, hanno capito cosa succedeva e hanno minacciato il truffatore. Il quale s'è rivolto alle forze dell'ordine che hanno voluto vederci chiaro.

Sono saltati fuori così nomi e cifre: calciatori, attori, gente famosa che aveva affidato alla Egp somme anche ingenti e adesso spera che i truffatori non se li siano mangiati.

Come mai succedono queste cose? O meglio, come mai coinvolgono persone che non dovrebbero farsi ingannare così platealmente?

Certo c'è l'ingordigia di chi non si accontenta di un rendimento normale che, applicato a somme elevate, garantisce comunque un buon guadagno. Poi c'è l'ignoranza di chi, non conoscendo le regole sulla raccolta del pubblico risparmio, si affida a chi non può svolgere tale mestiere o lo fa in modo irregolare.

Basta a spiegare perché in queste vicende siano coinvolti personaggi famosi che, visto il conto corrente, potrebbero rivolgersi a qualche esperto di private banking? Forse no.

C'è un'altra possibile spiegazione, di tipo psicologico: i "vip" sono, chi più chi meno, abili venditori. Certo ci vuole talento per giocare a calcio ad alti livelli o per recitare in teatro, ma non basta a garantirsi guadagni elevati. Occorre anche un pubblico.

Ci sono giornalisti (si pensi a Travaglio o alla coppia Stella e Rizzo) il cui successo non dipende dalla capacità di scrivere, ma dall'aver saputo individuare una tematica che piace ai lettori.

Un calciatore ottiene contratti importanti se, oltre a giocare bene, attrae gli sponsor. Conta l'immagine, il look o la fidanzata famosa. Deve colpire la fantasia di chi lo guarda, come succede all'attore, per il quale conta più inventare un nuovo personaggio che saper recitare bene.

Insomma il vip è un venditore che ha fatto le mosse giuste per conquistare il pubblico e ottenere successo. Ha un suo piccolo segreto e forse crede, come ogni buon venditore, all'immagine che offre di sè o alla validità del prodotto (o servizio) che offre.

Due buone ragioni per fidarsi di altri venditori, non mescolarsi con gli altri clienti di una banca e credere all'opinione di un altro vip finendo, talvolta, nelle mani di un truffatore.

03 aprile 2011

WikiLeaks (e il signoraggio)

Da qualche settimana è in libreria Inside WikiLeaks, scritto da Daniel Domscheit-Berg, noto nel web come Daniel Schmitt (Schmitt è il suo gatto), fino a qualche mese fa uno dei 3-4 membri più importanti di WikiLeaks insieme a Julian Assage.

E' un libro interessante per chi vuol capire cos'è WikiLeaks, ma anche per comprendere perché si raccontano certe frottole, come quella del signoraggio, ignorando ogni prova contraria.

WikiLeaks nasce da un'idea di Assange: rendere disponibili documenti riservati, acquisiti in maniera anonimo da chi li possiede. Richiede un gran lavoro per pubblicarli, eliminare nomi di persone che potrebbero rischiare la vita o il carcere, gestire software e hardware, pubblicizzare le informazioni presso i mass media, garantire l'anonimato di chi invia i documenti. Per questo Assange cerca volontari, che si impegnano nell'iniziativa credendo che la conoscenza di informazioni riservate serva a rendere migliore il mondo.

Un gruppo sparuto.
Non più di 5-6 persone impegnate quasi a tempo pieno, che tuttavia usano -per prudenza- pseudonimi e parlano genericamente di collaboratori, senza specificare quanti, lasciando credere che WikiLeaks abbia a disposizione mezzi e uomini sufficienti a garantire un buon lavoro.

Alla fine del 2010 il gruppo dei più stretti collaboratori di Assange si spacca. Daniel Domscheit-Berg viene espulso e fonda OpenLeaks insieme ad altri, dopo i contrasti con Assange.

Il creatore di WikiLeaks, Julian Assange secondo Daniel Domscheit-Berg si è identificato col WikiLeaks, mescolando le sue vicende personali con quelle di WikiLeaks e trattando tutti come subordinati, esclusi dalle decisioni e anche da WikiLeaks.

Un'identificazione che ha reso Assange un pò paranoico, pronto a vedere ovunque pericoli e agenti segreti pronti a minacciare la sua vita e la sua libertà.
Le prove? Mai viste... Assange usa le minacce dei servizi segreti anche per giustificare i ritardi e decisioni unilaterali.

WikiLeaks è diventata famosa per aver svelato documenti segreti di una banca svizzera, Julius Baer. Cos'ha fatto la banca contro WikiLeaks? Nulla oltre a intervenire legalmente nel tentativo, andato a vuoto, di bloccare la pubblicazione dei dati.

Insomma si capisce facilmente cosa c'è dietro le frottole sul signoraggio: qualche personaggio con troppa personalità, pronto a urlare al complotto, intenzionato a prendersela con gli amici che considera subordinati, impermeabile alle critiche e, soprattutto, poco incline a confrontarsi con la realtà: le prove non ci sono mai, che si tratti dei complotti anti-Assange o di quello del signoraggio.

02 aprile 2011

La discriminazione dei precari della scuola

Le regole europee (e italiane) dicono che il precario ha diritto a diventare un lavoratore a tempo indeterminato dopo un certo numero di rinnovi del suo contratto precario.

Lo scopo della norma è semplice: evitare che un lavoratore sia precario a vita e che l'azienda usi i contratti per risparmiare oltre il lecito. Se l'azienda tiene al lavoratore, dopo un pò deve assumerlo. Se non ci tiene, dopo un pò non gli rinnova il contratto.

Questa regola sta facendo impazzire Tremonti e forse anche la ministra Gelmini.

La finanziaria ha deciso di tagliare molto nella scuola e a farne le spese sono stati i precari. Cacciati dopo anni di duro lavoro tra una supplenza e l'altra.

Molti non si sono arresi e hanno iniziato a rivolgersi ai tribunali del lavoro, chiedendo l'applicazione delle regole: hanno lavorato e hanno maturato i requisiti per essere assunti a tempo indeterminato.

Così la scelta di Tremonti (per il tramite della Gelmini) di cacciarli si rivelerebbe un boomerang. Si mandavano via i precari per risparmiare, ma se i tribunali daranno ragione ai precari, come sta già succedendo, il governo dovrà pagare tra i 4 e i 6 miliardi di euro.
Come porre rimedio al disastro?

La strada, secondo il Sole 24 Ore (vedi qui), consiste in un decreto che dirà che le norme europee non valgono per la scuola. In pratica una discriminazione: i precari nella scuola sono un mondo a parte, senza diritti. In attesa che qualche tribunale cancelli anche questa assurdità.

01 aprile 2011

In attesa del derby...

Sabato si gioca il derby di Milano che potrebbe essere determinante per l'assegnazione dello scudetto, se non ci si mette di mezzo il Napoli e magari qualche altra squadra.

In attesa dello spettacolo ritorno sul tema bilanci delle squadre di calcio. Un conoscente interista mi ha spiegato le virtù dell'Inter in fatto di bilanci. Un pò perlesso sono andato a cercare i conti, trovando qualche articolo che parla del bilancio 2010 della squadra di Moratti.

Ebbene, c'è poco da stare allegri. Perchè tra un paio d'anni le società di calcio dovranno mettere a posto i bilanci, se non vogliono fare i conti con monsieur Platini: senza un bilancio a posto non ci si iscriverà nelle coppe europee.

Così un pò tutti i presidenti spiegano che devono cambiare e raggiungere il pareggio di bilancio. La squadra più spendacciona è stata, negli ultimi anni, l'Inter, che un paio di mesi fa ha annunciato di essere sulla buona strada. Solo 69 milioni di perdite, di cui 40 ripianati dal ricco presidente nerazzurro.

Come si arriva a 69 milioni di perdite? La Champions ha reso bene. Le entrate sono aumentate di una trentina di milioni, ma se ne sono spesi circa 50 in premi. Ottima notizia...ma solo a patto di non vincere. Se l'Inter non vincesse ma arrivasse in fondo alle competizioni, non pagherebbe premi. Solo ricavi, ma nessun costo aggiuntivo.

Ma l'aspetto più preoccupante è un altro: il margine operativo, cioè la differenza tra ricavi e costi, è negativo per 157 milioni di euro, per effetto di stipendi elevati (complici i premi di cui sopra) e di ammortamenti elevati, frutto di tanti acquisti di calciatori, a cominciare da quello di certo non conveniente di Eto'o.

I 157 milioni di perdite sono diventati 69 grazie alle plusvalenze e alle entrate straordinarie. In pratica con la cessione di diversi giocatori, primo fra tutti Balotelli, e con la rescissione del contratto di Mourinho sono entrati quasi 90 milioni di euro. La perdita è scesa a 69 milioni. Molto meglio dei 154 dell'anno prima.

Resta dunque molto da fare. Senza la vendita dei calciatori e senza i premi, supponendo ricavi invariati (anche se dipendono dai risultati sportivi) l'Inter perderebbe un centinaio di milioni di euro. Troppi per dormire sonni tranquilli.

Link Interni

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