30 aprile 2012

Enrico Bondi

Tempo di tagli alle spese. Il governo ha spiegato che lo stato spende troppo e che la spesa cresce troppo rapidamente. E' ora di modificare le cose e iniziare a tagliare con particolare attenzione all'acquisto di beni e servizi.

Secondo il ministro Giarda ci sono 80 miliardi di euro di spese "tagliabili" nel breve.medio periodo, ma nell'immediato si possono tagliare solo circa 4,2 miliardi per il periodo giugno-dicembre, tagli che su base annua faranno risparmiare circa 7 miliardi. Tagli che servono a evitare l'aumento dell'IVA prevista per ottobre.

Il tagliatore della spesa per beni e servizi è Enrico Bondi, noto risanatore di imprese, che nel 2003 prese in mano Parmalat, da qualche mese passata ai francesi di Lactalis.

All'inizio del 2004 Bondi era molto temuto dai lavoratori di Parmalat. Aveva la fama del risanatore che taglia i costi, ma ha saputo distinguere i pochi rami secchi dell'azienda di Collecchio dai molti settori sani, ha gestito innumerevoli accordi con le banche con cui la nuova Parmalat era in causa per una gestione spregiudicata dei finanziamenti ai tempi di Tanzi e che, nel frattempo, erano diventate azioniste delle nuova Parmalat.

Oggi a Bondi si chiede di tagliare le spese in eccesso dello Stato e di fare come si farebbe in un'impresa: con un'infinità di risparmi su innumerevoli voci di spesa.

Chi pensava di sistemare i conti pubblici con qualche decisione miracolosa, tagliando solo una certa categoria di costi (ad esempio quelli della politica) resterà deluso. Ma forse è meglio così.

P.S. Qualcuno ha ancora sentito parlare di costi standard e delle altre stranezze made in Lega? Sbaglio o il governo entrante ha dimenticato le idee leghiste?

29 aprile 2012

Tasso di cambio: cosa succede se ...

Chi parla di signoraggio, sovranità monetaria e così via dimentica spesso di spiegare gli effetti sull'economia delle proprie strampalate proposte. Giocare con l'emissione monetaria, aumentandola o diminuendola per soddisfare qualche obiettivo economico, avrebbe altri effetti sull'economia, effetti che i sostenitori di idee strampalate sulla moneta di solito ignorano.

L'economia svizzera è da tempo alle prese con un tasso di cambio che tende a rivalutarsi perché i capitali di mezzo mondo, alla ricerca di un investimento sicuro, affluiscono nelle banche helvetiche. Acquistano franchi e così la moneta svizzera si rivaluta.

Quali sono gli effetti per le imprese? Esperti della Banca Centrale Svizzera l'hanno chiesto agli imprenditori, scoprendo che gran parte delle imprese guardano alla rivalutazione del franco con preoccupazione. Sono soprattutto le imprese industriali a soffrire il cambio, e reagiscono cercando di ridurre i costi, soprattutto quelli del personale, ma anche provando a riposizionare i prodotti, per compensare i minori guadagni provocati dalla rivalutazione del franco.

Ci sono poi altri effetti negativi: i fornitori delle imprese risentono del cambio come anche i commercianti perhcè acquistare in Svizzera non conviene e chi abita vicino alle frontiere va a fare acquisti all'estero. Il settore edilizio risente mno dell'apprezzamento della moneta, forse perchè lo spostamento di capitali verso la Svizzera oltre a causare l'apprezzamento del franco, provoca l'investimento in immobili.

Un ulteriore effetto della rivalutazione del franco è la polarizzazione delle aspettative. Le aziende che si entono penalizzate dalla rivalutazione hanno aspettative pessimiste per quanto riguarda vendite, occupati, investimenti. Invece chi non si sente penalizzato vede un futuro positiva con occupati, fatturato e investimenti in crescita.

Chi pensasse, quindi, che i problemi economici si risolvano solo agendo sulla quantità di moneta sbaglia. Gli effetti di una rivalutazione come di una svalutazione della moneta non sono mai univoci nè si possono prevedere a priori. A volta anzi sono solo un'illusione, l'illusione di risolvere i problemi economici con qualche scorciatoia.

26 aprile 2012

Il default


Ultimamente leggo su blog e giornali più di un richiamo all'uscita dall'Euro, al ritorno alla lira e al default. In buona sostanza c'è in giro chi crede che dichiare fallimento sarebbe la panacea di tutti i mali.
La logica su cui si basano questi ragionamenti è semplice: spendiamo circa 80 miliardi di euro in interessi passivi, quindi non pagandoli più ci sarebbero abbastanza soldi per tutto.

Io non credo che sia tutto così semplice e provo a dipingere uno scenario possibile.

L'Italia dietro la spinta di movimenti che predicano l'autarchia monetaria decide che da oggi, 31 Dicembre 2012, il debito pubblico non sarà più rimborsato e di conseguenza non saranno più pagate cedole di interessi a nessuno e di conseguenza il debito pubblico è azzerato.

Ops, in realtà non è azzerato, perchè il debito pubblico non è composto solo da titoli di stato, come si può vedere qui, inoltre nel debito pubblico non rientrano i debiti verso le aziende e altre voci, come si può vedere qui su Wikipedia.

Quindi in realtà non sarebbe proprio azzerato, ma rimarrebbe su una cifra vicino a circa 400 miliardi di Euro, diciamo circa il 25% del PIL che a un tasso passivo medio del 4% genererebbero circa una quindicina di miliardi di euro di interessi passivi. Una bazzeccola rispetto ai numeri odierni. Inoltre i pagamenti di stipendi pubblici e pensioni sarebbero pagati dal consistente avanzo primario di bilancio.

Ma...

Le conseguenze non sarebbero proprio piacevoli.

Innanzi tutto gli Euro che le banche hanno preso all'1% dalla BCE sono stati usati quasi esclusivamente per comprare titoli di stato, quindi tutte le banche italiane sono sature di BOT, CCT e simili. Quindi il default italiano farebbe istantaneamente fallire tutte le maggiori banche italiane, buona parte di quelle europee e metterebbe in seria difficoltà le banche di mezzo mondo.
E non solo le banche, anche assicurazioni, fondi immobiliari, consorzi di garanzia, casse di previdenza e simili potrebbero fallire, in quanto obbligate a detenere come riserva titoli pubblici.

Quindi fallendo le banche sfumerebbe qualunque risparmio detenuto in quelle banche: in un caso del genere non ci sono fondi di garanzia statale sui depositi che tengano.

A questo punto la liquidità sparirebbe: nessuno depositerebbe mai più nulla in banca, le banche non avrebbero più nulla da prestare (quelle rimaste). Dopo le banche toccherebbe alle imprese con una conseguente caduta verticale del PIL: niente più tasse, pensioni e stipendi pubblici. Per non parlare di disoccupazione e fuga di qualunque capitale o investimento dall'Italia.

E a questo punto diventa difficile fare previsioni: nessun governo sensato arriverebbe mai a questo punto, ma a un certo punto, come in Argentina, inizierebbe a stampare moneta propria (la lira) convertendo i vecchi titoli di stato con la nuova valuta in proporzione variabile. E a questo punto saremmo tornati daccapo: vecchio debito, vecchi interessi e una moneta svalutata.

Ci pensi per bene chi profetizza ipotesi senza vagliarne bene le conseguenze!

Le illusioni dell'informazione online

Nei giorni scorsi Rai5 ha trasmesso un interessante documentario di Andrew Rossi sul New York Times, celebre giornale americano, molto venduto e autorevole.

Incuriosito, l'ho guardato pensando si parlasse di giornalismo. E invece ho scoperto che si discuteva soprattutto di economia. Da anni il NYT è in crisi. Le entrate pubblicitarie stanno scendendo e anche le vendite non vanno benissimo, complice internet, che offre gratis molte informazioni un tempo comprate con il giornale cartaceo.

E' il mercato, penserà qualcuno, il nuovo che avanza e sostituisce il vecchio. I profeti dei nuovi media spiegano ai giornalisti del NYT che il mondo cambia e forse i vecchi giornali cartacei sono superati. Ma i vecchi giornalisti osservano che in realtà l'informazione online che vive di pubblicità non produce le notizie. Le copia.


Provate a cercare una notizia e a leggerla online su diverse fonti. Scoprirete che molto spesso la notizia è sempre la stessa, copiata parola per parola da un'unica fonte, che quasi sempre non viene citata.

La libertà di informazione e il pluralismo delle fonti che la rete dovrebbe fornire, si riduce a questo: un giornale vero che produce una notizia e altri giornali che la riportano gratis. I costi dell'informazione tradizionale gravano sui giornali cartacei, che rischiano la chiusura perchè i potenziali lettori trovano le stesse notizie online. Invece chi copia le notizie può vivere di pubblicità online.

Si genera così l'illusione che internet sia la soluzione gratuita o quasi e che produca informazioni migliori dei quotidiani tradizionali, mentre in realtà accade il contrario: i giornali che cercano le notizie sono in difficoltà e tagliano i costi che devono sostenere per svolgere bene il proprio lavoro e la moltiplicazione delle fonti è solo apparente, visto che molte notizie sono in realtà la stessa notizia ripetuta più volte.

23 aprile 2012

L'Italia che cresce - 1

Anche in un periodo nero per l'economia, ci sono settori che crescono. Il caso più clamoroso è quello degli scontrini fiscali, che nei primi mesi dell'anno, complici i controlli della finanza, si vendono come non mai.

Più 14% in un anno con punte di oltre il 58% per gli scontrini delle estetiste, oltre il 30% per ambulanti e alberghi.

Se c'era bisogno di una prova dell'evasione che raggiunge livelli inaccettabili e dell'efficacia delle scelte del governo in materia fiscale, adesso la prova c'è. Speriamo che la crescita del numero di scontrini si trasformi in un aumento dell'IVA e delle imposte su società e persone fisiche. Ne hanno bisogno i conti pubblici e il senso di giustizia degli italiani. O almeno di quelli onesti.

20 aprile 2012

Viva il partito dell'astensione

I sondaggisti dicono da tempo che il primo partito italiano è quello dell'astensione. Almeno un italiano su 3 ma forse anche uno su due dice ai sondaggisti che non intende andare a votare.

Aggiungi didascalia
Molti hanno delle buone ragioni, alimentate dalle notizie sui costi della politica, il finanziamento ai partiti utilizzati in pessimo modo, sui privilegi dei politici insensibili alla crisi che colpisce i cittadini, ecc. Altri invece non vanno a votare perché il loro referente politico non può più offrire qualcosa in cambio del voto.

Molti dei 945 parlamentari sono perfetti sconosciuti, spesso più ignoranti e meno onesti dell'italiano medio. Da anni le discussioni su come ridurne il numero non producono risultati, probabilmente perchè questi signori portano voti ai partiti che li arruolano. Il voto però costa. L'elettore vuole qualcosa in cambio. Soldi, favori, contributi per un'associazione, la baby-pensione, soldi per un'impresa che non si vuole far fallire.

Il gioco funziona finchè ci sono soldi da spendere. Da un anno l'Italia è in bolletta e i soldi facili regalati agli elettori sono finiti.
Come si comporta l'elettore-cliente del politico senza più soldi? Qualcuno decide di appoggiare un altro politico o magari il personaggio che promette un miracolo con strade alternative. Altri, forse la maggioranza, semplicemente decidono di non votare. Protestano astenendosi.


La democrazia è in pericolo? Se è vero che esistono le clientele e quindi elettori che non scelgono il partito o il modello politico migliore, ma quello più conveniente per se stessi, allora la democrazia non è in pericolo. Magari può trarre beneficio da un voto meno condizionato dalle clientele e più ispirato a ideali e giudizi non distori dai soldi e dagli interessi particolari.

Non dobbiamo per forza rammaricarci della crescita del partito del non voto, se significa meno clientele e meno spesa inutile. Anche perché rompere il legame tra il politico e l'elettore-cliente riducendo i soldi che il primo fa spendere a favore del secondo, è il primo passo per ridurre il numero dei politici. Senza soldi pubblici da spendere molti deputati diventano inutili o addirittura imbarazzanti e per questo potrebbe essere ridotto il loro numero.




Pensierino. Sulle pazze idee di Grillo

In campagna elettorale, Beppe Grillo ha spiegato che le banche devono fallire e ha lanciato l'allarme: migliaia di aziende stanno fallendo.

Ma se le banche fallissero, chi presta i soldi alle imprese? E chi finanzia il debito pubblico?


18 aprile 2012

Gli strani numeri di Mario Monti

L'economia è materia piena di ipotesi e di numeri. Se fai questo l'economia funziona meglio. O almeno si spera. Ma quanto meglio? Difficile a dirsi. Facile sparare numeri a casaccio e essere smentiti.

Tre mesi fa Mario Monti ha spiegato che in seguito alle liberalizzazioni il PIL può crescere anche del 10% secondo gli economisti, facendo riferimento all'ultima assemblea dei partecipanti della Banca d'Italia, quando Mario Draghi spiegò quali vantaggi avrebbe provocato il superamento di alcuni vincoli di cui soffre l'economia italiana.

Oggi Mario Monti è tornato sull'argomento, ma ha spiegato che in otto anni la maggiore crescita prodotta da un serio piano di riforme sarà del 5%.

Insomma la crescita potenziale determinata dalle riforme s'è dimezzata in tre mesi. Forse Monti ha capito che non è facile cambiare l'Italia? O non crede alle stime di qualche economista molto fiducioso nelle riforme del lavoro, della giustizia, ecc.? Oppure ancora ha frequentato un buon corso di economia e ha capito che se la domanda langue le riforme possono produrre risultati modesti?



17 aprile 2012

Il signor P ha compreso il funzionamento della riserva frazionaria, ma forse non lo sa

Mi hanno segnalato questa pagina (vedi qui) del sito signor P che da anni scrive di signoraggio e di materie economiche dichiarando di non avere alcuna preparazione (vedi qui).

Il signor P ha ripreso il mio pdf sul signoraggio e in particolare i paragrafi 3.2 e 3.5 dedicati al moltiplicatore monetario. In quei due paragrafi spiego come funziona il moltiplicatore monetario e il ragionamento errato secondo il quale la banca raccoglie 100 euro e li trasforma in 5000 euro di prestiti.

Il signor P propone una sua tabella che chiama "tabella verità aggiornata/bonificata" che è del tutto uguale alla mia, almeno nella sostanza. Cambia la percentuale di riserva, che diventa il 2%, e cambia l'indicazione dei contenuti. Invece dell'indicazione Banca 1, Banca 2 ecc., il signor P inserisce le indicazioni Prestito 1, Prestito 2 ecc.

Qual è la differenza tra le due tabelle, oltre alla percentuale di riserva? Nessuna. Basta immaginare che in un'ipotetica economia ci sia una sola banca e la mia tabella si trasforma nella tabella del signor P, che dunque ha creato una tabella che altro non è che un caso particolare della tabella che ho proposto io.

Di solito infatti succede che i soldi spesi da tizio, che li ha ricevuti in prestito da una banca, siano incassati da caio e versati sul proprio conto presso una banca diversa. Ma nulla impedisce di immaginare che la banca che ci sia una sola banca e che caio versi i soldi ricevuti da tizio su un conto presso la stessa banca che ha finanziaro tizio.

Ma cosa dice la tabella verità del signor P? Forse dimostra che la singola banca, raccolti 100 euro, ne presta 5000?

Basta leggere la tabella. L'ultima riga, vicino a totali. C'è scritto che la raccolta totale della banca è pari a 5000, che le riserve totali sono pari a 100 e gli impieghi totali sono pari a 4900.

La tabella verità del signor P, dunque, non afferma che la banca raccoglie 100 e presta 5000 (oppure 4900). Dice che la banca raccoglie 5000 e presta 4900. La raccolta è sempre superiore agli impieghi, proprio come dicono tutti gli economisti e come ho scritto io nel pdf sulle frottole sul signoraggio.

In conclusione devo complimentarmi con il signor P. Benchè privo di preparazione, è indubbio che ha compreso che le banche raccolgono più soldi di quanti ne impiegano e dunque smentisce la leggenda secondo cui una banca può raccogliere 100 euro e prestarne 50 volte tanto.

Alla fine l'ha capito pure lui e l'ha messo nero su bianco....ma l'avrà capito davvero?



14 aprile 2012

Il peso della crisi


Dal 2012 gli imprenditori che si sono suicidati sono già arrivati a 23. Per motivi professionali sono quotidianamente a contatto con gli imprenditori e capisco le motivazioni che possono portare ad un gesto estremo come il suicidio.

Non è vero che gli imprenditori siano tutti una banda di profittatori senza scrupoli, anche se in Italia è in atto un processo di selezione inversa che alla fine farà sì che in circolazione rimarranno solo quelli di tale risma perché quelli onesti saranno tutti morti o falliti!

La profondissima crisi e la struttura giuridica e sociale delle imprese fa sì che il fallimento o lo spettro del fallimento siano di una gravità che supera la semplice dimensione economica.

L'imprenditore piccolo, perché è di questi che stiamo parlando, in genere conosce tutti i propri dipendenti di persona e sa benissimo che se non gli paga lo stipendio non potranno pagare il mutuo o l'affitto.

Inoltre qualunque imprenditore, a prescindere dal tipo di società che gestisce, di persone o di capitali, avrà sempre sempre messo firme personali di garanzia in banca su fidi, mutui e castelletti di anticipo fatture ( sul perverso meccanismo degli sconti fatture ci tornerò in futuro). E siccome spesso le aziende sono familiari, in banca ci sono firme di mogli, figli, padri e parenti tutti.

Quindi nel momento in cui saltano gli sconti e la banca comincia a bloccare i fidi a causa dei mancati pagamenti, non salta solo l'azienda, ma l'economia di tutti i dipendenti e di tutta la famiglia. In caso di fallimento il mondo dell'imprenditore sarà distrutto: gli salterà la casa,la macchina, la famiglia, tutto. Tutto il mondo costruito magari in una vita, il capannone, la villetta, tutto sarà perso.

In quest'ottica ovviamente, come ho premesso, non mancano i banditi che lasciano saltare l'azienda e hanno i milioni in contanti nelle cassette di sicurezza in Svizzera. Ma questi difficilmente si suicideranno.

in quest'ottica si capiscono anche le testimonianze che ho sentito nel programma di Formigli (piazzapilita) in cui in Veneto molti evitavano di condannare l'evasione: cosa pago? Ho sentito: i dipendenti, i fornitori o le tasse se devo scegliere?

Purtroppo la risposta non è sempre così scontata. In Italia manca una efficace gestione delle crisi aziendali: il fallimento equivale ad una morte sociale e le impese sono lasciate sole ad affrontare una crisi che rischia di lasciare macerie dopo il passaggio.

Come ho già scritto in altri post, bisogna considerare il ruolo sociale delle aziende sul territorio, arrivando a premiare, anche fiscalmente, quelle che assumono e mantengono dipendenti sul territorio.



13 aprile 2012

Ikea e ...giornalisti poco informati

La notizia è apparsa su tutti i giornali: Ikea, il colosso dell'arredamento svedese, ha scelto di rivolgersi a aziende italiane per la fornitura di rubinetti, giocattoli e altri oggetti, preferendo i fornitori italiani a quelli cinesi.

Sono più affidabili e meno costosi, ha spiegato l'amministratore in Italia della multinazionale svedese, che ha sottolineato che ormai i costi di trasporto e, aggiungo io, i probabili aumenti salariali richiesti dagli operai cinesi, rendono sempre meno conveniente produrre in Cina alcuni tipi di beni.

Così per ridurre i costi di trasporto, che in alcuni casi arrivano a pesare fino al 50% del costo finale del prodotto, e evitare brutte sorprese, Ikea si rivolge ai produttori italiani, molti dei quali sono a corto di commesse e per questo praticano prezzi competitivi.

Ma per qualche giornalista, essere competitivi con la Cina significa lavorare la domenica senza diritti (vedi qui).

La giornalista ha probabilmente dimenticato di informarsi. Paini, noto marchio di rubinetti, ha infatti spiegato che la commessa di Ikea farà aumentare il fatturato del 3%. E in epoca di vacche magre è ben difficile che si chieda agli operai di lavorare pure la domenica. E' già tanto se le fabbriche riescono a lavorare dal lunedì al venerdì, senza fare ricorso alla cassa integrazione.

Inoltre un buon giornalista dovrebbe sapere che nelle rubinetterie in Italia non mancano aziende capaci di offrire prodotti di qualità e di interagire assai meglio dei cinesi con i clienti: se un rubinetto non piace al compratore finale perchè ha un design sgradevole o non funziona come dovrebbe è più facile rivolgersi a un'azienda italiana che si trova a 100 km da Milano per cambiare il prodotto o a qualche azienda cinese che offre prodotti di basso costo e di bassa qualità imitando i prodotti altrui?




11 aprile 2012

Risanare i conti con la cannabis?

Torna la voglia di marijuana. Non quella di milioni di persone che la utilizzano ogni giorno, ma di un'amministrazione locale che vuole rimettere in sesto i conti pubblici autorizzando la produzione della piantina.

Era successo in California (vedi qui) e sta succedendo in Spagna, a Rasquera, villaggio vicino a Tarragona, in Cataluna. La proposta è semplice: affittare terreni per la coltivazione e l'autoconsumo per incassare soldi utili a un comune indebitato.

I cittadini hanno detto in maggioranza sì al referendum, anche se il risultato non è quello sperato dal sindaco che voleva il 75% di consensi.

Se imposte e sacrifici colpiscono tutti i cittadini o almeno quelli onesti, perchè non pensare a guadagnare con produzioni e consumi finora considerati illeciti?

10 aprile 2012

Libri: Il potere dei giganti

Ho iniziato a leggere Il potere dei giganti, di Colin Crouch, attirato dalla domanda di fondo del libro: perché la crisi finanziare non ha (ancora) fatto crollare le idee liberiste o meglio neoliberiste?

L'ho comprato e ho scoperto -leggendo per ora il primo capitolo- un autore (che non conoscevo) lucidissimo quando spiega le poche fondamentali differenze tra le grandi idee economiche. Se volete capire cosa distingue un conservatore da un socialista, cosa vuole un socialdemocratico, cosa significa liberal o in cosa consiste il modello keynesiano, questo è il libro che fa per voi.

Per una recensione completa invece cliccate qui.

06 aprile 2012

Michael Moore

L'economia non è una materia banale, diceva Keynes, anche se tutti pensano il contrario.

Prendete ad esempio Michael Moore: tre anni fa ha sonoramente bocciato l'acquisto di Chrysler da parte di Fiat, in questa intervista a Lucia Annunziata su Rai Tre (dal minuto 16 al 19).

Siamo contenti che gli italiani abbiano salvato la casa automobilistica americana, ha spiegato Moore, ma è come quando il Messico ha aiutato gli USA dopo l'uragano Katrina. Una casa automobilistica con una fama negativa compra un'azienda fallita e spera di fare ciò che non è riuscito a Mercedes: costruire auto di qualità e ottenere profitti.

Con l'aggravante che le Chrysler prodotte qualche anno prima non erano certo entusiasmanti, come racconta lo stesso Moore, che spiega i problemi di accensione della sua Chrysler (vedi qui).


Dunque cosa aspettarsi da Fiat che ha una fama ben peggiore della prestigiosa Mercedes?

Tre anni dopo Michael Moore ritorna sull'argomento nel programma di Sabina Guzzanti (vedi qui) e il suo giudizio è cambiato: Chrysler sta andando benone!

Ma come non era finita in mano a gente che non sa costruire auto?

Viene da dire: questà è l'economia, Michael. Poco importa cosa fossero Fiat o Mercedes 20 anni fa. Conta l'attualità, la capacità di affrontare le sfide del presente. Per questo motivo non è facile fare previsioni quando si tratta di imprese che cambiano rapidamente.



04 aprile 2012

Italia, Spagna e Grecia

Lo spread della Spagna (vedi qui) sale a 390 dopo un'asta dei titoli di Stato che lancia brutti segnali: la sfiducia dei mercati sta aggredendo la Spagna e trascina pure l'Italia il cui spread sale a 358 punti.

La manovra di Rajoy non convince i mercati. 27 miliardi di tagli possono non bastare se provocano recessione e il calo delle entrate, in un paese alle prese con un tasso di disoccupazione impressionante e si prevede che il rapporto debito/PIL salirà all'80% dal 63%.

Gli spagnoli devono fare di più per garantirsi la fiducia dei mercati. E magari non ricorrere a misure come lo scudo fiscale, che ricorda le infelici scelte di Tremonti: puntando a incassare una manciata di miliardi una tantum si riduce il deficit, ma si stimola l'evasione.

Analogamente la Grecia sta provando a accordarsi con la Svizzera per ottenere 10 miliardi di mancati introiti fiscali su capitali per 200 miliardi di cittadini greci depositati nella Confederazione. 200 miliardi, una somma enorme per la Grecia, in pratica l'equivalente del PIL di un anno.

Anche la situazione dell'Italia non è felice. I dati economici delle ultime settimane parlano di inflazione, aumento delle imposte, crollo della produzione industriale, ecc. Un disastro che spinge qualche giornale straniero a chiedersi: ce la farà l'Italia in recessione a mantenere gli impegni di bilancio senza imporre ai propri cittadini altre imposte e altri tagli che non farebbero che peggiorare la recessione?


Durante la conferenza stampa per parlare dell'accordo sulla riforma del lavoro, Monti ha spiegato che c'è il trucco: il governo ha considerato, nelle previsioni del bilancio 2012, le ipotesi peggiori: tassi elevati e nessun incasso dalla lotta all'evasione.

Sappiamo però che i tassi sono diminuiti, e quindi si spenderà di meno, e che la lotta all'evasione avrà un effetto positivo sui conti pubblici. Tutto ciò basterà a compensare le minori entrate causate dalla recessione in corso?

02 aprile 2012

Tassa nuova, vecchi pasticci


Passano le tasse, ma i pasticci restano. Come si può leggere in questo articolo di Repubblica, ma anche in molti altri posti l'IMU è stata approvata nel 2011 ma ancora nulla si sa quanto pagheremo, perché i comuni hanno tempo fino al 20 Giugno per approvare le aliquote.
E si parla di una proroga al 30 Settembre!

Vorrei far presente un paio di cose:

1. non si può più pagare con i bollettini postali, ma solo tramite F24 e non ci sono ancora i codici
2. Quest'anno in Maggio ci sono le elezioni amministrative in molti comuni e la fissazione di aliquote di tasse subito prima delle elezioni non è una scelta molto popolare per una giunta in carica.

Considerato che la scadenza, la prima scadenza per non pagare more e interessi, è fissata al 16 Giugno, trovo alquanto singolare che ai comuni si possa dare tempo fino a Settembre per fissare le aliquote.

E' vero che si può pagare il 16 Luglio con un aumento di solo lo 0,40%, ma perché dovrei regalare allo stato tale cifra?
Se sono un contribuente onesto, non dovrei avere diritto a pagare le tasse entro i termini stabiliti senza more o interessi?

Tutto ciò si scontra con la realtà dei fatti: niente modelli approvati, niente codici tributo, niente aliquote.

Ma a questa situazione siamo purtroppo abituati da anni, basta ricordare gli studi di settore che escono a fine Giugno o le modifiche retroattive sugli acconti di imposta.

Il ministero delle finanze a ogni lamentela di commercialisti o consulenti e intermediari, ha sempre risposto in maniera sprezzante: rifate i calcoli e pagate le differenze.

Quindi, anche se spero in una soluzione ragionevole, che consisterebbe nel fissare per ora le aliquote a quelle di legge, lasciando il tempo poi ai comuni, passati i maneggi elettorali, di fissare le aliquote definitive in Settembre, purtroppo tempo nel ripetersi del solito copione.

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