25 maggio 2022

Putin affonda Amazon?

Tra le tante vittime della guerra in Ucraina potrebbero esserci anche le grandi aziende come Amazon, il cui valore in borsa è sceso ai livelli precedenti la pandemia, attorno ai 2000 dollari per azione, dopo aver superato i  3700 dollari per azione. 


Come si spiega il calo di oltre il 40% in poco tempo?

Amazon e altre grandi aziende hanno beneficiato dei lockdown che costringeva a studiare e lavorare da casa e a non frequentare i negozi. Si sono impennate le vendite online, e s'è comprato tutto ciò che serviva a lavorare, studiare e interagire da casa, quindi telefoni, computer, social network con cui comunicare e così via.

La guerra scatenata da Putin ha cambiato lo scenario economico. La paura ha reso i consumatori più prudenti, mentre i prezzi sono saliti perchè alcuni beni scarseggiano e per colpa della speculazione, che non s'è lasciata sfuggire l'occasione di far soldi sugli aumenti imprevisti dei prezzi. Ovviamente la speculazione è diversa se riguarda le azioni o i generi alimentari. Nel primo caso sono a rischio i risparmi di chi pensa di ottenere guadagni speculando, mentre nel caso di grano, mais ecc. i rischi toccano la vita di molte persone che hanno difficoltà a alimentarsi e il lavoro.

L’inflazione sta spingendo le banche centrali a alzare i tassi di interesse. E’ una scelta in parte irrazionale perché l’inflazione non è provocata dalla domanda, ma da fattori esterni come la guerra e la speculazione su materie prime e beni alimentari. 

Tuttavia sappiamo che la speculazione è più facile quando i tassi sono molto bassi o addirittura negativi e le banche pronte a offrire denaro abbondante e a basso costo. Un aumento dei tassi rende meno conveniente e più rischioso il prestito a fini speculativi e al tempo stesso offre occasioni di guadagno senza rischio, ovvero l’investimento in titoli di stato. 

Un aumento dei tassi rende di nuovo conveniente l'acquisto di titoli di stato (anche se rischia di rallentare l'economia alle prese con la guerra) e dunque provoca la vendita di azioni, specie di quelle come Amazon, Facebook e altre società il cui valore è sopravvalutato anche per colpa di una speculazione che come sempre, spinge a comprare ciò che sale di prezzo e a vendere ciò che perde valore.


05 maggio 2022

Flash crash: a pensar male...

Lunedì mattina le borse di mezza Europa hanno assistito a un crollo improvviso, testimoniato dal grafico che vedete. 

Il colpevole è un operatore della banca Citi che ha inserito un ordine sbagliato, che a sua volta ha provocato ordini di vendita automatici. Per quanto possibile si è corsi ai ripari e i valori sono tornati quelli di prima.

A pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca, suggeriva un noto politico, anni fa.

Cosa si potrebbe pensare (male)?

Immaginare che qualcuno voglia sfruttare gli ordini automatici e il nervosismo del mercato, prodotto dalla guerra in Ucraina. Una notizia positiva negativa può spingere le borse molto in alto o in basso e quindi diventa indispensabile disporre di ordini di acquisto e vendite automatici. 

Se il valore di una azione o di un paniere di azioni scende, il programma di un computer vende per limitare le perdite, salvo che un operatore umano intervenga a bloccare l'ordine automatico che scatta al verificarti di determinate condizioni. 

Immaginate che qualcuno voglia sfruttare questo meccanismo, provocando un'ondata di vendite per poi acquistare azioni (o altri titoli) a un prezzo più basso di quello corrente. Costui dovrebbe vendere una grande quantità di titoli, in un colpo solo, a un prezzo più basso di quello di mercato. Troverebbe degli acquirenti, perchè se un'azione in un certo momento è quotata, supponiamo, 10 euro, tanti inseriscono ordini di acquisto a 9,95, 9,90, 9,80, a 9,70 e così  via. 

Quindi se qualcuno inserisse un ordine di vendita a 9,50 otterrebbe quanto desiderato: vendere i titoli facendo scendere il prezzo.

Ma questo innesca altre vendite, automatiche, di società che hanno acquistato lo stesso titolo ad esempio a 9 euro e preferiscono venderlo a 9,40 guadagnando poco piuttosto che trovarselo il giorno dopo con un valore inferiore ai 9 euro.

Le vendite automatiche fanno scendere il valore sotto i 9,50 della vendita iniziale e a questo punto chi ha innescato il crollo decide di ricomprare. Ha venduto a 9,50 e compra magari a 9,20.

Ricompra solo il titolo che ha venduto? No, perchè la vendita di un gran quantitativo di una azioni, che è facile bollare come errore di un operatore, spinge verso il basso tutto il mercato. Si può comprare di tutto, certi che il valore dei titoli ritornerà a salire.

Ovviamente tutto questo è fantaeconomia, anche se dovremmo ricordarci, del capo della finanza di ENI degli anni '80 che speculava, insieme a una mezza dozzina di colleghi di importanti compagnie petrolifere, sui cambi. 

Si erano messi d'accordo per attuare una strategia comune senza lasciare traccia. Usavano le ingenti risorse di aziende petrolifere, che ogni mese effettuano pagamenti per cifre colossali, per speculare. 

Diversi gli scopi: il guadagno personale, il guadagno dell'azienda per cui lavoravano e la creazione di fondi neri da versare a politici del proprio paese e stranieri.

Ai tempi forse non esistevano gli ordini automatici ma il giochetto era sempre quello: innescare un'ondata di vendite per comprare a un prezzo più basso, ben sapendo che le vendite generano preoccupazione e altre vendite e quindi il prezzo diminuisce.


03 maggio 2022

IBL, ancora tu...

 A chi ricorda questo articolo di molti anni fa sull'Istituto Bruno Leoni, consiglio di leggere cosa ha scritto qui Il fatto quotidiano qualche mese fa.

02 maggio 2022

Economia socialista, le piccole imprese e la Cina di oggi


Come funzionavano le economie socialiste?

La domanda non è interessante solo da un punto di vista storico, visto che oggi le economie socialiste di fatto non esistono più, ma anche per capire qualche problema delle economie europee, dove scarseggiano materie prime e prodotti destinati alle produzioni industriali.

Nelle economie socialiste dell'Est Europa il ruolo preponderante o esclusivo dello Stato nella produzione di beni e servizi avveniva attraverso una rigida programmazione della stessa. Lo Stato decideva cosa produrre, con quali fattori produttivi (lavoro, energia, materie prime, semilavorati, ecc.) e a chi vendere tali beni.

Per esempio un'azienda di pneumatici non poteva scegliere se produrre pneumatici per auto, per camion o di altro tipo e neanche il prezzo. Lo decideva il programmatore pubblico che aveva programmato anche con quali mezzi, materie prime, strumenti ecc. dovesse avvenire e a chi si dovessero vendere. 

Il sistema produttivo risultava poco incentivante, poco innovativo, poco efficiente. Se veniva a mancare il petrolio ne risentiva la produzione di plastica e quindi dei beni che utilizzano la plastica. Si fermava l'azienda che usava la plastica, e non poteva rivolgersi ad altri fornitori. 

C'era però un indubbio vantaggio: lo Stato svolgeva un ruolo importante nel procurare materie prime, beni e servizi che servono alle imprese. Ruolo che svolge attualmente la Cina, anche in un sistema economico non più pubblico come un tempo. Il governo cinese ha, per esempio, stretto accordi con molti paesi africani per ottenere materie prime, offrendo in cambio la costruzione di strade, ferrovie, dighe, e produzioni industriali o agricole. 

L'Europa, che invece s'è affidata al mercato, sta scoprendo che questo è monopolizzato da paesi extra-UE che utilizzano i beni a loro piacimento: se il governo cinese decide che i chip di produzione cinese servono alle industrie cinesi, le industrie europee restano a bocca asciutta e fermano gli impianti, con gravi danni economici e occupazionali.

Danni a cui non è estranea la dimensione delle imprese. Una piccola impresa che compra un bene da utilizzare nel proprio processo produttivo è spinta a credere di poter trovare facilmente ciò di cui ha bisogno perchè è solo uno dei tantissimi acquirenti. Un'impresa grande invece è più propensa a cercare di programmare gli acquisti, sapendo che se non trova grandi quantità di un certo bene la sua produzione rischia di fermarsi.

Oggi le piccole imprese alle prese con il caro energia si domandano cos'abbiano fatto nel recente passato i governi per affrontare il problema dell'approvvigionamento e del costo. Dovrebbero invece  chiedersi se loro fossero interessati, qualche anno fa, ai politici che chiedevano i rigassificatori o se preferissero pensare a altro.

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