La Banca d'Italia anticipa il bilancio, che contiene alcune interessanti novità.
La Banca versa allo Stato oltre un miliardo di imposte e oltre 2,5 miliardi di utili, mentre i partecipanti al capitale della Banca d'Italia incassano solo 340 milioni di utile, come lo scorso anno.
La normativa ha posto un limite alle partecipazioni al capitale della Banca: nessuno può possedere oltre il 3%, pena il congelamento della quota che dev'essere venduta entro la fine del 2016.
Così è stato trasferito il 16% del capitale. I primi tre hanno ceduto complessivamente il 12% del capitale e sono entrati nel capitale della Banca 50 nuovi soggetti: 4 fondazioni hanno lo 0,5%, 7 enti di assistenza e previdenza, 38 banche, tutte con quote modeste.
Insomma le grandi banche oggi pesano di meno nel capitale della Banca d'Italia e, come sempre, incassano solo una piccola parte dell'utile, che finisce in gran parte a un non azionista: lo Stato.
29 aprile 2016
23 aprile 2016
La Germania contro i tassi negativi
Perchè la Germania non ci sta ai tassi di interesse negativi della BCE, con i massimi dirigenti della Bundesbank si schierano contro le mosse della BCE guidata da Draghi e col governo tedesco che prova, senza successo, a porre un limite ai titoli di Stato posseduti dalle banche?
I tassi di interesse prossimi o inferiori allo zero non possono piacere a chi ha fondi da investire, come ad esempio i fondi pensione. Questi fondi raccolgono i contributi dei lavoratori per anni per poi erogare una pensione.
Se i tassi sono pari a zero, il fondo deve investire i soldi raccolti in modo più rischioso, oppure rinunciare a offrire un rendimento. In questo secondo caso il lavoratore si riprende i soldi versati e tanto vale tenerli sul conto corrente senza pagare un commissione al fondo pensione.
Così la Germania prova in tutti i modi a cambiare le cose, chiedendo di modificare le scelte della BCE che hanno fatto scendere i tassi grazie al rifinanziamento delle banche che, con i soldi della BCE, acquistano grandi quantità di titoli di stato.
Se le richieste tedesche fossero accolte, le banche dovrebbero vendere parte dei titoli di stato posseduti, con conseguente aumento dei tassi e dello spread. Sarebbe una boccata d'ossigeno per i fondi tedeschi ma vorrebbe anche dire maggiori costi per quei paesi che, come l'Italia, traggono beneficio dai tassi vicini allo zero.
I tassi di interesse prossimi o inferiori allo zero non possono piacere a chi ha fondi da investire, come ad esempio i fondi pensione. Questi fondi raccolgono i contributi dei lavoratori per anni per poi erogare una pensione.
Se i tassi sono pari a zero, il fondo deve investire i soldi raccolti in modo più rischioso, oppure rinunciare a offrire un rendimento. In questo secondo caso il lavoratore si riprende i soldi versati e tanto vale tenerli sul conto corrente senza pagare un commissione al fondo pensione.
Così la Germania prova in tutti i modi a cambiare le cose, chiedendo di modificare le scelte della BCE che hanno fatto scendere i tassi grazie al rifinanziamento delle banche che, con i soldi della BCE, acquistano grandi quantità di titoli di stato.
Se le richieste tedesche fossero accolte, le banche dovrebbero vendere parte dei titoli di stato posseduti, con conseguente aumento dei tassi e dello spread. Sarebbe una boccata d'ossigeno per i fondi tedeschi ma vorrebbe anche dire maggiori costi per quei paesi che, come l'Italia, traggono beneficio dai tassi vicini allo zero.
11 aprile 2016
Report sulle popolari veneti
Report ha dedicato la puntata del 10 aprile alle due banche popolari venete in crisi, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, mostrando aspetti inquietanti del rapporto tra gli italiani e gli investimenti.
Mi hanno colpito un paio di testimonianze. Una era di un azionista che diceva: abbiamo comprato azioni, la banca non era quotata in borsa quindi non era a rischio. Aggiungeva poi che la banca certificava un valore delle azioni, valore poi ridotto del 90%.
Ingenuità, banalità, falsità: come definire altrimenti queste argomentazioni? E' ingenuo pensare che una banca possa andare in crisi perchè quotata e ancora di più ritenere che sia sufficiente che una banca certifichi un valore delle azioni perchè il valore sia quello. E' come chiedere a chi vende il prosciutto se è buono: pensate che dica di no e consigli altro?
Le due banche venete hanno spinto i risparmiatori a comprare le azioni facendo leva su una argomentazione semplice ed efficace: finanziamo da sempre il territorio, le aziende per cui lavorano i veneti. L'orgoglio ha chiuso gli occhi di molti impedendo di vedere una crisi terribile, aziende che chiudevano e quindi crediti destinati a non essere rimborsati.
Eppure non mancavano i segnali e non parlo solo della crisi. Bruno Vespa compra nel tempo azioni di Veneto Banca e decide nel 2010 di venderle, a suo dire perchè un giornale ha pubblicato dati sul suo patrimonio ottenendoli proprio dalla banca. Ma impiega oltre due anni e mezzo per liberarsene, nonostante mille insistenze.
E non le vende neppure tutte: una parte delle azioni viene scambiata con obbligazioni convertibili in azioni. Lui non se ne rende conto e così si trova altre azioni, che perdono quasi per intero il loro valore.
Insomma da anni era difficile vendere le azioni della banca. Nessuno s'è chiesto il perchè?
Se Bruno Vespa si fa prendere in giro, come pensare che il cittadino normale possa capire cosa sta facendo quando la banca gli offre un prodotto e ha molti interessi a venderglielo perchè ne va della sopravvivenza della banca stessa?
Se truffe e inganni funzionano con chi - come Vespa- può ricorrere a qualche amico esperto figuriamoci cosa può succedere a chi non ha cultura economica sufficiente a capire cos'ha davanti.
Mi hanno colpito un paio di testimonianze. Una era di un azionista che diceva: abbiamo comprato azioni, la banca non era quotata in borsa quindi non era a rischio. Aggiungeva poi che la banca certificava un valore delle azioni, valore poi ridotto del 90%.
Ingenuità, banalità, falsità: come definire altrimenti queste argomentazioni? E' ingenuo pensare che una banca possa andare in crisi perchè quotata e ancora di più ritenere che sia sufficiente che una banca certifichi un valore delle azioni perchè il valore sia quello. E' come chiedere a chi vende il prosciutto se è buono: pensate che dica di no e consigli altro?
Le due banche venete hanno spinto i risparmiatori a comprare le azioni facendo leva su una argomentazione semplice ed efficace: finanziamo da sempre il territorio, le aziende per cui lavorano i veneti. L'orgoglio ha chiuso gli occhi di molti impedendo di vedere una crisi terribile, aziende che chiudevano e quindi crediti destinati a non essere rimborsati.
Eppure non mancavano i segnali e non parlo solo della crisi. Bruno Vespa compra nel tempo azioni di Veneto Banca e decide nel 2010 di venderle, a suo dire perchè un giornale ha pubblicato dati sul suo patrimonio ottenendoli proprio dalla banca. Ma impiega oltre due anni e mezzo per liberarsene, nonostante mille insistenze.
E non le vende neppure tutte: una parte delle azioni viene scambiata con obbligazioni convertibili in azioni. Lui non se ne rende conto e così si trova altre azioni, che perdono quasi per intero il loro valore.
Insomma da anni era difficile vendere le azioni della banca. Nessuno s'è chiesto il perchè?
Se Bruno Vespa si fa prendere in giro, come pensare che il cittadino normale possa capire cosa sta facendo quando la banca gli offre un prodotto e ha molti interessi a venderglielo perchè ne va della sopravvivenza della banca stessa?
Se truffe e inganni funzionano con chi - come Vespa- può ricorrere a qualche amico esperto figuriamoci cosa può succedere a chi non ha cultura economica sufficiente a capire cos'ha davanti.
02 aprile 2016
Consiglio di lettura per i neoborbonici
Chi usa la storia e l'economia distorcendole a fini politici, come ad esempio i neoborbonici, sostiene che un certo territorio è stato privato di qualcosa, penalizzato per motivi spesso oscuri.
Per cui vale la pena leggere qualche riga di un vecchio studio di Stefano Fenoaltea intiolato La crescita industriale delle regioni d'Italia dall'Unità alla Grande Guerra: una prima stima per gli anni censuari, facilmente rintracciabile sul sito della Banca d'Italia.
Cosa dice lo storico dell'economia?
Per esempio che la produzione industriale in tutte le regioni italiane è aumentata tra il 1871 e il 1911, ma in alcune è aumentata più che in altre. La parte del leone l'hanno fatto le regioni del nord ovest dove l'industrializzazione lombarda si estende a Liguria e Piemonte.
Il prodotto ligure si moltiplica per 4,7, di oltre 3 volte quelli di Piemonte e Lombardia, mentre in Campania e Veneto sale di 2,5 volte.
Fanalini di coda la Calabria, dove il prodotto raddoppia come in Abruzzo, e la Basilicata dove comunque aumenta di 1,4 volte.
Non si nota nessun "effetto unificazione" -scrive Fenoaltea- dopo il 1871. Se c'è stato s'era già esaurito.
Insomma nessun complotto pare giustificabile: alcuni parti d'Italia sono cresciute più velocemente, proprio come succede oggi.
Per cui vale la pena leggere qualche riga di un vecchio studio di Stefano Fenoaltea intiolato La crescita industriale delle regioni d'Italia dall'Unità alla Grande Guerra: una prima stima per gli anni censuari, facilmente rintracciabile sul sito della Banca d'Italia.
Cosa dice lo storico dell'economia?
Per esempio che la produzione industriale in tutte le regioni italiane è aumentata tra il 1871 e il 1911, ma in alcune è aumentata più che in altre. La parte del leone l'hanno fatto le regioni del nord ovest dove l'industrializzazione lombarda si estende a Liguria e Piemonte.
Il prodotto ligure si moltiplica per 4,7, di oltre 3 volte quelli di Piemonte e Lombardia, mentre in Campania e Veneto sale di 2,5 volte.
Fanalini di coda la Calabria, dove il prodotto raddoppia come in Abruzzo, e la Basilicata dove comunque aumenta di 1,4 volte.
Non si nota nessun "effetto unificazione" -scrive Fenoaltea- dopo il 1871. Se c'è stato s'era già esaurito.
Insomma nessun complotto pare giustificabile: alcuni parti d'Italia sono cresciute più velocemente, proprio come succede oggi.
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