26 novembre 2016

Le Pen presidente?

Domani la destra gollista francese sceglierà il proprio candidato alle elezioni presidenziali del prossimo anno.

Al primo turno è stato eliminato l'ultimo presidente gollista, Sarkozy, che ha saggiamente deciso di ritirarsi dalla vita politica e son rimasti in corsa Fillon e Juppè. I sondaggi danno favorito il primo, che tuttavia ha un programma fortemente conservatore che prevede (come riporta il Sole 24 Ore) oltre a una serie di punti per la lotta e la prevenzione al terrorismo e per il controllo dell'immigrazione, un programma economico molto conservatore.

Tra i punti più importanti c'è un forte taglio della spesa pubblico, ma anche delle imposte e importanti decisioni su lavoro e pensioni: niente più 35 ore, con la possibilità che i contratti arrivino anche a 48 ore settimanali, allungamento dell'orario dei dipendenti pubblici, pensione a 65 anni, minori indennità di disoccupazione e meno diritti pensionistici per i dipendenti pubblici.

Se Fillon sfiderà la Le Pen, c'è da chiedersi cosa faranno gli elettori della sinistra e in generale tutti quei francesi che hanno protestato ogni qual volta un governo è intervenuto su pensioni e lavoro. Voteranno Fillon per fermare la Le Pen o contro per difendere i propri diritti?

E' probabile che la Le Pen domani faccia il tifo per Fillon, che le garantisce maggiori probabilità di diventare presidente.

20 novembre 2016

La settimana decisiva di MPS

La settimana che sta per iniziare sarà determinante per il futuro di Monte dei Paschi di Siena. Sappiamo che la banca ha un'enorme quantità di crediti inesigibili. L'aumento di capitale serve a ridurli (si veda http://www.econoliberal.it/2016/08/perche-mps-serve-un-aumento-di-capitale.html ) ma non li elimina: resteranno comunque miliardi di crediti inesigibili che saranno ridotti sacrificando i profitti dei prossimi anni.

L'aumento di capitale perciò è a rischio. I massimi dirigenti di MPS hanno fatto di tutto per trovare chi fosse disposto a sottoscrivere il nuovo aumento di capitale, ma pochi sono ansiosi di rischiare i propri soldi. Così hanno deciso che una parte dell'aumento arriverà da nuovi capitali e una parte dagli obbligazionisti.

Le regole del bail-in stabiliscono che in caso di default di una banca, chi ha obbligazioni della banca perde tutto. MPS cerca quindi di spingere i possessori di obbligazioni a convertirle in azioni e li avverte che, se non accetteranno, i potenziali sottoscrittori dell'aumento di capitale potrebbero non sottoscrivere l'intero aumento di capitale e la banca potrebbe incontrare grosse difficoltà a continuare a funzionare regolarmente.

In altre parole i pochi disponibili a sottoscrivere l'aumento di capitale vogliono che una parte del rischio ricada sugli obbligazionisti, minacciando in caso contrario di far saltare l'aumento.

Aumento che comunque deve essere approvato dall'assemblea straordinaria. E questo è il secondo problema: l'assemblea straordinaria degli azionisti è prevista per giovedì 24. Sarà valida solo se si supererà il quorum del 20% delle azioni.

In pochi giorni MPS rischia tre volte: che gli obbligazionisti non accettino lo scambio con azioni, che i potenziali azionisti di conseguenza si tirino indietro e non sottoscrivano l'aumento di capitale nella misura prevista e che all'assemblea straordinaria non ci sia il quorum indispensabile per deliberare l'aumento di capitale.

Come finirà?

10 novembre 2016

Tra Reagan e Bush

Se c'è una lezione economica nell'elezione di Trump alla Casa Bianca, è che abbiamo un gigantesco problema e si chiama globalizzazione.

Se metti nello stesso mercato lavoratori pagati poco (come i messicani) e lavoratori ben pagati (come gli americani) non puoi solo aspettarti benefici, ovvero che i salari più bassi aumentino. Succederà anche che i lavoratori pagati poco proveranno a andare dove la paga è migliore, che le imprese spostino le produzioni dove il costo del lavoro è minore e abbassino i salari dei lavorati ben pagati, facendoli arrabbiare.

Le scelte di globalizzare i mercati e le produzioni sono ispirate all'idea che conta il consumatore, che comprerà il prodotto più conveniente. Si dimentica che il consumatore è anche un lavoratore e che se vogliamo prezzi dei prodotti più bassi dobbiamo accettare salari e stipendi più bassi e non è detto che alla fine il gioco sia a somma zero, qualcuno ci rimette.

Trump ha incassato il voto dei lavoratori americani che subiscono la globalizzazione e forse virerà verso un maggiore protezionismo, sperando che questo spinga le imprese americane a riportare in patria le fabbriche (cosa non facile nè immediata).

Il protezionsimo non basta tuttavia a soddisfare gli elettori facendo crescere, se possibile, gli USA a ritmi più elevati. Per cui Trump promette due cose.

Da un lato investimenti e tagli alle imposte, ovvero un deficit che probabilmente esploderà, con conseguenze imprevedibili sul piano della politica monetaria della Fed, che a sua volta potrebbe influenzare le scelte di governi europei e della BCE.

Dall'altro cercherà di stimolare l'economia permettendo alle imprese di inquinare di più, riaprendo le miniere di carbone, riducendo i vincoli ambientali. Anche qui si tratta di un salto indietro: nel 2000 Bush divenne presidente promettendo di stimolare la "old economy".

Riuscirà a ridare lavoro e salari migliori alla massa di americani che l'hanno votato arrabbiati per una crisi infinita che ha cambiato il loro mondo o riuscirà soltanto a tenere in vita per un pò un mondo destinato al declino?

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