30 gennaio 2015

Il futuro di Fiat

Cosa farà nei prossimi anni Fiat? Su quali modelli punterà? Che fine faranno gli stabilimenti italiani?

Sembra certo che nei prossimi 2-3 anni punterà molto sul marchio Alfa Romeo, trascurato nel corso della crisi perchè era più importante pensare a Fiat, a Chrysler e perchè investire in un marchio famoso in un momento di forte crisi avrebbe significato perdere soldi e prestigio.

Nei prossimi anni invece Fiat investirà in Alfa, che ormai vende solo due auto ormai non più giovani, Mito e Giulietta.

Come faccio a saperlo? Non ho fonti privilegiate, ma c'è un fatto che non lascia dubbi: sulla nuova Ferrari di Formula 1 presentata oggi sul web appare il marchio Alfa Romeo.

Un ritorno di Alfa, sia pure sotto forma di sponsorizzazione, dopo quasi 30 anni, in sostituzione del marchio Fiat, apparso vicino alla testa dei piloti per molti anni.

Perchè questo cambio epocale? La risposta possibile è una sola: si vuole usare la popolarità di Ferrari, molto conosciuto all'estero, per preparare lo sbarco di nuovi modelli col celebre marchio milanese.

Tassi bassi, quali effetti?

La decisione della Banca Centrale Europea di realizzare il cosiddetto quantitative easing, vale a dire di acquistare enormi quantità di titoli pubblici (60 miliardi al mese) sull'esempio della FED americana, ha spinto ancora più giù i tassi di interesse. Con quali effetti?

Il quantitative easing serve a finanizare le banche, con la speranza che queste, cedendo titoli in loro possesso, finanzino imprese e consumatori.

L'abbondanza di capitali offerti fa scendere i tassi di interesse e questo non può che produrre effetti positivi.

Effetti positivi anzitutto per lo Stato: la spesa pubblica comprende la spesa per interessi pagati sul debito pubblico. Un calo dei tassi non può che far bene ai conti pubblici. Alcuni effetti positivi si sono già visti nel 2013 e nel 2014, altri risparmi ci saranno quest'anno.

Il tasso medio di interesse dei titoli di stato emessi nel 2011 è stato del 3,61%, del 3,11% nel 2012 e del 2,08% nel 2014. Considerando che le emissioni in un anno superano i 400 miliardi di euro, un tsso che scende di un punto percentuale, significa un risparmio di 4 miliardi.

Se consideriamo che in passato si sono emessi titoli con rendimenti molto superiori, avere per lungo tempo tassi molto bassi può significare un risparmio di decine di miliardi di euro.

Lo stesso vantaggio appartiene alle imprese, entusiaste del quantitative easing, che avrà l'effetto di ridurre i costi cioè la spesa per interessi delle imprese.

Anche perchè i tassi bassi riducono l'incentivo a risparmiare. La deflazione, vale a dire il calo dei prezzi, spinge i consumatori a rinviare l'acquisto. Il consumatore rinvia l'acquisto di beni durevoli se pensa che in futuro i prezzi caleranno. Tenendo i soldi in banca, guadagna qualcosa. Ma se i tassi sono molto bassi, è meno forte l'incentivo a rinviare l'acquisto.

I tassi bassi hanno molti vantaggi, ma comportano anche qualche svantaggio. I fondi pensione per esempio investono i soldi dei lavoratori con l'obiettivo di dare molti anni dopo un reddito al lavoratore. In presenza di tassi bassi, ci sono due possibilità: investire in attività più rischiose oppure aumentare la somma versata al fondo pensionistico.

Nel primo caso l'effetto potrebbe essere un aumento del risparmio precauzionale: chi rischia di subire perdite risparmia un pò di più per far fronte a tali perdite. Nel secondo un maggior risparmio può essere necessario per garantire lo stesso assegno pensionistico in presenza di rendimenti minori del fondo.

Un altro effetto dei tassi bassi riguarda gli investimenti. Chi investe una certa somma in un'attività redditizia, sa che il rendimento dei titoli di stato sono un termine di paragone importante. Per esempio chi acquista un immobile per poi darlo in affitto, sa che gli stessi soldi renderebbero ad esempio un 5% se investiti in titoli di stato. Così investe solo se pensa di poter guadagnare di più, altrimenti gli converrebbe comprare titoli di stato.

Con tassi molto bassi, c'è un vantaggio: conviene investire in un'impresa anche se rende poco. Ma c'è anche l'altro lato della medaglia: chi investe può sceglier di accontentarsi di un rendimento basso, evitando di migliorare l'impresa.

26 gennaio 2015

Presa diretta su minori

La puntata di ieri sera di Presa diretta è stata dedicata ai minori allontanati da famiglie in difficoltà, asili e altri argomenti collegati.

La puntata inizia con il caso di una famiglia a cui sono stati tolti 6 figli. Riccardo Iancona intervista l'avvocato della famiglia, una signora che, tra l'altro, spiega che le ragioni dell'allontanamento sono spesso economiche e che il fenomeno è assai diffuso.

Per dimostrarlo legge i dati in suo possesso (verso il minuto 16 di questo filmato: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-7674a9c7-121d-4844-a18a-4c32363aa503.html ), secondo i quali almeno il 46% dei minori allontanati dalle famiglie scontano la povertà dei genitori.

Tutto vero?

Guardate queste immagini:




L'indice è puntato su un 26 che significherebbe che il 26% dei minori sono allontanati per "problemi economici della famiglia".

Ma a leggere con attenzione si scopre che i problemi economici sono la seconda causa nel 26% dei casi, ma solo in 3 casi su 100 sono la prima causa di allontanamento dei minori. I problemi abitativi della famiglia invece sono la prima causa di allontanamento solo nell'1% dei casi, mentre in 20 casi sono la seconda causa.

Ma Iacona accetta la spiegazione: in 20+26 = 46 casi su 100 i problemi economici e abitativi sono all'origine dell'allontanamento dei figli. In realtà solo in 4 casi su 100 le ragioni economiche sono la prima causa (come seconda causa se ne indicano più di una. E infatti la somma dei numeri nella seconda colonna supera 100).

25 gennaio 2015

Perchè i tedeschi si lamentano - parte seconda

In poche settimane il rendimento dei titoli di stato italiani è salito alle stelle. Una buona notizia per la formichina tedesca? Non proprio. Per la prima volta il rischio di insolvenza dell'Italia era diventato reale e la formichina rischiava di scoprire che le briciole che aveva messo da parte non erano più commestibili.

Così l'inaffidabile Berlusconi è stato sostituito dall'ineffabile Mario Monti, che per mesi ha rimproverato gli italiani, salvo trovarsi di fronte a una realtà inattesa: i sacrifici avevano danneggiato l'economia e lo spread si rifiutava di scendere. A quel punto ha anche spiegato che c'era da rassegnarsi a tassi più elevati di quelli tedeschi. Sarebbe andata così per molto tempo.

Ma in fin dei conti che male c'era? La fomichina tedesca ne aveva tratto vantaggio almeno due volte. Le industrie italiane affossate dalle crisi lasciavano spazio ai prodotti made in Germany, garantendo ai tedeschi occupazione, e poi perchè poteva comprare i soliti titoli italiani o spagnoli che rendevano bene.

C'era solo un piccolo e imprevisto problema: le politiche economiche tedesche stavano mettendo in crisi l'intera Europa, piegata dai sacrifici e dalle conseguenze di riforme necessarie ma da realizzare in un arco temporale ampio, come avevano fatto i tedeschi.

La Banca Centrale Europea doveva fare qualcosa per risollevare l'economia europea. E alla fine ha preso spunto dai cugini americani, copiando quel quantitative easing che ha contribuito a risollevare l'economia a stelle e strisce ben prima di quella europea.

E' una decisione che ha una grande conseguenza: i tassi di interesse sono destinati a restare bassi per molto tempo, con benefici per le imprese indebitate e per lo stato, ancora più indebitato.

Chi ci rimette? Il modello tedesco. La formichina tedesca non ha più un buon motivo per risparmiare. Un tasso di interesse molto basso, negativo se si considera l'inflazione, spinge a consumare. Le imprese tedesche hanno meno vantaggi in termini di costo del capitale, finora molto inferiore a quello di altri paesi industriali.

Così si spiega perchè nel loro piccolo le formichine tedesche s'incazzano ... con Draghi che ha rotto il perfetto mondo della formichina tedesca.

24 gennaio 2015

Perchè i tedeschi si lamentano - parte prima

C'era una volta... le favole iniziano tutte così e questa favola parla di un paese o meglio di un'economia da favola: la Germania.

La Germania della favola per decenni ha sviluppato l'industria, creato regole che la rendevano immune dai giochi della finanza, ha saputo fare tanti piccoli sacrifici, ha sviluppato una moneta forte e s'è convinta che lavorare duramente e risparmiare era la via giusta per continuare a vivere in un paese da favola, capace di dare lavoro, avere conti pubblici in ordine e ospitare pure qualche italiano o turco altrimenti disoccupato in patria.

La formichina tedesca godeva dell'altrui inefficienza: se in Italia non si facevano politiche industriali, crescevano le vendite tedesche. Se i conti pubblici in Spagna (o in Italia) facevano acqua, la formichina tedesca poteva comprare i BOT italiani o i Bonos spagnoli che pagavano interessi più alti.

Il rischio era basso, praticamente nullo purchè gli italiani o gli spagnoli facessero il possibile per non disastrare troppo i conti pubblici. E chi meglio della Merkel o di Schauble per sgridare ogni tanto gli indisciplinati italiani e ricordargli che dovevano intervenire sui conti pubblici?

Poi un giorno a Palazzo Chigi è entrato un italiano molto più indisciplinato della media, uno che non s'è accontentato di aver stretto legami con qualche mafioso e neppure di organizzare "cene eleganti" nella tavernetta di casa sua. Quell'italiano ha preso un gruppo di politici scadenti e in alcuni casi anche delinquenti e li ha messi al governo, continuando a dedicarsi ai suoi vizi privati.

Qualcuno tra Francoforte e Berlino s'è reso conto che all'improvviso erano diventati sordi e ciechi ai rimproveri tedeschi e che il rischio in Italia stava crescendo. Era l'estate del 2011 quando i tedeschi iniziarono a vendere i titoli di stato italiani facendo volare lo spread.

( 1- segue: clicca qui per la seconda parte)

23 gennaio 2015

Mauro Icardi e Wanda Nara

Mauro Icardi è un giovane giocatore dell'Inter famoso non solo per i gol ma anche per le vicende sentimentali che lo riguardano.

Tempo fa Wanda Nara, showgirl argentina, ha abbandonato il marito, il calciatore Maxi Lopez, per Icardi. Durante lo scorso campionato la loro relazione, da cui è nata qualche giorno fa una bambina, è finita su tutti i giornali. 

Il calciatore e la showgirl si sono visti dappertutto, a Milano, ripresi dai fotografi per poi finire su giornali, siti internet o in tv. 

Esibizionismo? Forse. O forse una campagna di comunicazione ben orchestrata, che rende bene. Icardi infatti ha firmato contratti di sfruttamento dell'immagine che gli rendono quasi tre milioni di euro l'anno, il triplo dello stipendio attualmente pagato dall'Inter al giocatore argentino.

Da qualche tempo Icardi e l'Inter stanno discutendo di un possibile rinnovo del contratto. L'Inter vorrebbe controllare il 50% dei diritti d'immagine del calciatore, che in questo momento rifiuta la proposta.

Se le parti trovassero un accordo, si creerebbe uno strano conflitto di interessi: come potrebbe una società che guadagna dalla popolarità di un calciatore opporsi a comportamenti magari poco professionali che però rendono il giocatore più popolare e quindi più gradito agli sponsor?

22 gennaio 2015

Le ultime parole famose

"L'incertezza su ciò che accadrà dopo le elezioni è la maggior preoccupazione degli
investitori cui chiediamo di acquistare i titoli del nostro debito pubblico. Se nei prossimi
mesi non saremo capaci di tranquillizzare i mercati sulla tenuta dei conti dopo le elezioni i
tassi di interesse rimarranno elevati: è un'incertezza che nemmeno la Banca centrale
europea può cancellare".

Francesco Giavazzi, 2012

Le elezioni del 2013 a cui si riferisce Giavazzi non hanno risolto le incertezze politiche, nè i conti pubblici sono migliorati in modo significativo, ma i tassi sono bassi, grazie alla Banca Centrale Europea

21 gennaio 2015

Le banche popolari

Ieri pomeriggio il governo ha emanato un decreto che riguarda le cosiddette banche popolari, costringendo le principali a trasformarsi in società per azioni.

Ma facciamo un passo indietro. Lo status di banca popolare non esiste più da circa 20 anni. Le banche per effetto di una legge dei primi anni '90 voluta dal governo Amato, con Ciampi ministro, ha semplificato le forme giuridiche: le banche possono essere cooperative o società per azioni.

Le banche popolari hanno mantenuto il nome, almeno quelle non assordite da altre banche nell'ambito di fusioni e acquisizioni molto diffuse soprattutto negli anni '90, ma si sono trasformate in società cooperative, soggette a regole particolari per quando riguarda il limite alla proprietà delle azioni e l'esercizio del voto nelle assemblee: ogni azionista può esprimere un solo voto, a prescindere dal numero di azioni possedute.


Adesso le dieci principali banche, con un attivo superiore agli 8 miliardi di euro, ex popolari vengono obbligate a diventare società per azioni. Perchè?

Le ragioni sono due. La prima è che il governo pensa che banche che ormai le ex popolari sono vere e proprie banche, diverse dalle piccole banche di credito cooperativo con pochi sportelli e una forte caratterizzazione territoriale, e simili alle grandi banche nazionali e internazioni italiane come Intesa o Unicredit.

Per cui se hanno perso buona parte delle caratteristiche delle banche più piccole e radicate sul territorio, in molti casi per effetto di fusioni tra banche collocate in territori molto lontani, tanto vale farle diventare società per azioni.

La seconda è che questa trasformazione può essere utile nell'immediato per salvare alcune banche in crisi, come la Cassa di Risparmio di Genova e il Monte dei Paschi di Siena, che avranno bisogno di forti aumenti di capitale.

Le pessime scelte delle fondazioni Carige e MPS impediscono alle stesse di sottoscrivere gli aumenti di capitale, ragion per cui la banca ligure e il colosso bancario con sede in Toscana rischiano di passare in mano straniera.

La trasformazione delle ex popolari in socicetà per azioni può essere invece la premessa per operazioni che portino Carige e MPS in mano a altre banche italiane, salvaguardando vari interessi locali.

18 gennaio 2015

Grecia-euro: l'incertezza fa male ai conti pubblici

Tra una settimana la Grecia vota. Ci si aspetta che Syriza, la coalizione di sinistra guidata da Alexis Tsipras, ottenga la maggioranza.

La probabile vittoria di Tsipras potrebbe mettere in discussione molte cose in campo economico. Syriza infatti vuole spingeere l'Unione Euroea, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea a alleggerire o eliminare tutti quei provvedimenti che in questi anni, nel tentativo di sistemare i conti pubblici, hanno prodotto un calo del PIL del 25%.

Ipotesi estrema è che la Grecia esca dall'euro. Ipotesi a cui però alcuni credono. O forse ne approfittano: da quando è parso chiaro chce la Grecia era destinata a elezioni anticipate, i greci hanno deciso di non pagare le imposte.

Fonti del governo dicono che da metà dicembre le entrate fiscali sono scese del 70-80%. Segno che i greci hanno capito che in caso di uscita dall'euro è meglio trovarsi una moneta forte in tasca che una destinata a svalutarsi.

Si tratta di un'illusione, con due importanti conseguenze: la prima è che i greci hanno chiari gli effetti di un'eventuale uscita dall'euro. Sanno che sarebbe inevitabile una forte svalutazione della dracma e per questo preferiscono riempirsi le tasche di euro e aspettare. Chi pensasse che l'uscita dall'euro significhi solo cambiare unità di misura con pochi effetti pratici, oggi ha un motivo in più per capire che si sta sbagliando.

La seconda è che l'incertezza non fa bene all'economia: come non si pagano le imposte magari nella speranza che in futuro si debbano pagare in una moneta svalutata, così può succedere per le imprese o per i consumatori. Chi pensa che una moneta sia destinata a svalutarsi aspetta il più possibile a pagare, rinvia gli acquisti, aspetta tempi migliori per investire: tutte cose che non possono che far male a un'economia già in profonda crisi.

15 gennaio 2015

Crollo di Zurigo

Oggi è una giornata che molti esperti di finanza e di cambi ricorderanno a lungo per l'improvvisa decisione della banca nazionale svizzera di abbandonare il cambio minimo a 1,20.

La crisi e soprattutto le incertezze degli ultimi anni hanno spinto molti investitori a scegliere la Svizzera come porto sicuro dei capitali, lontano da rischi di ribaltoni politici o fiscali. La conseguenza è che poco per volta il franco svizzero s'è apprezzato, fino a raggiungere quota 1,20 contro l'euro.

A quel punto la banca centrale svizzera ha detto basta, passando a un cambio quasi fisso: la moneta poteva svalutarsi (passando per esempio a 1,21) ma non rivalutarsi (passando a 1,19, oppure a 1,18). La ragione di tale provvedimento era semplice: la rivalutazione del franco stava mettendo in difficoltà le imprese svizzere, per le quali diventava sempre più difficile esportare, mentre rendeva convenienti le importazioni dall'area euro.

La speranza nascosta nel provvedimento era che prima o poi il flusso di capitali verso la Svizzera finisse, lasciando un franco libero di muoversi vnei confronti dell'euro in ambo le direzioni.

Tutto ciò non è accaduto.

I capitali nell'area euro non hanno ripreso a muoversi come succedeva prima del 2008. I paesi con economie migliori attirano capitali che fuggono dai paesi più deboli.

Oggi all'improvviso la banca centrale elvetica ha deciso di annullare la decisione di 3 anni fa relativamente al tasso minimo. In un attimo 3 anni di tasso di cambio congelato a 1,20 sono spariti e il franco s'è rivalutato di colpo passando da 1,20 a 0,85 per poi risalire poco sopra 1.

Chi possiede titoli in franchi starà festeggiando. All'improvviso si trova più ricco. Ma per l'economia reale, son dolori. Esportare sarà molto più difficile. I prodotti stranieri diventeranno molto più convenienti. Chi andava in Svizzera a fare compere sfruttando la minore imposizione fiscale, rinuncerà. Le imprese che si sono spostate in Svizzera per sfuttarne i benefici fiscali (se n'era parlato qui), penserà di non aver fatto un buon affare.

Cosa succederà in futuro? Difficile dirlo. La decisione della banca centrale è stata accompagnata da una riduzione dei tassi, ormai negativi, passati a -0,75%. E' un provvedimento che dovrebbe far risalire l'euro nei confronti del franco, riducendo l'eccesso di capitali in Svizzera, causa della rivalutazione della moneta. Ma almeno per adesso i mercati non sembrano essersi accorti del calo dei tassi.

Di sicuro le decisioni di congelare il cambio, tre anni fa, e di lasciarlo libero di fluttuare, oggi, insegneranno molto agli economisti. Si capirà nei prossimi mesi se la scelta di forzare il mercato è stata saggia o avrà prodotto svantaggi.

14 gennaio 2015

Quando la Fiom scommetteva sul disastro Fiat

"Siamo contenti che anche il segretario della Fiom, Maurizio Landini, abbia detto bravo a Marchionne per l'annuncio delle assunzioni di Melfi. Peccato che la sua sia una conversione un po' tardiva. Se non fosse stato per la Cisl e per gli altri sindacati, la Fiat avrebbe chiuso tutti gli stabilimenti in Italia".

Sono parole di Annamaria Furlan, segretario generale della CISL, che commenta le dichiarazioni di Landini sulle 1.500 assunzioni di Fiat (FCA) a Melfi. Parole cheforse riflettono vecchi rancori, visioni differenti dei rapporti tra sindacato e Fiat: molto più accomodante quello della CISL rispetto a quelli della Fiom-CGIL.

Quest'ultima una decina di anni fa era certa che la Fiat avrebbe regalato ai lavoratori solo pagine amare, come testimonia questo articolo del Corriere: http://archiviostorico.corriere.it/2004/giugno/06/Fiom_rilancia_vanno_aumentati_salari_co_9_040606027.shtml

L'allora segretario della Fiom Rinaldini spiegava che la famiglia Agnelli era destinata a abbandonare il controllo di Fiat, destinata a finire nelle mani delle banche (L' attuale piano, secondo il leader della Fiom, è destinato a consegnare la Fiat nelle mani delle banche: «Se le cose rimangono così, nel 2005 queste convertiranno in azioni il debito della Fiat (3 miliardi di euro ricevuti in prestito, ndr.) e a quel punto avranno il 28% del capitale contro il 20% in mano alla famiglia Agnelli. Se questo avverrà, le banche rientreranno del loro capitale con un' azione di spezzettamento e scorporo».). Idea senza senso, perchè le banche non avrebbero avuto le competenze necessarie a gestire una complessa impresa industriale e perchè un eventuale spezzatino di Fiat avrebbe voluto dire la fine dell'impresa, ipotesi assai impopolare a cui si sarebbe opposto anche il mondo della politica, o almeno la parte più responsabile.

La Fiat in mano della banche secondo Rinaldini avrebbe comportato la chiusura dello stabiliemnto di Mirafiori. Altra previsione errata, come quella di un polo del lusso (Davanti a questa prospettiva -chiusura di Mirafiori- continua Rinaldini, la soluzione (in passato attribuita a Montezemolo) non può essere il polo del lusso: «Se la proposta fosse quella di un polo tra Ferrari, Maserati e Alfa Romeo, per la Fiom non è migliore del piano attuale»). 

 Sarà proprio il polo del lusso, cioè la costruzione di Maserati, Alfa Romeo e altre auto a alto valore aggiunto a dare un futuro a Mirafiori, che non sarà salvato, come invece sperava Rinaldini, con l'intervento dello Stato.

Insomma, fa bene la segretaria della CISL a rimproverare i colleghi della Fiom, che su Fiat non ne hanno azzeccata una. Neanche per sbaglio. Puntavano a una Fiat pubblica che finanziasse con soldi pubblici la costruzione di auto a basso valore aggiunto, e si ritrovano una Fiat privata che punta su modelli a alto valore aggiunto e invece di chiudere gli stabilimenti, assume.

13 gennaio 2015

Crescita: è la volta buona?

Finalmente arrivano buoni segnali dall'economia italiana.

Gli 80 euro hanno fatto crescere il reddito disponibile degli italiani, vale a dire i soldi che gli italiani possono spendere (ma non è detto che lo facciano, una parte degli 80 euro sicuramente finiscono in risparmi) e arriva qualche piccolo segnale di crescita dei consumi: i saldi in alcune città segnalano una ripresa.

E anche dalla produzione industriale arrivano buoni segnali. Il calo dei primi mesi del 2014 s'è trasformato in stagnazione: la discesa è finita e probabilmente s'è toccato il fondo per poi incominciare a risalire anche se non sembra.

Infatti il calo del prezzo del petrolio ha fatto diminuire il valore aggiunto delle imprese che operano nel settore energetiche, vale a dire fatturano di meno perchè il prezzo diminuisce ma non producono di meno. Al netto di questo calo, la produzione industriale offre moderati segni di miglioramento.

Le notizie su Fiat ma anche le tante crisi aziendali risolte negli ultimi tempi lasciano sperare che la produzione possa aumentare e che le famiglie, conforte da prospettive economiche migliori, aumentino la quota di reddito destinata ai consumi.

Insomma il 2015 pare prometter bene: sarà la volta buona che ricominciamo a crescere?


11 gennaio 2015

Percentuali a caso

Quando in un articolo di giornale leggo una percentuale divento diffidente perchè l'errore è in agguato.

Come succede in questo articolo http://www.repubblica.it/economia/2015/01/11/news/evasione_fiscale_lavoro_nero-104738306/ di Repubblica.it, che parla di un impossibile sconto del 350% ("Ad esempio, per dipingere un trilocale, nella periferia zurighese, un imbianchino ha rilanciato, evidentemente a condizione di effettuare il lavoro in nero, sull'offerta di un concorrente, proponendo un prezzo inferiore del 350 per cento: 1.080 franchi, ovvero poco più di 800 euro, invece di 4860, circa 3800 euro.")

Se dovessi spendere 100 ma c'è lo sconto del 35, pagherò 65, cioè 100 meno il 35% di 100 cioè 35. 100 meno 35 fa 65.
Se lo sconto fosse del 100% non pagherei nulla. Se invece lo sconto è del 350% vuol dire che invece di pagare 100 mi pagano 250.

Allora come si spiega lo sconto degli artigiani che secondo il giornalista sarebbe del 350% ? Forse gli artigiani svizzeri pagano per lavorare invece di essere pagati per dipingere un appartamento?

La risposta è semplice: il giornalista fa un errore banale. Invece di prendere il prezzo pieno (100 nel nostro ipotetico caso) e poi calcolare lo sconto (35%), calcola lo sconto partendo dal prezzo scontato.

L'artigiano dovrebbe far pagare 4860 franchi, ma senza fattura fa pagare 1080 franchi. Lo sconto è pari a 4860-1080= 3780.

Poi invece di calcolare lo sconto di 3780 franchi rispetto al prezzo pieno di 4860 e quindi di giungere alla conclusione che lo sconto è del 77%, sbaglia dividendo i 3780 franchi di sconto per il prezzo effettivo, 1080.

3780 diviso 1080 fa 3,5 vale a dire lo sconto è 3,5 volte ovvero il 350% del prezzo effettivo. Di qui l'errore e il titolo a sensazione.



10 gennaio 2015

Buone ragioni per non uscire dall'euro

Perchè non ha senso uscire dall'euro? Ecco  buone ragioni che suggeriscono che l'idea di un'uscita dall'euro sarebbe una stupidaggine senza precedenti.

Immaginiamo che una famiglia italiana possieda un patrimonio investito in titoli di stato pari a 100 mila euro e suponiamo che un'eventuale uscita porti al ritorno alla lira, quotata (per semplicità) 2000 lire per un euro.

La famiglia italiana farebbe un semplice ragionamento: se i nostri 100.000 euro si trasformassero in 200 milioni di lire e la lira si svalutasse, passando da 2000 a 3000 lire per un euro, noi subiremmo una bella perdita (in euro).

Con la lira a 3000 lire i nostri 200 milioni varrebbero 66.666 euro, un terzo in meno della somma iniziale. Per non perdere potere d'acquisto in euro, dobbiamo evitare di passare alla lira. Quindi portiamo i soldi all'estero o investiamo in titoli in una moneta sicura, passando alla lira solo dopo che questa si è svalutata.

Se ciò accadesse, il flusso di capitali verso altre monete avrebbe conseguenze terribili per l'economia. Due su tutte: una crisi senza precedenti per le banche, che rischierebbero il fallimento e dovrebbero essere salvate con soldi pubblici. E uno spread in aumento, a livelli che nella migliore delle ipotesi ricorderennero il 2011, quando il governo Berlusconi fu spazzato via da uno spread che superò quota 500.

Ma, si dice, l'uscita dall'euro farebbe bene all'economia perchè una moneta capace di svalutarsi (la lira) rende più competitivi i prodotti italiani sui mercati esteri.

E' solo in parte vero. Prima di tutto perchè se un paese svaluta la propria moneta, non è detto che altri paesi non facciano lo stesso. Se l'Italia svaluta ma anche la Francia lo fa, il vantaggio della svalutazione è limitato, dipendendo solo da una minore svalutazione della Francia rispetto all'Italia.

E poi pensiamo che oggi i prodotti di molte aziende sono realizzati con materie prime, semilavorati, macchinari, lavoro provenienti da altri paesi. Se l'acciaio con cui si produce una lavatrice o le componenti elettroniche arrivano da altri paesi che non svalutano la propria moneta, il beneficio della svalutazione è limitato. E magari le poche lavatrici che si venderebbero in più all'estero compenserebbero un calo della domanda interna, provocata dalle incertezze causate dalla svalutazione.

Dunque sbaglia chi pensa che la svalutazione sia la panacea di tutti i mali: si illude sia tutto semplice e non valuta le vere conseguenze delle sue proposte.

07 gennaio 2015

Estremisti, e soldi

Da qualche giorno sto leggendo un libro di diversi anni fa, Al Qaeda, di Jason Burke, giornalista di The guardian.

La scoperta sorprendente che si fa leggendo il libro è che Al Qaeda non è l'organizzazione ben strutturata che ci siamo immaginati in questi anni, ma un pezzettino di una galassia molto più complessa, fatta di estremisti che interpretano in modo estremo la religione islamica e per questo sono pronti a morire compiendo attentati e combattendo con le armi in mano.

E non si tratta di un fenomeno minoritario o della degenerazione di un islam pacifico. E' una visione estremista figlia di una interpretazione estrema della religione che è dominante in molti paesi del golfo persico, a cominciare dall'Arabia Saudita costruita sui principi wahabiti. Tali stati e i suoi ricchissimi dirigenti hanno esportato la loro idea di islam nei paesi islamici poveri, e l'hanno fatto proprio perchè sono poveri.

L'Afghanistan, spiega Burke, per decenni ha avuto problemi economici gravi, era incapace di finanziare la spesa pubblica con le imposte. Per questo il paese ha stretto legami prima con americani e sovietici e poi ha accettato i soldi dei paesi del golfo.

Una buona parte dei soldi ha finanziato università e scuole islamiche, che hanno diffuso la visione estrema della religione islamica e preparato migliaia di persone a combattere e a morire per realizzare gli ideali islamici.


02 gennaio 2015

2015

Cosa possiamo dire dell'economia italiana nel 2015?

L'anno che si apre porta qualche aumento, come sempre. Ma se non deve stupire più di tanto la scelta del governo di portare l'IVA sul pellet al 22% (perchè mai chi usa il pellet dovrebbe pagare meno IVA di chi usa altre fonti di energia?) o, per la stessa ragione, sulle sigarette elettroniche, meno comprensibile invece è l'aumento dei pedaggi autostradali, perchè nel 2014 s'è registrato un tasso di inflazione negativa e quindi sarebbe lecito aspettarsi se non un calo, certamente non un aumento delle tariffe.

Tanto più che il calo del petrolio sta portando alla riduzione del prezzo dei carburanti e questo persumibilmente farà aumentare i transiti autostradali e quindi le entrate delle società concessionarie.

I prezzi dell'energia in calo favoriranno l'economia (è buona cosa che si sia riusciti a anticipare di 3 mesi i cali dei prezzi di energia elettrica e gas metano) e i consumi. L'aumento di questi ultimi è indispensabile per la ripresa dell'economia. Ben venga quindi la scelta del governo di confermare gli 80 euro che, si spera, in un clima economico meno negativa verranno spesi.

Ci sono diversi segnali di un'inversione di tendenza, dalla recessione del triennio 2012-2014 a una piccola ripresa prevista nel 2015, ma non mancano le incertezze. Sul piano interno sono legate alle riforme: funzioneranno?

Il jobs act per esempio promette di eliminare tutti gli ostacoli agli investimenti stranieri, ma gli investimenti di solito si fanno un funzione delle attese di crescita di un mercato e una riforma del diritto del lavoro che promette di rendere più facili i licenziamenti rischia di rendere più inquieti i lavoratori e di spingerli a ridurre i consumi per far fronte ai periodi difficili.

Sul piano internazionale sono tanti gli elementi che potrebbero turbare il 2015: dalle vicende politiche e economiche della Grecia, ben lontana dall'aver risolto i suoi problemi, ai conflitti che possono influenzare il prezzo del petrolio o richiedere eventualmente un impiego di forze armate occidentali con conseguenti timori di "vendette" terroristiche.

Ma è soprattutto in Europa che si giocheranno le partite importanti per l'economia italiana. Cosa farà la Banca Centrale Europea, stretta tra il desiderio di politiche espansive di molti stati e quindi di una politica monetaria super-accomodante e una Germania che imperterrita sostiene la necessità di politiche di austerità ormai sconfitte dai fatti ma ben salde nella mente di Merkel e soci?

Un allentamento dei vincoli economici, richiesto da molti paesi, può voler dire un 2015 più sereno, ma anche meno gioioso per gli imprenditori tedeschi, veri beneficiari di un'austerità che per così dire uccide i loro concorrenti francesi e italiani.

Quindi un 2015 con buone prospettive ma anche con molte incognite, che saranno svelate nel corso dell'anno. In ogni caso, buon anno a tutti!

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