Sempre impossibile, ma sta per nascere una nuova banca. La Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, azionista di Unicredit (dentro cui la Cassa di Risparmio di Torino è confluita), ha sottoscritto un aumento obbligazionario della genovese Cassa di Risparmio di Genova (Carige).
Obbligazioni convertibili, sottoscritte pure dallo IOR, la banca vaticana.
Carige ha una sessantina di sportelli in Piemonte, soprattutto nella zona meridionale, al confine con la Liguria. Li cederà a una nuova società, i cui azionisti principali saranno la Fondazione Carige e la Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino.
Gli sportelli della Carige diventeranno sportelli della Carito, la nuova banca (dove to sta naturalmente per Torino) che cercherà di coinvolgere nell'avventura qualche banca locale, già disponibile.
Tutto questo pare strano se si pensa che la crisi ha colpito le imprese e forse ancora di più le banche. Ma c'è una ragione: la zona di competenza della nuova banca, ovvero la zona centro-meridionale del Piemonte è ricca di imprese spesso solide e di banche decisamente ricche.
La Banca d'Alba ad esempio non solo si trova in una città famosa per un'industria famosa come la Ferrero, ma soprattutto in un territorio dove banche e imprese non si sono compromesse con la finanza. L'effetto straordinario è che appena è scoppiata la crisi, la Banca d'Alba (la più grande banca di credito cooperativo d'Italia) ha ricevuto soldi in gran quantità dai risparmiatori preoccupati per i loro conti in altre banche.
C'è dunque chi ha fiutato l'affare e ha deciso di puntare su un territorio che può offrire soddisfazioni. Per questo nascerà una nuova banca in un momento assai difficile.
25 febbraio 2010
Un altro falso del signor P.
Convinto di essere al centro del mondo, il signor P. si inventa cose false. In questa pagina (1) spiega che io (Gian), cacciato dal suo forum, ce l'avrei con lui.
Basterebbe leggere il pdf (2) per capire che non mi occupo di chi si inventa le frottole, ma delle frottole sul signoraggio.
Qualche anno fa ho tentato un confronto sui contenuti, nel forum di P. Che non sa nulla di economia e lo dice apertamente (vedi post precedente) e per questo insulta.
Ho anche sfidato P. a fissare un obiettivo per le sue battaglie e una data, una qualunque, entro la quale realizzarlo. Se avesse vinto la sfida, io avrei accettato di fargli da autista, cameriere o quel che preferiva...
Ovviamente P. non ha accettato la sfida. Perchè avrebbe dovuto? I falsi profeti promettono un futuro migliore che non arriva mai. Contano solo la promessa e qualcuno che ci crede. I conti con la realtà è meglio rinviarli all'infinito.
P. dunque scrive (1):
vi dico solo che in una prima versione scriveva:
“pascucci dice che il signoraggio su una banconota da .... capite come stanno messi questi del signoraggio?” (tralasciando quel che ha davvero copiato dal mio pdf)
Corsivo e virgolettato. Dunque una citazione. Peccato che sia falsa!
Nell'originale (2) si legge
Chi ignora la realtà afferma che il signoraggio è la differenza tra ....
...
Chi sostenesse che i bilanci delle Banche Centrali sono falsi dovrebbe dimostrarlo e non limitarsi a dire che è possibile che siano falsi: dire che è possibile che Tizio tradisca la moglie non vuol dire provare che l'abbia tradita davvero
Mai usato nessun cognome o espressioni del tipo "capite come stanno messi questi del signoraggio". Sarebbe superfluo scriverlo: chiunque con un pò di intelligenza lo capisce da solo.
Insomma P. falsifica anche le citazioni. Ogni occasione è buona per raccontare frottole ai sostenitori.
E' poi curioso che, se scrivo "Chi ignora la realtà" qualcuno senta il bisogno di sostituirvi il proprio cognome. Freud farebbe i salti di gioia con uno così.
L'insulto per questa gente è la normalità. Un ex amico di P., il signor G., che il signor P. oggi tratta con disprezzo (3), sul forum mi augurò addirittura un cancro. Non voleva discutere e non sopportava che potessi esprimere le mie idee.
Curiosamente qualche settimana dopo il pover'uomo, G., rischiò di morire in seguito a 2 infarti.
Perchè mai dovrei citare per nome questi simpaticoni?
P. è così pieno di sè da inventarsi una citazione falsa, dove mette in suo nome, pur di apparire, rifilando invero a qualche fessacchiotto l'ennesima frottola
---
(1) http://www.primit.it/forum/phpBB3/viewtopic.php?p=7545#p7545
(2) http://files.meetup.com/206829/signoraggio.pdf qui si trova la versione originale del documento a cui si riferisce il signor p
(3) G. ha ottenuto da P. diversi soldi. Aiuti a un amico in difficoltà (sembrerebbe che un'impresa di G. fosse fallita). All'ennesima richiesta di soldi per aggiustare l'auto, P. e altri gli consigliano di comprare un'auto usata in buone condizioni, per spender meno. A quel punto G. reagisce affermando che non era intenzionato ad andare in giro con una Punto bianca e i rapporti si rompono
23 febbraio 2010
Il signor P. non capisce nulla di economia. E lo dice
Il signor P ogni tanto è pure onesto con se stesso e con gli altri.
L'autore di signoraggio.com ha deciso, facendo gli auguri di fine anno, di essere onesto. Era ora. Ha raccontato (1):
Ecco spiegate le teorie economiche assurde e gli insulti sparsi ai quattro venti, ma anche le motivazioni più recondite (giocavo in borsa).
Insomma la lotta al signoraggio è un mix di nessuna conoscenza di economia, desiderio di guadagno, mancanza di buone maniere
--
(1)http://www.signoraggio.com/signoraggio_auguricapodanno2010.html
L'autore di signoraggio.com ha deciso, facendo gli auguri di fine anno, di essere onesto. Era ora. Ha raccontato (1):
Se io ho fatto, in questi 5 anni, quello che ho fatto è stato per dare un esempio:
1. non avevo conoscenze accademiche di economia (ho studiato, operavo ed opero in tutt’altro ambiente);
2. non avevo e non ho particolari inclinazioni buoniste o etiche verso il prossimo (giocavo in borsa,
[...];
5. non avevo, e non ho (sob!), particolari doti dialettiche tali da "predicare in giro il Verbo"..
Ecco spiegate le teorie economiche assurde e gli insulti sparsi ai quattro venti, ma anche le motivazioni più recondite (giocavo in borsa).
Insomma la lotta al signoraggio è un mix di nessuna conoscenza di economia, desiderio di guadagno, mancanza di buone maniere
--
(1)http://www.signoraggio.com/signoraggio_auguricapodanno2010.html
21 febbraio 2010
"Zeitgeist", la favola più cretina mai raccontata
Il complottismo è un modo di comportamento fruttuoso, perchè ci esula dall'onere dell'ulteriore analisi delle cose. La stessa frase divenuta apogeo della contemporaneità italiana "E' tutto un magna magna" in realtà mostra come noi tutti tentiamo di fornire dei giudizi che, per mancanza di tempo, devono essere generici e concisi a scapito della selezione.
Ma il tipo di cospirazione che si paventa coi documentari Zeitgeist non ha scusanti. Contrabbandare analisi accurate (ma stranamente senza un briciolo di fonte, di studio o avallo da parte di esperti) fondate su un manto di pregiudizi, assunti errati e argomenti piegati miseramente a favore delle proprie tesi è un tipico atteggiamento di chi crede in qualcosa fuori dalla realtà e non sa dove aggrapparsi.
Mi sento di dire queste poche parole vedendo la dilagante evangelizzazione che in rete trova facilmente piede. Politici e opinion leaders che abbracciano acriticamente questi saggi favolistici (ove la china è scivolosa, pensando a come molti di questi avanzino tesi di negazionismo dell'olocausto) dovrebbero dedicare parte del loro tempo nel farsi visitare da un bravo medico e, soprattutto, nell'incominciare a vivere più serenamente.
Ed ecco, per riderci su, qualche video:
un tizio dal molto tempo libero che tenta di diffondere il verbo distribuendo gratuitamente il documentario, a confronto i testimoni di Geova non disturbano affatto.
un signoraggista purosangue che va a fare la predica a Sabina Guzzanti, da notare quando si parla dell'"unico vero male del mondo". Una perla.
uno squilibrato che fa una petizione in un minestrone confuso di complottismi vari, fossi in lui ci avrei infilato anche una petizione per far chiarezza sullo sbarco lunare, non si sa mai.
Buona Domenica ;)
Ma il tipo di cospirazione che si paventa coi documentari Zeitgeist non ha scusanti. Contrabbandare analisi accurate (ma stranamente senza un briciolo di fonte, di studio o avallo da parte di esperti) fondate su un manto di pregiudizi, assunti errati e argomenti piegati miseramente a favore delle proprie tesi è un tipico atteggiamento di chi crede in qualcosa fuori dalla realtà e non sa dove aggrapparsi.
Mi sento di dire queste poche parole vedendo la dilagante evangelizzazione che in rete trova facilmente piede. Politici e opinion leaders che abbracciano acriticamente questi saggi favolistici (ove la china è scivolosa, pensando a come molti di questi avanzino tesi di negazionismo dell'olocausto) dovrebbero dedicare parte del loro tempo nel farsi visitare da un bravo medico e, soprattutto, nell'incominciare a vivere più serenamente.
Ed ecco, per riderci su, qualche video:
un tizio dal molto tempo libero che tenta di diffondere il verbo distribuendo gratuitamente il documentario, a confronto i testimoni di Geova non disturbano affatto.
un signoraggista purosangue che va a fare la predica a Sabina Guzzanti, da notare quando si parla dell'"unico vero male del mondo". Una perla.
uno squilibrato che fa una petizione in un minestrone confuso di complottismi vari, fossi in lui ci avrei infilato anche una petizione per far chiarezza sullo sbarco lunare, non si sa mai.
Buona Domenica ;)
20 febbraio 2010
citazioni probatorie? (2)
Continua la serie di citazioni iniziata qui:
La Bank of England nel 1694 era una banca che prestava soldi al governo, soprattutto, ovvero finanziava il debito pubblico della Corona, ricevendo un interesse, e aveva la possibilità di coniare moneta. La frase perciò è vera. D'altronde il signoraggio consiste nell'interesse incassato dalla banca centrale.
La frase è vaga, e parla di schiavitù senza nessun tipo di definizione e senza spiegare il perché ci sarebbe schiavitù.
E' vero. Quello era il signoraggio, che non ha nulla da spartire con quello odierno perchè la creazione di moneta oggi non è simile a quella delle economie rinascimentali. Poi non è neanche vero che il signoraggio andasse sempre a finire nelle tasche del sovrano: esistevano nell'antichità zecche private che trasformavano l'oro in moneta e solo quando i sovrani hanno avuto bisogno di soldi per finanziare le guerre hanno accentrato l'attività di creazione di moneta, vietando ad altri di coniare monete diverse da quelle coniate dalla zecca di stato.
Questa è l'opinione dei signoraggisti, tesi non sostenuta da alcun economista e senza prove. Abbondantemente confutata nel pdf (di fianco).
Modigliani si riferiva al fatto che alcune banche centrali tenendo alti i tassi di interesse fanno crescere di meno l'economia e perciò creano più disoccupati. Le autorità monetarie che non offrono motivazioni alle loro scelte e spesso i posti chiave sono in mano a persone con idee economiche (e anche politiche) di un certo tipo. Modigliani avrebbe voluto un dibattito aperto e una scelta più collegiale degli economisti, che svelasse le idee di fondo delle persone chiamate a decidere la politica monetaria, di solito conservatori.
Conoscendo tali opinioni e ribattendo ad esse, si sarebbe potuto chiarire cosa hanno in mente i governatori e far capire che tali idee coincidono con le idee solo di una parte politica e solo di una parte degli economisti, costringendo la parte meno rappresentata a chiedere di pesare di più.
Buona questa. Come dire che chi non capisce di biologia non può curarsi del cane... Pound poverino capiva poco di poche cose... da compatire.
Il banco trae beneficio dall'interesse su tutta la moneta che crea dal nulla (William Paterson, fondatore Bank of England, 1694)
La Bank of England nel 1694 era una banca che prestava soldi al governo, soprattutto, ovvero finanziava il debito pubblico della Corona, ricevendo un interesse, e aveva la possibilità di coniare moneta. La frase perciò è vera. D'altronde il signoraggio consiste nell'interesse incassato dalla banca centrale.
Dare alle banche la possibilità di creare la moneta è come darsi in schiavitù e pagarsela pure (Sir Josiah Stamp, governatore della banca d'inghilterra)
La frase è vaga, e parla di schiavitù senza nessun tipo di definizione e senza spiegare il perché ci sarebbe schiavitù.
Nelle economie rinascimentali chiunque disponga di oro può presentarsi alla zecca, gestita dallo Stato, e trasformare il metallo prezioso in monete. Una parte dell'oro viene versato allo Stato come tassa a fronte del servizio reso dalla zecca: è il cosiddetto signoraggio. [enciclopedia.ws]
E' vero. Quello era il signoraggio, che non ha nulla da spartire con quello odierno perchè la creazione di moneta oggi non è simile a quella delle economie rinascimentali. Poi non è neanche vero che il signoraggio andasse sempre a finire nelle tasche del sovrano: esistevano nell'antichità zecche private che trasformavano l'oro in moneta e solo quando i sovrani hanno avuto bisogno di soldi per finanziare le guerre hanno accentrato l'attività di creazione di moneta, vietando ad altri di coniare monete diverse da quelle coniate dalla zecca di stato.
Gli Usa (la FED privata), ad esempio, per stampare una banconota da un dollaro spendono poco meno di 5 centesimi: questo significa che il governo, ogni volta che emette un biglietto verde, si appropria di 0,95 dollari, che può impiegare per acquistare beni e servizi. [focus.it]
Questa è l'opinione dei signoraggisti, tesi non sostenuta da alcun economista e senza prove. Abbondantemente confutata nel pdf (di fianco).
Non è tollerabile che una banca centrale, isolata, che non ha nessuna responsabilità né l'obbligo di spiegare quello che fa, possa continuare a creare disoccupazione mentre i governi stanno zitti. (Modigliani, premio Nobel per l'Economia, su "Il Tempo" del 22/10/2000)
Modigliani si riferiva al fatto che alcune banche centrali tenendo alti i tassi di interesse fanno crescere di meno l'economia e perciò creano più disoccupati. Le autorità monetarie che non offrono motivazioni alle loro scelte e spesso i posti chiave sono in mano a persone con idee economiche (e anche politiche) di un certo tipo. Modigliani avrebbe voluto un dibattito aperto e una scelta più collegiale degli economisti, che svelasse le idee di fondo delle persone chiamate a decidere la politica monetaria, di solito conservatori.
Conoscendo tali opinioni e ribattendo ad esse, si sarebbe potuto chiarire cosa hanno in mente i governatori e far capire che tali idee coincidono con le idee solo di una parte politica e solo di una parte degli economisti, costringendo la parte meno rappresentata a chiedere di pesare di più.
Chi non s'intende di economia non capisce affatto la storia. (Ezra Pound)
Buona questa. Come dire che chi non capisce di biologia non può curarsi del cane... Pound poverino capiva poco di poche cose... da compatire.
19 febbraio 2010
La sorpresa della FED
A sorpresa ieri sera la FED ha aumentato i tassi. Da 0.50% a 0.75%. Un piccolo incremento, ma significativo.
Può voler dire tre cose. Che la ripresa è in atto come suggeriscono le previsioni di crescita della stessa FED per l'economia americana, viste al rialzo (1). Un buon segno.
Che c'è troppa speculazione: con i tassi bassi si possono prendere in prestito facilmente capitali da reinvestire in attività finanziarie. Le borse salgono e chi ha preso in prestito guadagna, ma i mercati finanziari sono sopravvalutati e potrebbero scendere bruscamente. Anche in questo caso l'aumento dei tassi va accolto positivamente.
E infine l'aumento dei tassi può voler dire che la maggioranza del Board che decide i tassi ritiene opportuno iniziare a ridurre la liquidità, dopo che per mesi si è immessa liquidità in gran quantità. Siamo in presenza anche in questo caso di un segnale positivo, ma anche no: nella FED non mancano i monetaristi che ritengono opportuno ridurre, appena possibile, la liquidità e far salire i tassi, anche a costo di sacrificare un pò di crescita. Se le opinioni dei monetaristi avesse prevalso, il segnale sarebbe negativo: l'ortodossia monetarista potrebbe rallentare la ripresa.
(1) http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-784384/usa-fed-alza-stime-pil-2010/
Può voler dire tre cose. Che la ripresa è in atto come suggeriscono le previsioni di crescita della stessa FED per l'economia americana, viste al rialzo (1). Un buon segno.
Che c'è troppa speculazione: con i tassi bassi si possono prendere in prestito facilmente capitali da reinvestire in attività finanziarie. Le borse salgono e chi ha preso in prestito guadagna, ma i mercati finanziari sono sopravvalutati e potrebbero scendere bruscamente. Anche in questo caso l'aumento dei tassi va accolto positivamente.
E infine l'aumento dei tassi può voler dire che la maggioranza del Board che decide i tassi ritiene opportuno iniziare a ridurre la liquidità, dopo che per mesi si è immessa liquidità in gran quantità. Siamo in presenza anche in questo caso di un segnale positivo, ma anche no: nella FED non mancano i monetaristi che ritengono opportuno ridurre, appena possibile, la liquidità e far salire i tassi, anche a costo di sacrificare un pò di crescita. Se le opinioni dei monetaristi avesse prevalso, il segnale sarebbe negativo: l'ortodossia monetarista potrebbe rallentare la ripresa.
(1) http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-784384/usa-fed-alza-stime-pil-2010/
18 febbraio 2010
Obama e la luna
Obama ha tagliato il programma spaziale americano. La NASA non andrà sulla luna e non è un buon segno.
E' ver oche in tempi di vacche magre il programma spaziale è il più facile da tagliare senza perdere, anzi guadagnando consenso. Ma a lungo andare potrebbe essere un grave errore.
La conquista dello spazio in passato ha avuto un ruolo importante per la ricerca e le imprese americane. I problemi da risolvere per offrire alla NASA l'occorrente per mandare un paio di uomini sul satellite stimolavano le imprese a dare il meglio, finanziate dai soldi della NASA.
La ricerca ha prodotto un'infinità di prodotti utili non solo a soddisfare le richieste della NASA, ma anche ad aiutare le stesse imprese a innovare prodotti e processi produttivi. La tecnologia inventata per far funzionare le tute spaziali o per spingere un razzo fuori dall'atmosfera ha avuto infinite ricadute sui prodotti di ogni giorno.
La tecnologia ha un ruolo assai importante nell'economia, come dimostra la doppia presidenza Bush. Nel 2000 si teorizzava un felice ritorno alla old economy, la fine quasi virtuosa della new economy che aveva spinto l'economia negli anni della presidenza Clinton. Sembrava quasi una fortuna che si tornasse ad una economia centrata su acciaierie, petrolieri, auto eccetera. E alla fine ci siamo trovati un disastro economico.
Per questo la rinuncia di Obama ai programmi spaziali è negativa: pare una rinuncia, sia pur non voluta, a rilanciare l'economia americana attraverso la ricerca e la tecnologia.
E' ver oche in tempi di vacche magre il programma spaziale è il più facile da tagliare senza perdere, anzi guadagnando consenso. Ma a lungo andare potrebbe essere un grave errore.
La conquista dello spazio in passato ha avuto un ruolo importante per la ricerca e le imprese americane. I problemi da risolvere per offrire alla NASA l'occorrente per mandare un paio di uomini sul satellite stimolavano le imprese a dare il meglio, finanziate dai soldi della NASA.
La ricerca ha prodotto un'infinità di prodotti utili non solo a soddisfare le richieste della NASA, ma anche ad aiutare le stesse imprese a innovare prodotti e processi produttivi. La tecnologia inventata per far funzionare le tute spaziali o per spingere un razzo fuori dall'atmosfera ha avuto infinite ricadute sui prodotti di ogni giorno.
La tecnologia ha un ruolo assai importante nell'economia, come dimostra la doppia presidenza Bush. Nel 2000 si teorizzava un felice ritorno alla old economy, la fine quasi virtuosa della new economy che aveva spinto l'economia negli anni della presidenza Clinton. Sembrava quasi una fortuna che si tornasse ad una economia centrata su acciaierie, petrolieri, auto eccetera. E alla fine ci siamo trovati un disastro economico.
Per questo la rinuncia di Obama ai programmi spaziali è negativa: pare una rinuncia, sia pur non voluta, a rilanciare l'economia americana attraverso la ricerca e la tecnologia.
14 febbraio 2010
I misteri degli incentivi
Quanto costano allo stato gli incentivi auto?
Può sembrare sorprendente ma non costano nulla, anzi ci guadagna. Facciamo qualche conto.
Marchionne ha spiegato che senza incentivi si venderanno 350.000 auto in meno.
Supponiamo che per ogni auto venduta lo stato incassi di imposte varie almeno 2000 euro. Moltiplichiamo questa cifra per 350.000 auto: rinunciare agli incentivi vuol dire rinunciare a 700 milioni di imposte varie, cioè il 70% del miliardo che lo stato ha speso in incentivi nel 2009.
Poi ci sono altri costi e mancati introiti per lo stato. Il gruppo Fiat vende 1/3 delle auto immatricolate in Italia. Niente incentivi, quindi 100.000 auto in meno per Fiat. Se la metà, 50.000, sono prodotte in Italia, vuol dire che la produzione italiana diminuisce di circa 1/12, visto che Fiat di solito produce in Italia 600.000 auto.
In pratica un mese in meno di produzione e un mese in più di cassa integrazione per i 30.000 operai Fiat più altri 100.000 (almeno) dell'indotto. Con quali conseguenze? Supponiamo che ogni operaio paghi tra contributi e imposte almeno 700 euro e che, in cassa integrazione, riceva altrettanto, 700 euro.
Quindi passando dalla catena di montaggio alla fabbrica paga 700 euro in meno e riceve 700 euro per non lavorare. 1400 euro a spese di INPS e stato, tra maggiori costi e minori entrate. Per 130.000 persone in cassa per 1 mese, significa quasi 200 milioni.
Che si aggiungono ai 700 milioni calcolati prima. Siamo arrivati 900 milioni, 100 in meno del miliardo speso dallo stato in incentivi.
Poi ci sono altri costi e altri mancati introiti. Gli operai in cassa integrazione spendono di meno e di conseguenza anche il panettiere o il supermercato ne risentono. A loro volta pagano meno imposte, spendono di meno e licenziano il commesso o mettono in cassa integrazione.
Se calcoliamo 500 euro di minori entrate per un cassintegrato, abbiamo un minor reddito di 65 milioni, che vanno moltiplicati almeno per 4 per considerare gli effetti della minor spesa non solo dell'operaio ma anche del supermercato, del panettiene o del verduriere, che a loro volta spendono meno.
65 milioni per 4 significa 340 milioni di minore spesa, con un minore introito per lo stato, realisticamente, di un altro centinaio di milioni.
Abbiamo quindi raggiunto il miliardo. Esattamente la cifra spesa dal governo nel 2009.
Ma ci sono altri costi da considerare, come i costi a carico delle amministrazioni locali che aiutano l'operaio che non ce la fa a pagare l'affitto o la mensa del figlio...
Poi ci sono gli effetti del minore introito a carico degli importatori di auto straniere, che hanno assorbito almeno 2/3 degli incentivi. Le concessionarie lavoreranno molto meno, licenzieranno, metteranno in cassa integrazione i dipendenti, taglieranno i costi.
Il calcolo degli effetti per INPS e stato potrebbe ripartire, ma qui ci fermiano perchè da questi dati è chiaro che gli incentivi fanno incassare allo stato molto più di quanto spende.
Ma allora, viene da chiedersi, perchè si rinuncia agli incentivi, se mettere in cassa integrazione o licenziare personale costa più di quanto si incassa?
Si possono fare diverse ipotesi. Una è che il governo li sposti su altri settori: macchine movimento terra o camion o veicoli industriali. Settori molto più in difficoltà dell'auto.
Un'altra è che Fiat si senta forte e approfitti della situazione per colpire la concorrenza, in Italia. Se una concessionaria Opel o Toyota chiude i battenti, la Fiat la può comprare per pochi soldi o trae vantaggio solo dal fatto che chiuda.
Un'altra ancora è che si usi la crisi per riorganizzare, ristrutturare, liberarsi di ciò che non rende. Con la complicità del governo che considera impopolari gli incentivi.
Può sembrare sorprendente ma non costano nulla, anzi ci guadagna. Facciamo qualche conto.
Marchionne ha spiegato che senza incentivi si venderanno 350.000 auto in meno.
Supponiamo che per ogni auto venduta lo stato incassi di imposte varie almeno 2000 euro. Moltiplichiamo questa cifra per 350.000 auto: rinunciare agli incentivi vuol dire rinunciare a 700 milioni di imposte varie, cioè il 70% del miliardo che lo stato ha speso in incentivi nel 2009.
Poi ci sono altri costi e mancati introiti per lo stato. Il gruppo Fiat vende 1/3 delle auto immatricolate in Italia. Niente incentivi, quindi 100.000 auto in meno per Fiat. Se la metà, 50.000, sono prodotte in Italia, vuol dire che la produzione italiana diminuisce di circa 1/12, visto che Fiat di solito produce in Italia 600.000 auto.
In pratica un mese in meno di produzione e un mese in più di cassa integrazione per i 30.000 operai Fiat più altri 100.000 (almeno) dell'indotto. Con quali conseguenze? Supponiamo che ogni operaio paghi tra contributi e imposte almeno 700 euro e che, in cassa integrazione, riceva altrettanto, 700 euro.
Quindi passando dalla catena di montaggio alla fabbrica paga 700 euro in meno e riceve 700 euro per non lavorare. 1400 euro a spese di INPS e stato, tra maggiori costi e minori entrate. Per 130.000 persone in cassa per 1 mese, significa quasi 200 milioni.
Che si aggiungono ai 700 milioni calcolati prima. Siamo arrivati 900 milioni, 100 in meno del miliardo speso dallo stato in incentivi.
Poi ci sono altri costi e altri mancati introiti. Gli operai in cassa integrazione spendono di meno e di conseguenza anche il panettiere o il supermercato ne risentono. A loro volta pagano meno imposte, spendono di meno e licenziano il commesso o mettono in cassa integrazione.
Se calcoliamo 500 euro di minori entrate per un cassintegrato, abbiamo un minor reddito di 65 milioni, che vanno moltiplicati almeno per 4 per considerare gli effetti della minor spesa non solo dell'operaio ma anche del supermercato, del panettiene o del verduriere, che a loro volta spendono meno.
65 milioni per 4 significa 340 milioni di minore spesa, con un minore introito per lo stato, realisticamente, di un altro centinaio di milioni.
Abbiamo quindi raggiunto il miliardo. Esattamente la cifra spesa dal governo nel 2009.
Ma ci sono altri costi da considerare, come i costi a carico delle amministrazioni locali che aiutano l'operaio che non ce la fa a pagare l'affitto o la mensa del figlio...
Poi ci sono gli effetti del minore introito a carico degli importatori di auto straniere, che hanno assorbito almeno 2/3 degli incentivi. Le concessionarie lavoreranno molto meno, licenzieranno, metteranno in cassa integrazione i dipendenti, taglieranno i costi.
Il calcolo degli effetti per INPS e stato potrebbe ripartire, ma qui ci fermiano perchè da questi dati è chiaro che gli incentivi fanno incassare allo stato molto più di quanto spende.
Ma allora, viene da chiedersi, perchè si rinuncia agli incentivi, se mettere in cassa integrazione o licenziare personale costa più di quanto si incassa?
Si possono fare diverse ipotesi. Una è che il governo li sposti su altri settori: macchine movimento terra o camion o veicoli industriali. Settori molto più in difficoltà dell'auto.
Un'altra è che Fiat si senta forte e approfitti della situazione per colpire la concorrenza, in Italia. Se una concessionaria Opel o Toyota chiude i battenti, la Fiat la può comprare per pochi soldi o trae vantaggio solo dal fatto che chiuda.
Un'altra ancora è che si usi la crisi per riorganizzare, ristrutturare, liberarsi di ciò che non rende. Con la complicità del governo che considera impopolari gli incentivi.
12 febbraio 2010
La politica industriale. Che non c'è
Politica industriale. Sembra una parolaccia in un mondo che invoca il mercato come soluzione di tutti i mali, anche per criticare le scelte di politica economica che servono a salvare l'Europa da guai peggiori, come quelli della Grecia.
Eppure c'è qualcuno che ha il coraggio di parlare ancora di politica industriale. Romano Prodi ad esempio, uno che conosce profondamente la realtà dell'industria italiana, soprattutto della piccola e media industria che ha creato i distretti industriali.
Prodi ricorda che occorre una politica industriale e che non ci possiamo aspettare che le cose si sistemino da sole (1).
I capri espiatori usati dalla politica alle prese con la crisi sono tanti, a cominciare dalle banche, accusate di prestare troppo poco ai clienti e, per quanto riguarda il passato, di aver prestato troppo.
Se una impresa ha ricevuto da una banca una somma superiore a quanto meritava, perchè mai dargli altri soldi, soprattutto in un contesto economico assai negativo, con la domanda e il reddito potenziale delle imprese in calo?
Le imprese non restituirebbero il denaro ricevuto. E le banche non stampano banconote in cantina: se prestano soldi e non li ricevono indietro, non possono certo aumentare i prestiti e non hanno interesse a prestare denaro se il rischio di subire perdite è elevato.
I soldi alle imprese servono a finanziare la produzione e gli investimenti. Se la produzione non aumenta, le imprese non hanno bisogno di più soldi per finanziare la produzione ma meno. I soldi servono piuttosto per finanziare le perdite.
E se la domanda non aumenta anche gli investimenti restano fermi, piatti come il mare in una giornata senza vento. I governi possono stimolare le imprese con qualsiasi mezzo, ma senza un aumento della domanda si tratta di stimoli inefficaci.
Una parte della domanda dipende direttamente o indirettamente dallo stato e quindi dalla politica, severa verso le banche. I politici sembrano non saperlo e non usano la domanda per stimolare l'economia, ma per altri scopi. Sembrano non capire che se la domanda non riprende a salire le banche non hanno motivo di prestare ulteriori soldi alle imprese.
Sperano che tutto si sistemi da solo, senza fare nulla, ma stanno solo peggiorando le cose, come ci ricorda Prodi.
----
(1) http://www.asca.it/news-CRISI__PRODI__SARA__LUNGA_E_FATICOSA_SERVE_PIANO_POLITICA_INDUSTRIALE-893914-ORA-.html
Eppure c'è qualcuno che ha il coraggio di parlare ancora di politica industriale. Romano Prodi ad esempio, uno che conosce profondamente la realtà dell'industria italiana, soprattutto della piccola e media industria che ha creato i distretti industriali.
Prodi ricorda che occorre una politica industriale e che non ci possiamo aspettare che le cose si sistemino da sole (1).
I capri espiatori usati dalla politica alle prese con la crisi sono tanti, a cominciare dalle banche, accusate di prestare troppo poco ai clienti e, per quanto riguarda il passato, di aver prestato troppo.
Se una impresa ha ricevuto da una banca una somma superiore a quanto meritava, perchè mai dargli altri soldi, soprattutto in un contesto economico assai negativo, con la domanda e il reddito potenziale delle imprese in calo?
Le imprese non restituirebbero il denaro ricevuto. E le banche non stampano banconote in cantina: se prestano soldi e non li ricevono indietro, non possono certo aumentare i prestiti e non hanno interesse a prestare denaro se il rischio di subire perdite è elevato.
I soldi alle imprese servono a finanziare la produzione e gli investimenti. Se la produzione non aumenta, le imprese non hanno bisogno di più soldi per finanziare la produzione ma meno. I soldi servono piuttosto per finanziare le perdite.
E se la domanda non aumenta anche gli investimenti restano fermi, piatti come il mare in una giornata senza vento. I governi possono stimolare le imprese con qualsiasi mezzo, ma senza un aumento della domanda si tratta di stimoli inefficaci.
Una parte della domanda dipende direttamente o indirettamente dallo stato e quindi dalla politica, severa verso le banche. I politici sembrano non saperlo e non usano la domanda per stimolare l'economia, ma per altri scopi. Sembrano non capire che se la domanda non riprende a salire le banche non hanno motivo di prestare ulteriori soldi alle imprese.
Sperano che tutto si sistemi da solo, senza fare nulla, ma stanno solo peggiorando le cose, come ci ricorda Prodi.
----
(1) http://www.asca.it/news-CRISI__PRODI__SARA__LUNGA_E_FATICOSA_SERVE_PIANO_POLITICA_INDUSTRIALE-893914-ORA-.html
11 febbraio 2010
Una semplice idea per combattere l'evasione
Presa diretta, programma di Rai3, nella sua prima puntata ha parlato di case. Mentre da noi alcuni enti mettono in vendita i loro appartamenti, con il rischio che gli inquilini si trovino a pagare un affitto troppo alto, a Parigi il comune può acquistare un appartamento in vendita esercitando un diritto di prelazione.
La legge offre questa opportunità con cui i comuni possono acquistare appartamenti da destinare a soggetti che non possono pagare prezzi di mercato, venendo incontro in sostanza a chi ha uno stipendio o una pensione troppo bassa per permettersi di vivere in una grande città.
Una soluzione molto interessante che avrebbe anche un altro effetto: ridurre l'evasione fiscale. Se infatti un ente locale può esercitare un diritto di prelazione, acquirente e venditore devono dichiarare il prezzo realmente praticato.
Se il venditore dichiara una cifra inferiore a quella vera, rischia di vedersi costretto a vendere a quel prezzo all'ente locale, subendo una perdita.
Un modo semplice ma efficace per combattere l'evasione fiscale.
La legge offre questa opportunità con cui i comuni possono acquistare appartamenti da destinare a soggetti che non possono pagare prezzi di mercato, venendo incontro in sostanza a chi ha uno stipendio o una pensione troppo bassa per permettersi di vivere in una grande città.
Una soluzione molto interessante che avrebbe anche un altro effetto: ridurre l'evasione fiscale. Se infatti un ente locale può esercitare un diritto di prelazione, acquirente e venditore devono dichiarare il prezzo realmente praticato.
Se il venditore dichiara una cifra inferiore a quella vera, rischia di vedersi costretto a vendere a quel prezzo all'ente locale, subendo una perdita.
Un modo semplice ma efficace per combattere l'evasione fiscale.
10 febbraio 2010
Un'Italia per conto terzi
Tremonti dice che in Italia la crisi colpisce meno perché c'è meno finanza. Ma i dati lo smentiscono (1): da noi la crisi è più dura e ogni giorno qualche azienda mette in cassa integrazione gli operai.
L'ultimo caso, assai significativo, è quello di Merloni. Un parente del più famoso costruttore di elettrodomestici. Produce elettrodomestici ma per conto terzi. Significa che un marchio famoso commissiona a una fabbrica la costruzione di frigorifero o lavatrici, attacca il proprio marchio e lo vende.
Il consumatore non lo sa. Legge il marchio e pensa che una fabbrica di quell'azienda produca la lavatrice.
Chi vende il prodotto può scegliere a chi affidare la produzione. Oggi in Italia, domani in Romania, dopodomani in Cina. Chi offre condizioni migliori ottiene l'appalto, chi non può offrire condizioni migliori chiude.
Perchè conviene assai di più commercializzare una lavatrice che produrla. E lo stesso vale per altri prodotti, come quelli del tessile. Chi vende la camicia guadagna assai più di chi la produce e assegna le diverse fasi di lavorazione del prodotto ai fornitori più competitivi. Se i cinesi cuciono un tessuto a prezzi più competitivi di un'azienda italiana, si aggiudicano la commessa e l'azienda italiana rischia la chiusura.
Ecco perchè, nonostante ci sia poca finanza e pochi titoli tossici nell'economia italiana, la produzione industriale è scesa nel 2009 del 17% (2) e la crisi colpisce duramente. Siamo un paese che produce molto per conto terzi e la crisi colpisce queste imprese, che non dispongono di canali di vendita propri, più pesantemente di chi invece -si pensi a Fiat- vende direttamente il proprio prodotto.
----
(1) si veda http://econoliberal.blogspot.com/2010/02/lupi-pinocchio-e-topolino.html
(2) http://finanza.repubblica.it/News_Dettaglio.aspx?del=20100210&fonte=TLB&codnews=637
L'ultimo caso, assai significativo, è quello di Merloni. Un parente del più famoso costruttore di elettrodomestici. Produce elettrodomestici ma per conto terzi. Significa che un marchio famoso commissiona a una fabbrica la costruzione di frigorifero o lavatrici, attacca il proprio marchio e lo vende.
Il consumatore non lo sa. Legge il marchio e pensa che una fabbrica di quell'azienda produca la lavatrice.
Chi vende il prodotto può scegliere a chi affidare la produzione. Oggi in Italia, domani in Romania, dopodomani in Cina. Chi offre condizioni migliori ottiene l'appalto, chi non può offrire condizioni migliori chiude.
Perchè conviene assai di più commercializzare una lavatrice che produrla. E lo stesso vale per altri prodotti, come quelli del tessile. Chi vende la camicia guadagna assai più di chi la produce e assegna le diverse fasi di lavorazione del prodotto ai fornitori più competitivi. Se i cinesi cuciono un tessuto a prezzi più competitivi di un'azienda italiana, si aggiudicano la commessa e l'azienda italiana rischia la chiusura.
Ecco perchè, nonostante ci sia poca finanza e pochi titoli tossici nell'economia italiana, la produzione industriale è scesa nel 2009 del 17% (2) e la crisi colpisce duramente. Siamo un paese che produce molto per conto terzi e la crisi colpisce queste imprese, che non dispongono di canali di vendita propri, più pesantemente di chi invece -si pensi a Fiat- vende direttamente il proprio prodotto.
----
(1) si veda http://econoliberal.blogspot.com/2010/02/lupi-pinocchio-e-topolino.html
(2) http://finanza.repubblica.it/News_Dettaglio.aspx?del=20100210&fonte=TLB&codnews=637
09 febbraio 2010
La sanità negli USA secondo gli ultraconservatori
Reality, programma di approfondimento de la7, ha seguito un gruppo di ultraconservatori contrari alla riforma sanitaria di Obama.
Il mercato invocato come strumento per risolvere tutti i mali, ma anche il furbetto (contro lo stato ma con l'assicurazione sanitaria offerta dalla moglie, dipendente di una scuola) e chi sostiene che è falso che 50 milioni di americani siano senza assistenza sanitaria... sono solo persone che non vogliono l'assistenza sanitaria, per gli ultraconservatori.
Smentiti alla fine da una malata che... lo scoprirete guardando il video
Il mercato invocato come strumento per risolvere tutti i mali, ma anche il furbetto (contro lo stato ma con l'assicurazione sanitaria offerta dalla moglie, dipendente di una scuola) e chi sostiene che è falso che 50 milioni di americani siano senza assistenza sanitaria... sono solo persone che non vogliono l'assistenza sanitaria, per gli ultraconservatori.
Smentiti alla fine da una malata che... lo scoprirete guardando il video
08 febbraio 2010
Banche: intervento della CONSOB
Qualcuno finalmente se n'è accorto: se prendi il dipendente di una banca e gli prometti un bell'incentivo se vende un certo prodotto, può darsi che sia poco onesto nei confronti della clientela e gli rifili un prodotto finanziario diverso da quel che desidera.
Dopo troppe fregature (Argentina e Parmalat bond, su tutte) la Consob corre ai ripari (1) e costringe due banche a riunire il consiglio di amministrazione per intervenire e modificare le situazioni anomale.
Bocceranno le proprie scelte o si inventeranno qualcosa di nuovo per aggirare il provedimento della CONSOB?
---
(1) http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/ansa/dettaglio.html?newsId=177216
Dopo troppe fregature (Argentina e Parmalat bond, su tutte) la Consob corre ai ripari (1) e costringe due banche a riunire il consiglio di amministrazione per intervenire e modificare le situazioni anomale.
Bocceranno le proprie scelte o si inventeranno qualcosa di nuovo per aggirare il provedimento della CONSOB?
---
(1) http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/ansa/dettaglio.html?newsId=177216
07 febbraio 2010
Maledette disuguaglianze
"Nell'attuale periodo di difficoltà economica diventano ancora più drammatici quei meccanismi che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi".
Benedetto XVI. Roma, 7 febbraio 2010
Benedetto XVI. Roma, 7 febbraio 2010
Lo spauracchio dell'Argentina
E' inevitabile, quando si parla del rischio connesso al possesso di BOT e CCT (titoli di stato) pensare all'Argentina. Il paese che nel 2002 ha smesso di pagare i suoi debiti lasciando senza soldi migliaia di risparmiatori italiani che avevano prestato i loro soldi alla repubblica sudamericana.
Grillo ad esempio nel suo blog sbandiera il pericolo argentino. Lascia intendere che prima o poi succederà anche da noi.
Ci sono alcuni dati opportunamente ignorati, che chiariscono che il caso del bond argentini è forse diverso da quel che si vuol far credere. A cominciare dal fatto che l'Argentina potrebbe rimborsare il debito.
Ma in Argentina l'insolvenza (default) è una specie di sport nazionale. L'Argentina non ha pagato i propri debiti nel 1982 e nel 1989, ma anche nel 1890 lo stato si è dichiarato insolvente, come racconta Niall Ferguson (1).
Il vero guaio, se vogliamo, è che con questo passato l'Argentina abbia continuato a ricevere capitali dal resto del mondo. Come prestare soldi a chi negli anni '70 e '80 aveva un'inflazione spaventosamente alta?
L'iperinflazione, le monete crollate sotto il peso dell'inflazione, poi sostituite da monete nuove cui si chiedeva il miracolo, impossibile in mancanza di un rinnovamento radicale nella gestione della finanza pubblica, non hanno insegnato nulla nè hanno spinto qualche bancario ad avvertire la clientela.
Ma basta un buon libro per capire che l'Argentina non è l'Italia e non basta fare un confronto tra le dimensioni del debito pubblico per fare paragoni.
Un altro dato ignorato è che l'Argentina i soldi per pagare il debito li avrebbe pure. Ricordate il prezzo delle materie prime salito alle stelle nell'estate del 2008? Il petrolio è arrivato a 140 dollari per barile e anche il prezzo di grano, riso, mais e altri generi alimentari è salito molto. L'Argentina, grazie a quell'impennata dei prezzi, ha oggi 49 miliardi di dollari di riserve depositate presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, che potrebbe usare per pagare i detentori di bond argentini.
Costoro tentano azioni legali per appropriarsi almeno di parte di quei soldi, che l'Argentina non usa, quasi non fossero soldi suoi, per non offrire appigli ai possessori di bond argentini.
E mentre qualche banca compra bond argentini a poco prezzo scommettendo su un rimborso più generoso del previsto, la presidente Kirchner caccia l'ennesimo governatore della banca centrale per impossessarsi di alcuni miliardi di riserve in moneta straniera, da usare per pagare metà dei debiti in scadenza nel 2010.
Infine, si ignorano le ragioni del crollo dei conti pubblici argentini. La politica fiscale argentina è, da sempre, disastrosa: gli argentini non vogliono pagare imposte e votano chi non gliele fa pagare. Per coprire il deficit statale prima hanno stampato moneta (con conseguente iper-inflazione) e poi hanno emesso bond, molti venduti all'estero.
In assenza di un progetto credibile per ridurre il deficit, nel 2002 sono terminati i nuovi finanziamenti e l'Argentina ha dichiarato bancarotta.
Anche la politica monetaria argentina è stata disastrosa: il peso è stato per un decennio agganciato al dollaro nella speranza di attirare capitali ed evitare le croniche fughe di capitali e le conseguenti svalutazioni.
I guai argentini sono dunque noti e di conseguenza le vere ragioni del default e le possibili soluzioni.
Per questo occorre fare attenzione prima di paragonare Italia e Argentina.
Se l'Argentina s'è arrampicata sugli specchi pur di soddisfare la volontà dei propri cittadini di non pagare imposte, e, quando il debito è diventato troppo grande, ha scelto l'insolvenza, è perchè qualcuno ha preso le decisioni sbagliate e non perché, come qualcuno vorrebbe farci credere, l'insolvenza è inevitabile.
L'insolvenza non è inevitabile e non dipende dalle dimensioni del debito (la Spagna preoccupa di più pur avendo un rapporto debito/PIL che è poco più della metà di quello italiano). Dipende dalle scelte dei cittadini e di chi li rappresenta.
---
(1) N.Ferguson Ascesa e declino del denaro, pag. 82 e seguenti
Grillo ad esempio nel suo blog sbandiera il pericolo argentino. Lascia intendere che prima o poi succederà anche da noi.
Ci sono alcuni dati opportunamente ignorati, che chiariscono che il caso del bond argentini è forse diverso da quel che si vuol far credere. A cominciare dal fatto che l'Argentina potrebbe rimborsare il debito.
Ma in Argentina l'insolvenza (default) è una specie di sport nazionale. L'Argentina non ha pagato i propri debiti nel 1982 e nel 1989, ma anche nel 1890 lo stato si è dichiarato insolvente, come racconta Niall Ferguson (1).
Il vero guaio, se vogliamo, è che con questo passato l'Argentina abbia continuato a ricevere capitali dal resto del mondo. Come prestare soldi a chi negli anni '70 e '80 aveva un'inflazione spaventosamente alta?
L'iperinflazione, le monete crollate sotto il peso dell'inflazione, poi sostituite da monete nuove cui si chiedeva il miracolo, impossibile in mancanza di un rinnovamento radicale nella gestione della finanza pubblica, non hanno insegnato nulla nè hanno spinto qualche bancario ad avvertire la clientela.
Ma basta un buon libro per capire che l'Argentina non è l'Italia e non basta fare un confronto tra le dimensioni del debito pubblico per fare paragoni.
Un altro dato ignorato è che l'Argentina i soldi per pagare il debito li avrebbe pure. Ricordate il prezzo delle materie prime salito alle stelle nell'estate del 2008? Il petrolio è arrivato a 140 dollari per barile e anche il prezzo di grano, riso, mais e altri generi alimentari è salito molto. L'Argentina, grazie a quell'impennata dei prezzi, ha oggi 49 miliardi di dollari di riserve depositate presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, che potrebbe usare per pagare i detentori di bond argentini.
Costoro tentano azioni legali per appropriarsi almeno di parte di quei soldi, che l'Argentina non usa, quasi non fossero soldi suoi, per non offrire appigli ai possessori di bond argentini.
E mentre qualche banca compra bond argentini a poco prezzo scommettendo su un rimborso più generoso del previsto, la presidente Kirchner caccia l'ennesimo governatore della banca centrale per impossessarsi di alcuni miliardi di riserve in moneta straniera, da usare per pagare metà dei debiti in scadenza nel 2010.
Infine, si ignorano le ragioni del crollo dei conti pubblici argentini. La politica fiscale argentina è, da sempre, disastrosa: gli argentini non vogliono pagare imposte e votano chi non gliele fa pagare. Per coprire il deficit statale prima hanno stampato moneta (con conseguente iper-inflazione) e poi hanno emesso bond, molti venduti all'estero.
In assenza di un progetto credibile per ridurre il deficit, nel 2002 sono terminati i nuovi finanziamenti e l'Argentina ha dichiarato bancarotta.
Anche la politica monetaria argentina è stata disastrosa: il peso è stato per un decennio agganciato al dollaro nella speranza di attirare capitali ed evitare le croniche fughe di capitali e le conseguenti svalutazioni.
I guai argentini sono dunque noti e di conseguenza le vere ragioni del default e le possibili soluzioni.
Per questo occorre fare attenzione prima di paragonare Italia e Argentina.
Se l'Argentina s'è arrampicata sugli specchi pur di soddisfare la volontà dei propri cittadini di non pagare imposte, e, quando il debito è diventato troppo grande, ha scelto l'insolvenza, è perchè qualcuno ha preso le decisioni sbagliate e non perché, come qualcuno vorrebbe farci credere, l'insolvenza è inevitabile.
L'insolvenza non è inevitabile e non dipende dalle dimensioni del debito (la Spagna preoccupa di più pur avendo un rapporto debito/PIL che è poco più della metà di quello italiano). Dipende dalle scelte dei cittadini e di chi li rappresenta.
---
(1) N.Ferguson Ascesa e declino del denaro, pag. 82 e seguenti
05 febbraio 2010
Lupi, Pinocchio e Topolino
A Pinocchio si allungava il naso quando diceva le bugie. Ma succedeva nel libro di Collodi. Nel mondo reale un importante parlamentare di maggioranza, Maurizio Lupi, può sostenere che l'Italia affronta la crisi meglio di altri anche se i dati del Fondo Monetario Internazionale lo smentiscono. E può anche prendere in giro chi, conoscendo i dati, lo smentisce, come dimostra questo breve video
04 febbraio 2010
Fiat e Spagna - aggiornamenti
Fiat sembra intenzionata a smontare il tentativo del governo di legare incentivi e il salvataggo dello stabilimento di Termini Imerese.
Mentre il presidente del Senato, Schifani, spiega che non si devono dare incentivi a chi non salvaguarda impianti e occupazione, Marchionne in un'intervista a La Stampa spiega che Fiat può fare a meno degli incentivi e che l'importante è che il governo decida subito e che ci sia una politica industriale.
Una frecciata al governo, che latita in fatto di politica industriale, ma anche la constatazione che i consumatori sono in attesa degli incentivi. Nel frattempo non comprano automobili, col rischio che anche il 2010 sia disastroso per i lavoratori e per l'economia in genere.
Quindi prima il governo fa le sue scelte sugli incentivi, meglio è, per Fiat. Ma ci sono le regionali tra 50 giorni e c'è da aspettarsi che il governo voglia fare promesse elettorali evitando di fare scelte definitive. Poi, dopo le elezioni, la storia cambierà, come insegna il caso Malpensa: nel 2008 soprattutto la Lega ha manifestato considerando indispensabile la difesa del traffico Alitalia nell'aeroporto varesino. Dopo le elezioni Alitalia ha mantenuto le proprie scelte su Malpensa e nessuno è sceso in piazza.
Dunque anche in questo caso è lecito credere che il governo preferisca fare promesse e non concludere nulla prima di fine marzo.
Marchionne ha capito e si smarca, dichiarandosi disposto a rinunciare agli incentivi. Per non perdere la libertà di scegliere cosa fare nei propri stabilimenti.
Nel frattempo le borse crollano. La Stampa segnala le preoccupazioni di Paul Krugman a proposito della Spagna, dove il debito cresce rapidamente, il deficit è sopra il 10% (dovrebbe essere sotto il 3%) e la disoccupazione è attorno al 20%.
Zapatero dovrà intervenire pesantemente per rimettere in sesto i conti spagnoli con conseguenze difficili da immaginare.
Non è un fulmine a ciel sereno: in autunno le difficoltà della Grecia hanno messo in luce anche quelli di altri paesi, Spagna in testa.
La Spagna messa al tappeto dalla necessità di rimettere in sesto i conti allunga un'altra ombra sulle possibilità di ripresa nel 2010, con effetti negativi per tutto il continente.
Mentre il presidente del Senato, Schifani, spiega che non si devono dare incentivi a chi non salvaguarda impianti e occupazione, Marchionne in un'intervista a La Stampa spiega che Fiat può fare a meno degli incentivi e che l'importante è che il governo decida subito e che ci sia una politica industriale.
Una frecciata al governo, che latita in fatto di politica industriale, ma anche la constatazione che i consumatori sono in attesa degli incentivi. Nel frattempo non comprano automobili, col rischio che anche il 2010 sia disastroso per i lavoratori e per l'economia in genere.
Quindi prima il governo fa le sue scelte sugli incentivi, meglio è, per Fiat. Ma ci sono le regionali tra 50 giorni e c'è da aspettarsi che il governo voglia fare promesse elettorali evitando di fare scelte definitive. Poi, dopo le elezioni, la storia cambierà, come insegna il caso Malpensa: nel 2008 soprattutto la Lega ha manifestato considerando indispensabile la difesa del traffico Alitalia nell'aeroporto varesino. Dopo le elezioni Alitalia ha mantenuto le proprie scelte su Malpensa e nessuno è sceso in piazza.
Dunque anche in questo caso è lecito credere che il governo preferisca fare promesse e non concludere nulla prima di fine marzo.
Marchionne ha capito e si smarca, dichiarandosi disposto a rinunciare agli incentivi. Per non perdere la libertà di scegliere cosa fare nei propri stabilimenti.
Nel frattempo le borse crollano. La Stampa segnala le preoccupazioni di Paul Krugman a proposito della Spagna, dove il debito cresce rapidamente, il deficit è sopra il 10% (dovrebbe essere sotto il 3%) e la disoccupazione è attorno al 20%.
Zapatero dovrà intervenire pesantemente per rimettere in sesto i conti spagnoli con conseguenze difficili da immaginare.
Non è un fulmine a ciel sereno: in autunno le difficoltà della Grecia hanno messo in luce anche quelli di altri paesi, Spagna in testa.
La Spagna messa al tappeto dalla necessità di rimettere in sesto i conti allunga un'altra ombra sulle possibilità di ripresa nel 2010, con effetti negativi per tutto il continente.
02 febbraio 2010
Gli aumenti occulti delle Ferrovie
Il governo Berlusconi 2001-2006 s'è messo in luce per una scelta all'apparenza molto positiva, per il cittadino italiano: non ha aumentato i prezzi dei biglietti ferroviari.
Nessun aumento in 5 anni. Anche se sembra un miracolo, sa molto di fregatura, anche per chi non prende il treno.
Il governo ha almeno due buone ragioni per non aumentare i prezzi del trasporto ferroviario.
La prima: si fa contento chi prende il treno.
La seconda è che le tariffe ferroviarie influiscono sul tasso di inflazione, che determina gli aumenti di altre tariffe e tasse pubbliche, influisce sui rinnovi contrattuali, sugli aumenti delle pensioni, su ogni contratto che preveda un aumento legato all'inflazione.
Quindi se i prezzi dei treni restano fermi l'inflazione è più bassa e il governo spende meno per pensioni e per i dipendenti pubblici.
Aumentano meno le altre tariffe, come quella acqua, gas, rifiuti e le amministrazioni comunali possono essere costrette, per far quadrare i conti, a concedere impopolati aumenti ben oltre il tasso di inflazione.
Ma anche il cliente delle ferrovie ci perde. Infatti le ferrovie, non potendo aumentare le tariffe, hanno realizzato aumenti occulti. Le ferrovie praticano due tariffe. Una meno cara per i treni interregionali e una più cara per gli intercity.
Di fronte alle tariffe ferme, in molti casi le ferrovie hanno reagito abolendo i treni meno cari (interregionali). Restano i treni più cari (intercity e simili).
Chi viaggia in treno non ha possibilità di scelta ed è costretto oggi a prendere treni più costosi anche di oltre il 200% rispetto a 5 anni fa, come racconta l'edizione ligure di Repubblica (1).
Dunque tener ferme le tariffe è stato un modo per illudere qualcuno e una fregatura per tanti, compreso chi il treno non lo prende mai.
----
(1) http://genova.repubblica.it/dettaglio/treni-laccusa-dei-pendolari-aumenti-del-200-per-cento/1846176
01 febbraio 2010
Conti pubblici, una nuova bomba a orologeria
Eugenio Scalfari ieri su Repubblica (1) ha segnalato un nuovo inquietante fenomeno, che ha definito disossamento dello stato. Il governo affida a società per azioni i compiti solitamente svolti dallo stato. E' successo con la protezione civile e succederà con la difesa.
Si crea la Protezione civile spa e si creerà la Difesa spa. Società per azioni che, soprattutto, si indebitano. Il debito della protezione civile è stimato in 20-25 miliardi di euro, cifra dedotta a partire dagli interessi pagati alle banche, 850 milioni, dice Bertolaso.
Però protezione civile ed esercito non offrono beni e servizi come chi produce merendine o scarpe. Offrono servizi alla collettività, difesa dalle calamità o dal nemico (quale, non si sa). Servizi pagati da un solo committente: lo stato italiano.
Ma se il solo committente è lo stato, perché creare delle società per azioni?
Per vari motivi: una società per azioni non ha i vincoli dello stato. Può non fare gare d'appalto o assumere chi preferisce, come fa la Fiat o l'ENI. Sfugge a molti controlli pubblici e i suoi conti non si mescolano con quelli dello stato, che paga solo il servizio ottenuto.
Però protezione civile ed esercito non offrono beni e servizi come chi produce merendine o scarpe. Offrono servizi alla collettività, difesa dalle calamità o dal nemico (quale, non si sa). Servizi pagati da un solo committente: lo stato italiano.
Ma se il solo committente è lo stato, perché creare delle società per azioni?
Per vari motivi: una società per azioni non ha i vincoli dello stato. Può non fare gare d'appalto o assumere chi preferisce, come fa la Fiat o l'ENI. Sfugge a molti controlli pubblici e i suoi conti non si mescolano con quelli dello stato, che paga solo il servizio ottenuto.
Con qualche vantaggio per il governo, da sempre alle prese con i problemi dei conti pubblici.
Ad esempio se una spa compra aerei e carrarmati e spende 1 miliardo, nel conto economico finisce solo la quota di ammortamento, ad esempio 100 milioni. Lo stato paga 100 milioni ed è a posto. Ma la spa ha debiti per 1 miliardo che verrà pagato nel corso del tempo, 100 milioni l'anno per 10 anni. Ci penseranno i governi futuri...
Oppure può capitare che lo stato versi pochi soldi alla protezione civile e che questa, non incassando abbastanza, si indebiti. Debiti verso le banche di una normale società, non debiti dello stato sotto forma di BOT e CCT.
E' un debito di stato anche se ufficialmente non appartiene allo stato, ma a un privato.
Il debito pubblico cresce più di quanto appare ma lo si occulta in un'altra società, come faceva Enron, ma quel che conta è far sembrare sotto controllo la spesa pubblica.
Quando tra qualche anno arriverà al governo (si spera) qualcuno più serio, che non fingerà più di credere privato il debito della società Protezione civile o della società Difesa, scopriremo che il debito pubblico è in realtà superiore a quel che appare e che qualcuno si è comportato come nel caso Enron: ha creato società il cui solo scopo era assorbire un debito, pubblico, facendolo apparire privato.
E allora saranno guai. Ma solo per chi, allora, dovrà mettere a posto i conti.
------
(1) http://www.repubblica.it/politica/2010/01/31/news/commento_scalfari-2137633/index.html?ref=search
Oppure può capitare che lo stato versi pochi soldi alla protezione civile e che questa, non incassando abbastanza, si indebiti. Debiti verso le banche di una normale società, non debiti dello stato sotto forma di BOT e CCT.
E' un debito di stato anche se ufficialmente non appartiene allo stato, ma a un privato.
Il debito pubblico cresce più di quanto appare ma lo si occulta in un'altra società, come faceva Enron, ma quel che conta è far sembrare sotto controllo la spesa pubblica.
Quando tra qualche anno arriverà al governo (si spera) qualcuno più serio, che non fingerà più di credere privato il debito della società Protezione civile o della società Difesa, scopriremo che il debito pubblico è in realtà superiore a quel che appare e che qualcuno si è comportato come nel caso Enron: ha creato società il cui solo scopo era assorbire un debito, pubblico, facendolo apparire privato.
E allora saranno guai. Ma solo per chi, allora, dovrà mettere a posto i conti.
------
(1) http://www.repubblica.it/politica/2010/01/31/news/commento_scalfari-2137633/index.html?ref=search
Iscriviti a:
Post (Atom)