29 dicembre 2009

Il PIL e la decrescita felice

Cos'è il prodotto interno lordo (PIL)?

C'è da chiederselo quando si legge Maurizio Pallante, un ex professore di lettere esperto in questioni ambientali, che spesso tira in ballo il PIL affermando che consumi ecologicamente più responsabili fanno ridurre il PIL. L'esempio offerto è quello dell'autoproduzione di yogurt (1): chi si produce in casa lo yogurt genera meno imballi, meno trasporti, meno inquinanti ... e quindi meno PIL.

Ma è tutto vero?

Cos'è il PIL

Il PIL è una misura del valore dei beni e dei servizi prodotti e venduti in un certo periodo. Una lavatrice, ad esempio, è il risultato della trasformazione di alcune materie prime, pagate pochi euro, in un prodotto pagato alcune centinaia di euro. Il produttore crea perciò valore, con il quale paga il lavoro e il capitale impiegati.

L'insieme dei valori creati dalle imprese costituisce il PIL. Maggiore è il PIL, maggiore è la somma che finisce per pagare salari e stipendi e dunque maggiore è il numero di persone con un lavoro. Ma anche profitti, interessi e entrate fiscali sono legati al PIL. Tutti buoni motivi per preferire la crescita del PIL che, come ha scritto Samuelson, è “un preliminare indispensabile per affrontare i grandi problemi della disoccupazione, dell'inflazione e dello sviluppo”.

Non è auspicabile invece la diminuzione del PIL, anche perchè se il valore complessivo di salari e stipendi scende, la diminuzione non è uguale per tutti: qualcuno perde il lavoro e il suo reddito si azzera, mentre altri lo mantengono.

Cosa non misura il PIL

Il PIL non misura la ricchezza, la distribuzione del reddito, il benessere, il contenuto etico o ecologico delle produzioni o quel che produciamo per noi stessi.

Così si creano apparenti paradossi. Una torta cucinata in casa aumenta il PIL molto meno di una torta comprata dal pasticcere. Paradossale? No, se si conosce il vero significato del PIL: quando compriamo la torta dal pasticcere paghiamo qualcuno che la cucina al posto nostro, mentre quando ce la cucina la nonna la ringraziamo e la riempiamo d'affetto ma non le paghiamo il lavoro svolto.

La ricchezza comprende il valore di case, terreni, quote azionarie, gli importi dei conti correnti, il valore di barche, auto, gioielli, ecc.: se un terremoto distrugge un edificio, la ricchezza diminuisce, mentre il PIL resta immutato. Se ricostruiamo la casa il PIL cresce. Chi crede che il PIL misuri la ricchezza dice che il terremoto fa aumentare il PIL, anche se si distrugge ricchezza, e sottolinea che questo risultato è paradossale.

Il PIL però non misura la ricchezza, e il paradosso è figlio di un errore.

Poiché non misura la ricchezza, il PIL non può misurare il benessere, che in parte dipende dalla ricchezza e anche dalla distribuzione del reddito, anch'essa non misurata dal PIL.

Il PIL poi non misura la distribuzione del reddito o le caratteristiche della produzione: un euro di PIL prodotto dal panettiere vale come un euro frutto del lavoro di uno spacciatore. Un euro derivante da una produzione biologica vale come un euro generato dalla produzione di un bene inquinante.

Appare dunque un pò strano l'uso che Pallante fa del concetto di PIL. Ancora meno comprensibili le distinzioni che Pallante fa tra bene e merce o le parole sul PIL (2).

Prodotti ecologici e PIL

La scelta di produrre lo yogurt da sè ha un effetto certo sulle nostre tasche: si risparmia denaro, in cambio di tempo e impegno. Ma non è detto che gli effetti sul PIL o sull'ambiente siano a senso unico.

E' vero che si consumano meno risorse, impiegate per produrre e trasportare i prodotti dalla fabbrica al supermercato, ma questo è vero solo nell'ipotesi che i soldi risparmiati non siano usati in altro modo.

I risparmi possono essere impiegati direttamente, acquistando altri prodotti, magari più inquinanti. Oppure finiscono in banca, per essere prestati a soggetti che li impiegano per aumentare i loro investimenti, i consumi, la produzione di beni e servizi.

Il PIL non diminuisce, anche se produrre da sè una torta o uno yogurt offre molte soddisfazioni.

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(1) ttp://www.riflessioni.it/ecoriflessioni/manifesto_decrescita_felice.htm
(2) vedi http://www.decrescitafelice.it/?p=95 La distinzione tra bene e merce è estranea all'economia: il bene è per Pallante qualcosa che ha certe caratteristiche che non tutte le merci possiedono, mentre la misura del PIL non distingue affatto in base ai contenuti ecologici o etici

19 dicembre 2009

Il contadino e il liberista

Oltre 100 deputati hanno firmato un progetto di legge che vuole sostenere i prodotti “km zero”, vale a dire i beni agricoli prodotti vicino a chi li compra (il progetto di legge prevede una distanza massima, per accedere agli aiuti, di 70 km), con l'obiettivo di usare meno energia per il trasporto e quindi di inquinare meno.

Non è raro che le associazioni di categoria incentivino gli agricoltori a vendere i loro prodotti ai consumatori, portandoli nelle piazze delle città e non mancano le iniziative di valorizzazione dei prodotti agricoli, come testimoniano ad esempio i marchi DOP, DOCG ecc. che troviamo sugli scaffali dei negozi.

La proposta di legge è stata commentata sul Sole 24 Ore da un Alessandro De Nicola (1), avvocato e presidente di un'associazione liberista, la Adam Smith Society, il cui scopo è diffondere i principi del libero mercato. Il commento, ironico e anche sprezzante (2), immagina carabinieri impegnati a decidere se le zucchine sono state prodotte a 69 o 71 km di distanza, parla di antieconomicità, di aumento delle imposte che potrebbero essere usate meglio (anche se non dice come) e invoca la concorrenza perché anche come strumento a favore del terzo mondo, dove prevale la fame e poco importa dell'ambiente.

Stupisce un po' che il Sole 24 Ore affidi il commento ad un esponente di un'associazione liberista che evita di fare un'analisi un po' equilibrata.

L'analisi di De Nicola inizia infatti con un errore, affermando che “se fosse stato profittevole arare e seminare i terreni ... qualcuno lo avrebbe fatto” e che occorrono sovvenzioni per spingere l'agricoltore a “a impugnare la vanga”.

La realtà è ben diversa: non ci sono terre incolte che nessuno, se non sovvenzionato, coltiva, ma terre coltivate che rischiano l'abbandono, senza sovvenzioni. La causa è la concorrenza spietata tanto cara ai liberisti. Cerchiamo di capire il perché.


I mercati agricoli sono i più vicini alla concorrenza perfetta, come spiega qualsiasi manuale di economia. Se il consumatore deve comprare arance, sceglie le meno costose, se non ha buoni motivi per pagare di più preferendo un certo tipo di arancia ad un altro.

Così chi gode di costi minori, magari perchè vive in un paese povero con un costo del lavoro più basso, vende più facilmente e conquista i mercati a scapito degli agricoltori che non possono ridurre i costi al di sotto di una certa soglia. Costoro per non smettere di coltivare la terra e allevare animali hanno bisogno di aiuti pubblici, che vanno a sostenere il reddito e ad alzare il prezzo dei loro prodotti.

Si differenzia il prodotto in vari modi (dalla certificazioni sulla provenienza o sui metodi di coltivazione, allo sviluppo dei marchi o alla pubblicità) affinché i consumatori li percepiscano come diversi e migliori e siano disposti a pagarli di più.

La differenziazione del prodotto può anche riguardare l'impatto ambientale di un chilo di mele o di una bottiglia di vino e ciò perché ci sono persone che attribuiscono un valore al fatto di inquinare di meno e sono disposti a pagare di più un prodotto che richiede poca energia per arrivare in tavola.

Infatti consumare energia per trasportare una bottiglia di vino a migliaia di km di distanza vuol dire inquinare, attraverso l'emissione di sostanze che danneggiano tutti, non solo chi le produce. Gli economisti chiamano tutto ciò esternalità. Dare un prezzo alle esternalità, è un metodo da sempre usato per cercare di ridurre le esternalità.

Non ci deve stupire che qualcuno sia disposto a pagare per avere meno inquinamento, come non ci stupisce che ci sia chi, come il commentatore del Sole, ritenga la stessa cosa comprare un vino italiano della propria regione o vino australiano il cui trasporto causa un inquinamento molto maggiore. Ognuno ha i propri valori e il presidente dell'Adam Smith Society dimostra la tutela dell'ambiente e indirettamente della sua e della nostra nostra salute, per lui non ha alcun valore.

Stupisce invece che non si comprenda che la vendita di prodotti a prezzo maggiore conviene anche allo Stato: ad un maggiore valore aggiunto corrispondono introiti fiscali maggiori e si riduce la necessità di sostenere economicamente gli agricoltori.

Dunque ci sono buone ragioni per sostenere le produzioni locali. Senza dimenticare, poi, che già oggi l'agricoltura gode di sovvenzioni, senza le quali molte produzioni scomparirebbero dalle nostre campagne, costringendoci a dipendere dai prodotti stranieri: dunque se già si sovvenziona l'agricoltore, perché non spingere gli agricoltori valorizzare i loro prodotti e a perseguire altri obiettivi, come quello di inquinare meno?

Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai deve intervenire la mano pubblica e gli agricoltori non possono fare da soli?

La risposta banale è che se un agricoltore fosse esperto di marketing non si alzerebbe tutti alle 4 del mattino per mungere le mucche. I liberisti suppongono che le persone siano capaci di svolgere lavori differenti e di passare da uno all'altro facilmente (3), mentre nella realtà questo non accade. L'agricoltore è spesso un semplice produttore che cede il prodotto a un commerciante, per il quale è indifferente comprare da Tizio o da Caio, con l'effetto che il latte o i pomodori sono venduti dal produttore al prezzo più basso possibile, mentre cresce il divario tra il prezzo pagato al produttore e il prezzo pagato dal consumatore.

Se qualcuno non interviene a sostegno dell'agricoltore, è molto probabile che questo resti in balia di un mercato per il quale è non conta se i pomodori hanno fatto 50 o 5000 km per arrivare sulle nostre tavole.

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(1) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/13-dicembre-2009/vero-prezzo-alimenti-chilometro-zero.shtml

(2) Ecco cosa scrive: “Il ragionamento è semplice: per trasportare merce servono carburante e imballaggi che sono inquinanti. Il vino australiano consuma quasi 10 chili di petrolio al litro per arrivare sulle nostre tavole: che scempio!

(3) come testimonia la considerazione di De Nicola secondo cui i soldi si potrebbero usare in modo migliore.




16 dicembre 2009

Libri - La misura dell'anima

Siamo vicini a Natale e quindi consiglio un libro per fare o farsi un regalo. Il libro è un pò particolare e il titolo italiano, La misura dell'anima (di Richard Wilkinson e Kate Pickett, Feltrinelli) può far credere che si tratti di un testo religioso.

Invece La misura dell'anima si occupa di disuguaglianza e delle sue innumerevoli conseguenze. Significativo il sottotitolo in inglese: Why More Equal Societies Almost Always Do Better.

Gli autori, due scienziati sociali, partono dall'osservazione che nel mondo ricco l'accumulazione di maggiore ricchezza non migliora la durata della vita o la salute, mentre invece aumentano stress, problemi di salute, disagi mentali, uso di droghe, violenza, abbandono scolastico, ecc.

I dati (abbondanti) suggeriscono che la causa risiede nelle differenze sociali ed economiche. Dove sono maggiori, crescono i problemi. E per ogni problema, gli autori cercando una spiegazione.

Il libro ha poi grande pregio: mette a confronto la situazione di paesi diversi, con diverse caratteristiche socio-economiche, per mostrare spiegazioni errate e soluzioni sbagliate.

Difficile, alla fine, non convincersi, come suggerisce il sottotitolo, che in società più uguali si vive davvero di più e meglio.

13 dicembre 2009

Un grande economista, Paul Samuelson

Un grande economista, secondo me, è quello che riesce a fornire idee nuove e, soprattutto, a elaborare teorie economiche capaci di spiegare al tempo stesso le realtà più semplici e quelle più complesse, ad affrontare i grandi temi senza perdere di vista il loro effetto sulla vita quotidiana di imprese e consumatori.

Paul Samuelson, morto oggi all'età di 94 anni, è stato senza ombra di dubbio un grande economista.

Non solo perché ha vinto, primo tra gli americani, il Premio Nobel, ha insegnato in una delle più prestigiose università americane, e ha avuto tra i propri allievi altri Nobel, come Modigliani o Krugman, ma soprattutto perchè, leggendo il suo celebre manuale, diffuso in decine di paesi e ripubblicato innumerevoli volte, si affronta l'argomento "alto" considerandone anche gli effetti più banali, il tutto corredato da esempi e numeri che danno sostanza alle teorie.

Per questo non può che dispiacere la morte di Samuelson, che era anche uno dei pochi economisti liberal in un mondo di economisti liberisti.

12 dicembre 2009

Conti pubblici: lo strano caso del generale per un giorno

Qualche settimana fa i giornali hanno raccontato del pensionamento del comandante del RIS di Parma, il colonnello Garofalo.

Il giorno prima di lasciare il lavoro, il colonnello è diventato generale.
Generale per un giorno. Destinato forse a guidare le manovre per sgomberare la scrivania?

La promozione dell'ultimo giorno aumenta la pensione dell'interessato. Il fenomeno costa agli italiani un bel po' di soldi, aumenta le disparità di reddito e suscita le invidie di chi non può godere di questi privilegi.

Ma non finisce qui. La possibilità di ottenere un vantaggio in zona Cesarini rende il dipendente più fedele verso i superiori, più incline a non cambiare nulla e a coltivare l'amicizia con il dirigente influente. Magari a cercare voti. Sarà un caso, ma l'ex colonnello si è candidato alle elezioni europee con il partito La Destra.
Se poi il dirigente che può determinare la promozione è incapace, è più difficile che qualcuno dei suoi collaboratori segnali il problema.

C'è poi un altro aspetto che dovrebbe preoccuparci tutti: come gestire una spesa pubblica in balia di promozioni dell'ultimo minuto?

Sarebbe più sano per i conti pubblici programmare il più possibile gli aumenti salariali, evitando salti di retribuzione che discriminano i dipendenti, ricorrendo meno a misure come il blocco del turn over o alla precarizzazione del pubblico impiego che costringe ad esempio i ricercatori a cercare fortuna e certezze all'estero senza che ciò si traduca in minore spesa pubblica.

Perchè, come mostra il caso del generale per un giorno, ai problemi lavorativi per tanti corrispondono notevoli privilegi per pochi.

09 dicembre 2009

Crisi Grecia: qualche idea sulla sovranità monetaria

Fitch, società di rating, ha deciso di abbassare la valutazione del debito pubblico di Spagna e Grecia e le borse tremano. Il primo ministro greco ha dichiarato che per la prima volta dal 1974 è a rischio la sovranità (1) del paese.

C'è da chiedersi cosa sta succedendo e se le parole di Papandreu abbiano senso.

Sta succedendo quel che ormai accade da due anni in Europa e negli USA: chi ha prestato soldi a imprese o stati, di fronte al rischio di subire perdite, ritira i capitali. E' successo con le banche americane e questo ha fatto scoppiare la crisi, e sta succedendo con la Grecia.

Il debito pubblico greco è salito troppo e c'è il rischio che i greci non paghino? Meglio liberarsi dei titoli del debito pubblico greco, con la conseguenza che i rendimenti di tali titoli salgono, insieme al rischio, che per lo stato greco diventa più difficile e costoso indebitarsi e le banche greche hanno maggiori problemi a prendere a prestito soldi dalla BCE ando come garanzia i titoli del debito pubblico del proprio paese.

Ma per fortuna, i greci hanno rinunciato da un pezzo alla sovranità sulla propria moneta, aderendo all'euro. Se così non fosse, e ci fosse ancora la vecchia moneta nazionale, staremmo assistendo al crollo della moneta greca. Per effetto della svalutazione della moneta nazionale, i greci vedrebbero il loro debito in moneta straniera salire alle stelle e i capitali fuggire. Il rischio di bancarotta sarebbe in questo caso ancora più alto.

Con la rinuncia alla sovranità monetaria, vale a dire alla moneta nazionale, invece questo rischio non c'è. D'altro canto la sovranità è poco più di un'illusione, quando un paese ricorre a capitali stranieri per finanziare il proprio debito pubblico: per ottenere capitali occorre rispettare le condizioni di chi ti finanzia, anche se il finanziato è uno stato "sovrano".

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(1)
http://www.affaritaliani.it/ultimissime/flash.asp?ticker=091209151708

07 dicembre 2009

Quanto vale un esperto di signoraggio?

Giusto per ridere un pò ho fatto una ricerchina su qualche sedicente esperto di signoraggio, scoprendo una cosa assai interessante.

L'editore Macrolibrarsi oltre a pubblicare libri come Infiammazioni - Il killer nascosto oppure Maria - La vergine essena, organizza anche incontri a pagamento che hanno la virtù di dare un prezzo all'interesse per il tema del signoraggio.

Se volete comprendere "tutte le sfumature della leadership" (1) vi toccherà sborsare ben 2650 euro iva inclusa. Con lo sconto dell'11%. Altrimenti gli euro da pagare sarebbero quasi 3000.

Se invece volete sentire 7 persone parlare di signoraggio, dovrete pagare, con uno sconto del 42%, 7 euro (2). Un'euro per ogni relatore.

Ecco quanto vale un esperto di signoraggio.




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(1) http://www.macrolibrarsi.it/servizi/__manager-a-colori.php
(2) http://www.macrolibrarsi.it/servizi/__dal-signoraggio-bancario-alla-democrazia-diretta.php

06 dicembre 2009

Esiste un pericolo inflazione?

La crisi scoppiata nel 2008 è stata affrontata dalle banche centrali e dagli stati iniettando massicce dosi di liquidità nel sistema bancario. Ciò ha mandato in fibrillazione chi associa la creazione di nuova moneta e l'aumento dell'inflazione (1).

D'altro canto non c'è da stupirsi, se un anno fa anche il presidente della BCE, Jean Claude Trichet, mentre la situazione economica peggiorava rapidamente, lamentava il rischio di un aumento dell'inflazione (2).

Trichet a dire il vero ha le sue buone ragioni. La BCE deve intervenire quando il tasso di inflazione supera il 2%. Un limite piuttosto severo, il cui rispetto impone alla BCE di far rallentare l'economia, provocando parecchi disoccupati in più in cambio di mezzo punto di inflazione in meno.

Meno giustificato è chi lascia intendere che l'aumento della quantità di moneta causerà un aumento incontrollato dell'inflazione, ma non spiega come ciò possa accadere.

L'inflazione, ovvero l'aumento dei prezzi, dipende dalla domanda di beni e servizi. Se il fruttivendolo si rende conto che le arance vanno a ruba, e a una certa ora le ha vendute tutte, il giorno dopo aumenta il prezzo delle arance. Se le vendite vanno male invece tende ad abbassare il prezzo.

L'aumento della quantità di moneta normalmente fa aumentare il credito bancario e, di conseguenza, la domanda di beni e servizi domandati di imprese e consumatori finanziati dalle banche. L'aumento della domanda, reso possibile da un maggior credito, provoca quindi un aumento dell'inflazione, specie se le imprese producono a pieno regime.

La crisi scoppiata nel 2008 ha invece fatto scendere la produzione e crollare gli investimenti. La domanda è diminuita e i prezzi sono rimasti per lo più fermi, salvo qualche aumento delle materie prime per effetto della speculazione finanziaria.

I capitali erogati dalle banche centrali al sistema bancario sono serviti a tappare i buchi: quando è scoppiata la crisi i capitali hanno abbandonato gli investimenti a rischio, lasciando le banche senza soldi. Non sono serviti -se non in minima parte- a far crescere la domanda, che invece è diminuita per effetto della crisi.

Dunque con una domanda in calo, impianti che producono di meno e molti disoccupati non pare esserci alcun rischio di inflazione.

Un aumento della domanda, se e quando si verificherà, spingerà le imprese a riaprire gli impianti produttivi e a riassorbire parte dei disoccupati senza creare tensioni sui prezzi, tanto che un esponente di punta della BCE, Bini Smaghi, dichiara che per almeno 2 anni l'inflazione non sarà un problema.
Come non lo è stato negli ultimi 12-18 mesi: oltre un anno di moneta abbondante non ha fatto salire i prezzi, segno che è azzardato dire che un aumento della quantità di moneta causa per forza un aumento dei prezzi.

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(1) Un esempio si trova in http://www.usemlab.com/index.php?option=com_content&task=view&id=306&Itemid=1
Oltre a un atteggiamento poco simpatico verso chi viene definito ignorante come se, a cominciare dal titolo, l'analisi fosse particolarmente chiara, manca una qualsiasi analisi di come si verificherebbe un aumento dei prezzi

(2)
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200810articoli/37024girata.asp

03 dicembre 2009

La riforma sanitaria, un incubo per i conservatori

Una sera, poco prima delle elezioni USA 2008, Rai1 ha ospitato un dibattito sulle elezioni. Tra i commentatori c'era Antonio Martino, economista (ultra)liberista e amico di McCain.

Quando gli chiedono delle politiche di Obama a favore dei poveri, Martino reagisce dicendo che negli USA chi ha un reddito basso non paga imposte sul reddito e quindi non capisce cosa possa fare Obama per i poveri.

Logica banale: chi già non paga non può avere nulla. Perché per gli ultra-liberisti lo Stato può solo tagliare le imposte, come ha spiegato il premio Nobel Paul Krugman (1). Dunque se già non paghi nulla, nulla in più avrai, secondo loro.

Nella buona vecchia Europa o in Canada invece la sanità cura tutti, anche chi non paga alcuna imposta, e le spese sono a carico della collettività.

Se accadesse anche negli USA, i ricchi dovrebbero pagare le cure sanitarie dei poveri, che probabilmente disprezzano. L'incubo degli ultra-liberisti era passare da Bush, che regalava tagli alle imposte tanto maggiori quanto più grande è la ricchezza da difendere, a Obama, che vuole politiche a favore dei poveri, come i 45-50 milioni di americani privi di assistenza sanitaria e/o senza la certezza di mangiare regolarmente (2).

Il tentativo di creare una sanità "europea" è fallito almeno due volte. Negli anni '60 affossato dagli stati del sud preoccupati di dover ricoverare bianchi e neri negli stessi ospedali. Negli anni '90 dall'incapacità di Hillary Clinton di trovare un compromesso con i repubblicani (e forse quel fallimento le è costato la candidatura alla presidenza).

L'incubo per i conservatori si sta materializzando. Se la riforma sanitaria sarà approvata, le assicurazioni non potranno rifiutare le cure, secondo pratiche descritte da Michael Moore in SiCKO, e si realizzerà una forte redistribuzione del reddito a favore dei meno abbienti.

I poveri avranno più soldi da spendere (e aumenteranno i consumi), ma qualcosa cambierà per i ricchi, per le assicurazioni, forse per le forze armate, che Bush ha riempito di soldi sottratti ai programmi assistenziali. Oltre a non poter rifiutare le cure, le assicurazioni perderanno qualche privilegio derivante dall'essere spesso monopolisti che impongono regole e prezzi ai clienti. Medici, farmacisti e azionisti di varie compagnie forse guadagneranno meno. Per questo protestano e cercano di convincere i parlamentari, in cambio di contributi elettorali, a votare contro.


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(1) Paul Krugman, La deriva americana, Laterza, pagg. 115-118. Nell'articolo si ridicolizza Bush che, ad una domanda sulla qualità dei palinsesti televisivi, ha invitato chi lo ascoltava ad appoggiare il suo progetto di sgravi fiscali
(2) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=134148
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01 dicembre 2009

La fine dell'era del sacchetto?

Il comune di Torino ha deciso: da aprile quasi tutti gli esercizi commerciali non possono più vendere buste di plastica (1).

Al contrario il governo italiano ha chiesto all'UE una proroga: vuole che i sacchetti si usino anche nel 2010.

Sicuramente avranno delle buone ragioni per chiedere un rinvio. Cambiare i comportamenti e riconvertire le produzioni sacchetti richiede tempo, oltre che risorse. Ma questa decisione è negativa per almeno tre aspetti.

Primo, si continuerà a riempire le case, le discariche e l'ambiente con milioni di sacchetti, figli del petrolio e destinati a vivere per secoli.

Secondo, ancora una volta si dice agli italiani che le regole sono aleatorie, si possono non applicare, è sempre possibile un compromesso, un rinvio delle decisioni. I soliti italiani cialtroni, penseranno all'estero.

Terzo, si rischia, ancora una volta, di arrivare ultimi all'appuntamento con il cambiamento. Se un governo -supponiamo- non stimola l'installazione di pannelli solari, mentre altrove si incentivano, i produttori stranieri saranno agevolati e quando finalmente anche gli italiani decideranno di installare pannelli solari finiranno per comprarli altrove anziché produrli.

Essere ultimi non conviene quasi mai. Qualcuno se n'è accorto e cerca di accelerare i tempi, altri invece fanno finta che tutto vada bene e cercano chissà quale vantaggio di breve durata.

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(1) http://torino.repubblica.it/dettaglio/Proroga-per-le-buste-di-plastica-fuorilegge-da-aprile/1789343

29 novembre 2009

Patatrac (in tutti i sensi)

Avevo tutto sommato una buona opinione di Roberto Vacca, ingegnere con la vocazione del divulgatore. Così ho deciso di acquistare il suo ultimo libro, Patatrac!, che prometteva di parlare della crisi economica e su come uscirne.

Mi sono trovato tra le mani, invece, un testo modestissimo, per essere generosi nei confronti dell'autore. Che sulla crisi regala (o meglio vende) alcuni capitoli davvero poveri, qualche banalità presa qui e là e niente più. Nessuna analisi degna di questo nome, poche righe ad esempio sul fallimento di Lehman Brothers, quasi che fosse un fatto oscuro e non un avvenimento su cui si sono scritte montagne di articoli e libri.

Quando si passa poi alle possibili soluzioni, poi, la residua credibilità dell'ingegnere evapora. C'è l'effetto serra? No, sono solo teorie senza prove. Anzi tutti noi sappiamo che l'anidride carbonica fa bene alle piante e quindi più ce n'è meglio è.

Ma siccome è meglio non sprecare le risorse, per Vacca o meglio per un suo collega ingegnere, c'è una soluzione facile facile: abolire ogni imposta sui redditi e istituire solo imposte sui carburanti. Diversi euro per ogni litro di benzina.

Alla fine ho capito perchè Marchionne ha detto di aver salvato la Fiat proprio perché non era un ingegnere: forse aveva avuto in anteprima il libro e s'era reso conto che l'ingegner Vacca quando esce dai temi che conosce bene non fa bella figura.

28 novembre 2009

Citazioni divertenti - 2

"Riguardo infine a Fiat, beh che dire: se Parmalat aveva un debito pari al suo fatturato, Fiat ha debiti pari a dieci volte il suo fatturato, come ricorda scherzosamente Beppe Grillo. L’azienda ha sempre potuto contare su interventi di sostegno con capitale a fondo perduto, sempre e solo durante governi di centro sinistra.
Se General Motors in Marzo 2005 decise di pagare una super multa per sciogliere gli accordi infragruppo ci sarà un motivo: ha preferito spendere dieci e subito, piuttosto che rischiare di spenderne cento tra qualche anno, le auto Fiat si vendono poco e sono troppo costose per il livello di qualità che offrono.
Tra poco arriveranno le automobili cinesi e le conseguenze non tarderanno ad arrivare: proprio come hanno fatto le giapponesi in dieci anni acquistando quote di mercato a scapito dei produttori europei, così allo stesso modo faranno le cinesi, ma con conseguenze ancora più pesanti."

tratto da Tre cadaveri che camminano di Eugenio Benetazzo, 2006
(1)

Molto azzeccato...

Incentivi solo di centro-sinistra? sono arrivati gli incentivi del governo di centro-destra.

GM ha abbandonato Fiat in stato di fallimento? GM è poi fallita mentre l'azienda italiana sta creando un gruppo da 4-5 milioni di auto ed è sbarcata negli USA acquisendo il controllo di Chrysler.


Di auto cinesi che invadono il mercato e di debiti non pagati, nessuna traccia. Anzi a fine 2007 (meno di due anni dalle considerazioni riportate sopra) si erano azzerati i debiti industriali (2).

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(1) http://www.eugeniobenetazzo.com/tre_cadaveri_che_camminano.pdf
(2) http://archiviostorico.corriere.it/2008/gennaio/25/Piu_utili_ricavi_per_Fiat_co_9_080125027.shtml

26 novembre 2009

Volevo una casetta piccolina ... a Dubai

Un tempo si cantava il desiderio di una casetta piccolina in Canada, oggi o meglio fino a ieri qualcuno sognava una casa a Dubai. Da dove arriva la notizia che Dubai World e Nakheel, che si occupa di immobili, hanno chiesto una moratoria sui debiti, che ammontano a circa 40 miliardi di euro, 59 miliardi di dollari.

Temendo il contagio, le borse europee sono scese di oltre il 3% in un giorno, perdendo circa 160 miliardi di euro.

Ma perchè mai si dovrebbe comprare una casa in Dubai? Per la stessa ragione per cui si comprano a Montecarlo: per godere di un'esenzione fiscale.

Il meccanismo è banale. Uno stato prende un pezzo di terra, vi costruisce case che vende a caro prezzo, promettendo poche o nessuna imposte, vale a dire quel che la destra sogna o promette in mezzo mondo.

Pochi metri quadri costano cari, ma non importa. Conta, per i ricchi, il principio: le imposte le pagano solo i poveri. I ricchi le evitano.

Rinunciare alle imposte non è poi svantaggioso, purché si possa guadagnare in altro modo.

Finora il gioco ha funzionato, anche se negli anni passati Montecarlo ha rinunciato a costruire un'isola artificiale. Adesso forse non più.

Quel che sta succedendo a Dubai ci insegna una cosa, anzi due.

La prima è che i capitali vanno e vengono con la velocità della luce. Arrivano attratti da condizioni favorevoli, ma fuggono non appena le condizioni cambiano, travolgendo chi vuole offrire case costose e condizioni fiscali molto favorevoli.

La seconda è che ogni tanto anche i ricchi (nei paradisi fiscali) piangono.

Tremonti e Brunetta

E' divertente vederli bisticciare, l'economista furbetto (1) che copia (2) e Tremonti, avvocato fiscalista, nei cui libri si trovano disquisizioni sulle imposte kantiane e le imposte hegeliane che forse solo lui capisce.

Ma perchè bisticciano? La ragione banale è che Tremonti ha in mano i soldi, pochi, e Brunetta (come gli altri ministri) ne vorrebbe qualcuno, ma si sente dire di no.

L'intervento di ieri di Brunetta (3) ci dice qualcosa in più sulle vere ragioni dello scontro.

Tremonti ha avuto un incarico preciso da Berlusconi: non chiedere soldi agli italiani. Ha dato una mano agli evasori (e quindi al sistema economico in senso lato) eliminando le misure sulla tracciabilità dei pagamenti e per questo sta incassando ancora meno. Poi è arrivata la crisi e i conti pubblici hanno sofferto ulteriori diminuzioni delle entrate. Infine ha usato i soldi a disposizione per affrontare le promesse (ICI) e i problemi (Alitalia). Adesso le casse dello stato sono vuote, tanto che in Parlamento si lavora pochissimo perchè manca la copertura finanziaria per qualunque proposta di legge non governativa.

Che cosa gli resta da fare? Semplice: tagli a pioggia. Si taglia tutto a tutti, in modo da non scontentare nessuno. Si promettono tagli all'Irap ma poi si rinviano a tempi miglioni. Come nella migliore tradizione democristiana.

Nel frattempo, nel governo, finita l'eccitazione delle ex show girl diventate ministro e di altri personaggi di modesto valore (4) che hanno coronato i sogni di una vita, c'è chi ha scoperto che i cittadini sono arrabbiati per i tanti tagli. E c'è chi vorrebbe fare qualcosa, ma non può, senza soldi. Qualcuno forse sperava di avere un trattamento migiore, ma ha scoperto che lo slogan governativo è meno soldi per tutti, anche se non si dice.

Brunetta ha un destino segnato: finirà per candidarsi a Venezia. Prima di andarsene si toglie qualche sassolino dalle scarpe, spiegando, da economista, che non tutti i settori economici sono uguali, non si possono trattare tutti allo stesso modo, specie in un momento di crisi, e anzi se si puntasse di più su alcuni settori si potrebbe avere una crisi meno violenta e si potrebbe uscirne meglio. Meglio tardi che mai, vien da dire.

Un quadro desolante, però, se si pensa che prevale una certa indifferenza, nel governo, di fronte alle dichiarazioni di Brunetta. Possiamo solo consolarci con la certezza che in un governo di personaggi modesti pare ci sia qualcuno che capisce qualcosa di economia. Almeno per adesso.


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(1) http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Che-furbetto-quel-Brunetta/2049037&ref=hpsp
(2)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Brunetta-il-copione/2065897&ref=hpsp
(3)
http://www.apcom.net/newseconomia/20091126_051008_5a38490_77109.html
(4) si veda in proposito questa interessante uscita di La Russa http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/lettera-la-russa/lettera-la-russa/lettera-la-russa.html

23 novembre 2009

Solitamente siamo schiavi dei banchieri, e talvolta neghiamo l'Olocausto.

C'è un legame tra negazionismo, complottismo dell' 11 settembre e rivelazioni sensazionali sull'influenza suina e i suoi "velenosissimi" vaccini ?
Sembrerebbe di si, se gli stessi siti e gli stessi personaggi con la medesima prevedibile, banale puntualità decidono di dedicarsi immancabilmente alle stesse bufalate.
Parliamo delle medesime “menti” abituate a vedere ovunque occulti e malefici complotti e piani internazionali orditi dalle solite potenti lobbies che alle nostre spalle gestiscono i destini del mondo.


Queste le prime righe dall'ultimo post di Franco Rotondi (Blog), autore del testo LUNA DI MIELE AD AUSCHWITZ. Implicito è il consiglio alla lettura. Ma questa, più che essere una spudorata pubblicità al suo testo, potrebbe essere un buon modo per iniziare a comprendere i parallelismi tra alcuni approcci ed altri. Di come, coloro che dottamente ci spiegano che alcuni uomini in giacca ti tengono sotto schiaffo, il più delle volte son quelli che nascondono altri terreni teorici (svariati ed ingiustificati radicalismi, anarchia, negazione dell'olocausto e via discorrendo).

21 novembre 2009

Citazioni divertenti - 1

Auriti, ne Il paese dell'utopia, pag. 27 ha scritto: "Lo andiamo dicendo da anni e i fatti ci stanno dando ragione: L'euro è una moneta di serie B perché opera in un mercato disorganico; il mercato europeo, infatti, manca delle fonti di energia."

"Solo gli economisti senza cultura possono ritenere l'euro moneta idonea a consolidare le prerogative della sovranità. Per fare un paragone, oggi l'euro è come una fabbrica che può produrre tutti i beni di prima necessità tranne uno; l'euro può comprare tutto tranne il petrolio, e quando l'Europa ha bisogno di petrolio deve usare il dollaro."

"Sono trascorsi più di cinque anni da quando abbiamo affermato che il dollaro avrebbe disintegrato l'euro per due motivi: perché aveva interesse a farlo, e perché ha la forza per farlo. "

Moneta di serie B destinata alla disintegrazione? Il cambio euro/dollaro, inizialmente fissato a 1,16 oggi è vicino a 1,50 e il peso del dollaro nei mercati internazionali sta lentamente diminuendo, sostituito dall'euro.



19 novembre 2009

La privatizzazione degli acquedotti: una perfetta operazione di destra

Il governo Berlusconi 2001-6 ha tenuto ferme le tariffe nazionali dei treni. Di fronte ai costi che aumentavano le ferrovie hanno fatto due cose: tagliato i costi, abolendo alcuni treni meno cari, così che molti viaggiatori sono stati costretti a prendere un treno più caro (aumento occulto delle tariffe) e accumulato debiti.

Arrivato Prodi, l'amministratore delle ferrovie ha presentato il conto (1). Le ferrovie erano a un passo dal fallimento, anche perché per 5 anni i prezzi dei biglietti erano rimasti fermi.

Perché il governo di destra non voleva aumentare le tariffe? Per almeno tre motivi. Per tagliare i costi, e quindi anche i salari dei ferrovieri, per tenere bassa l'inflazione (danneggiando chi vede salari, stipendi e pensioni crescere con l'inflazione), e infine per creare consenso.

Qualcosa di simile è successo con l'acqua. Tariffe bloccate, aziende costrette a risparmiare sui costi, investimenti rinviati, debiti in crescita.

In alcuni casi i comuni, hanno dovuto fare i conti con la realtà, scegliendo di privatizzare la gestione dell'acqua. Se prima non si modificavano le tariffe, e senza soldi non si investiva, dopo la privatizzazione si è assistito a aumenti incredibili e tagli selvaggi dei costi, soprattutto a scapito dei lavoratori.

Qualcuno ha urlato allo scandalo e all'acqua pubblica, anche confondendo l'acqua dalla sua distribuzione. Pochi hanno detto che si dovrebbero aumentare gradualmente le tariffe e che si possono gestire in modo equilibrato le aziende che offrono servizi, che perciò possono restare pubbliche. Nessuno s'è chiesto perchè -ad esempio- l'acqua di Palermo è gestita da altri. Il pubblico è statotrattato come sinonimo di spreco anche quando ci sono prove che non è vero. Il consenso e l'interesse immediato hanno spesso prevalso su un'analisi seria.

Adesso il governo ci prova con una legge che vuole obbligare i comuni a cedere la maggioranza degli acquedotti. La strada è segnata: si consegnano gli acquedotti a chi farà di tutto pur di guadagnare il più possibile a scapito dei lavoratori, degli utenti che subiranno tariffe più elevate, e dei fornitori che verrano spazzati via da chi fa gara a risparmiare il più possibile.

I comuni incasseranno qualche soldo immediatamente compensato da minori trasferimenti statali: la riduzione dei trasferimenti statali costerà carissimo a molti e farà l'interesse di pochi. Una perfetta operazione di destra.


(1) http://www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid=65358

17 novembre 2009

Incentivi auto: cosa si aiuta?

Sabato scorso, durante una manifestazione della CGIL il segretario Epifani ha criticato la Fiat che vuole smettere di produrre auto nello stabilimento di Termini Imerese (1). Secondo Epifani non ha senso dare aiuti di stato all'auto se poi si chiudono gli stabilmenti.

E' un atteggiamento curioso. Non perché Epifani non possa anzi debba difendere i lavoratori, specie quelli di uno stabilimento siciliano, ma perchè pare confondere due cose diverse.

Gli incentivi alla rottamazione sono sostegni alla domanda, quantomai utili e necessari in un momento di recessione. Altra cosa invece sono gli interventi che sostengono l'offerta che vanno a vantaggio soprattutto delle imprese: sostenendo la produzione di auto con tagli dei costi non si inducono i cittadini a comprarne di più, mentre si fa l'interesse di chi le produce che vede i propri costi scendere.

La confusione di Epifani sembra un assist per chi, a destra, non vuole sostenere la domanda e quindi misure come gli incentivi alla rottamazione. Una confusione pericolosa che rischia di spazzare via quel poco di politica economica che il misto di indifferenza e liberismo dell'attuale governo riesce a partorire.



(1) http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/FIAT-EPIFANI-NO-RISORSE-SE-POI-CHIUDONO-STABILIMENTI/news-dettaglio/3734240

14 novembre 2009

La Tobin Tax

Periodicamente spunta fuori la Tobin Tax. Questa volta l'ha proposta il primo ministro inglese, Brown, trovando l'opposizione del ministro americano Geithner e dell'italiano Tremonti.

Secondo il Sole 24 Ore (1) Brown ha proposto «una tassa sulle transazioni finanziarie fra le altre misure per rendere le banche più responsabili». Tremonti si è opposto affermando che anche se c'è in giro troppa speculazione finanziaria «la speculazione è meglio bloccarla prima che tassarla dopo».

Uno scenario piuttosto desolante. Non solo perchè è difficile immaginare come possa Tremonti bloccare la speculazione, che agisce su mercati di tutto il mondo, senza tassarla, ma soprattutto perchè Brown, Geithner e Tremonti parlano di Tobin Tax a sproposito.

Nel 1972 l'economista americano James Tobin propose una piccola tassa sulle transazioni di valuta estera (2) a brevissimo termine responsabili, in alcune circostanze, di forti squilibri economici e monetari. Tobin era un sostenitore del libero mercato. Sapeva però che "la volatilità dei tassi di cambio e di interesse indotta dalla speculazione e dai flussi di capitale ha conseguenze economiche devastanti per settori particolari o per intere economie" (3).

Chi ignora cos'è davvero la Tobin Tax, la fa diventare un'imposta destinata a colpire la speculazione, senza distinguere breve e lungo termine, valute, materie prime e speculazioni azionarie.

L'imposta, che potrebbe essere utile per limitare l'azione degli speculatori e stabilizzare i valori azionari, è però osteggiata da chi non vuole porre limiti ai mercati finanziari (Geithner) o non vuol sentir parlare di tasse (Tremonti) ma si illude di fermare (a parole) la speculazione.




(1) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2009/11/G20-ripresa-discontinua.shtml?uuid=a781abc8-caf8-11de-aaae-8b008265c0a7&DocRulesView=Libero
(2) P. Krugman, La deriva americana, Laterza, pag. 321
(3) Il granello di sabbia, AAVV, Feltrinelli, pag. 64

12 novembre 2009

Citazioni probatorie?

Sovente in rete o nei documentari che trattano il problema del signoraggio in salsa complottista, si trovano delle dotte citazioni di grandi personaggi, da teorici a leaders, che sembrano testimoniare l'evidente "truffa" del signoraggio bancario e l'ingente introito che crea una povertà pianificata. Alcune di queste citazioni sono già presenti nel saggio Le frottole del signoraggio. Altre di seguito:


Dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri. (Ezra Pound)


Questa definizione si fonda sull'assunto che il denaro possa essere creato ed immesso in circolazione senza creare inflazione. Non è così: la creazione di troppo denaro provoca inflazione e per questo non si ricorre alla creazione di moneta per pagare la spesa pubblica.

Pound non era economista e anzi i suoi scritti in materia economica "sono di solito giudicati irrilevanti, quando non anche segno di demenza fascista". Altre interessanti spiegazioni ce le fornisce Giorgio Lunghini in una pubblicazione intitolata Pound moralista.

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L'attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto (Maurice Allais).


L'ingegner Allais, che non s'è mai occupato di economia monetaria nè è citato in alcun libro di economia monetaria, dice cose assai ambigue: falsari e banche centrali creano moneta dal nulla, ma nessuno, ing. Allais compreso, ha mai dimostrato che la creazione di moneta crei valore incassato dalle banche centrali come invece fa il falsario.

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Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione. (Henry Ford)


Ford, che assai ingenuamente pubblicò i Protocolli dei saggi di Sion sul suo giornale, è vissuto un secolo fa. Da allora l'economia monetaria ha fatto passi da gigante e oggi si conosce molto meglio il funzionamento del sistema monetario e delle banche centrali, che nel frattempo hanno ripetutamente modificato le loro strategie. I libri di economia raccontano poi dei pregiudizi e degli interessi che certi sistemi monetari garantivano un secolo fa. Inoltre mentre un tempo la cultura economica era esclusiva di pochissimi, oggi non è più così e tutti possono sapere cosa succede.

Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti... Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l'emissione del denaro, dapprima attraverso l'inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno... priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato. (Thomas Jefferson)


I pregiudizi di Jefferson e la scarsa conoscenza della materia, lo hanno spinto a fare previsioni errate. Il popolo americano ha permesso alle banche di controllare l'emissione del denaro, ma questo non solo non ha privato dei suoi beni uno dei popoli più ricchi del pianeta, ma, semmai, nei mesi passati ha salvato l'economia USA da guai ben peggiori: se le banche centrali non avessero immesso moneta in gran quantità il PIL americano sarebbe crollato molto più di quanto è davvero successo


È assurdo dire che il nostro paese può emettere $30,000,000 in titoli ma non $30,000,000 in moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa ingrassa l'usuraio, l'altra invece aiuta la collettività. (Thomas Edison)


E' anche assurdo confondere titoli con moneta. Se poi uno stato emette 30 milioni di titoli, lo fa perchè vuole spendere tale somma e la stessa somma è spesa se emette 30 milioni in moneta. Quindi la collettività gode in ambo i casi di una maggiore spesa pubblica. La differenza è che in un caso (titoli) si paga l'interesse, nell'altro il costo è l'inflazione: la collettività è aiutata ma paga e di solito l'inflazione colpisce chi è più povero.

08 novembre 2009

A vent'anni dalla caduta del muro

Vent'anni fa cadeva il muro di Berlino. Gorbaciov spiegava ai tedeschi orientali che ogni paese del patto di Varsavia doveva pensare per sé e la DDR si è sfaldata di fronte a un popolo che chiedeva libertà, benessere e democrazia.

Perché il sistema di produzione socialista s'è dimostrato inefficiente? E perché -comunque- riusciva a garantire l'assenza di disoccupazione?

Per capirlo facciamo un esempio. Supponiamo di dover costruire una moto. Occorrono diversi beni. Il telaio si costruisce con il prodotto di un'impresa siderurgica, che a sua volta richiede materie prime ed energia. Gli pneumatici provengono da un'impresa chimica che a sua volta richiede materie prime ed energie.

In un sistema economico libero, le imprese si rivolgono ai fornitori preferiti, cambiandoli ogni qual volta si presenta un fornitore migliore o se il fornitore non è in grado di rispettare gli impegni contrattuali.

In un'economia socialista invece il programmatore decide come devono essere distribuite le risorse. Dice all'impresa siderurgica e all'impresa chimica, ma anche al produttore di moto quali e quanti beni produrre, a chi venderli e a quale prezzo.

La filiera produttiva era rigida: se il fornitore di pneumatici non avesse rispettato gli obiettivi previsti, il produttore di moto non avrebbe potuto cambiare fornitore e sarebbe stato costretto a ridurre la produzione. Per rispettare gli obiettivi, il fornitore di pneumatici si faceva assegnare la maggior quantità possibile di risorse, a cominciare dai lavoratori, e questo garantiva una disoccupazione di fatto inesistente.

L'eccesso di lavoro tuttavia alzava il costo dei prodotti. E siccome si voleva che beni e servizi essenziali fossero a buon mercato o gratis, la conseguenza era che l'acquisto di taluni beni come le automobili era di fatt riservato a pochi e che i tempi di attesa erano lunghi.

Infine in un sistema economico privo di concorrenza, mancava ogni stimolo ad innovare i prodotti.

Si spiega così l'apparente contraddizione di un sistema che, pur molto inefficiente, riusciva a fornire taluni servizi a prezzi modesti e a occupare tutti i lavoratori, e per questo veniva guardato con invidia anche a occidente.

06 novembre 2009

Un esempio di destra

La sfida destra-sinistra in economia si gioca sulle differenze: c'è chi le vuole ridurre (la sinistra) e chi le vuole esaltare (la destra).

Ce l'ha raccontato Silvio Berlusconi che ha detto:
"Il paese che non voglio è quello dei Bertinotti e dei Diliberto che pensano che il fine di un governo sia quello di ridistribuire il reddito, aumentare le tasse, rendere il figlio del professionista uguale al figlio dell'operaio".

Un esempio concreto ce lo offre il Corriere (1) di oggi che racconta gli effetti del taglio dell'ICI voluto dal governo Berlusconi. Taglio che ha riguardato solo chi possiede case grandi, e di cui hanno beneficiato i ricchi, non chi possiede case piccole (e presumibilmente non è ricco) o chi è in affitto.

Quali sono gli effetti di questo regalo ai ricchi? Sono tanti: dalla limatina alle politiche sociali, alle fatture non pagate ai fornitori, all'aumento per tutti dell'addizionale sull'imposta dei redditi di Palermo.



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(1) http://www.corriere.it/economia/09_novembre_08/comuni-conti-in-rosso_93ee322c-cc36-11de-b450-00144f02aabc.shtml

05 novembre 2009

Ognuno per sè e frottole economiche per tutti

Come finanziare il taglio IRAP? La presidente di Confindustria elenca diverse spese che definisce "improduttive" per almeno 15 miliardi di euro; Ferruccio De Bortoli a Ballarò ha spiegato che lo stato spende circa 200 miliardi di beni intermedi e che si potrebbe risparmiare almeno un 5-10%.

In pratica suggeriscono di ridurre la spesa pubblica.

L'intento di ridurre la quantità di soldi spesi male è certamente lodevole, come anche la volontà di salvare le imprese in difficoltà. Ma siamo proprio sicuri che il taglio della spesa pubblica sia necessaria in un momento di difficoltà dell'economia?

"L'aspetto fondamentale di una recessione" ha scritto il premio Nobel John Kenneth Galbraith (1) "è una riduzione, per qualunque motivo, nel flusso della domanda effettiva... ne risulta una contrazione della produzione e dell'occupazione, con efetto cumulativo dovuto alla reazione delle imprese e dei consumatori che si vedono ridotto il proprio potere d'acquisto".

Dunque in un periodo di recessione meglio aumentare la domanda (pubblica e privata) e non ridurla, se non si vuole aggravare la situazione.

Ma la riduzione della domanda (pubblica) è il progetto di molti, che paiono dimenticarsi che se si riduce la spesa pubblica la domanda diminuisce e nulla garantisce, specie in un periodo di grosse difficoltà per l'economia, che lasciare più soldi nelle tasche delle imprese faccia aumentare la domanda privata in modo da compensare la riduzione della domanda pubblica.

La domanda pubblica viene invece associata al concetto di improduttività e di spreco.
E' dunque legittimo sospettare che dietro alla richiesta di ridurre l'IRAP ci sia solo il privatissimo interesse di chi punta a ridursi le imposte e un totale disinteresse per l'andamento della domanda, della produzione e dell'occupazione: ognuno per sè e frottole economiche per tutti.

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(1) J.K.Galbraith La cultura dell'appagamento, Rizzoli, pag. 86

Le frottole sul signoraggio, testo aggiornato

Aggiornato il saggio "Le frottole sul signoraggio".

01 novembre 2009

FAQ sul signoraggio bancario (2)

Se la Banca Centrale stampasse banconote da cento euro al costo di pochi centesimi e le immettesse in maniera diretta in circolazione nell'economica senza nessuna esigenza o necessità, che cosa succederebbe?

La Banca Centrale crea moneta con una accredito su un conto. Poi una certa quota viene usata sotto forma di contanti anzichè sotto forma di bonifico bancario, assegni ecc. e allora stampa una certa quantità di banconote per soddisfare questa esigenza di contanti.

Le banconote costano in effetti poco. Ma non sono "vendute" e non sono prestate. Sono immesse in circolo come l'acqua viene immessa, in un'auto, in un circuito di raffreddamento e lì circola per raffreddare il motore.

Se la produzione di moneta è troppa c'è il rischio che l'economia funzioni peggio del previsto (un pò come succede se l'acqua è poca nel radiatore): creando troppa moneta c'è troppo credito. I soldi prestati servono ad acquistare più beni e servizi e l'eccesso di domanda fa salire i prezzi.

Non esiste però un legame stretto e necessario tra più moneta e prezzi più alti. Dipende dal contesto, dalle situazioni concrete.

Perchè si dà tanta importanza alle questioni monetarie mentre il successo o l'insuccesso di alcune aziende (da Fiat a Parmalat) dimostra che le faccende monetarie hanno poco o nessun peso?

Per decenni le scelte dei governi e delle autorità monetarie a proposito di tassi di interesse o tassi di cambio, hanno occupato le pagine dei giornali, togliendo spazio ad altre questioni di politica economica.
In Italia la struttura industriale è sempre stata debole, e lo stesso dicasi per lo stato. Così ogni qual volta la domanda cresceva, spesso per effetto di una maggiore dose di spesa pubblica, aumentavano prezzi e importazioni, creando tensioni sui cambi. La lira tendeva a svalutarsi, la Banca d'Italia interveniva rialzando i tassi di interesse sia per raffreddare la domanda che per attirare capitali.

Sui giornali si innescavano infinite polemiche sulle scelte relative a cambi e tassi di interesse, circa l'opportunità delle svalutazioni e le relative conseguenze, con favorevoli e contrari e interessi diversi.

Invece erano meno popolari e spinosi per qualcuno, gli altri argomenti, come la politica industriale o la politica fiscale. Si preferiva dare le colpe alle banche centrali piuttosto che fare i conti con l'imprenditore miope e magari evasore.

Così succede che qualcuno, semplificando un po' troppo, considera le banche centrali e le banche in genere le sole responsabili di ogni problema economico, dimenticando tutto il resto. Uno di costoro è arrivato a scrivere, qualche anno fa, che i problemi della Fiat consistevano solo in una mancanza di soldi.

Oggi che la crisi Fiat è terminata, possiamo dire che le politiche monetarie sono rimaste le stesse e le banche centrali pure, mentre Marchionne ha smentito, occupandosi di auto e non di soldi, le bizzarre teorie di quello strano personaggio.

31 ottobre 2009

Alcune piccole verità sull'IRAP

Da quando il presidente del consiglio ha promesso il taglio dell'IRAP, l'imposta regionale sulle attività produttive è diventata una "tassa discriminatoria e ingiusta e va abolita senza se e senza ma" come scrive Il Sole 24 Ore in prima pagina di venerdì 30 ottobre 2009.

Il giudizio del giornale di Confindustria merita di rispolverare alcune piccole verità troppo in fretta dimenticate.

L'IRAP, come spiega Beniamino Lapadula (1) ha sostituito "i contributi sanitari che gravano su imprese e lavoratori dipendenti, le tasse sulla salute, l'ILOR, l'ICIAP, la professionale sulle imprese, la tassa sulla partita IVA e le tasse di concessione comunale".

Le entrate di queste imposte ammontavano a 70 mila miliardi di vecchie lire e, quasi tutte, non erano imposte che si pagavano solo a fronte di utili.
Chi dice che l'IRAP sarebbe ingiusta perchè si paga anche se l'azienda è in perdita
dimentica volutamente o colpevolmente che le imposte che ha sostituito si pagavano sempre anche in caso di perdita.

Inoltre dimentica che l'IRAP oggi finanzia soprattutto la sanità, pagata dalle Regioni, con la conseguenza che un'eventuale abolizione dell'IRAP, se non compensata da altre imposte, avrebbe effetti drammatici sul finanziamento del sistema sanitario nazionale.

Ancora, si dimenticano le polemiche a suo tempo sollevate dall'introduzione dell'imposta e alimentate dall'opposizione parlamentare, polemiche poi scomparse, quando le imprese si resero conto che era più comodo pagare una sola imposta anzichè 6 o 7.

Infine nel chiedere, come succede in questi giorni, che gli interessi passivi diventino detraibili, si dimentica che uno degli scopi dell'IRAP era di indurre le imprese a indebitarsi di meno presso il sistema bancario, rendendo meno conveniente il ricorso all'indebitamento delle imprese, da sempre eccessivo grazie a un regime fiscale che ha favorito la crescita dei debiti bancari rispetto alla crescita del capitale proprio.

Obiettivo che oggi andrebbe rivalutato oggi: la scarsa disponibilità di capitali bancari e il rientro dei capitali dall'estero dovrebbe spingere il governo a disincentivare il ricorso al debito e a favorire fiscalmente gli aumenti di capitali, invece di promettere la detraibilità degli interessi.

Invece si punta, nella migliore tradizione della destra economica, a tagliare le imposte agli imprenditori, dimenticando lavoratori, disoccupati e pensionati, che probabilmente subiranno gli effetti di una minore spesa pubblica, necessaria a garantire il taglio dell'IRAP.

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(1) Il cavaliere e le tasse, EDIESSE, pag. 60

30 ottobre 2009

FAQ sul signoraggio bancario (1)

Nello specifico, con "signoraggio bancario" indichiamo la teoria del complotto che si basa su una definizione errata del cosiddetto signoraggio bancario. Alcune delle domande sono state pescate in rete, formulate dagli stessi sostenitore della teoria:

Le monete che noi usiamo non sono vincolate a un valore come l'oro, quindi il valore dovrebbe essere quello indotto dall'uso, dal ciclo monetario. Allora perchè le banche ricevono gratuitamente dalla banca centrale le banconote che poi prestano a noi?

Il valore dipende dal fatto che noi attribuiamo valore a una moneta e la legge ci obbliga a farlo. Noi attribuiamo un valore a una moneta perché sappiamo che altri lo fanno, sia volontariamente sia per effetto di norme che impongono di accettare in pagamento le monete metalliche e cartacee.

Accettiamo assegni, bonifici e altri tipi di pagamento se riteniamo che il pagamento andrà a buon fine o se esiste un sistema che consenta di ridurre al minimo la probabilità che il pagamento non sia effettuato.

Se si potesse decidere se e quali monete accettare, i pagamenti sarebbero molto difficili, perché ciascuno di noi non saprebbe se una moneta sarà accettata dal panettiere o dal giornalaio. Per ovviare a tale problema, che ostacolerebbe fortemente l'attività economica, gli stati hanno deciso di obbligare i cittadini ad accettare la moneta legale nei singoli paesi.

Altro discorso è relativo al legame tra moneta e oro. La convertibilità delle monete in oro serviva non a dare valore alla moneta, ma a garantire la convertibilità di una moneta in altre monete. Sbaglia chi collega oro e valore della moneta.

Le banche non ricevono banconote gratis. Pagano un tasso di sconto alla banca centrale. Come un'impresa può scontare le fatture presso una banca, così la banca può scontare titoli presso la banca centrale, pagando un tasso noto come tasso di sconto. A sua volta la banca farà pagare al cliente cui presta soldi un tasso di interesse.

Perchè succede? La banca sconta titoli quando le occorre avere nuovi capitali che non riesce a raccogliere in altro modo. Scontando i titoli delle banche, la banca centrale fa aumentare, temporaneamente o meno, la quantità di moneta che circola nell'economia.

Il meccanismo della riserva frazionaria permette a una banca commerciale di prestare n-volte quanto ha fisicamente in riserva. E’ solo una tecnica bancaria lecita e consolidata o è un male indispensabile che permette il funzionamento del Sistema stesso? Non sarebbe più corretto portare la riserva al 100%, permettendo così alla banca commerciale di prestare solo ciò di cui veramente dispone?

La banca raccoglie capitali e li presta, tolta la parte trattenuta sotto forma di riserva (legale e volontaria: la riserva legale è versata alla banca centrale). Non presta più di quanto raccoglie.

Quindi non c'è alcuna tecnica misteriosa, tollerata o illecita, che consente alla banca di moltiplicare i soldi.

Il meccanismo del moltiplicatore monetario dice che se la banca centrale immette 1 euro di nuova moneta, il credito complessivo concesso dalle banche sarà pari a diversi euro. Di diversi euro sarà pure l'ammontare complessivo dei depositi presso le varie banche.

Se la riserva fosse pari al 100%, le banche non sarebbero più intermediari, ma soggetti che prestano i soldi posseduti, ricevuti dai soci. In teoria sarebbe possibile, anche se gli effetti sarebbero indesiderabili. Il credito concesso infatti sarebbe molto modesto rispetto a quello offerto attualmente dalle banche, con la conseguenza che un credito scarso metterebbe al tappeto l'economia, alimentata dal credito bancaria.

Quindi chi propone una riserva al 100% non solo non comprende bene la natura delle banche, ma immagina uno scenario che proverebbe danni incalcolabili al funzionamento dell'economia.

L’Italia ha un debito pubblico dal 1861. Questo dipende dagli sprechi di governo o dalla mancanza di sovranità monetaria?

Dipende dal fatto che i governi italiani hanno costantemente speso più di quanto si incassavano. Ognuno può interpretare come preferisce le ragioni che hanno limitato le entrate e reso eccessive le spese, o può decidere che la colpa appartiene a qualcuno ma non ad altri. Questo giudizio lo lasciamo a chi si occupa di politica. Va detto che con poche eccezioni gli stati di certe hanno una certa quantità di debito pubblico, perchè tutti i governi ritengono politicamente opportuno incassare parte dei soldi spesi attraverso il ricorso al debito.

La sovranità monetaria attiene alla possibilità per i singoli stati di scegliere autonomamente le proprie politiche monetarie e, più in generale, la politica economica.

Se i titoli del debito pubblico sono collocati all'estero (accadeva ad esempio a metà ottocento al Regno di Sardegna), chi sottoscrive i titoli porrà alcune condizioni che vincoleranno gli stati, limitandone la sovranità monetaria, cioè la possibilità di decidere quanta moneta emettere, quali tassi praticare.

Chi detiene il debito pubblico?

Oltre la metà del debito italiano è in mani straniere, per il resto è nelle mani di banche e cittadini che investono in tal modo i loro risparmi. Tra gli investitori c'è anche la banca centrale che ottiene interessi dai titoli del debito pubblico. Gli interessi sono il vero signoraggio.

Cosa cambia per il cittadino se chiudono le Banche Centrali?

Succede che non si emetterebbe più nuova moneta. Di fronte a un'economia che cresce, la moneta diventerebbe scarsa, facendo salire i tassi di interesse fino a un livello tale che per molte imprese e consumatori sarebbe impossibile finanziarsi. L'attività economica di conseguenza diminuirebbe. La crescita di economia e occupazione dunque sarebbero fortemente limitati.

Inoltre sarebbero possibili forti shock dell'economia provocati da crisi di fiducia capaci di mettere in crisi il credito o il sistema dei pagamenti.

26 ottobre 2009

Perchè l'Italia vale più della Gran Bretagna

Il PIL italiano ha superato quello britannico, secondo le statistiche dell'autorevole periodico The Economist.

Sembra avverarsi la previsione ottimistica di qualche ministro secondo cui la crisi sta colpendo il nostro paese meno di altri. Ma purtroppo non è così.

La vera ragione è il crollo della sterlina rispetto all'euro. Oggi un euro vale circa 92 centesimi di sterlina ma 3 anni fa con un euro si compravano solo 70 centesimi di sterlina.

Un calo di circa il 25% che si riflette sulle statistiche, con l'effetto che il PIL italiano ha superato quello inglese.

Ma perchè la sterlina è scesa? Perchè Londra è sede della più importante piazza finanziaria europea e raccoglie capitali da tutto il mondo. Quando gli investitori hanno compreso che molti investimenti erano a rischio, hanno reagito cedendo le loro attività e trasferendo i soldi altrove.

Si sono vendute montagne di sterline, provocando la perdita di valore della sterlina rispetto all'euro e l'arretramento britannico nelle statistiche sul PIL.

25 ottobre 2009

Capitalism: A love story

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Econoliberal: le ragioni di un titolo

“Uno spettro si aggira per l'Europa, lo spettro del comunismo”. Così iniziava il Manifesto di Marx ed Engels, un secolo e mezzo fa. Si prometteva una rivoluzione, si è fatta la previsione peggiore della storia.

Oggi che il comunismo non fa più paura a nessuno (o quasi) potremmo dire “uno spettro si aggira per l'Europa (e non solo): lo spettro della recessione”.

Marx è morto e anche il capitalismo liberale e selvaggio non si sente tanto bene. La ricetta "meno tasse e meno regole" sta regalandoci frutti avvelenati e rischia di diventare una promessa di felicità amara tanto quella di Marx ed Engels.

Per cui è necessario rivalutare modi di concepire l'economia che, senza rinnegare i principi capitalistici, ne coglie i limiti e cerca di fare proposte ad esse coerenti e ispirate a ideali di maggiore giustizia e solidarietà sociale.

Econoliberal vuole offrire il suo piccolo contributo a chi vuole capire l'economia in cui siamo immersi con un ottica più liberal e meno liberale, senza dimenticare altri temi importanti e scottanti, come l'ecologia.

24 ottobre 2009

Un Nobel a chi spiega che il mercato è imperfetto

Il Nobel per l'economia 2009 a Oliver Williamson e Elinor Ostrom premia ancora una volta chi spiega che il mercato è imperfetto e non funziona come vorrebbe chi crede nelle virtù del mercato. Williamson in particolare ha studiato come sono organizzate le imprese e, in questo ambito, ha elaborato il concetto di costo di transazione. Di che si tratta?

Noi tutti andiamo dal solito panettiere o nel solito supermercato, compriamo lo stesso giornale e ci affidiamo per anni a uno stesso parrucchiere. Potremmo cambiare, scegliendo il supermercato con i prezzi inferiori o con le offerte più convenienti, potremmo leggere più giornali e decidere qual è il migliore, ma spesso ciò non accade. Anzichè selezionare il migliore fornitore, come suggerisce chi crede nel mercato, ci affidiamo allo stesso supermercato e allo stesso parrucchiere finendo magari per pagare di più o ricevere un prodotto o un servizio peggiore.

Anche nel mondo delle imprese accade che non si scelga il fornitore migliore tra molti fornitori potenziali. Le imprese, ha notato Williamson, non sempre si affidano a regole di mercato, alla competizione tra imprese, ma stringono legami con un solo fornitore, che non è affatto detto offra il prodotto migliore.

Il motivo è che la scelta di un fornitore è un'operazione costosa, tale da indurre le imprese a evitare la selezione, consapevoli anche del fatto che cambiare fornitore comporta costi e perdite di efficienza. I costi che si vogliono evitare, detti di transazione, dunque giustificano la minore efficienza e i minori costi comportati dalla minore selezione di un fornitore tra diversi concorrenti.

Col Nobel per l'economia è stato premiato chi ha spiegato che il mercato non sempre prevale, perché non è perfetto come alcuni vorrebbero, ma pieno di attriti e imperfezioni che spesso rendono le soluzioni “di mercato” poco praticabili. Era già successo. Stiglitz, Akerlof e Spence hanno ricevuto il Nobel per i loro lavori sulle asimmetrie informative. Era il 2001, e l'anno prima era scoppiata la bolla di internet. Succede (sarà un caso?) nel 2009, a un anno esatto dall'inizio della crisi più grave dal 1929.


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