30 settembre 2015

Chi sbaglia?

A proposito di Volkswagen, chi sbaglia?

Diego Della Valle: lo scandalo Volkswagen non avrà alcuna ripercussione sull'economia italiana. (Il Sole 24 Ore  http://24o.it/Mp3zSn)

Pier Carlo Padoan all'Adn Kronos: "Temo conseguenze che mi auguro siano limitate, a catena ci potrebbero essere effetti sull'industria italiana che non ha colpa".

Luigi Federico Signorini, vice direttore generale della Banca d'Italia:  «All’incertezza presente sui mercati globali si è aggiunta negli ultimi giorni quella connessa con le possibili ripercussioni, difficili da quantificare, del grave scandalo Volkswagen sul settore dell’auto e sulle aspettative degli investitori e dei consumatori».


25 settembre 2015

Volkswagen

Lo scandalo Volkswagen è scoppiato inatteso: l'azienda tedesca ha installato su 11 milioni di veicoli software che riconosce i controlli sulle emissioni dagli scarichi e modifica il comportamento delle auto in modo che le emssioni rispettino i limiti di legge.

Si possono fare alcune considerazioni.

La prima, banale, è che se si fanno automobili di grossa cilindrata magari per permettere ai tedeschi di andare a tutta velocità su autostrade senza limiti di velocità e se, inoltre, l'auto è uno status simbol per cui più è grande e potente, meglio è, è difficile abbassare il livello di emissioni.

La seconda considerazione riguarda l'organizzazione di una grande impresa come la VW: il modello di gestione tedesco prevede una stretta collaborazione di impresa e sindacati e nel caso della VW anche la partecipazione di soggetti pubblici al capitale d'impresa. La Volkswagen unisce gli interessi degli azionisti, alcuni dei quali pubblici, altri privati, e dei lavoratori.

Tutti impegnati a creare ricchezza e lavoro facendo crescere l'impresa, conquistando mercati. Di certo questo sistema ha effetti positivi per l'economia ma pone un problema di conflitto di interessi: il settore pubblico dovrebbe controllare l'impresa di cui è azionista. Facile che a qualcuno venga voglia di voltarsi dall'altra parte.

E qui veniamo alla terza considerazione: il caso Volkswagen rafforza il sospetto che le politiche di austerità che la Germania ha imposto a molti paesi europei siano fatte per soddisfare le ambizioni delle imprese nazionali.

L'austerità ha fatto crollare la domanda di auto (e di altri beni durevoli) in molti paesi d'Europa costringendo le imprese che vendono soprattutto in tali paesi a rinviare il lancio di nuovi prodotti e i relativi investimenti.

Così il consumatore alla ricerca di qualcosa di nuovo, più facilmente s'è rivolto alle aziende dei paesi che, come la Germania, hanno risentito meno della crisi.

Tali imprese, che continuavano a investire grazie a una domanda domestica forte, potrebbero aver avuto interesse a eliminare i concorrenti tramite apposite pratiche commerciali (ovvero offrendo prodotti a prezzi molto vantaggiosi, non praticabili dalla concorrenza) e anche attraverso le scelte politiche del proprio governo, che creavano le condizioni per il calo della domanda negli altri paesi.

C'è da sperare che non siano coinvolte altre imprese e soprattutto non ci sia la complicità di altri governi, perchè vorrebbe dire avere un'Europa all'apparenza unità ma in realtà fatta da paesi in guerra (una guerra economica e non dichiarata) tra loro.

18 settembre 2015

L'Italia cresce, il mondo no

La decisione di ieri sera della FED di lasciare invariati i tassi non è un buon segnale per l'economia mondiale.

La crescita nel mondo rischia di rallentare, soprattutto per rallentano le economie che negli ultimi anni sono state più dinamiche: la Cina sta passando da tassi di crescita attorno al 10% a tassi che scendono verso il 5% (c'è chi sostiene che i cinesi trucchino i dati del PIL, con un tasso "vero" inferiore a quello dichiarato), il Brasile e in recessione e i suoi titoli pubblici sono considerati alla pari di paesi poco affidabili. Negli USA i dati sull'occupazione sono buoni ma l'inflazione resta bassa, segno che la domanda potrebbe essere più forte.

In questo scenario poco edificante l'economia italiana sembra far bene. La previsione di una crescita dello 0,7% nel 2015 pare troppo prudente e viene rivista allo 0,9%, mentre per Confindustria, di solito poco ottimista, si arriverà all'1% e in due anni ci sarà quasi mezzo milione di occupati in più.

La spiegazione di questa apparente preoccupazione è che finalmente sta crescendo, come spiega il ministro Padoan, la domanda interna.

Il rallentamento dei tassi di crescita in alcuni grandi economie in fase di sviluppo preoccupano i paesi industrializzati che producono e vendono in quei paesi una parte crescente dei loro beni e servizi. Per cui se la Cina cresce di meno, la domanda estera di Europa e USA ne risente.

Nel caso dell'Italia invece è la domanda interna, per troppo tempo depressa da pessime politiche fiscali e del lavoro, a dare segni di ripresa. Di qui l'apparente contraddizione, ma anche l'indicazione della strada da seguire in futuro: la strada dei sacrifici per abbassare i costi di produzione, a cominciare dal lavoro, e rendere più competitiva un'economia rispetto ai concorrenti, cioè l'austerità, ha fallito. Serve invece un aumento della domanda interna. Per noi come per il resto del mondo.

13 settembre 2015

Abolizione TASI

Da quando il governo ha annunciato l'abolizione della TASI, la tassa sugli immobili, non sono mancate le polemiche, spesso fuori luogo.

La TASI è di fatto una tassa sul patrimonio perchè calcolata in percentuale del valore di un'immobile. Non ha senso quindi dire, come hanno fatto molti commentatori, che dovrebbe essere pagata da chi ha un reddito elevato, perchè non è calcolata sul reddito.

La TASI dipende invece dal valore degli immobili, che, tuttavia, risente del fatto che molti comuni non hanno mai aggiornato il catasto. Così ci sono immobili nel centro delle città accatastati 70 anni fa hanno un valore (e un reddito) catastale inferiore a quello di immobili accatastati negli ultimi 2-3 decenni.

Per garantire una tassa equa, comunque si voglia interpretare l'equità, serve una base imponibile equa, vale a dire un un catasto aggiornato, con valori catastali almeno proporzionati se non uguali ai veri valori di mercato. Detto in modo semplice: se un'immobile vale sul mercato immobiliare 100 mila euro e un altro 200 mila euro, i valori del catasto devono essere quelli o, se diversi dal valore reale, almeno devono mantenere la stessa proporzione cioè l'immobile più pregiato deve valere il doppio dell'altro.

Ora, molti governi hanno annunciato la riforma del catasto. Anche il governo Renzi, che però s'è bloccato di fronte alla prospettiva di valori catastali che, se aggiornati, aumenterebbero anche di 5-6 volte.

Chi ha un'immobile che oggi vale per il catasto 50 mila euro ma in reatà ne vale 300 mila, si troverebbe a pagare una TASI (e pure la TARI, la tassa sui rifiuti) molto più elevata.

Anche per questo motivo, a mio parere, il governo ha deciso di abolire la TASI che è iniqua a partire dalla base imponibile.

07 settembre 2015

80 euro che fanno impazzire gli economisti

Il bonus degli 80 euro introdotti un anno fa è servito o si è trattato di un regalo inutile?

Se lo chiedono molti economisti, che hanno dato risposte contrastanti e...assurde.

Prendiamo per esempio questo articolo de Linkiesta http://www.linkiesta.it/bonus-80-euro-non-efficace. Di fronte al sondaggio secondo cui i soldi sono stati spesi, Marcello Esposito fa due osservazioni degne di attenzione.

La prima è contenuta nella premessa e dice che  "nella sostanza il problema è.. [che] e l’aumento della spesa pubblica non ha alcuna finalità produttiva ed è finanziato in deficit (come nel caso degli 80 euro) il complesso dei contribuenti si pone il problema della sua sostenibilità nel tempo. E, quindi, in aggregato la maggiore spesa pubblica viene compensata da un maggiore risparmio privato in previsione di maggiori tasse o tagli ai servizi in futuro".

Si dà dunque per scontato (senza dimostrarlo) che ci sia un aumento della spesa pubblica finanziato in deficit e che non abbia finalità produttive ovvero che chi riceve i soldi non li spende in modo da alimentare la produzione delle imprese.

Due ipotesi discutibili, ma a noi interessa la terza considerazione: "il complesso dei contribuenti si pone il problema della sua sostenibilità nel tempo" ovvero si immagina che chi riceve gli 80 euro pensi: in futuro mi aumenteranno le imposte e quindi è meglio che non li spenda, se no oggi mi godo gli 80 euro e quando aumenteranno le imposte devo tirare la cinghia.

Che i cittadini ragionino così è tutto da dimostrare. Agli economisti conservatori piace crederlo, perchè è un formidabile argomento contro qualunque intervento dello Stato: se si reagisce a un fatto odierno rendendolo inutile, meglio non fare nulla. Altri economisti, per esempio i Nobel Akerlof e Shiller la pensano diversamente (in Spiriti Animali, Rizzoli, 2009), osservando che anche persone con una buona cultura economica difficilmente prevedono cosa succederà in futuro adeguando di conseguenza le scelte attuali.

Ma ammettendo che la tesi sia vera, risulta incompatibile con la seconda osservazione: "Sulla attendibilità delle risposte fornite dagli intervistati è lecito esprimere qualche dubbio. Il fatto che dalle stime statistiche risulti che i più poveri abbiano usato gli 80 euro per aumentare le uscite di 130 euro la dice lunga o sulla comprensione della domanda o sulla literacy matematica del rispondente o sulla serietà dell’intervistatore".

Secondo l'autore dunque chi, ricevuti gli 80 euro, è stato intervistato sul loro impiego, non sa bene di cosa parla. Forse ha poca cultura economia. Però al tempo stesso prevede cosa succederà in futuro e modifica il proprio comportamento al fine, per così dire, di minimizzare i danni.

La mia sensazione è che siamo di fronte a una situazione molto particolare: economisti con pregiudizi enormi che si trovano in difficoltà di fronte a un governo che ha il coraggio di innovare senza stare a sentire obiezioni che paiono come veti di una elite di (presunti) esperti.

Una domanda sui profughi

Una delle argomentazioni più antipatiche usate di alcuni partiti italiani che cercano di
strumentalizzare la paura dello straniero per ottenere voti, è che i rifugiati in Italia sono un affare per chi li gestisce. Affare che spingerebbe il governo a far poco per ostacolare gli sbarchi o addirittura a favorirli: se qualcuno guadagna, lasciano intendere, poi restituisce il favore al governo, portando voti o soldi per le campagne elettorali.

L'odio, la xenofobia, la paura dello straniero sembra non appartengano ai tedeschi che hanno accolto i siriani nelle stazioni ferroviarie di diverse città tedesche applaudendo, mostrando solidarietà, spiegando che adesso possono vivere tranquilli, portando vestiti e cibo.

Saranno contenti perchè anche per loro, cittadini normali di una Germania che ha vissuto una guerra terribile, finita 70 anni fa ma durata fino al 1989 con la separazione tra Est e Ovest, oppure ci sono di mezzo i valori?

Io penso sia vera la seconda. Se i tedeschi si possono permettere di ospitare centinaia di migliaia di rifugiati non è solo perchè vivono in un paese ricco. Hanno le strutture per ospitarli e non sono ricoveri di fortuna allestiti in tutta fretta. Da anni hanno scelto di spendere soldi per l'accoglienza, pensando che quelle persone hanno diritti fondamentali che devono essere tutelati offrendo loro un servizio di buona qualità.

Chi invece gestisce i problemi con criteri di emergenza più facilmente si espone al rischio che il gestore dell'emergenza fornisca un pessimo servizio per far soldi. Nell'emergenza i controlli scarseggiano, non si fanno i conti per stabilire se i soldi sono spesi a favore dei beneficiari del servizio o finiscono nelle tasche di chi offre il servizio.

I valori (solidarietà contro xenofobia, per esempio) spingono i governi a scegliere come comportarsi di fronte al dramma dei rifugiati. La spesa è una conseguenza di queste scelte: chi fa leva sull'odio non vuole servizi di qualità per i rifugiati perchè pensa che un cattivo servizio spinga i rifugiati a andarsene, che un servizio di qualità attragga gli stranieri, che sia difficile giustificare la spesa presso i propri elettori. Richiede in altri termini un cattivo servizio e magari non gli dispiace se chi lo gestisce è poco onesto.

Chi invece vuole offrire un buon servizio ai rifugiati perchè pensa di dover essere solidale e di dover riconoscere ai rifugiati diritti irrinunciabili, facilmente spenderà i soldi pubblici per creare un servizio destinato a durare nel tempo. Inoltre controllerà la qualità e il costo del servizio, cercando di evitare che qualcuno se ne approfitti, facendo sprecare risorse allo Stato e sottraendo risorse ai beneficiari.


04 settembre 2015

Precari della scuola

Cosa succede se una regione italiana produce un bene in quantità superiore a quella che consuma? Semplice: esporta il bene in altre regioni. Ma se al posto di una lavatrice che dal Friuli va in Liguria o del pesce pescato in Sicilia che raggiunge la Lombardia ci mettiamo gli insegnanti, che succede?

Ci saranno molte lamentele. Cerchaimo di capire il perchè. Da sempre dalle università di alcune zone d'Italia escono molti più insegnanti di quelli che possono impiegati sul territorio e così gli insegnanti sono costretti a spostarsi. Di solito il flusso va da sud a nord: insegnanti del sud che si vedono costretti a cercare un posto al nord.

L'emigrazione del dopoguerra ha reso tutto sommato accettabile questo flusso. Dal sud partivano persone appena laureate destinate a passare una parte importante della propria vita nelle scuole piemontesi o lombarde, con una qualità della vita probabilmente migliore di quella di chi partiva dal sud per cercare fortuna in fabbrica.

Poi l'emigrazione si è fermata o quasi e in alcuni periodi c'è stato anche un flusso in direzione opposta: non solo persone che tornavano a vivere al sud ma anche lavoratori pubblici che, assunti al nord, dopo un pò ottenevano il trasferimento vicino a casa.

Nella scuola il sud ha continuato a offrire più insegnanti di quanti ne potesse collocare e il nord meno di quelli di cui aveva bisogno. Qualcuno era costretto a cambiare regione per una cattedra spesso provvisoria. Si risolvevano così le necessità delle scuole alle prese con le supplenze e si lasciava aperta la speranza, per chi era costretto a andare lontano da casa, di tornarvi prima o poi.

Possiamo scommettere che qualche governo invece di affrontare i problema del precariato l'abbia alimentato per non dover dire a una parte dei lavoratori della scuola "ti posso assumere ma solo lontano da casa tua".

Il governo Renzi invece ha scelto questa strada, anche perchè obbligato dall'Europa che impone la stabilizzazione dei precari. L'ha fatto in modo forse brutale: chi viene assegnato a una scuola lontano da casa, se non accetta, rischia di uscire dalle graduatorie. Una scelta difficile per molti, perchè i precari spesso non sono giovani ma persone mature, con famiglia e figli.

Superata questa fase con le polemiche di rito, si dovrà affrontare il problema degli squilibri regionali. Come?

Se in alcune regioni le università sfornano troppo pochi insegnanti rispetto alle necessità delle scuole e in altre molti di più si possono introdurre una serie di incentivi per provare a riequilibrare la situazione (tasse più alte o più basse, posti limitati nelle scuole di specializzazione dove ci saranno meno cattedre, maggior numero di posti dove ci sarà una maggior richiesta di insegnanti). Ma soprattutto si dovrebbe cercare di svincolarsi da regole che permettono agli insegnanti di andare ovunque, salvo poi sperare in un trasferimento.

Queste regole sono regole fatte apposta per illudere chi aspira a una cattedra e non forniscono un buon servizio. Lo studente e la sua famiglia preferiscono che l'insegnante sia sempre lo stesso durante tutto il ciclo scolastico e ancora di più vorrebbero fosse sempre lo stesso durante l'anno scolastico.

Per cui sarebbe sensato se fossero le scuole a assumere insegnanti destinati a passare tutta la loro vita professionale o almeno buona parte di essa (con le dovute eccezioni) nella stessa scuola.

Insomma serve programmazione, regole che pensino ai diritti degli insegnanti ma anche a quelli degli studenti, cosa che in Italia non sempre avviene, evitando le situazioni ambigue che servono soltanto a illudere qualcuno. 

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