31 ottobre 2009
Alcune piccole verità sull'IRAP
Il giudizio del giornale di Confindustria merita di rispolverare alcune piccole verità troppo in fretta dimenticate.
L'IRAP, come spiega Beniamino Lapadula (1) ha sostituito "i contributi sanitari che gravano su imprese e lavoratori dipendenti, le tasse sulla salute, l'ILOR, l'ICIAP, la professionale sulle imprese, la tassa sulla partita IVA e le tasse di concessione comunale".
Le entrate di queste imposte ammontavano a 70 mila miliardi di vecchie lire e, quasi tutte, non erano imposte che si pagavano solo a fronte di utili.
Chi dice che l'IRAP sarebbe ingiusta perchè si paga anche se l'azienda è in perdita
dimentica volutamente o colpevolmente che le imposte che ha sostituito si pagavano sempre anche in caso di perdita.
Inoltre dimentica che l'IRAP oggi finanzia soprattutto la sanità, pagata dalle Regioni, con la conseguenza che un'eventuale abolizione dell'IRAP, se non compensata da altre imposte, avrebbe effetti drammatici sul finanziamento del sistema sanitario nazionale.
Ancora, si dimenticano le polemiche a suo tempo sollevate dall'introduzione dell'imposta e alimentate dall'opposizione parlamentare, polemiche poi scomparse, quando le imprese si resero conto che era più comodo pagare una sola imposta anzichè 6 o 7.
Infine nel chiedere, come succede in questi giorni, che gli interessi passivi diventino detraibili, si dimentica che uno degli scopi dell'IRAP era di indurre le imprese a indebitarsi di meno presso il sistema bancario, rendendo meno conveniente il ricorso all'indebitamento delle imprese, da sempre eccessivo grazie a un regime fiscale che ha favorito la crescita dei debiti bancari rispetto alla crescita del capitale proprio.
Obiettivo che oggi andrebbe rivalutato oggi: la scarsa disponibilità di capitali bancari e il rientro dei capitali dall'estero dovrebbe spingere il governo a disincentivare il ricorso al debito e a favorire fiscalmente gli aumenti di capitali, invece di promettere la detraibilità degli interessi.
Invece si punta, nella migliore tradizione della destra economica, a tagliare le imposte agli imprenditori, dimenticando lavoratori, disoccupati e pensionati, che probabilmente subiranno gli effetti di una minore spesa pubblica, necessaria a garantire il taglio dell'IRAP.
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(1) Il cavaliere e le tasse, EDIESSE, pag. 60
30 ottobre 2009
FAQ sul signoraggio bancario (1)
Le monete che noi usiamo non sono vincolate a un valore come l'oro, quindi il valore dovrebbe essere quello indotto dall'uso, dal ciclo monetario. Allora perchè le banche ricevono gratuitamente dalla banca centrale le banconote che poi prestano a noi?
Il valore dipende dal fatto che noi attribuiamo valore a una moneta e la legge ci obbliga a farlo. Noi attribuiamo un valore a una moneta perché sappiamo che altri lo fanno, sia volontariamente sia per effetto di norme che impongono di accettare in pagamento le monete metalliche e cartacee.
Accettiamo assegni, bonifici e altri tipi di pagamento se riteniamo che il pagamento andrà a buon fine o se esiste un sistema che consenta di ridurre al minimo la probabilità che il pagamento non sia effettuato.
Se si potesse decidere se e quali monete accettare, i pagamenti sarebbero molto difficili, perché ciascuno di noi non saprebbe se una moneta sarà accettata dal panettiere o dal giornalaio. Per ovviare a tale problema, che ostacolerebbe fortemente l'attività economica, gli stati hanno deciso di obbligare i cittadini ad accettare la moneta legale nei singoli paesi.
Altro discorso è relativo al legame tra moneta e oro. La convertibilità delle monete in oro serviva non a dare valore alla moneta, ma a garantire la convertibilità di una moneta in altre monete. Sbaglia chi collega oro e valore della moneta.
Le banche non ricevono banconote gratis. Pagano un tasso di sconto alla banca centrale. Come un'impresa può scontare le fatture presso una banca, così la banca può scontare titoli presso la banca centrale, pagando un tasso noto come tasso di sconto. A sua volta la banca farà pagare al cliente cui presta soldi un tasso di interesse.
Perchè succede? La banca sconta titoli quando le occorre avere nuovi capitali che non riesce a raccogliere in altro modo. Scontando i titoli delle banche, la banca centrale fa aumentare, temporaneamente o meno, la quantità di moneta che circola nell'economia.
Il meccanismo della riserva frazionaria permette a una banca commerciale di prestare n-volte quanto ha fisicamente in riserva. E’ solo una tecnica bancaria lecita e consolidata o è un male indispensabile che permette il funzionamento del Sistema stesso? Non sarebbe più corretto portare la riserva al 100%, permettendo così alla banca commerciale di prestare solo ciò di cui veramente dispone?
La banca raccoglie capitali e li presta, tolta la parte trattenuta sotto forma di riserva (legale e volontaria: la riserva legale è versata alla banca centrale). Non presta più di quanto raccoglie.
Quindi non c'è alcuna tecnica misteriosa, tollerata o illecita, che consente alla banca di moltiplicare i soldi.
Il meccanismo del moltiplicatore monetario dice che se la banca centrale immette 1 euro di nuova moneta, il credito complessivo concesso dalle banche sarà pari a diversi euro. Di diversi euro sarà pure l'ammontare complessivo dei depositi presso le varie banche.
Se la riserva fosse pari al 100%, le banche non sarebbero più intermediari, ma soggetti che prestano i soldi posseduti, ricevuti dai soci. In teoria sarebbe possibile, anche se gli effetti sarebbero indesiderabili. Il credito concesso infatti sarebbe molto modesto rispetto a quello offerto attualmente dalle banche, con la conseguenza che un credito scarso metterebbe al tappeto l'economia, alimentata dal credito bancaria.
Quindi chi propone una riserva al 100% non solo non comprende bene la natura delle banche, ma immagina uno scenario che proverebbe danni incalcolabili al funzionamento dell'economia.
L’Italia ha un debito pubblico dal 1861. Questo dipende dagli sprechi di governo o dalla mancanza di sovranità monetaria?
Dipende dal fatto che i governi italiani hanno costantemente speso più di quanto si incassavano. Ognuno può interpretare come preferisce le ragioni che hanno limitato le entrate e reso eccessive le spese, o può decidere che la colpa appartiene a qualcuno ma non ad altri. Questo giudizio lo lasciamo a chi si occupa di politica. Va detto che con poche eccezioni gli stati di certe hanno una certa quantità di debito pubblico, perchè tutti i governi ritengono politicamente opportuno incassare parte dei soldi spesi attraverso il ricorso al debito.
La sovranità monetaria attiene alla possibilità per i singoli stati di scegliere autonomamente le proprie politiche monetarie e, più in generale, la politica economica.
Se i titoli del debito pubblico sono collocati all'estero (accadeva ad esempio a metà ottocento al Regno di Sardegna), chi sottoscrive i titoli porrà alcune condizioni che vincoleranno gli stati, limitandone la sovranità monetaria, cioè la possibilità di decidere quanta moneta emettere, quali tassi praticare.
Chi detiene il debito pubblico?
Oltre la metà del debito italiano è in mani straniere, per il resto è nelle mani di banche e cittadini che investono in tal modo i loro risparmi. Tra gli investitori c'è anche la banca centrale che ottiene interessi dai titoli del debito pubblico. Gli interessi sono il vero signoraggio.
Cosa cambia per il cittadino se chiudono le Banche Centrali?
Succede che non si emetterebbe più nuova moneta. Di fronte a un'economia che cresce, la moneta diventerebbe scarsa, facendo salire i tassi di interesse fino a un livello tale che per molte imprese e consumatori sarebbe impossibile finanziarsi. L'attività economica di conseguenza diminuirebbe. La crescita di economia e occupazione dunque sarebbero fortemente limitati.
Inoltre sarebbero possibili forti shock dell'economia provocati da crisi di fiducia capaci di mettere in crisi il credito o il sistema dei pagamenti.
26 ottobre 2009
Perchè l'Italia vale più della Gran Bretagna
Sembra avverarsi la previsione ottimistica di qualche ministro secondo cui la crisi sta colpendo il nostro paese meno di altri. Ma purtroppo non è così.
La vera ragione è il crollo della sterlina rispetto all'euro. Oggi un euro vale circa 92 centesimi di sterlina ma 3 anni fa con un euro si compravano solo 70 centesimi di sterlina.
Un calo di circa il 25% che si riflette sulle statistiche, con l'effetto che il PIL italiano ha superato quello inglese.
Ma perchè la sterlina è scesa? Perchè Londra è sede della più importante piazza finanziaria europea e raccoglie capitali da tutto il mondo. Quando gli investitori hanno compreso che molti investimenti erano a rischio, hanno reagito cedendo le loro attività e trasferendo i soldi altrove.
Si sono vendute montagne di sterline, provocando la perdita di valore della sterlina rispetto all'euro e l'arretramento britannico nelle statistiche sul PIL.
25 ottobre 2009
Econoliberal: le ragioni di un titolo
“Uno spettro si aggira per l'Europa, lo spettro del comunismo”. Così iniziava il Manifesto di Marx ed Engels, un secolo e mezzo fa. Si prometteva una rivoluzione, si è fatta la previsione peggiore della storia.
Oggi che il comunismo non fa più paura a nessuno (o quasi) potremmo dire “uno spettro si aggira per l'Europa (e non solo): lo spettro della recessione”.
Marx è morto e anche il capitalismo liberale e selvaggio non si sente tanto bene. La ricetta "meno tasse e meno regole" sta regalandoci frutti avvelenati e rischia di diventare una promessa di felicità amara tanto quella di Marx ed Engels.
Per cui è necessario rivalutare modi di concepire l'economia che, senza rinnegare i principi capitalistici, ne coglie i limiti e cerca di fare proposte ad esse coerenti e ispirate a ideali di maggiore giustizia e solidarietà sociale.
Econoliberal vuole offrire il suo piccolo contributo a chi vuole capire l'economia in cui siamo immersi con un ottica più liberal e meno liberale, senza dimenticare altri temi importanti e scottanti, come l'ecologia.
24 ottobre 2009
Un Nobel a chi spiega che il mercato è imperfetto
Il Nobel per l'economia 2009 a Oliver Williamson e Elinor Ostrom premia ancora una volta chi spiega che il mercato è imperfetto e non funziona come vorrebbe chi crede nelle virtù del mercato. Williamson in particolare ha studiato come sono organizzate le imprese e, in questo ambito, ha elaborato il concetto di costo di transazione. Di che si tratta?
Noi tutti andiamo dal solito panettiere o nel solito supermercato, compriamo lo stesso giornale e ci affidiamo per anni a uno stesso parrucchiere. Potremmo cambiare, scegliendo il supermercato con i prezzi inferiori o con le offerte più convenienti, potremmo leggere più giornali e decidere qual è il migliore, ma spesso ciò non accade. Anzichè selezionare il migliore fornitore, come suggerisce chi crede nel mercato, ci affidiamo allo stesso supermercato e allo stesso parrucchiere finendo magari per pagare di più o ricevere un prodotto o un servizio peggiore.
Anche nel mondo delle imprese accade che non si scelga il fornitore migliore tra molti fornitori potenziali. Le imprese, ha notato Williamson, non sempre si affidano a regole di mercato, alla competizione tra imprese, ma stringono legami con un solo fornitore, che non è affatto detto offra il prodotto migliore.
Il motivo è che la scelta di un fornitore è un'operazione costosa, tale da indurre le imprese a evitare la selezione, consapevoli anche del fatto che cambiare fornitore comporta costi e perdite di efficienza. I costi che si vogliono evitare, detti di transazione, dunque giustificano la minore efficienza e i minori costi comportati dalla minore selezione di un fornitore tra diversi concorrenti.
Col Nobel per l'economia è stato premiato chi ha spiegato che il mercato non sempre prevale, perché non è perfetto come alcuni vorrebbero, ma pieno di attriti e imperfezioni che spesso rendono le soluzioni “di mercato” poco praticabili. Era già successo. Stiglitz, Akerlof e Spence hanno ricevuto il Nobel per i loro lavori sulle asimmetrie informative. Era il 2001, e l'anno prima era scoppiata la bolla di internet. Succede (sarà un caso?) nel 2009, a un anno esatto dall'inizio della crisi più grave dal 1929.