31 maggio 2011

Chi pagherà la manovra?


A giugno il governo dovrà decidere come rimettere a posto i conti pubblici, che a posto non sono. Si devono recuperare 40 miliardi, ovvero oltre il 2% del PIL.

Dopo le elezioni amministrative sono pochi, ormai, i capoluoghi di regione in mano al centrodestra. Da Milano a Torino, da Trieste a Genova, da Cagliari a Napoli, da Bologna a Bari le principali città italiane sono in mano a maggioranze ostili al governo.

Scommettiamo che i tagli maggiori li subiranno gli enti locali?

29 maggio 2011

Come difendere la diseguaglianza (senza riuscirci)

Se una distribuzione meno equa provoca una diminuzione dei consumi (come scritto qui), come difendere una politica economica che favorisca maggiori diseguaglianze economiche?
Ci sono almeno due vie. Una consiste nell'affermare che non si può cambiare la distribuzione del reddito "naturale", generata dalla libera interazione di individui. Un'altra di carattere economico: si nega che una distribuzione del reddito più diseguale faccia male all'economia.

Perchè non si può cambiare una data distribuzione del reddito? La giustificazione più diffusa, di tipo meritocratico, è che i redditi misurano le capacità di ciascuno: se si cambiasse qualcosa, qualcuno sarebbe disincentivato a dare il meglio di sè. E' tuttavia difficile immaginare che il merito giustifichi gli stipendi milionari dei banchieri americani o, al contrario, gli stipendi da fame di molti lavoratori.

Più di una secolo fa un ingegnere italiane, Vilfredo Pareto, si inventò una giustificazione più elegante, nota come ottimo paretiano. Pareto, che si dedicò all'economia dopo una brillante carriera nelle ferrovie disse che una distribuzione è ottimale quando l'allocazione delle risorse è tale che non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro.

La redistribuzione del reddito è, secondo Pareto, da escludersi, perchè altererebbe un'allocazione ottimale delle risorse e non è accettabile peggiorare la condizione di qualcuno. Anche se è ricchissimo? verrebbe da chiedere. Seguendo Pareto sì, per la gioia di chi non vuol cambiare nulla facendo prevalere i propri interessi su qualsiasi altra considerazione.

Poi c'è una spiegazione di tipo macreconomico: la parte del reddito non consumata diventa risparmio. Per gli economisti conservatori il risparmio si trasforma in investimento, cioè in soldi spesi. Così se diminuisce la spesa per consumi, aumenta quella per gli investimenti, e l'economia non soffre.

Così la raccontano, ma è una teoria discutibile: si investe in previsione di un aumento delle vendite. Se i redditi della maggior parte della popolazione non crescono e magari diminuiscono, gli investimenti latitano.

I risparmi possono invece prendere altre strade. Possono andare all'estero alla ricerca di buone occasioni di investimento o alimentare la speculazione.

Insomma, le diseguaglianze non fanno bene all'economia, ma chi non se ne cura ha buone ragioni per sostenere il contrario e giustificare interessi ed egoismo.

28 maggio 2011

Gli indignati degli indignati


Riguardo a Puerta del Sol, agli indignati, ed alle sue conseguenze a livello economico e politico mi sono già espresso in un altro articolo. Ora però c'è anche chi di ragioni economiche per chiedere la fine della mobilitazione ne offre qualcuna in più di me, e di carattere più personale delle mie.
Si tratta dei commercianti di Puerta del Sol1, che pur, (almeno gran parte di loro), condividendo le ragioni del movimento implorano i manifestanti perché se ne tornino a casa.
Infatti da quel 15 Maggio le vendite ed i turisti risultano a quasi tutti esser crollati a picco di circa il 70%, e le vetrine versano ormai in condizioni pessime.
Uno dei portavoce del movimento ha risposto con un "c'hanno rimesso di più con l'aumento dell'IVA al 18%".  Insomma pare quasi che qualcuno pensi davvero che i soldi piovano dal cielo: non vanno bene i tagli, lo Stato dovrebbe spendere ed investire chissà quanto pur avendo già deficit stratosferici, e nonostante tutto non dovrebbe nemmeno aumentare nessuna imposta...
(In realtà è stata aumentata al 18% l'IVA di tipo general che riguarda perlopiù macchine, vestiario, tabacco ed elettrodomestici non tutta l'IVA ovviamente...A molti di quei commercianti nemmeno gli riguardava quest'aumento).


Ma il punto è un altro: i commercianti, i loro eventuali dipendenti e le famiglie che essi devono mantenere, che responsabilità hanno per i problemi che lamentano los indignados?

C'è poi chi aggiunge altre lamentele di diverso tipo: per esempio i residenti del centro storico che non riescono più a dormire la notte, che non sopportano più il fetdio odore di urina e le condizioni igieniche sgradevoli, oltre che a lamentare un aumento dei furti.2

Insomma a 13 giorni dall'inizio delle proteste la situazione sembra ormai insostenibile e destinata a concludersi, (sono pronto a scommetterci), e quali sono stati i risultati ottenuti:
-Trionfo della destra praticamente dappertutto
-Allontamento dei turisti
-Commercianti e residenti esasperati
-Puerta del Sol in condizioni igieniche disastrose
-Aumento dei furti


Per quali benefici?





26 maggio 2011

Perchè una distribuzione più equa del reddito aiuta l'economia

Una delle prime lezioni che riceve uno studente di economia riguarda la cosiddetta il consumo.

Si spiega che non tutti consumano la stessa percentuale del proprio reddito. C'è chi spende tutti o quasi i soldi che guadagna e chi ne consuma solo una parte.
Ciò non dipende solo dalle scelte e dai gusti dei singoli (c'è lo spendaccione ma anche il tirchio) ma dal reddito di cui si dispone.
Chi dispone di un reddito basso, consuma (in media) gran parte del proprio reddito. Diciamo, giusto per capirsi, il 95% del proprio reddito.

Chi dispone di un reddito elevato, invece, consuma una percentuale decisamente inferiore del reddito (supponiamo il 75% del reddito).

La ragione è che certi costi sono molto simili per tutti: se un calciatore guadagna 100 volte il reddito di un operaio, non spende 100 volte tanto per nutrirsi, per fare colazione o per sposarsi.
Ciò ha importanti conseguenze macroeconomiche. Se potessimo rendere più uguali i redditi, spostando reddito dai ricchi ai poveri, i consumi aumenterebbero. Facciamo un esempio: se ci sono 10 persone che guadagnano 100 e consumano il 95% del loro reddito e 10 che guadagnano 1000 spendendo il 75% del proprio reddito, la spesa complessiva è
(10 x 100 x 95%) + (10 x 1000 x 75%) = 8450.

Se prendiamo 100 da ciascuno dei 10 ricchi e lo diamo ai poveri, i consumi diventano
(10 x 200 x 95%) + (10 x 900 x 75%) = 8650.

Ciascun ricco spende 75 in meno e ciascun povero 95 più. Per questo i consumi aumentano.

Se invece si trasferisce reddito dai poveri ai ricchi, i consumi diminuiscono (i conti ve li risparmio).

Dunque una distribuzione più diseguale del reddito riduce i consumi mentre una distribuzione più uguale aumenta i consumi. Inoltre cambia la tipologia dei consumi. I ricchi preferiscono beni costosi (si pensi ai gioielli, ai vestiti o alle auto di lusso, ecc.) che sovente non si producono nei paesi dove il reddito medio è basso. Si importano dall'estero, con la conseguenza che i consumi lussuosi, figli di una distribuzione del reddito molto diseguale, non aiutano i poveri, che non producono i beni di lusso.

Gli economisti conoscono la questione. Eppure, salvo qualche eccezione, chi esprime la propria opinione sui mass media si guarda bene dal dire che sarebbe meglio una società meno diseguale e che una distribuzione più equa del reddito aiuterebbe la crescita dell'economia grazie ad un aumento dei risparmio.

Com'è possibile? Lo scopriremo in un prossimo post.

24 maggio 2011

Gli operai di Mirafiori e Obama















La buona notizia, attesa, è arrivata oggi: Chrysler restituisce 7,6 miliardi di dollari ai governi canadese (1,7 miliardi) e americano (5,9 miliardi di $) dopo appena due anni, in largo anticipo sul previsto.

Perchè succede e cosa comporta?
Marchionne voleva restituire il prestito per almeno due buone ragioni: perchè è costoso e perché è vincolante.

I governi americano e canadese, infatti, hanno fornito a Chrysler i soldi di cui aveva bisogno per funzionare (e sopravvivere) ma l'hanno fatto a un prezzo elevato. Marchionne sostituisce i soldi pubblici con capitali forniti da un pool di banche a condizioni più vantaggiose, grazie alle quali
Chrysler risparmierà circa 300 milioni l'anno di interessi. Non male per un'azienda che inizia a macinare i primi utili.

Poi il contratto tra Chrysler e i governi poneva dei vincoli stringenti. Fiat non poteva superare il 50%delle azioni di Chrysler finché non avesse restituito i soldi pubblici.

Adesso può superare il 51% (e non a caso è contestualmente salita al 46% delle azioni diventando il primo azionista della casa automobilistica americana) mettendo in cantiere nuove operazioni sul capitale con una società sana, ma non troppo.

Il valore di un'azienda dipende dagli utili che fa e oggi il valore di Chrysler non è elevato. Se Fiat vuole acquistare nuove azioni, può farlo senza spendere troppo.

Per Obama poi si tratta di una vittoria politica doppia. Ha ereditato la grana di due società automobilistiche (General Motors e Chrysler) quasi fallite e s'è speso per cercare di garantire ad esse un futuro. Ha salvato un pezzo dell'industria americana e ha smentito i liberisti che avrebbero voluto che lo Stato non intervenisse.

Anche per i lavoratori Chrysler, o almeno per quelli che hanno salvato il posto di lavoro, si tratta di un successo.

Forse meno per gli operai di Mirafiori o di Pomigliano d'Arco che non hanno gradito gli accordi sindacali dei mesi scorsi, accettati con la minaccia di chiudere gli stabilimenti automobilistici.
Quel che non sanno gli operai di Mirafiori e di Pomigliano è che il sì al nuovo contratto è servito a Marchionne per ottenere i soldi usati per rimborsare i prestiti pubblici e per comprare un'ulteriore quota delle azioni di Chrysler.

Come mai tanto impegno, nei mesi scorsi, per un nuovo contratto che prevede diverse giornate di straordinario "obbligatorio" in una impresa che invece ricorre spesso alla cassa integrazione?

La ragione -a mio avviso- è che Marchionne aveva bisogno di un accordo che garantisse le banche sulla redditività del gruppo Fiat.

Marchionne in altri termini aveva bisogno di dimostrare che ci sono le condizioni per produrre utili anche in Italia, oltre che in Polonia, Brasile e in altri paesi in cui Fiat produce (e vende) auto.

La garanzia che Fiat produrrà utili sfruttando al massimo gli impianti serviva a convincere le banche a erogare prestiti a condizioni migliori di quelle offerte dai governi americano e canadese.
Gli operai di Pomigliano e Mirafiori erano coinvolti in un gioco molto più grande di loro. E forse non lo sapevano.

21 maggio 2011

"Espaghetti vienes a Sol?"

Vista general de la concentración a la que asisten gran número de jóvenes que reclaman una cambio en la política y en la sociedad, esta tarde en la Puerta del Sol de Madrid. EFEPuerta del Sol viene indicata da qualche tempo come la "piazza Tahrir europea", da quando viene occupata (soprattutto i finesettimana) dal movimento de "los indignados", detto anche del "15-M", da leggere "quince eme", ( sigla per 15 de Mayo).
Agli spagnoli piace scrivere in questo modo le date importanti, così che l'11 Settembre lo chiamano "el 11-S", ("once ese"), il colpo di Stato di Tejero fallito nel 23 Febbraio 1983 lo chiamano "el 23-F", gli attentati di Al-Quaeda alla stazione di Madrid-Atocha dell'11 Marzo 2004 lo chiamano "11-M" e così via.
Altro nome che si sono dati è "toma la plaza", (letteralmente: "prendi la piazza"), oppure "toma la calle" ("prendi la strada").


Ma aldilà del modo in cui lo volete chiamare, tale movimento per quanto mi riguarda non è che la versione spagnola (e quindi più coinvolgente, perchè in Italia così tanta gente mobilitarsi in massa per la politica, e con questa determinazione e voglia di continuare, al giorno d'oggi sarebbe impossibile vederla), dei vari nostrani V-Day, girotondi ecc ecc

La classica protesta populista e qualunquista, vagamente contraria a tutto (partiti, corruzione, disoccupazione, banche ecc ecc), che rivendica un antipartitismo generico, ma che di fatto non propone nulla se non una vaga "reale democrazia", senza nessuna proposta concreta e nessun programma.
Specificando poco le loro proposte in tal senso.
Insomma tanti bei proclami, ma di concreto secondo me hanno poco.
Questo è il mio giudizio, che si è rafforzato ieri sera dopo aver parlato con degli amici di qua che sarebbero andati a manifestare.

"-Espaghetti dopo vieni a Sol con noi?
(non sanno pronunciare il suono sp- st- sm- sl- sc- ecc senza mettere la "e" davanti)


-Se mi date un motivo valido sì


-come un motivo valido???!! Abbiamo un futuro terribile davanti, 20% di disoccupazione, tagli a tutto! Partiti corrotti, politici incompetenti (ecc ecc)


-Sì ma concretamente ditemi di che ci sarebbe bisogno, dite al governo cosa vorreste che faccia oltre che a insultarlo e basta, poi la disoccupazione mi sembra stia già diminuendo


-Se c'è crisi e non c'è lavoro, invece di tagliare tutto dovrebbe investire per far lavorare la gente, opere pubbliche, aiuti sociali ecc, invece tagliano tutto, aumentano l'età per andare in pensione ecc


-D'accordo ma spiega allora dove trovare tutti questi soldi, perchè la Spagna quando il governo ha tagliato c'aveva un deficit alle stelle, più del quadruplo del limite richiesto dall'UE, e anche ora dopo tutti i tagli e gli aumenti di imposte ai ricchi continua ad essere circa il doppio se mi sono aggiornato bene


-dovrebbe tagliare gli sprechi prima che queste cose


-certo, tipo quali però


mi cita una cosa di una regione amministrata dal PP


-una cosa è il governo, altra cosa sono le regioni


-si ma anche il governo spreca tanto


-non ne ho dubbi, ma dovete specificare cosa non vi va bene perchè la critica sia costruttiva, se non sapete neanche dirmeli questi sprechi, come faccio a venire


-la guerra in afghanistan ad esempio, stipendi dei parlamentari altro esempio


-ottimo, quando farete una protesta che chieda esplicitamente il ritiro delle truppe forse verrò, per i parlamentari vi ricordo che sono stati tagliati gli stipendi del 15%, ricordiamoceli tutti i tagli non solo alcuni

 
-si ma guadagnano troppo lo stesso, se si tolgono qualcosa è per prenderci per il culo e farci stare buoni, poi questa è una protesta generale contro tutto quello che va male, perchè non sopportiamo più questi partiti

-protestare contro tutto secondo me è come protestare contro niente. Servono soluzioni concrete a problemi concreti, a invocare l'astensionismo noi che siamo di sinistra facciamo un regalo alla destra che sapete meglio di me che in queste cose sociali è ancora peggio.

-sono tutti uguali, ma che meglio o peggio, nessuno aiuta la gente in difficoltà con la crisi

-Il PSOE almeno oltre a tagliare fa pagare più imposte ai ricchi, non mi sembra una differenza da poco. Poi quando l'economia spagnola andava bene ha investito nel sociale, il PP spese solo in guerre e in tagli di tasse per i ricchi (come la legge Beckham) o mi sbaglio?"


secondo me appunto questi movimenti sono dannosi se non criticano aspetti economici e politici precisi, in maniera chiara e proponendo alternative, sono contro-producenti.
E anche io vorrei che si spendesse e si intervenisse di più contro la crisi, ma d'altra parte se Zapatero deve andare in Cina a chiedere le elemosina, un motivo ci sarà, evidentemente i soldi non piovono dal cielo ed a volte la politica economica è più complicata di quello che si può immaginare gente inesperta (me compreso).



Aggiornamento, per evitare fraintendimenti:
Nei commenti mi è stato fatto notare che chi protesta non è pagato per trovare soluzioni, i politici invece sì.
Semplicemente penso che a lasciare la Spagna nelle mani del PP (dimostratosi ben più liberista e ben più conservatore del PSOE), si ottenga tutto il contrario di quello che vorrebbero i ragazzi di questo movimento.
Però non volevo dire che chi non è esperto di economia e non sa dare delle alternative scientificamente valide non abbia diritto di parola (altrimenti io dovrei essere il primo a starmene sempre zitto), però allora, se siamo d'accordo che l'economia di un Paese in tempo di crisi non è così semplice da gestire, chi pensa che ci siano cose da cambiare da sinistra, che si rimbocchi le maniche e che provi a lottare per i suoi obiettivi dal dentro della sinistra, come ha commentato Gian.
Però, se mi proponi di "prendere la piazza per una rivoluzione contro il sistema", (come hanno fatto loro), allora sì, allora chiaramente per aderire pretendo che tu abbia le idee chiare su cosa vuoi fare e come.

Default Grecia?


Torna d'attualità il caso della Grecia che, per un numero crescente di esperti finanziari, è sempre più a rischio default, ovvero rischia di non pagare i prossimi titoli in scadenza.

La pensano così le agenzie di rating e la pensa così la signora Lagarde, che forse sostituirà Strass-Kahn al Fondo Monetario Internazionale.
Ma come si è arrivati a questa situazione e come uscirne?
La Grecia ha esagerato, negli anni scorsi, con le spese, regalando soldi a tutti. In più i conti sono stati falsificati, mostrando una situazione molto migliore di quella vera.

Quando il socialista Papandreou è diventato primo ministro, ha raccontato la verità e affrontato una durissima realtà: con un deficit superiore al 10% del PIL, la Grecia non era in grado di rimborsare i titoli in scadenza.

Dopo qualche esitazione, il FMI e l'Europa sono corsi in aiuto della Grecia. In cambio dell'impegno a mettere a posto i conti, la Grecia ha ricevuto molti soldi, sufficienti a garantire il rinnovo del debito in scadenza per qualche anno.

Ma gli interventi, pesantissimi, per ridurre la spesa pubblica e mettere a posto i conti, stanno provocando un costante calo del PIL greco: con meno soldi in tasca, i greci spendono di meno e la produzione di beni e servizi diminuisce.
Così scatta l'allarme: se il PIL diminuisce, i conti pubblici non migliorano e l'appuntamento con l'insolvenza è solo rinviato. La Grecia troppo indebitata e con un PIL in calo non può rivolgersi ai mercati finanziari, che richiederebbero un tasso di interesse molto elevato.

E' una situazione paradossale: quanto più un paese è indebitato e i conti pubblici presentano deficit, tanto più alti sono i tassi di interesse richiesti e tanto più elevata è la spesa per interessi dello Stato che, invece, avrebbe bisogno di spendere di meno.

L'aumento dei costi per interessi poi spinge lo Stato a intervenire sui conti pubblici, riducendo la spesa o aumentando le imposte, misure che deprimono l'economia in un momento in cui sarebbe necessario l'esatto opposto, un aumento del PIL e quindi delle entrate fiscali.
La Grecia rischia quindi di non poter pagare i prossimi titoli in scadenza e di dover dichiarare l'insolvenza. Ma il ministro Lagarde esclude tale ipotesi, come riportato dal Sole 24 Ore (vedi qui).

E c'è da capirla: se la Grecia non pagasse, la crisi greca colpirebbe non solo l'economia ellenica, ma anche il resto d'Europa, a cominciare da Francia e Germania le cui banche hanno prestato parecchi soldi ai greci.

Occorrono dunque delle soluzioni alternative. Ma quali?
La soluzione forse più semplice e indolore sarebbe quella di allungare le scadenze del debito e di ridurre l'interesse. Igreci potrebbero pagare un interesse inferiore e più avanti nel tempo, dando la possibilità ai greci, nel frattempo, di rimettere a posto i conti pubblici, favoriti da una riduzione della spesa per interessi.
E' una soluzione ragionevole. La riduzione della spesa per interessi non può che giovare all'economia greca, ed è praticabile a patto che la BCE acquisti, se necessario, i titoli greci e a condizione che qualcuno garantisca le banche e i risparmiatori contro il rischio di insolvenza. In presenza di tale garanzia non ci sarebbe motivo di chiedere al governo greco il pagamento di un tasso di interesse elevato.

Ma chi garantirebbe il debito pubblico greco?

La soluzione opposta, estrema, consiste nell'insolvenza. Il mancato pagamento avrebbe effetti sconvolgenti sull'economia greca perchè fallirebbe, oltre allo Stato, anche le banche e anche sul resto d'Europa perchè interesserebbe molte banche europee.
Così chi pensa all'insolvenza propone due versioni "morbide". L'uscita dall'euro e il mancato pagamento parziale del debito.

L'uscita dall'euro è invocata come strumento per consentire ai greci una rapida ripresa dopo aver dichiarato bancarotta. Ma in tal caso si assisterebbe alla fuga dei capitali dalla Grecia che resterebbe un paese con una moneta (la dracma) svalutata e le casse desolatamente vuote.

Per questo il governo greco ha, nei giorni scorsi, smentito categoricamente l'ipotesi di uscita dall'euro.

Un'altra soluzione riguarda la riduzione del debito attraverso le privatizzazioni. Lo stato greco è proprietario di un gigantesco patrimonio fatto di società e di immobili. Si stima che il valore superi l'ammontare del debito, ovvero sia di circa 400 miliardi di euro.
Il governo greco si muove in questo campo con molta cautela. Ha promesso di recuperare 50 miliardi, e teme che le privatizzazioni comportino, almeno nel breve periodo, ulteriori cali del PIL. Chi comprasse le aziende greche sarebbe costretto a ridurre il personale, a tagliare i costi, a diminuire gli sprechi. Tutte scelte che scatenerebbero le proteste e causerebbe un ulteriore calo della domanda.

Per ora l'Europa pare puntare su questa soluzione: la Grecia deve impegnarsi di più nella privatizzazione e usare i soldi ottenuti per coprire i buchi di bilancio e, se possibile, per ridurre il debito pubblico.

Sarà sufficiente una maggior dose di privatizzazioni a cambiare l'opinione dei mercati sulla Grecia? E, soprattutto, potrà e vorrà il governo greco perseguire con maggior impegno la strada delle privatizzazioni per affrontare un problema che rischia di avere conseguenze pesanti per l'economia europea?

19 maggio 2011

Dominique Strauss Kahn

Arrestato per reati di natura sessuale, Dominique Strauss Kahn (DSK), economista e esponente del partito socialista francese, ha deciso di dimettersi dalla presidenza del Fondo Monetario Internazionale.

Una scelta obbligata visto che, nella migliore delle ipotesi, DSK non potrà svolgere il suo lavoro per molto tempo ed ormai è nota la sua passione forse esagerata per le donne.

I mass media hanno spiegato che DSK si sarebbe candidato nel 2012 alla presidenza della Repubblica francese e che aveva buone probabilità di battere Sarkozy. L'arresto mette fine alla carriera politica di DSK e rappresenta un vantaggio per Sarkozy. Ma non c'è in ballo solo un'eventuale candidatura all'Eliseo.

Dieci giorni fa Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia nel 2001, in un articolo pubblicato da Affari & Finanza spiega a cosa lavorava DSK.

Da sempre critico verso il FMI e la Banca Mondiale che costringono gli stati a scelte economiche disastrose in nome del rispetto delle idee liberiste, tanto che chi non segue le indicazioni del FMI ottiene risultati economici migliori, Stiglitz osserva che la crisi pare aver incrinato le certezze del pensiero liberista e che DSK s'è fatto interprete delle critiche e della necessità di cambiare qualcosa nel modo di concepire le ricette economiche.

I punti su cui ha insistito sono tre.

Primo: il lavoro precario e flessibile non aiuta le economie, agisce anzi nella direzione opposta.
Me n'ero occupato due mesi fa (vedi questo post): la libertà di licenziare non comporta meno disoccupazione. Invece, come scrive Stiglitz "la crisi ha messo alla prova alcuni assiomi che imputano la responsabilità della disoccupazione alla rigidità del mercato del lavoro".

Secondo: anche i governi più liberali si stanno convincendo che si devono regolamentare i mercati finanziari e porre un qualche limite ai movimenti di capitali.
Se ciò avvenisse assisteremmo a un cambio radicale, che metterebbe in pericolo le teorie dominanti e gli interessi del settore bancario e finanziario.

Terzo: si evidenzia "il legame che il FMI ha prospettato tra ineguaglianza e instabilità". Le diseguaglianze sono causa di molti problemi, ma una parte consistente del mondo politico ed economico preferisce non vederli.
Se i politici (e gli economisti) prendessero atto di queste banali verità e agissero di conseguenza, molti interessi sarebbero minacciati in nome di un'economia meno instabile.

Una maggiore sicurezza contro il rischio del ripetersi di un crollo come quello del 2008 si otterrebbe limitando la libertà di azione delle banche, dei mercati finanziari, delle grandi imprese che licenziano un lavoratore quando desiderano, forti di teorie economiche sbagliate, e dei capitalisti che si spostano ogni giorno con fini speculativi.

Enormi interessi, forse ostili a DSK e alle sue idee.

Se fossimo complottisti diremmo che l'hanno incastrato. Ma non lo siamo. E così ci limitiamo a notare che la caduta di DSK può far comodo a chi non vuol cambiare un mondo spregiudiato pieno di interessi difesi dalle teorie liberiste.

16 maggio 2011

Come si spiega la breccia di Pisapia?


Le elezioni amministrative di oggi (e ieri) indicano che il governo di centro-destra è in affanno. A Milano, capitale del nord e capitale economico-finanziaria d'Italia, Giuliano Pisapia sta battendo il sindaco uscente, Letizia Moratti, e proverà tra due settimane a diventare sindaco.

Sorprende il risultato perchè i sondaggi dicevano che Letizia Moratti era in testa di almeno un 4-5%. Invece Pisapia otterrà un 5-6% in più della sua avversaria.

Ma non è la sola sorpresa. A Torino è diventato sindaco Piero Fassino. Si pensava che non riuscisse a superare il 50% e fosse costretto a giocarsi l'elezione al ballottaggio. E invece vincerà con quasi il 57% dei voti, più del doppio dei voti ricevuti dal candidato di centrodestra.

Le possibili spiegazioni di questi risultati (e di tanti altri risultati elettorali nelle centinaia di comuni in cui si è votato) sono molte, ma su una vorrei concentrarmi: mentre il PIL tedesco sale a un ritmo superiore al 4%, in Italia siamo fermi. Loro escono dalla crisi, noi siamo immersi nella crisi.

Non c'è crescita e non si fa nulla per stimolarla. Berlusconi parla delle questioni che gli stanno a cuore ma ignora le sofferenze di milioni di persone con problemi di ogni genere, a cominciare da quello del lavoro. Tremonti è fedele alla consegna di non aumentare (almeno a parole) le imposte e, senza soldi, non spende nulla in più. Anzi spende di meno, taglia tutto il possibile.

"Se nel prossimo triennio non cambieranno radicalmente le cose, il futuro del nostro paese sarà definitivamente affossato", pensa un deputato italiano. Non un deputato qualsiasi, ma un deputato della Lega, l'alleato più fedele del Presidente del Consiglio e rappresentante di quel nord produttivo che oggi, con il voto, sembra voler avvisare Berlusconi che la misura è colma.

Ecco, forse basta una semplice frase, scritta qualche settimana fa in un periodico locale, per spiegare cosa succede davvero in Italia e perchè il centrodestra ha subito un duro colpo politico a Milano (e non solo lì).

14 maggio 2011

L'economia del Salone del Libro

Il Salone del Libro di Torino è un appuntamento classico per la città e gli editori di tutta Italia, che hanno a disposizione una formidabile occasione per presentare e vendere i loro prodotti multimediali.

Con quali conseguenze economiche?

Se lo sono chiesti gli organizzatori del Salone che hanno incaricato la fondazione Fizcarraldo di intervistare i partecipanti. Con risultati interessanti.

Oltre 300.000 persone visitano il salone. Di questi, quasi 29.000 sono studenti che arrivano con le scuole. Oltre 100.000 persone arrivano a Torino da altre regioni d'Italia, 50.000 dormono (in media) almeno tre notti in albergo e il 94% di questi dorme in un albergo di Torino.

Nel 2009 sono stati oltre 1400 gli espositori che hanno incassato oltre 14 milioni di euro.
9,5 milioni invece sono stati spesi tra alberghi e ristoranti, 1,5 milioni di euro sono stati spesi in trasporti, 1,7 in acquisti di vario genere libri esclusi.

Nel complesso il Salone del Libro genera una spesa di oltre 25 milioni più altri 32 nell'indotto.

Ma quanto costa tutto questo?

L'organizzazione spende circa 4,5 milioni per gli allestimenti, la pubblicità, per l'ospitalità, per il personale impiegato durante i 5 giorni della rassegna. Gli espositori spendono 2 milioni circa per gli allestimenti e oltre un milione per trasporti, alberghi e ristoranti.

Infine ci sono i contributi pubblici: circa 800.000 euro divisi tra Regione (376.000 euro circa) Provincia (95.000) e Comune (342.000) e altrettanti delle Fondazioni Bancarie piemontesi.

Soldi che restano nel territorio perché, come sottolinea la Fondazione Fizcarraldo, esiste una fitta rete di aziende da cui gli organizzatori del Salone acquistano i beni e i servizi di cui il Salone ha bisogno.

09 maggio 2011

Precisazioni sulla Cina

Qualche giorno fa un amico mi ha chiesto cosa ne pensassi di questo articolo di Superbonus, un dirigente bancario esperto in titoli di stato di paesi emergenti che scrive su Il fatto quotidiano.

Alcune sue osservazioni mi hanno lasciato a bocca aperta.

Stupisce leggere che "gli operatori finanziari occidentali mostrano .. ammirazione" per il dirigismo cinese che ha supportato la crescita economica, perchè il settore finanziario ha sempre invocato una maggiore libertà d'azione e poche imposte, giustificate dalla considerazione che le regole e le imposte spingono i capitali a spostarsi verso mercati più liberi.

Dunque c'è da sospettare che Superbonus riporta un'opinione condivisa -in realtà- solo da pochi o che non si rende conto che l'invocazione del dirigismo è ridicola e ha senso solo se viene espressa da operatori finanziari pentiti dal libero mercato. Pentiti perchè hanno subito perdite.

Meravigliano le previsioni di Superbonus e in particolare la previsione che "non arriveranno crolli improvvisi di aziende di credito, scandali finanziari incredibili, ci potrà essere qualche turbolenza". Infatti agenzie come Fitch (vedi qui) lamentano i crescenti rischi legati alla crescita dei finanziamenti alle imprese e non mancano gli allarmi su possibili bolle immobiliari in un paese che cresce a ritmi assai elevati.

E' vero che la Cina possiede rilevanti riserve di valuta straniera, ma che ruolo hanno?
In caso di crisi dell'economia cinese, parte dei capitali stranieri fuggirebbe. Sarebbe rimpiazzata dai capitali accumulati dai cinesi (le riserve), e tuttavia i cinesi non potrebbero fare troppo affidamento su questa risorsa perchè il contesto politico-economico cinese è molto diverso e più fragile di quello americano o europeo.

Chi investe euro o dollari in Cina vuole essere certo di poter convertire in qualsiasi momento la moneta locale in euro o in dollari. Senza questa certezza non investirebbe per non trovarsi in tasca yuan (la moneta cinese) che non ha lo stesso ruolo sui mercati internazionali. Per questo motivo la Cina ha bisogno di abbondanti riserve in valuta straniera, che garantiscono la convertibilità dello yuan.

Dunque, se la Cina usasse le riserve in valuta, poi come potrebbe garantire gli investitori stranieri? Le riserve, se sono davvero tali, è meglio non toccarle.

Appare risibile la considerazione che "l'eccessiva esposizione al settore immobiliare di alcuni istituti di credito è stata corretta con provvedimenti su misura, alzando i coefficienti di riserva obbligatoria solo a quattro banche". Basterebbe ricordare che Lehman (come avevo segnalato qui) disponeva di ottime riserve per capire che non basta modificare i coefficienti di riserva per stare tranquilli. Superbonus sembra non conoscere le conseguenze della bolla immobiliare giapponese, che ha paralizzato l'economia giapponese per un decennio, o il ruolo degli immobili nella crisi asiatica iniziata nel 1998.

Sembra infine ingenua l'osservazione che la banca centrale cinese controlla la base monetaria. Forse altrove non succede?

Rispetto ai paesi occidentali la Cina opera, ancora una volta, in uno scenario ecnomico differente. Da noi i debiti pubblici sono così elevati che un aumento dei tassi causerebbe ulteriori difficoltà per l'economia.

In Cina invece occorre tenere sotto controllo l'inflazione. La banca centrale perciò aumenta i tassi di interesse, senza dimenticarsi di concedere credito alle imprese manifatturiere, capaci di creare molti posti di lavoro.

Si applica una politica monetaria selettiva, generosa verso taluni tipi di impresa, meno verso altri. E' una politica che concede credito alle aziende manifatturiere perchè creano posti di lavoro e diffondono in benessere presso la popolazione più povera, con effetti positivi, per il regime comunista, sul piano politico.

Da noi invece gli interessi sono diversi e le banche centrali non si fanno scrupolo a concedere soldi a chi li userà per comprare titoli di stato o speculare su cambi, materie prime, azioni o derivati. I soldi si assegnano con aste in cui vince chi offre le condizioni migliori. Non importa che uso se ne farà, se sono impiegati per speculare in borsa o creare posti di lavoro.

Se anzi i soldi finiscono per finanziare il debito di imprese e stati, tanto meglio. Lehman o l'Argentina hanno insegnato che con i debiti non si scherza.

Insomma la Cina vive in una realtà economica molto diversa dalla nostra, che richiede scelte di politica economica differenti e non -per forza- migliori, come sembra suggerire l'editorialista de Il Fatto Quotidiano.

08 maggio 2011

"Me entregue la hoja de reclamación!"

"Hoja de reclamación"1 (foglio di reclamazione), è uno strumento a tutela dei consumatori, del quale non avevo mai sentito parlare in Italia.
Si tratta di un foglio (in realtà sono 3, anche se la parola viene normalmente utilizzata al singolare), che serve per denunciare al "departamiento de Consumo", (una specie di ministero dei consumatori a livello regionale), un qualsiasi sgarbo, ritardo, scorrettezza, malfunzionamento ecc subita da un cliente per colpa di una qualunque impresa o azienda in generale, presente in Spagna.
Una piccolissima risorsa in più che secondo me permette al consumatore di usufruire di servizi e di un trattamento migliori.Molte volte infatti in Italia ho visto gente lamentarsi per un bene o un servizio scadente, senza poter avere (a meno di non immischiarsi in chissà quali nassi burocratiche), nessun risarcimento o sostituzione del prodotto.
Al contrario per uno spagnolo, fare la voce grossa contro un'impresa è molto più semplice ed immediato, gli basta la parola magica "me entregue la hoja" , ed il gioco è fatto (entregar signifca consegnare, ma spesso si usa anche al posto dell'italiano "dare", perchè in spagnolo il verbo dar suona un pò più informale di entregar).

Come dicevo è composto da 3 fogli: uno bianco, dove scrive il cliente insoddisfatto, uno rosa che viene consegnato all'amministrazione dell'impresa, ed infine uno verde che viene spedito appunto al dipartimento competente.
Il cliente scrive sul bianco, gli altri stanno sotto, e la scritta compare anche su di essi come ricalco.
Il foglio è suddiviso in due spazi: uno in cui scrive l'autore della protesta, nell'altro il personale "accusato" può scrivere la sua versione dei fatti.
Indipendentemente dal fatto che un lavoratore ritenga lecita o meno la lamentela, ogni volta che gli viene richiesto un foglio di reclamazione, è obbligato a concederlo, altrimenti il cliente ha diritto per legge anche a richiedere l'intervento della polizia.
Una volta reclamato, il dipartimento è tenuto a rispondere prendendo una decisione. Dando ragione ad una parte o all'altra.

Se proprio gli si volesse trovare un difetto esso potrebbe essere il fatto di non presentare un carattere vincolante.
L'impresa infatti può benissimo rifiutarsi di pagare un risarcimento stabilito dal dipartimento.

Tuttavia non lo ritengo uno strumento inutile, per due motivi:
1- Se il cliente vuole insistere lamentandosi per altre vie, il fatto di poter accreditare che anche il dipartimento del consumo gli aveva dato ragione, è sicuramente un bel punto a suo favore.
2- Come dicevo prima, una copia rimane all'impresa. Ricordiamoci che spesso chi si trova a contatto col pubblico in un'azienda non è il datore di lavoro, ma un dipendente.
E' chiaro quindi che quest'ultimo cercherà di evitare lamentele: il capo non farà certo i salti di gioia se vede che un suo lavoratore crea problemi con la clientela!

Infatti posso dire per esperienza che il più delle volte se si crea un litigio, basta solo la minaccia di reclamare e subito la contro-parte abbassa la cresta e accetta le richieste del cliente.

Vediamo ora un caso concreto, (per quanto molto banale):

Alla mia fidanzata qualche anno fa era stato regalato da sua madre un reggiseno.
Accorgendosi dalla taglia, senza aprire la busta, che per lei era piccolo andò al negozio a farselo cambiare.
Al negozio la commessa ha una reazione abbastanza curiosa:
Apre lei stessa la confezione dicendo:
-Ma come non ti stà? Ma te lo sei almeno provato?! Provatelo vedrai che ti stà bene, sono sicura

Poi però una volta comprovato che oggettivamente non era della sua misura, si rifiutò di cambiarglelo perchè "ormai s'era aperto".
-Ma io l'avevo riportato chiuso, è stata lei ad aprirlo!! Poi in tutti i negozi si cambiano le cose se dopo che uno se le prova non gli stanno bene.
-Ma che dici!? Ma che in negozi sporchi vai!

Se fosse capitato a mia madre in Italia, non le sarebbe probabilmente rimasta altra scelta che andarsene via sbattendo la porta e rimanendo con un pugno di mosche.
Invece in Spagna è possibile farsi dare il foglio di reclamazione.

Conclusione:
L'impresa rispose
molto prima del dipartimento, scusandosi per l'arroganza e la mancanza di rispetto mostrate dalla sua dipendente, assicurando che episodi del genere non si sarebbero verificati di nuovo, e riconoscendole il diritto di sostituire il prodotto in questione.

Come dicevo, una piccola risorsa in più può garantire servizi e trattamenti migliori.

06 maggio 2011

Perchè l'idraulico costa caro ?


Durante una conferenza stampa il ministro Tremonti ha spiegato uno dei paradossi dell'economia: costa meno un biglietto aereo che fare la spesa.

Un computer portatile nel 2000 costava quasi 3 milioni di lire (1500 euro). Oggi un portatile costa 400 euro, il 70% in meno, mentre i generi alimentari non subiscono lo stesso fortunato percorso, anzi il loro prezzo aumenta. Come si spiega?

Una risposta è stata data molti anni fa da un economista americano, William Baumol.

Immaginate che un bene A costi 20 euro. 10 euro pagano i costi del materiale, delle attrezzature usate per produrlo, il capitale impiegato, le imposte, il profitto dell'impresa . Gli altri 10 euro invece pagano il lavoro di chi produce il bene A. In sintesi: 10 euro coprono diversi costi (chiamiamoli "costi vari" per unità di prodotto) e 10 euro il lavoro.

Ora supponiamo che per effetto di un'innovazione tecnologica l'azienda raddoppi la produzione del bene A. La quantità di lavoro è sempre la stessa, ma si produce il doppio.
Come si distribuisce l'aumento di produttività?

Se l'impresa vendesse due unità del bene A a 20 euro ciascuna, con "costi vari" pari a 10 euro per ogni unità, il lavoro è pagato 20 euro. L'aumento della produttività si traduce in un aumento delle retribuzioni.

Ora immaginiamo un altro bene, B, che non beneficia nel corso del tempo di alcun aumento di produttività grazie alla tecnologia. Serve sempre la stessa quantità di lavoro per produrre lo stesso bene o offrire lo stesso servizio. E' il caso degli insegnanti che impiegano sempre lo stesso tempo per spiegare Dante o dell'infermiere che assiste un paziente.

Mentre il lavoratore che produce il bene A vede il suo stipendio aumentare da 10 a 20, il lavoratore che produce il bene B non può contare sull'aumento di produttività per avere un aumento di stipendio. Può però chiedere uno stipendio più alto, minacciando in caso contrario di passare al lavoro meglio retribuito.
Ma se aumenta la retribuzione, il prezzo del bene B non può che aumentare.

Nella realtà accade che le imprese possono diminuire il prezzo del bene per rendersi più competitive. Il prezzo del bene A scende a 18 euro. Con costi vari pari a 10, la retribuzione del lavoratore sarà pari a 16. Una parte dell'aumento di produttività si trasforma in aumento delle retribuzioni e un'altra in minor prezzo.

Ecco spiegato il paradosso (apparente) di Tremonti: il prezzo di certi beni e servizi non può che aumentare, mentre il prezzo di altri beni diminuisce.

Ed ecco perchè l'idraulico o l'imbianchino costano cari: non possono beneficiare di aumenti della produttività e far pagare di meno il servizio che offrono.

Il modello di Baumol spiega anche i costanti aumenti della spesa pubblica: lo stato offre servizi come scuola, sanità, giustizia, esercito che non beneficiano di consistenti aumenti di produttività. I costi aumentano e questo fenomeno prende il nome di malattia dei costi di Baumol.

04 maggio 2011

Le idee di Gino

Riceviamo e pubblichiamo un testo dell'amico Gino Selmi
Trovate le sue idee qui: http://digilander.libero.it/selmigino

Cari gestori di questo spettabile Blog,

a mio parere nelle robe monetarie, così come si può fare a meno dell’Oro, si può fare a meno anche delle Banche Centrali.

Questo ci risparmierebbe molti problemi e molti rompiscatole (i “signoraggisti”). Ovviamente bisogna trovare anche il modo di elimiare le inevitabile ruberie del “Governo” (ma di questo potremmo parlare un'altra volta).

E’ vero che agli occhi di un singolo uomo immerso nella storia di secoli, il sistema moneta-banche-finanza può apparire come una intangibile creazione divina o comunque al di fuori di un possibile intervento individuale e persino del governo di una singola nazione. Però chiunque può “immaginare” qualunque cosa a livello di organizzazione umana e sarà poi la forza dei tempi e dei popoli che accoglierà o a respingerà queste robe. Sono robe che nascono certamente come utopie (lo furono l’illuminismo, il comunismo, l’ecologismo, ecc.ecc).

Provo perciò ad immaginarmi la storia di un lontano pianeta, scarsissimamente abitato e dove non esistano beni durevoli e frazionabili a piacere che possano fungere da moneta (come l’oro o le penne di pavone o i semi di cioccolata) cioè come beni intermedi per le operazioni di baratto.

* * *

Tizio e Caio erano gli unici abitanti del pianeta X. Tizio allevava mucche bevendone il latte e mangiandosene una ogni tanto (ma non riusciva mai a finirla prima che marcisse). Caio invece allevava galline, ne friggeva le uova e pure lui ogni tanto ne spiumava qualcuna.

Tizio e Caio si guardavano in cagnesco, ma un giorno ebbero voglia di cibarsi dei prodotti del vicino, così inventarono il baratto. Una volta stabilito che una bottiglia di latte valeva 5 uova, scambiare uova con latte fu facile. Stabilirono anche (dopo molte liti e discussioni) che una gallina valeva 100 uova e che una mucca ne valeva 10.000. (usarono l’uovo come unità di riferimento perché era il bene di minor valore e quindi comodo per far di conto).

Però c’era un problema. Se Caio voleva comperare una mucca doveva accumulare 10.000 uova e nel frattempo molte sarebbero marcite; oppure doveva consegnare 100 galline. In ogni caso cosa se ne sarebbe fatto Tizio di 10.000 uova o 100 galline tutte in una volta? E non era il caso di mangiare assieme la stessa mucca evitando di farne marcire inutilmente una buona parte?

Quindi era opportuno che Caio consegnasse gradualmente le uova e le galline a Tizio, in parte barattandole col latte e in parte da accumulare in vista della prossima mezza mucca. Se poi all’ammazzamento della mucca l’accumulo di uova-galline non corrispondesse alle 5000 uova-valore, si convenne che Tizio avrebbe fatto credito a Caio coprendosi con le successive consegne di uova e/o galline.

Per non far casino, Tizio e Caio si comprarono due bei quadernini a quadretti piccoli per scriverci sopra quanto dato e quanto ricevuto dal vicino aggiungendo di fianco ad ogni bene il corrispondente valore espresso in uova e tenendone aggiornato il totale progressivo. Così entrambi sapevano se erano a credito o a debito reciproco e si regolavano di conseguenza (volendo naturalmente tendere al pareggio nel medio termine). Ecco come nacque la moneta denominata “uovalore” che poi è diventata la moneta universale dell’intera Galassia che ha dato il natale al pianeta X.

Un bel giorno un’astronave si sfracellò sul pianeta X e ne uscì quasi incolume Sempronio il quale, poveretto, per campare, di nulla disponendo, si cibava delle poche lumache che riusciva a catturare. Sempronio era talmente debole che si trascinava carponi e non era in grado di fare nulla. E dire che avrebbe potuto costruirsi una barca, mettersi a pescare e avere così di che sostenersi decentemente e magari mettersi pure a scambiare beni con Tizio e Caio così variando la dieta di tutti con vantaggio generale.

Tizio e Caio si resero conto della cosa e dissero: “E se gli facessimo credito? Magari per un po’ dovremo ridurre i nostri consumi, ma se Sempronio si rimette in forze, si fa una bella barca e si mette a pescare noi poi ci rifacciamo sul pescato” Così comprarono un quadernino a quadretti piccoli anche per Sempronio che così poté mangiare a credito intanto che diventava un valente pescatore con vantaggio suo e di tutta la comunità.

Certo la contabilità nei quadernini era diventata assai complicata, e quando si ripresentò una situazione analoga con Asdrubale (anche lui caduto dal cielo con la sua astronave), Tizio, Caio e Sempronio pensarono ad un sistema diverso.

Innanzitutto stabilirono che il consesso degli abitanti di X era una persona giuridica denominata “Governo” dotata del potere di regolamentare gli scambi economici e di stimolare la produzione di beni (così come Tizio e Caio avevano fatto con Sempronio).

Poi decisero che un “uovalore” potesse essere “rappresentato” da un sassolino bianco firmato e garantito dal Governo (s’era trovato un sistema quasi perfetto per contrassegnare i sassolini in modo che nessuno potesse fare dei falsi).

Di questi sassolini firmati se ne fecero tanti quanto era il valore in uova dei beni durevoli posseduti dagli abitanti, cioè le mucche, le galline e la barca di Sempronio (valutata con estenuanti trattative). Poi si diedero ai tre abitanti tanti sassolini quanto era il valore dei loro beni, compensando però le situazioni di reciproco debito-credito così come annotate nei quadernini (ovviamente si potevano usare anche criteri diversi a seconda della prepotenza e della forza dei protagonisti dell’avvenimento).

Da quel momento si poterono usare i sassolini-moneta (denominati “uovalore”) per scambiarsi i beni con comodità. Inoltre si ebbe il grandissimo vantaggio di lasciare al “mercato” il compito di stabilire il rapporto di valore fra i beni, così che anche l’uovo poté valere, che so, due uovalore o magari mezzo uovalore a seconda della benevolenza delle galline nel rifornire il mercato. Ecco quindi una moneta (come il dollaro o l’euro) nata però da una prassi contabile (e non dall’oro) anche se ovviamente in origine si partì dal rapporto di valore attribuito a certi beni. Tuttavia dovrebbe essere ben chiaro che non solo lo “uovalore”, ma qualsiasi moneta non convertibile non è altro che una “registrazione contabile” che ha perduto il suo rapporto con l'originario bene reale.

In questa situazione, quando precipitò dal cielo il prima citato Asdrubale (=risorse produttive inutilizzate) , il Governo fece il “keynesiano”, prese cioè dei ciotoli bianchi, li firmò trasformandoli in “uovalore”, li prestò ad Asdrubale che, rimessosi in forze cibandosi di uova, carne e latte, dissodò un terreno e diventò coltivatore di cereali con beneficio di tutti e poi pian piano restituì al Governo il prestito ricevuto.

Peccato che nel frattempo il Governo fosse diventato simile ai nostri governi e che il capitale restituito da Asdrubale, invece d’andare a diminuzione delle tasse o impiegato fosse per qualche nuova e bella impresa, finisse poi nelle tasche di qualche furbone questo a dimostrazione del fatto che non è mai il caso di fare i rivoluzionari a metà.

Un buon sistema è come una buona ricetta: non è tanto la bontà del singolo ingrediente che conta, ma la bontà dell’insieme degli ingredienti.

Pare poi che persino lo stesso Keynes si fosse dimenticato d'avvertire che, in caso si manifestassero eccessive tensioni inflazionistiche, si doveva distruggere denaro quanto necessario prelevandolo dalle tasse. Ovviamente, così come generando nuovo denaro (a beneficio della collettività) necessariamente si beneficano più questi che quelli, così si deve decidere come ripartire il sacrificio qualora fosse opportuno distruggere danaro.

Il denaro d'oggidì non è un bene dotato di valore, è solo una registrazione contabile e perciò lo si può distruggere senza problemi, anche perchè, nel caso s'esagerasse, lo si può sempre ristampare.

02 maggio 2011

I (tanti) soldi della Chiesa

Ieri Giovanni Paolo II è stato beatificato, primo passo verso la santità.

Centinaia di migliaia di persone sono arrivate a Roma e hanno riempito prima il Circo Massimo e poi Piazza San Pietro, via della Conciliazione e numerosi altri luoghi dove sono stati allestiti maxi-schermi per trasmettere l'evento.

Chi paga? Noi, naturalmente.

Il poco elegante sindaco di Roma spiega di aver speso 4 milioni e 625 mila euro, al netto dei 370.000 euro versati dall'Opera Romana Pellegrinaggi come riporta Corriere.it (vedi qui). Alemanno chiede perciò al governo di intervenire, come promesso (vedi qui).

In sostanza la Chiesa organizza e una parte consistente dei costi la paga il contribuente, anche se segue una religione diversa o non gli impora nulla della religione e della beatificazione di Carol Woytila.

Tutto ciò, però, non deve stupirci. Infatti ogni anno la Chiesa incassa molti soldi, grazie all'otto per mille. I soldi di chi vuole dare l'otto per mille alla Chiesa e anche i soldi di chi non sceglie di dare i soldi al Vaticano.
Basta che un contribuente non metta la firma sulla dichiarazione dei redditi perchè i soldi finiscano, in gran parte, comunque alla Chiesa cattolica.

All'otto per mille, invenzione di Tremonti quando il suo riferimento politico era il presidente del Consiglio Craxi, si aggiunge il 5 per mille che può essere destinato a realtà religiose.

L'elenco dei beneficiari (vedi qui) è lunghissimo e rivela che Radio Maria, che propaganda 24 ore su 24 una religione assai conservatrice, incassa oltre 2 milioni e 250 mila euro l'anno. Oltre un milione va alle missioni Don Bosco e così via.... compresi gli 875 mila euro dei testimoni di Geova.

Soldi che si aggiungono all'otto per mille. Ci aspetteremmo una Chiesa che, piena di soldi, paga le proprie spese. Ma non succede!

Ci sono pure i soldi degli enti locali. Non solo per finanziare eventi particolari, come successo ieri a Roma, ma anche per finanziare le attività ordinarie.
Ad esempio la Regione Liguria ha finanziato "a pioggia" gli oratori come testimonia questo documento (vedi qui). 600.000 euro suddivisi in un'infinità di piccoli contributi a centinaia di parrocchie e istituti religiosi, con annesso scandalo.

Già perchè, come racconta il Secolo XIX (vedi qui), il vescovo di Savona è indagato per non aver controllato come venissero impiegati i soldi dopo che un parroco, vistosi rifiutare il contributo, ha spulciato l'elenco e ha scoperto che in molti casi si finanziava un oratorio che non esisteva.

Ma allora perchè le parrocchie ricevevano i contributi? Il vescovo savonese, già infastidito in passato da vicende di pedofilia di suoi sottoposti, ha preferito non rispondere agli inquirenti. Meglio non parlare troppo, specie dei modi in cui i soldi dei contribuenti finiscono nelle tasche della Chiesa...

Link Interni

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...