30 novembre 2011
Due pesanti eredità del governo Berlusconi
Ci sono due pesanti eredità del precedente governo che rischiamo di pagare per anni e di cui pochissimi parlano.
La prima eredità ce l'ha lasciata il supponente ex ministro dell'economia Giulio Tremonti: tassi di interesse elevati sil debito pubblico. Non si tratta solo di tassi dipendenti dal famoso spread, salito rapidamente negli ultimi mesi al crescere dell'incapacità del governo di prendere provvedimenti. Tremonti è "colpevole" per così dire di non aver approfittato dei tassi di interesse bassi in vigore fino a poco tempo fa.
Il prossimo anno scadranno titoli del debito pubblico per oltre 400 miliardi. Più alti sono i tassi che pagheremo, maggiori saranno i sacrifici da compiere negli anni successivi. Tremonti avrebbe potuto anticipare le aste, decidendo di rinnovare quei titoli quando i tassi erano bassi, ma non l'ha fatto, ignorando gli inviti in tal senso che arrivavano anche da Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia.
Così ci troviamo a fare i conti con tassi elevati da applicare a un pezzo consistente del nostro debito pubblico e forse ricorreremo a un mega prestito del FMI o della BCE per ottenere capitali a tassi più bassi e limitare la spesa per interessi.
La seconda eredità deriva dalle scelte dell'EBA, l'autorità bancaria europea, che ha fatto scelte che penalizzano le nostre banche. Per capire cosa ha deciso l'EBA occorre fare aprire una piccola parentesi: quando una banca compra un titolo e lo paga 100 ma poi il valore del titolo cambia, dovrebbe aggiustare l'importo nel bilancio. Se il titolo a fine anno vale 90, nel bilancio si dovrebbe indicare un prezzo di 90, con conseguente perdita.
Si dovrebbe ... ma non sempre si fa. A volte si fa finta che il titolo comprato a 100 continui a valere 100 e si rinvia al futuro un'eventuale svalutazione, nella speranza magari che il titolo torni a valere 100.
Perché succede? Perché non fa piacere a nessuno avere bilanci in perdita e subirne le conseguenze. Così chi può cerca di imporre, specie in un momento di crisi, i criteri più convenienti per le proprie banche.
L'EBA, l'autorità bancaria europea, ha di recente deciso che le banche che possiedono titoli di stato a fine anno dovranno inserirne in bilancio il valore di mercato. Vale a dire se un titolo vale 90, ma è stato comprato a 100, devono scrivere 90 nel bilancio e fare aumenti di capitale, se serve, per coprire le perdite. Ma se hanno derivati di scarso valore possono continuare a far finta che non abbiano perso valore.
Tali criteri, assai discutibili, colpiscono particolarmente le banche italiane e spagnole ed è passato con l'assenso del nostro passato governo, mentre i benefici riguardano i paesi dell'Europa che conta, dalla Francia alla Germania passando per l'Inghilterra.
Ed è un'eredità che paghiamo due volte. La prima volta perché le nostre banche sono costrette a fare aumenti di capitale non richieste agli istituti di altri paesi e la seconda volta perché le banche sono stimolate a vendere i nostri titoli di stato, visto che il loro possesso comporta perdite da registrare nel bilancio, e questo contribuisce a far salire gli spread.
Perchè Tremonti e Berlusconi hanno fatto errori così clamorosi?
29 novembre 2011
Banche vs Elettori
La crisi economica e finanziaria, trasformatasi poi anche in crisi del debito pubblico di vari Paesi, che ha fatto cadere governi, costretto politici a prendere decisioni impopolari, fatto cadere la fiducia nelle banche e nella politica, pare stia diffondendo una visione del mondo distorta, simile a quella propagandata da tempo da certi complottisti.
Mi riferisco ad esempio all'idea sempre più radicata, almeno qui in Spagna, che i governi non decidono niente, che tutto viene ordinato dai boss della finanza, e che quindi che in Parlamento ci sia una maggioranza o un'altra non cambia niente, per lo meno sul piano economico.
Pochi giorni fa un professore di Storia Politica e Sociale della Spagna Contemporanea, riferendosi ai mercati finanziari, dice in classe "hanno già fatto due colpi di Stato in Italia e in Grecia, qui da noi non lo hanno fatto perchè non ce n'era bisogno visto l'esito scontato delle elezioni".
M'è venuto spontaneo rispondere: "in Spagna ci sono stati più colpi di Stato che elezioni, capisco che vediate golpe dappertutto, però se si controllasse Costituzione spagnola alla mano, sono sicuro che neppure in Spagna risulterebbe poi così sovversivo un semplice governo tecnico".
Idee simili le ho sentite ripetere varie volte qui a Madrid, ma ogni tanto le ho lette anche in commenti di visitatori di questo blog.
Comunque, la frase del professore mi ha dato uno spunto interessante, perchè se davvero in Spagna il "golpe" non c'è stato perchè le banche sapevano che tanto vinceva Mariano Rajoy, ciò implica che tali banchieri erano favorevoli alla vittoria del PP...
Perchè se è stata questa convinzione a farli rinunciare al "golpe", significa che quello di Rajoy era il governo che piaceva a loro, è ovvio.
Qualcosa però non quadra. Come mai allora la prima reazione dei mercati all'elezione della destra spagnola, non è stata una festa? Avrebbero dovuto accogliere il loro beniamino che gli ha risparmiato la fatica di fare un colpo di Stato ed invece....
Come viene segnalato ad esempio qui appena saputa la vittoria di Rajoy la borsa spagnola cade e lo spread ("prima de riesgo" in spagnolo, vista l'inettitudine congenita degli spagnoli verso le lingue straniere ereditata da 40 anni di dittatura ultra-nazionalista), vola toccando i 450.
Insomma il Partido Popular ottiene un trionfo completo con tanto di maggioranza assoluta dei seggi del parlamento, cosa che in Spagna avviene solo in casi eccezionali, infatti soltanto nella legislatura 1988-1992 ci fu un'altra maggioranza assoluta, del PSOE in quel caso.
Allora, se ha stra-vinto un candidato che non piace agli investitori, i casi sono due: o si sono confusi questi banchieri padroni del mondo, o evidentemente questa dittatura finanziaria è una bufala.
Se non si vogliono subire ingerenze da parte dei mercati, la soluzione sarebbe semplice secondo me: indebitarsi poco.
La gente in Europa si sottovaluta, pensa che non conta niente, "la crisi è tutta colpa delle banche".
Invece no, secondo me è colpa anche delle scelte che fa ognuno di noi: chi vota partiti irresponsabili o completamente immorali, chi cerca la raccomandazione per un posto pubblico, chi evade il fisco, chi si disinteressa da sempre della politica per poi indignarsi in piazza tutto d'un tratto quando la crisi è già arrivata (dopo che magari ha applaudito tagli d'imposte o aumenti della spesa pubblica senza ovviamente indignarsi), chi si disinteressa delle disuguaglianze sociali che rendono i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi...ed un lungo eccetera, sono colpevoli eccome.
Nella foto Mariano Rajoy osservando i dati dello spread spagnolo dopo la sua elezione (scherzo, però la foto è sua davvero).
Mi riferisco ad esempio all'idea sempre più radicata, almeno qui in Spagna, che i governi non decidono niente, che tutto viene ordinato dai boss della finanza, e che quindi che in Parlamento ci sia una maggioranza o un'altra non cambia niente, per lo meno sul piano economico.
Pochi giorni fa un professore di Storia Politica e Sociale della Spagna Contemporanea, riferendosi ai mercati finanziari, dice in classe "hanno già fatto due colpi di Stato in Italia e in Grecia, qui da noi non lo hanno fatto perchè non ce n'era bisogno visto l'esito scontato delle elezioni".
M'è venuto spontaneo rispondere: "in Spagna ci sono stati più colpi di Stato che elezioni, capisco che vediate golpe dappertutto, però se si controllasse Costituzione spagnola alla mano, sono sicuro che neppure in Spagna risulterebbe poi così sovversivo un semplice governo tecnico".
Idee simili le ho sentite ripetere varie volte qui a Madrid, ma ogni tanto le ho lette anche in commenti di visitatori di questo blog.
Comunque, la frase del professore mi ha dato uno spunto interessante, perchè se davvero in Spagna il "golpe" non c'è stato perchè le banche sapevano che tanto vinceva Mariano Rajoy, ciò implica che tali banchieri erano favorevoli alla vittoria del PP...
Perchè se è stata questa convinzione a farli rinunciare al "golpe", significa che quello di Rajoy era il governo che piaceva a loro, è ovvio.
Qualcosa però non quadra. Come mai allora la prima reazione dei mercati all'elezione della destra spagnola, non è stata una festa? Avrebbero dovuto accogliere il loro beniamino che gli ha risparmiato la fatica di fare un colpo di Stato ed invece....
Come viene segnalato ad esempio qui appena saputa la vittoria di Rajoy la borsa spagnola cade e lo spread ("prima de riesgo" in spagnolo, vista l'inettitudine congenita degli spagnoli verso le lingue straniere ereditata da 40 anni di dittatura ultra-nazionalista), vola toccando i 450.
Insomma il Partido Popular ottiene un trionfo completo con tanto di maggioranza assoluta dei seggi del parlamento, cosa che in Spagna avviene solo in casi eccezionali, infatti soltanto nella legislatura 1988-1992 ci fu un'altra maggioranza assoluta, del PSOE in quel caso.
Allora, se ha stra-vinto un candidato che non piace agli investitori, i casi sono due: o si sono confusi questi banchieri padroni del mondo, o evidentemente questa dittatura finanziaria è una bufala.
Se non si vogliono subire ingerenze da parte dei mercati, la soluzione sarebbe semplice secondo me: indebitarsi poco.
La gente in Europa si sottovaluta, pensa che non conta niente, "la crisi è tutta colpa delle banche".
Invece no, secondo me è colpa anche delle scelte che fa ognuno di noi: chi vota partiti irresponsabili o completamente immorali, chi cerca la raccomandazione per un posto pubblico, chi evade il fisco, chi si disinteressa da sempre della politica per poi indignarsi in piazza tutto d'un tratto quando la crisi è già arrivata (dopo che magari ha applaudito tagli d'imposte o aumenti della spesa pubblica senza ovviamente indignarsi), chi si disinteressa delle disuguaglianze sociali che rendono i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi...ed un lungo eccetera, sono colpevoli eccome.
Nella foto Mariano Rajoy osservando i dati dello spread spagnolo dopo la sua elezione (scherzo, però la foto è sua davvero).
28 novembre 2011
Le sempre meno esilaranti grullate economiche: l'Islanda
Come potrete leggere a questo link, il sempre più noto cabarettista sparapanzane economiche Peppino Grullo, ha pensato bene di venire allo scoperto con un'altra delle sue entusiasmanti esternazioni economiche sui massimi sistemi e sulle verità assolute.
Questa volta, ha voluto proprio superare se stesso, parlando della crisi islandese, dando anche dei dati, di cui non ho voluto verificare a priori la veridicità, limite mio, ma non mi piace perder tempo dietro comici che han cambiato mestiere (in peggio).
Ecco di seguito il testo integrale dell'intervento:
"L'Islanda si rifiutò nel 2008 di salvare le sue banche avviate al fallimento. Il debito era in gran parte verso investitori esteri. Per Olanda e Regno Unito ammontava a 4 miliardi di euro. Un referendum separò la responsabilità privata delle banche da quella pubblica dello Stato. Le tasse dei cittadini non vennero in soccorso delle banche. La moneta islandese perse subito il 25% sull'euro e il Pil arretrò del 10%. Dopo solo due anni di recessione la sua economia è ripartita. Nel 2011 crescerà del 2,6%. La disoccupazione è del 7% e l'interesse che riconosce per i suoi titoli pubblici è nettamente inferiore a quella dei Pigs. Un caso di studio!"
Ricordo che quei 4 miliardi di "debito estero" (non si capisce il perché specificarlo, quasi a voler assolvere, invece, il debito interno?) sono composti anche da fondi pensione di dipendenti pubblici (non certo lobbisti della prim'ora con tuba, cubano e conto alle Cayman). Queste persone, vedendosi negato il pagamento, ci han rimesso una parte considerevole della pensione e dei propri risparmi, quando non tutta, attratte com'erano, da una serie di banche che avevano avuto anche il bollino di qualità dalle autorità pubbliche islandesi che avrebbero dovuto vigilare (ecco il fondamento giuridico per considerare quel debito come nazionalizzabile).
Ma le tavanate non si limitano a questo. Subito dopo, inizia a sciorinare dati su inflazione (limitandosi all'anno del collasso, non a quella che c'è stata in tutto il periodo), pari al 25%. Il mese prima compravo un articolo con l'equivalente di 100 €, quello dopo serviva l'equivalente di 125 €, che bella questa giustizia sociale per/degli islandesi, ne?
Leggiamo anche che il PIL arretrò del 10%. Una cosa mica da ridere, ma se a dirla è un comico, ha un sapore perfino allegro, vero?
Poi abbiamo la perla che incarna Grullo ed il suo movimento, il pressapochismo intellettuale sconfinato, riassumibile nella frase "Dopo solo due anni di recessione...", come dire, "che sarà mai?".
Analizziamo ora la parte sulla crescita; premesso che Grullo dedica il 90% dei suoi post a controbattere i termini "crescita" e "pil", da lui quasi sempre definiti con connotazione negativa, sorprende leggerli declinati positivamente. L'altra novità è che adesso Grullo considera anche affidabile al 100% il tasso di inflazione, visto che anche in Italia è sul 10%, ma quella giovanile è al 30... Grullo, se leggi, quant'è quella giovanile in Islanda? Lo sai? Non si trova facilmente un dato del genere, ne?
A parte questa considerazione, lo pseudoeconomista parla di una crescita del 2,6% del PIL, possiamo ipotizzare che sia il PIL decurtato del 10% rispetto a quello pre crisi. Facendo due rapidi conti, ponendo che il tasso del 2,6% di aumento del pil decurtato del 10%, sia costante, ci vorranno più di 4 anni per tornare ai soli livelli pre crisi, che vanno sommati ai due anni dichiarati con tanta leggerezza da Grullo come periodo di recessione, che in totale fanno più di sei anni per ritornare solo ai livelli del 2008.
Che dire? Dopo vent'anni di berlusconismo mi pare sempre più vero quel che diceva Gaber, "non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me", ad indicare che il berlusconismo è una tendenza di molti italiani, che si manifesta anche a livello di partiti politici, visto che essi sono emanazioni della società. Vi sfido a trovare le differenze tra un articolo di questo tipo ed un qualunque articolo o uscita pubblica di Berlusconi in cui ci aveva abituato alla sua versione dei fatti ed alla storpiatura delle percentuali. Io non ne ho trovate.
27 novembre 2011
La possibile mossa della BCE
Perchè il 35% dei titoli emessi dalla Germania la scorsa settimana non sono stati collocati?
A mio parere la ragione è che non conviene comprarli. I titoli rendono meno del 2% annuo e sono denominati in euro. Se l'euro perde valore rispetto al dollaro, e non è improbabile che accada in poco tempo, l'investimento in bund non conviene. Si guadagnerebbe il 2% in un anno ma si rischia di perdere di più. Meglio allora comprare dollari o titoli di stato americani.
Implicitamente i mercati, se la mia interpretazione dei fatti è vera, pensano che l'euro perderà valore rispetto al dollaro. Perché?
La ragione immediata è che gli americani non comprano più titoli in euro, non prestano soldi alle banche europee e anzi si liberano dei titoli denominati in euro. Poi c'è un'altra ragione: forse i mercati pensano che in futuro l'euro perderà valore perchè la BCE prima o poi sarà costretta a creare moneta. E questo significa che l'euro perderà valore.
Eugenio Scalfari oggi racconta cosa starebbe per accadere: Mario Draghi, presidente BCE, sta lavorando per convincere le banche europee a accettare un gigantesco rifinanziamento di 1000 miliardi di euro per 2-3 anni.
Tempo necessario per ridare credibilità e far crescere le economie europee, creando quindi le condizioni per fare in modo che le banche europee, oggi piene di titoli di stato europei, si possano di nuovo finanziare sui mercati.
Oltre alla manovra servono precise garanzie da parte dei paesi europei. Devono crescere e non devono continuare a indebitarsi a un ritmo elevato. Altrimenti non si esce dallo stallo: le banche non riceveranno soldi dal resto del mondo e la sola via per diventare più credibili sarà quella seguita adesso: liberarsi dei titoli pubblici europei, mettendo in difficoltà i governi.
Dunque due settimane di tempo per convincere le banche a farsi finanziare, come accadde negli USA con il TARP, e per preparare o piani per mettere in sesto i conti pubblici. Ecco il perché del sospetto ritardo di Monti nel varare le misure di finanza pubblica e anche il perchè del rifiuto tedesco degli eurobond: potranno servire ma solo insieme a una serie di altri provvedimenti.
Questo è un possibile scenario che riuscirebbe a mettere a posto una serie di problemi: non è una soluzione temporanea, non richiede gli eurobond, non viola le regole del gioco, segue uno schema già testato (il TARP negli USA), affronta anche i problemi bancari oltre a quelli degli stati e impone limiti al debito e provvedimenti per la crescita e fa respirare l'economia europea. Inoltre è uno scenario compatibile con il finanziamento anche di stati da parte del FMI.
A mio parere la ragione è che non conviene comprarli. I titoli rendono meno del 2% annuo e sono denominati in euro. Se l'euro perde valore rispetto al dollaro, e non è improbabile che accada in poco tempo, l'investimento in bund non conviene. Si guadagnerebbe il 2% in un anno ma si rischia di perdere di più. Meglio allora comprare dollari o titoli di stato americani.
Implicitamente i mercati, se la mia interpretazione dei fatti è vera, pensano che l'euro perderà valore rispetto al dollaro. Perché?
La ragione immediata è che gli americani non comprano più titoli in euro, non prestano soldi alle banche europee e anzi si liberano dei titoli denominati in euro. Poi c'è un'altra ragione: forse i mercati pensano che in futuro l'euro perderà valore perchè la BCE prima o poi sarà costretta a creare moneta. E questo significa che l'euro perderà valore.
Eugenio Scalfari oggi racconta cosa starebbe per accadere: Mario Draghi, presidente BCE, sta lavorando per convincere le banche europee a accettare un gigantesco rifinanziamento di 1000 miliardi di euro per 2-3 anni.
Tempo necessario per ridare credibilità e far crescere le economie europee, creando quindi le condizioni per fare in modo che le banche europee, oggi piene di titoli di stato europei, si possano di nuovo finanziare sui mercati.
Oltre alla manovra servono precise garanzie da parte dei paesi europei. Devono crescere e non devono continuare a indebitarsi a un ritmo elevato. Altrimenti non si esce dallo stallo: le banche non riceveranno soldi dal resto del mondo e la sola via per diventare più credibili sarà quella seguita adesso: liberarsi dei titoli pubblici europei, mettendo in difficoltà i governi.
Dunque due settimane di tempo per convincere le banche a farsi finanziare, come accadde negli USA con il TARP, e per preparare o piani per mettere in sesto i conti pubblici. Ecco il perché del sospetto ritardo di Monti nel varare le misure di finanza pubblica e anche il perchè del rifiuto tedesco degli eurobond: potranno servire ma solo insieme a una serie di altri provvedimenti.
Questo è un possibile scenario che riuscirebbe a mettere a posto una serie di problemi: non è una soluzione temporanea, non richiede gli eurobond, non viola le regole del gioco, segue uno schema già testato (il TARP negli USA), affronta anche i problemi bancari oltre a quelli degli stati e impone limiti al debito e provvedimenti per la crescita e fa respirare l'economia europea. Inoltre è uno scenario compatibile con il finanziamento anche di stati da parte del FMI.
Il battesimo di Passera
Ottimo esordio per Corrado Passera il neo-ministro factotum del governo Monti.
Da anni si discute del futuro della fabbrica Fiat di Termini Imerese che chiuderà a fine anno. Si sa che arriverà Dr Motors ma era ancora in ballo il futuro di 640 dipendenti, non lontani dalla pensione.
Si chiedeva a Fiat di pagare almeno in parte i costi per accompagnare questi lavoratori alla pensione, ma le trattative erano in alto mare e dopo l'ultimo giorno di produzione molti lavoratori avevano presidiato i cancelli della fabbrica impedendo alle bisarche di portar fuori le ultime Ypsilon prodotte in Sicilia.
Poi le parti si sono riunite al ministero dello Sviluppo e l'accordo, in dubbio da mesi, è stato raggiunto in men che non si dica. Merito di Passera, secondo la Cgil. O forse del clima diverso, con un governo che non pensa a punire i lavoratori e i loro sindacati?
26 novembre 2011
Populismo
Martedì guardando Ballarò mi sono imbattuto in un sondaggio che chiedeva agli intervistati cosa ne pensassero dell'ICI.
Il 53% ha spiegato che è giusta ma solo se si applica ai grandi patrimoni. Il 27% invece ha detto che l'ICI è sbagliata.
Solo il 18% degli intervistati li giudica giusti.
Il populismo è una brutta malattia, ma, come mostra il sondaggio, non dipende solo dai politici. Dipende molto dagli elettori che, resisi conto della crisi, vogliono risolverla. Purché paghino altri.
24 novembre 2011
GROM
Qualche anno fa a Torino è nata una gelateria con un nome un pò particolare: Grom.
Grom è il cognome di uno dei due soci, due giovani che si sono buttati, come tanti, nel tradizionalissimo business del gelato.
Negli ultimi anni le gelaterie, a Torino, sono nate come funghi, ma Federico Grom (ex analista finanziario) e il suo socio Guido Martinetti (un passato da enologo) hanno fatto di più: hanno creato una catena di gelaterie.
In 8 anni sono passati da una sola gelateria a un piccolo impero fatto di 45 gelaterie proprie sparse in tutto il mondo e 10 in franchising.
Ieri hanno venduto il 5% della loro azienda per 2,5 milioni di euro a Illy Caffè, incassando oltre ai soldi anche l'implicita valutazione del loro lavoro: 50 milioni.
Non male per un business nato nel 2003.
I casi come GROM in Italia sono rari ed è un vero peccato. Siamo un paese ricco di attività commerciali che esaltano la qualità del cibo, dei prodotti e dello stile di vita italiana, ma non siamo capaci di creare reti di pasticcerie, gelaterie, pizzerie o ristoranti e esportare il modello vincente, la qualità di vita e i prodotti italiani.
Ci sono tanti ottimi ristoratori, ma pochi capaci di uscire dal ristorante o dalla pizzeria per trasformare un'impresa famigliare o individuale in una società che gestisce esercizi commerciali e esporta il business. Forse anche per questo cresciamo poco.
PS: ho fatto la coda un paio di volte per mangiare il gelato di Grom...e non mi è piaciuto
23 novembre 2011
Salta l'euro?
Da giorni si legge che l'euro è a rischio. Ma è difficile capire cosa voglia dire in concreto. Perchè pare difficile immaginare che ogni paese esca dall'euro senza conseguenze terribili (ne avevamo parlato qui), con fughe di capitali, disoccupazione e inflazione oltre ai problemi collegati alla riconversione di una parte degli euro in un'altra moneta.
Di certo se un paese tornasse alla vecchia moneta pagherebbe molto più cari i prestiti. Lo spread salirebbe e per questo pare preferibile restare nell'euro: meglio lo spread a 482 (il valore odierno) che a 750...
Non conviene neppure ai tedeschi che qualche paese, specie se industriale, esca dall'euro perché la Germania vende al resto dell'Europa più di quanto compra dal resto dell'Europa e se qualche paese uscisse diventerebbe più competitivo sul mercato tedesco e smetterebbe di comprare i prodotti tedeschi. Non solo: se qualche paese esce dall'euro, altri lo seguirebbero per competere con chi esce.
Per questo sono incomprensibili sia la posizione di chi pensa che l'euro abbia i giorni contati sia l'atteggiamento della Merkel. La Cancelliera tedesca pretende che i singoli paesi mettano a posto i propri conti pubblici come condizione per intervenire, parla di unione fiscale e di revisione dei trattati. Cose che richiedono mesi, mentre i capitali abbandonano i paesi in difficoltà con la velocità della luce.
Oggi è toccato alla Germania che, per la prima volta dopo decenni, non ha collocato il 35% dei suoi bund decennali. I mercati avvisano la Merkel? Oppure preferiscono altri titoli mettendo in conto la svalutazione dell'euro?
Se l'euro non crolla, l'Europa rischia di pagare tassi elevati sul debito pubblico, finendo in recessione forse a lungo. Potrebbe ricorrere all'emissione di moneta con cui acquistare i titoli del debito pubblico sui mercati secondari, con la BCE che usa tutti i poteri e l'indipendenza di cui dispone per aggirare i vincoli tedeschi.
In tal caso l'euro si svaluterebbe, come sta accadendo, e questo può spiegare perchè la domanda dei titoli di stato tedeschi è stata modesta (se l'euro si svaluta servirebbe un tasso più elevato per indurre gli investitori a scegliere titoli in euro).
Solo se la Merkel cambierà idea sugli eurobond, chiamati in modo diverso e emessi magari dal fondo salva-stati (di cui avevo parlato qui), la crisi si attenuerà. Più si aspetta più gli scenari peggiori diventano credibili e, soprattutto, più alto diventa il prezzo da pagare per collocare i titoli del debito pubblico di tutta Europa.
22 novembre 2011
L'avviso di Draghi
La scorsa settimana Mario Draghi s'è chiesto: che fine hanno fatto le garanzie sull'ESFS?
Ne avevo parlato qui : il fondo salvastati dovrebbe essere l'alternativa agli eurobond, non graditi a Berlino e a Parigi. La società lussemburghese emette bond garantiti dagli stati e poi presta a interessi ragionevoli ai paesi in difficoltà. In sostanza un eurobond sotto mentite spoglie con l'aggiunta che le garanzie sono degli stati. Quelli stessi stati che sono sotto pressione.
E' una situazione paradossale: i paesi dell'area euro garantiscono i fondo salvastati, ma se tutti, eccetto la Germania, sono sotto pressione, il solo paese che può davvero garantire gli altri è la Germania. Che ovviamente non può garantire per tutti.
Il fondo salvastati, una volta creato, andrebbe supportato con adeguate garanzie se si vuole che funzioni davvero. Si spera di finanziarlo con fondi dei paesi asiatici, Cina in testa, ma quei paesi sono restii se non hanno garanzie sul buon andamento delle economie europee.
Così il fondo è fermo. I tedeschi non vogliono intervenire senza che i paesi mettano a posto i loro conti, ma questi senza aiuti vedono la spesa per interessi crescere e faticano ancora di più a mettersi a posto.
Draghi venerdì ha lanciato l'allarme. Se volete che funzioni il fondo salvastati, fate quel che avete promesso. Altrimenti ....
21 novembre 2011
Effetto Berlusconi ed effetto Monti
Da quando Silvio Berlusconi ha annunciato il suo addio a Palazzo Chigi, alcuni politici del centro-destra dicono: vedete gli spread? non sono poi migliorati tanto, segno che non era colpa del governo.
Dimenticano però che nelle ultime settimane sta peggiorando il quadro europeo. I titoli francesi e quelli spagnoli sono sotto attacco e questo si riflette anche sul differenziale tra i BTP italiani e i bund tedeschi.
Infatti come segnala il grafico (fonte: lavoce.info) s'è annullato il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e i titoli spagnoli (i Bonos).
A giugno pagavamo uno 0,70% in meno della Spagna, segno che i nostri titoli erano più credibili, complice una migliore situazione dei conti pubblici e della disoccupazione. Poi poco per volta il rendimento dei nostri BTP è salito rispetto al rendimento dei Bonos fino a toccare quasi l'1,5% in più alla vigilia delle dimissioni del governo.
Se è vero che il valore assoluto dello spread non è sceso tanto e oggi si attesta a 480 punti, è anche vero che il differenziale dei titoli francesi e spagnoli (rispetto ai Bund) è peggiorato di almeno 50 punti in pochi giorni. Anche i BTP risentono di tale peggioramento.
Dire che Berlusconi è privo di colpe è impossibile. Non solo lo spread rispetto ai Bund è salito, ma anche lo spread rispetto ai Bonos, come mostra il grafico, è peggiorato, per tornare a livelli più ragionevoli una volta che Berlusconi ha lasciato spazio a Monti.
19 novembre 2011
Governo Monti: facciamo qualche previsione
Monti ha mandato in garage le auto straniere. Un primo piccolo segnale positivo dal governo. Meglio una vecchia Lancia che una nuova Audi.
Elsa Fornero e Corrado Passera potrebbero essere i ministri migliori. La Fornero perché è un'ottima esperta del settore pensioni e lavoro e perchè ha ripreso la proposta di Tito Boeri di superare le varie tipologie di contratto.
Con un contratto unico si eviterebbe alle aziende di scegliere il contratto più conveniente, arrivando spesso a forme contrattuali che fanno finire pochissimi soldi nelle tasche dei lavoratori. Le aziende finiscono così per avere pochi stimoli a rendersi più competitive e i lavoratori non hanno interesse a far meglio, se incassano poco.
Anche una riforma "definitiva" delle pensioni sarebbe un bene. Per i conti pubblici e per la politica che non avrebbe più scuse per sfuggire ai problemi veri. Non si potrebbe dire: dobremmo intervenire sulle pensioni per mettere a posto i conti pubblici.
Passera a mio parere potrebbe rivelarsi il migliore in assoluto perchè arriva dal mondo delle imprese. Il governo Berlusconi ha lasciato vacante per mesi il ministero delle attività produttive, era privo di esperti di industria e ha dimostrato un notevole incapacità di intervenire a sostegno dei settori che possono influenzare maggiormente l'economia.
Ebbene, oggi c'è bisogno di qualcuno che conosca le imprese, non abbia intenzioni punitive (come Sacconi con la CGIL-FIOM), conosca le banche e faccia progetti che consentano alle imprese in difficoltà di continuare a lavorare, trovi i soldi per rilanciare l'industria, stimoli i privati a investire (vedremo finalmente le autostrade finanziate dai privati?)...insomma uno che lavori per mettere insieme il meglio di stato, banche e imprese.
Chi può far questo meglio di Passera?
Spero invece non faccia nulla il ministro dell'Ambiente, Clini, esponente di IBL che già parla di riprendere in mano il dossier nucleare...Una follia, non fosse per il poco tempo a disposizione. E spero anche faccia poco il ministro della Difesa. Sperare che un militare di professione tagli la spesa militare è troppo, per cui non resta che sperare che almeno non faccia danni.
Poi naturalmente c'è Monti che farà, immagino, un buon lavoro nel mettere in sesto i conti pubblici. Ma la vera sfida del ministro dell'economia è un'altra: ridurre l'evasione fiscale. In questo campo si capirà se SuperMario Monti sarà all'altezza della sua fama.
Elsa Fornero e Corrado Passera potrebbero essere i ministri migliori. La Fornero perché è un'ottima esperta del settore pensioni e lavoro e perchè ha ripreso la proposta di Tito Boeri di superare le varie tipologie di contratto.
Con un contratto unico si eviterebbe alle aziende di scegliere il contratto più conveniente, arrivando spesso a forme contrattuali che fanno finire pochissimi soldi nelle tasche dei lavoratori. Le aziende finiscono così per avere pochi stimoli a rendersi più competitive e i lavoratori non hanno interesse a far meglio, se incassano poco.
Anche una riforma "definitiva" delle pensioni sarebbe un bene. Per i conti pubblici e per la politica che non avrebbe più scuse per sfuggire ai problemi veri. Non si potrebbe dire: dobremmo intervenire sulle pensioni per mettere a posto i conti pubblici.
Passera a mio parere potrebbe rivelarsi il migliore in assoluto perchè arriva dal mondo delle imprese. Il governo Berlusconi ha lasciato vacante per mesi il ministero delle attività produttive, era privo di esperti di industria e ha dimostrato un notevole incapacità di intervenire a sostegno dei settori che possono influenzare maggiormente l'economia.
Ebbene, oggi c'è bisogno di qualcuno che conosca le imprese, non abbia intenzioni punitive (come Sacconi con la CGIL-FIOM), conosca le banche e faccia progetti che consentano alle imprese in difficoltà di continuare a lavorare, trovi i soldi per rilanciare l'industria, stimoli i privati a investire (vedremo finalmente le autostrade finanziate dai privati?)...insomma uno che lavori per mettere insieme il meglio di stato, banche e imprese.
Chi può far questo meglio di Passera?
Spero invece non faccia nulla il ministro dell'Ambiente, Clini, esponente di IBL che già parla di riprendere in mano il dossier nucleare...Una follia, non fosse per il poco tempo a disposizione. E spero anche faccia poco il ministro della Difesa. Sperare che un militare di professione tagli la spesa militare è troppo, per cui non resta che sperare che almeno non faccia danni.
Poi naturalmente c'è Monti che farà, immagino, un buon lavoro nel mettere in sesto i conti pubblici. Ma la vera sfida del ministro dell'economia è un'altra: ridurre l'evasione fiscale. In questo campo si capirà se SuperMario Monti sarà all'altezza della sua fama.
18 novembre 2011
Una ragione poco conosciuta della crisi
La pesante crisi economico-finanziaria di questi anni ha un'origine poco nota al grande pubblico.
Nella seconda metà degli anni '90 in Asia tutto pareva andare per il verso giusto: alti tassi di crescita, produzione di beni destinati ai paesi ricchi, un vivace mercato immobiliare e finanziario che producevano ricchezza e occupazione, mercati che si aprivano ai capitali e ai prodotti stranieri.
Poi all'improvviso qualcosa si ruppe. La fiducia nella forte crescita dell'area asiatica crollò e i capitali fuggirono rapidamente, determinando una serie di conseguenze molto gravi, primi fra tutti la svalutazione delle monete di molti paesi e il crollo del mercato immobiliare.
I pesanti effetti della crisi asiatica spinsero i governi coinvolti a reagire: hanno accumulato consistenti riserve in valuta per affrontare eventuali situazioni simili in futuro. Somme enormi che si sarebbero potuti investire o spendere per sostenere la spesa pubblica.
La domanda mondiale ne risente e lo stesso accade ogni volta che prevalgono le incertezze: le famiglie tendono a consumare di meno, le imprese tagliano gli investimenti, rinviano i progetti.
Il capitalismo è instabile, sosteneva Keynes, e non si può lasciare che siano i mercati da soli a correggere la rotta. Perchè non succede.
16 novembre 2011
Il governo nordista
Che dire del nuovo governo guidato da Mario Monti?
Chè un governo pieno di tecnici lo sappiamo, che è pieno di gente seria e competente è palese. La cosa che colpisce di più è che è formato almeno per due terzi da persone che arrivano dal nord-ovest del paese.
Presidente del consiglio Mario Monti, lombardo, a lungo bocconiano e commissario europeo, con una lunga carriera all'Università di Torino dove ha fatto parte del cda di Fiat.
Dall'università di Torino arriva Elsa Fornero, al welfare, esperta di pensioni, vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo e membro della Compagnia di San Paolo, primo azionista della principale banca italiana.
Due i liguri: Francesco Profumo, ex rettore del Politecnico torinese e attuale presidente del CNR e il neo ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri, che ha lavorato in molte città del nord, da Milano a Genova passando per Brescia e Bologna. Tra Lombardia, Piemonte e Liguria si è sviluppata la vita e la carriera del neoministro della Sanità, Balduzzi, attualmente professore all'università del Piemonte Orientale.
Molti i lombardi. Oltre a Monti, Piero Giarda, con un passato in Mediobanca e nel governo Prodi, Giulio Terzi di Santagata, ambasciatore negli USA, destinato alla Farnesia, Corrado Passera attuale amministratore delegato di Intesa San Paolo, Lorenzo Ornaghi ai Beni Culturali, Moavero Milanesi agli Affari Europei
Anche Piero Gnudi, bolognese, ex presidente Enel e Corrado Clini, veneziano, alto dirigente del ministero dell'Ambiente sono nati, hanno studiato e lavorato nel nord del paese.
Pochi gli uomini del centro-sud: forse Fabrizio Barca che ha un passato nella Banca d'Italia. Campani il ministro della Difesa Di Paola e della Giustizia Paola Severino, docente alla Luiss di Roma, che dovrà fare i conti con i numerosi veti del PDL. Due romani, Mario Catania e Andrea Riccardi e un calabrese trapiantato a Roma, Catricalà.
Dunque tanto nord e poco centro-sud. Certo pesano le amicizie di Monti, la scelta di uomini di fiducia che è quasi scontata in un governo tecnico. Ma colpiscono le scelte, che paiono dettate dalla preoccupazione rassicurare il mondo bancario e produttivo della parte più ricca d'Italia o dal desiderio di rilanciare le imprese e le banche che creano ricchezza e pagano le imposte.
Infinte, ironia della sorte, il governo forse più nordista della storia non sarà appoggiato dalla Lega Nord, che pare attenta più alle proprie clientele che non alle sorti dell'unica parte di Italia che le davvero le interessa.
Chè un governo pieno di tecnici lo sappiamo, che è pieno di gente seria e competente è palese. La cosa che colpisce di più è che è formato almeno per due terzi da persone che arrivano dal nord-ovest del paese.
Presidente del consiglio Mario Monti, lombardo, a lungo bocconiano e commissario europeo, con una lunga carriera all'Università di Torino dove ha fatto parte del cda di Fiat.
Dall'università di Torino arriva Elsa Fornero, al welfare, esperta di pensioni, vicepresidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo e membro della Compagnia di San Paolo, primo azionista della principale banca italiana.
Due i liguri: Francesco Profumo, ex rettore del Politecnico torinese e attuale presidente del CNR e il neo ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri, che ha lavorato in molte città del nord, da Milano a Genova passando per Brescia e Bologna. Tra Lombardia, Piemonte e Liguria si è sviluppata la vita e la carriera del neoministro della Sanità, Balduzzi, attualmente professore all'università del Piemonte Orientale.
Molti i lombardi. Oltre a Monti, Piero Giarda, con un passato in Mediobanca e nel governo Prodi, Giulio Terzi di Santagata, ambasciatore negli USA, destinato alla Farnesia, Corrado Passera attuale amministratore delegato di Intesa San Paolo, Lorenzo Ornaghi ai Beni Culturali, Moavero Milanesi agli Affari Europei
Anche Piero Gnudi, bolognese, ex presidente Enel e Corrado Clini, veneziano, alto dirigente del ministero dell'Ambiente sono nati, hanno studiato e lavorato nel nord del paese.
Pochi gli uomini del centro-sud: forse Fabrizio Barca che ha un passato nella Banca d'Italia. Campani il ministro della Difesa Di Paola e della Giustizia Paola Severino, docente alla Luiss di Roma, che dovrà fare i conti con i numerosi veti del PDL. Due romani, Mario Catania e Andrea Riccardi e un calabrese trapiantato a Roma, Catricalà.
Dunque tanto nord e poco centro-sud. Certo pesano le amicizie di Monti, la scelta di uomini di fiducia che è quasi scontata in un governo tecnico. Ma colpiscono le scelte, che paiono dettate dalla preoccupazione rassicurare il mondo bancario e produttivo della parte più ricca d'Italia o dal desiderio di rilanciare le imprese e le banche che creano ricchezza e pagano le imposte.
Infinte, ironia della sorte, il governo forse più nordista della storia non sarà appoggiato dalla Lega Nord, che pare attenta più alle proprie clientele che non alle sorti dell'unica parte di Italia che le davvero le interessa.
Citazione divertenti: vietato fotografare le banconote
"E' opportuno notare che il semplice possesso di materiale copiato o riprodotto tramite scanner, fotocamere digitali o altri dispositivi può essere perseguito legalmente".
"E' severamente vietata la copia o riproduzione di banconote, monete, obbligazioni statali o locali anche nell'eventualità che si tratti di riproduzioni di campioni".
"E' vietata la copia o riproduzione di banconote, monete o titoli in circolazione all'estero..."
Tratto dal manuale di istruzioni di una macchina fotografica. Se è valido per l'Italia, non fotografate i vostri soldi.
15 novembre 2011
Svalutation (come direbbe Celentano)
Unicredit ha presentato la trimestrale con due dati interessanti. Il primo è una perdita di quasi 500 milioni sull'attività ordinaria. Il secondo è una svalutazione di 9,6 miliardi (quasi 19.000 miliardi di lire) delle partecipazioni in altre banche.
Come si spiega?
Si possono fare alcune ipotesi. La prima è che abbiano evitaro per troppo tempo di svalutare, sperando che i valori risalissero. Qualcuno ha fatto notare che i bilanci non erano realistici e sono intervenuti.
La seconda è che ci siano grossi problemi in qualche banca straniera partecipata da Unicredit. La banca sta per essere ceduta o messa in liquidazione e Unicredit interviene in anticipo, svalutandola, invece di farsi sorprendere da una crisi che avrebbe un impatto negativo sull'immagine della banca italiana.
La terza e forse più realistica è più complicata. Unicredit sta per lanciare un aumento di capitale per 7,5 miliardi di euro per alzare il cosiddetto core tier 1. Deve aumentare in parole povere il rapporto tra i propri capitali e tutti i prestiti e gli investimenti fatti, ognuno pesato per la rispettiva rischiosità.
Con la svalutazione si riduce il peso degli investimenti rischiosi e quindi si migliora il rapporto. Inoltre si lancia un segnale ai mercati: "ripuliamo il bilancio e ricominciamo. L'aumento di capitale è un buon investimento". O almeno così sperano i massimi dirigenti della banca.
Come si spiega?
Si possono fare alcune ipotesi. La prima è che abbiano evitaro per troppo tempo di svalutare, sperando che i valori risalissero. Qualcuno ha fatto notare che i bilanci non erano realistici e sono intervenuti.
La seconda è che ci siano grossi problemi in qualche banca straniera partecipata da Unicredit. La banca sta per essere ceduta o messa in liquidazione e Unicredit interviene in anticipo, svalutandola, invece di farsi sorprendere da una crisi che avrebbe un impatto negativo sull'immagine della banca italiana.
La terza e forse più realistica è più complicata. Unicredit sta per lanciare un aumento di capitale per 7,5 miliardi di euro per alzare il cosiddetto core tier 1. Deve aumentare in parole povere il rapporto tra i propri capitali e tutti i prestiti e gli investimenti fatti, ognuno pesato per la rispettiva rischiosità.
Con la svalutazione si riduce il peso degli investimenti rischiosi e quindi si migliora il rapporto. Inoltre si lancia un segnale ai mercati: "ripuliamo il bilancio e ricominciamo. L'aumento di capitale è un buon investimento". O almeno così sperano i massimi dirigenti della banca.
13 novembre 2011
Il futuro dell'Italia
Il futuro dell'Italia, cioè anche il nostro.
Cosa succederà nelle prossime settimane e cosa farà il governo Monti?
La domanda che sta dietro a tutto ciò però è cosa i partiti gli permetteranno di fare, perchè alla fine tutti i provvedimenti dovranno poi essere votati dal parlamento, cioè dai partiti.
Ma siamo ottimisti, diciamo che ci dovranno essere 2 fasi, una fase 1 che metterà in sicurezza i conti e ridarà fiducia ai mercati, riportando lo spread con i BTP tedeschi a livelli ragionevoli. Ricordo che ai tempi di Prodi, tale spread era di soli 37 punti, cioè lo 0,37%. Un'inezia rispetto a oggi.
La fase 2 sarà quella più critica, quella del rilancio e del taglio di sprechi e privilegi. Critica perchè bisognerà scontentare tutti: la sinistra dovrà capitolare su pensioni e materia del lavoro e la destra su patrimoniale, fisco e sprechi grandi e piccoli.
Per la fase 1 molto conterà il prestigio personale del premier, ma per la fase 2, che sarà una fase pre elettorale, servirà molta abilità, fortuna e soprattutto la capacità di far sentire ai partiti l'appoggio del "popolo" alla presona del premier.
I provvedimenti da prendere saranno (a mio parere):
1. reintroduzione dell'ICI su tutti gli immobili
2. Patrimoniale leggera, su tutti i patrimoni immobiliari oltre - diciamo - 1 milione di Euro
3. Contributivo per tutti, in pensione per tutti a 67 anni indipendentemente dagli anni di contributi
4. Taglio dei costi della politica - sul serio - con taglio drastico delle province
5. Dismissione di parte del patrimonio pubblico e liberalizzazioni (?)
6. Sistemazione della finanza locale - intesa non come altri tagli agli enti locali, ma permettere agli enti con i soldi di spendere e impedire a chi non li ha, o spera di averli, di spenderli
7. Riforma fiscale, spostando la tassazione dal lavoro e l'impresa alla rendita
8. Riforma fiscale: addio ai contanti oltre i 200 Euro e stretta sulle società off shore
9. Riforma della legge elettorale (in aprile c'è il referendum)
Questo programma è sufficiente per 10 anni di governo e i punti chiave, pensione, patrimoniale, tagli politici, andranno fatti tutti insieme subito per evitare di essere sfiduciati subito dopo che i conti saranno in sicurezza.
Cosa succederà nelle prossime settimane e cosa farà il governo Monti?
La domanda che sta dietro a tutto ciò però è cosa i partiti gli permetteranno di fare, perchè alla fine tutti i provvedimenti dovranno poi essere votati dal parlamento, cioè dai partiti.
Ma siamo ottimisti, diciamo che ci dovranno essere 2 fasi, una fase 1 che metterà in sicurezza i conti e ridarà fiducia ai mercati, riportando lo spread con i BTP tedeschi a livelli ragionevoli. Ricordo che ai tempi di Prodi, tale spread era di soli 37 punti, cioè lo 0,37%. Un'inezia rispetto a oggi.
La fase 2 sarà quella più critica, quella del rilancio e del taglio di sprechi e privilegi. Critica perchè bisognerà scontentare tutti: la sinistra dovrà capitolare su pensioni e materia del lavoro e la destra su patrimoniale, fisco e sprechi grandi e piccoli.
Per la fase 1 molto conterà il prestigio personale del premier, ma per la fase 2, che sarà una fase pre elettorale, servirà molta abilità, fortuna e soprattutto la capacità di far sentire ai partiti l'appoggio del "popolo" alla presona del premier.
I provvedimenti da prendere saranno (a mio parere):
1. reintroduzione dell'ICI su tutti gli immobili
2. Patrimoniale leggera, su tutti i patrimoni immobiliari oltre - diciamo - 1 milione di Euro
3. Contributivo per tutti, in pensione per tutti a 67 anni indipendentemente dagli anni di contributi
4. Taglio dei costi della politica - sul serio - con taglio drastico delle province
5. Dismissione di parte del patrimonio pubblico e liberalizzazioni (?)
6. Sistemazione della finanza locale - intesa non come altri tagli agli enti locali, ma permettere agli enti con i soldi di spendere e impedire a chi non li ha, o spera di averli, di spenderli
7. Riforma fiscale, spostando la tassazione dal lavoro e l'impresa alla rendita
8. Riforma fiscale: addio ai contanti oltre i 200 Euro e stretta sulle società off shore
9. Riforma della legge elettorale (in aprile c'è il referendum)
Questo programma è sufficiente per 10 anni di governo e i punti chiave, pensione, patrimoniale, tagli politici, andranno fatti tutti insieme subito per evitare di essere sfiduciati subito dopo che i conti saranno in sicurezza.
12 novembre 2011
Due domande su mercati e euro
Paoletta pone un paio di domande stimolanti.
Ecco la prima: se in uno scenario negativo i mercati vendono i nostri titoli facendo salire gli spread e crollare le borse, "quando in Italia ci sarà qualcosa che non piacerà ai mercati lo potrebbero rifare? Ovvero siamo in balia di un potere esterno allo stato, di speculatori spietati che possono mandarci in rovina in qualsiasi momento?"
Le vicende di questi mesi o meglio di questi anni, con lo spread (e di conseguenza i tassi di interesse pagati dai titoli di stato) che sale e scende nel tempo a mio parere indica che tra i fallimento e la salvezza ci sono molte vie di mezzo. La credibilità di un paese indebitato ha molte gradazioni e i mercati lanciano segnali inequivocabili e quotidiani. Se siamo arrivati a uno spread altissimo è perchè il governo li ha ignorati.
I mercati mettono i soldi dove pensano convenga. Se considerano meno credibile l'Italia vendono i titoli italiani e comprano altri titoli. Nei mesi scorsi molti fondi americani hanno venduto i nostri titoli perché la credibilità italiana diminuiva e perchè altri titoli stavano diventando più interessanti, a causa di un debito altrui in crescita che faceva salire i tassi di interesse.
Il peggioramento degli spread è, in questo caso, provocato solo in parte da una minore credibilità italiana. Succede anche che quando un titolo scende troppo molti lo vendano per diverse ragioni (paura di perdite ulteriori, volontà di limitare le perdite, per esempio) che non dipendono dalla credibilità del titolo.
Ma questi sono meccanismi di mercato noti, che i politici dovrebbero tenere in mente evitando di fingere che, a parità di condizioni, i bund tedeschi e i btp italiani siano simili.
Siamo in balia di mercati spietati? Non più di quando lo sia il consumatore che sceglie un prodotto e ne scarta un altro o un risparmiatore che va in banca e scegliere il modo migliore di investire i propri risparmi. Oggi i mercati sono molto più rapidi e globali di qualche anno fa e questo richiederebbe sia una maggiore attenzione dei governi sia qualche granello di sabbia alla Tobin.
Se in futuro i mercati non gradiranno qualche scelta italiana la puniranno, ma per arrivare al tracollo non basta certo un singolo errore. Berlusconi con tutta la buona volontà di prendere in giro il mondo intero ha impiegato 4 mesi per scavarsi la fossa. Un governo un pò più serio provvede per tempo e accumula credibilità, da spendere quando commette un errore.
Come? forse - e qui passiamo alla seconda domanda- deprimendo le nostre economie? E perchè non facciamo gli eurobond che permetterebbero a Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna di raccogliere capitali a tassi ragionevoli e di sistemare i propri bilanci nel tempo senza deprimere le nostre economie?
Gli eurobond non si fanno per ragioni politiche. I tedeschi e in particolare i liberali che appoggiano il governo, pensano che i governi possano ottenere aiuti solo se prima sanno mettere a posto i conti. Inoltre hanno spiegato ai propri elettori che rischiavano di pagare per gli errori altrui, prestando i soldi a paesi irresponsabili e inoltre che i tassi pagati dai tedeschi sarebbero saliti se si fossero uniti i debiti.
Sono idee sbagliate che costano molto alla Germania e alla Francia. Preferndo la linea dell'egoismo nazionale oggi si trovano a sopportare costi elevati perchè i titoli acquistati dalle banche hanno perso buona parte del loro valore e questo ha effetti negativi sull'economia europea.
Analoghi effetti depressivi sono provocati dal modo in cui si affontano le crisi dei conti pubblici. Se ci si limita a tagliare i costi e a colpire i ceti più deboli, i consumi ne risentono e la crisi rischia di avvitarsi su se stessa: meno consumi provocano meno produzione e meno entrate fiscali che a loro volta richiedono ulteriori manovre sui conti pubblici.
Per questo servirebbero gli eurobond che, permettendo ai paesi in maggiori difficoltà di pagare tassi più bassi, renderebbero meno gravosi i sacrifici. Ma soprattutto servono scelte intelligenti, capaci di penalizzare di meno i consumi colpendo maggiormente i redditi alti e i patrimoni ed evitando scelte che penalizzano le produzioni nazionali.
Insomma una politica economica di destra che esalta gli egoismi, colpisce i deboli, deprime i consumi e chiede sacrifici maggiori a chi ha conti peggiori non è la sola possibile. E' la politica preferita da Angela Merkl e Nicholas Sarkozy e sta dando pessimi risultati.
11 novembre 2011
L'irresponsabilità
Berlusconi, che si dimetterà nel week end, ha lasciato l'Italia in una situazione finanziaria difficile, con la fiducia sulla possibilità di pagare il debito ai minimi termini e un tasso di crescita sempre più basso.
Le elezioni non sono una soluzione perchè non è certo che diano una maggioranza solida e perchè significherebbero almeno due mesi di incertezze, durante la campagna elettorale.
Cosa resta da fare?
Pare esserci una sola via percorribile: il governo Monti. Monti ha credibilità sui mercati internazionali e un ottimo curriculum.
Questa è, in sintesi, la situazione politico-finanziaria di questi giorni. Ieri sera, durante la trasmissione di Michele Santoro, Servizio Pubblico, l'ipotesi di un governo Monti è stata sottoposta a un sondaggio che chiededeva: siete favorevoli a un governo Monti appoggiato da PD, PDL e terzo polo?
Il 75% approva il governo Monti, secondo Giulia Innocenzi che in diretta legge i risultati.
Poi interviene un blogger che spiega che Monti ha fatto o fa parte del famoso gruppo Bilderberg, della Trilaterale e di altri gruppi di cui si parla nei siti complottisti (dove Monti è indicato anche come massone o membro di una setta segreta dell'università di Yale, ecc.) e, come racconta questo sito (segnalatomi da Mattia), cambia la domanda e le risposte.
La maggioranza dei votanti su Facebook all'improvviso diventa ostile all'ipotesi di un governo Monti.
Non è dato sapere se, oltre a essere contro Monti, i telespettatori siano anche favorevoli al fallimento dello Stato italiano, ma una cosa è certa: l'Italia pare un paese con le idee poco chiare sul rischio che corre con uno spread che ha raggiunto i 575 punti.
A dire il vero non dovremmo stupirci. Basterebbe fare un elenco di politici o di personaggi famosi per capire che pochi propongono analisi e soluzioni rigorose. Grillo da anni sembra invocare il fallimento di tutto e tutti, Berlusconi pensa che tutto vada sempre bene (il ritaglio de La Stampa risale La Stampa del 13 agosto 1994 ma pare preso da un giornale dei giorni scorsi). Altri non vogliono assumersi la responsabilità di una situazione difficile, cavalcando i mal di pancia dei loro elettori che forse credono davvero che Monti sia l'espressione di banche pronte a distruggere il mondo.
Questa irresponsabilità, che si manifesta in vari modi, può spiegare bene perchè siamo un paese con i conti pubblici disastrati.
Per fortuna -vien quasi da dire- siamo alle prese con una semplice alternativa: un governo Monti credibile per i mercati finanziari o il concreto rischio del fallimento. Se esistesse una terza via, molti italiani la imboccherebbero. Salvo cambiare idea pochi minuti dopo.
Le elezioni non sono una soluzione perchè non è certo che diano una maggioranza solida e perchè significherebbero almeno due mesi di incertezze, durante la campagna elettorale.
Cosa resta da fare?
Pare esserci una sola via percorribile: il governo Monti. Monti ha credibilità sui mercati internazionali e un ottimo curriculum.
Questa è, in sintesi, la situazione politico-finanziaria di questi giorni. Ieri sera, durante la trasmissione di Michele Santoro, Servizio Pubblico, l'ipotesi di un governo Monti è stata sottoposta a un sondaggio che chiededeva: siete favorevoli a un governo Monti appoggiato da PD, PDL e terzo polo?
Il 75% approva il governo Monti, secondo Giulia Innocenzi che in diretta legge i risultati.
Poi interviene un blogger che spiega che Monti ha fatto o fa parte del famoso gruppo Bilderberg, della Trilaterale e di altri gruppi di cui si parla nei siti complottisti (dove Monti è indicato anche come massone o membro di una setta segreta dell'università di Yale, ecc.) e, come racconta questo sito (segnalatomi da Mattia), cambia la domanda e le risposte.
La maggioranza dei votanti su Facebook all'improvviso diventa ostile all'ipotesi di un governo Monti.
Non è dato sapere se, oltre a essere contro Monti, i telespettatori siano anche favorevoli al fallimento dello Stato italiano, ma una cosa è certa: l'Italia pare un paese con le idee poco chiare sul rischio che corre con uno spread che ha raggiunto i 575 punti.
A dire il vero non dovremmo stupirci. Basterebbe fare un elenco di politici o di personaggi famosi per capire che pochi propongono analisi e soluzioni rigorose. Grillo da anni sembra invocare il fallimento di tutto e tutti, Berlusconi pensa che tutto vada sempre bene (il ritaglio de La Stampa risale La Stampa del 13 agosto 1994 ma pare preso da un giornale dei giorni scorsi). Altri non vogliono assumersi la responsabilità di una situazione difficile, cavalcando i mal di pancia dei loro elettori che forse credono davvero che Monti sia l'espressione di banche pronte a distruggere il mondo.
Questa irresponsabilità, che si manifesta in vari modi, può spiegare bene perchè siamo un paese con i conti pubblici disastrati.
Per fortuna -vien quasi da dire- siamo alle prese con una semplice alternativa: un governo Monti credibile per i mercati finanziari o il concreto rischio del fallimento. Se esistesse una terza via, molti italiani la imboccherebbero. Salvo cambiare idea pochi minuti dopo.
10 novembre 2011
La misura del fallimento (di Berlusconi)
Nei giorni scorsi ho ricevuto qualche email di amici che mi chiedevano: ci possiamo fidare? Posso tenere i soldi in banca?
Risposta difficile, vista l'incertezza politica che c'è stata fino a ieri. Con Berlusconi al governo il rischio di fallimento o di provvedimenti durissimi e impopolari, come il prelievo forzoso sui conti correnti, era alto.
Poi lo scenario è cambiato. Ottenuta la certezza che Monti guiderà il governo, lo spread è sceso rapidamente. Si spera sia solo l'inizio di tempi migliori, perchè fino a luglio, come mostra il grafico di Bloomberg, lo spread era attorno a 150-200 punti (100 punti vuol dire 1%).
Lo Stato italiano pagava dunque l'1.50-2% in più della Germania per emettere titoli della stessa durata, 10 anni.
Poi sono arrivate le sollecitazioni europee a sistemare i conti e a raggiungere il pareggio di bilancio. Berlusconi ha riunito i suoi uomini e ... ha fatto un disastro.
Il grafico dello spread (che potete vedere cliccando qui) è impietoso. Ad aprile è sceso a 127 e il primo luglio era a 183.
A quel punto arriva la richiesta europea: date garanzie sui conti pubblici, fate una manovra correttiva. Berlusconi e il suo governo tentano la furbata: piccole correzioni per il 2011 e il 2012 e un grosso sacrificio da farsi dopo le elezioni, nel 2013.
Una strategia degna di un truffatore che, abituato a prendere in giro i creduloni, non capisce quando si trova di fronte persone di tutt'altro spessore. Da quel momento lo spread non ha fatto altroche aumentare. E più che raddoppiato a luglio, passando da 183 (1 luglio) a 389 (4 agosto) per poi schizzare verso l'alto quando Berlusconi ha promesso riforme ambiziose, peraltro mai tentate in quasi 20 anni di politica.
Oscar Giannino l'aveva detto, in un telegiornale: quando si arriva a 500 chi di dovere (testuali parole) alza il telefono e per Berlusconi è la fine. Mai previsione è stata così azzeccata.
Oggi si può guardare con un pò più di ottimismo alle sorti dei risparmi e con una certezza in più: Berlusconi ha fallito ancora una volta. E questa volta si spera per sempre.
Post Scriptum: Giacomo Vaciago ha detto che Monti lavora da 4 mesi, sollecitato dal Quirinale, al programma. Quattro mesi fa è iniziato il dramma: Berlusconi ha presentato una manovra non credibile e gli spread hanno incominciato a salire. Fa piacere sapere che Napolitano (e magari non solo lui) abbia capito per tempo la situazione e abbia provveduto.
Risposta difficile, vista l'incertezza politica che c'è stata fino a ieri. Con Berlusconi al governo il rischio di fallimento o di provvedimenti durissimi e impopolari, come il prelievo forzoso sui conti correnti, era alto.
Poi lo scenario è cambiato. Ottenuta la certezza che Monti guiderà il governo, lo spread è sceso rapidamente. Si spera sia solo l'inizio di tempi migliori, perchè fino a luglio, come mostra il grafico di Bloomberg, lo spread era attorno a 150-200 punti (100 punti vuol dire 1%).
Lo Stato italiano pagava dunque l'1.50-2% in più della Germania per emettere titoli della stessa durata, 10 anni.
Poi sono arrivate le sollecitazioni europee a sistemare i conti e a raggiungere il pareggio di bilancio. Berlusconi ha riunito i suoi uomini e ... ha fatto un disastro.
Il grafico dello spread (che potete vedere cliccando qui) è impietoso. Ad aprile è sceso a 127 e il primo luglio era a 183.
A quel punto arriva la richiesta europea: date garanzie sui conti pubblici, fate una manovra correttiva. Berlusconi e il suo governo tentano la furbata: piccole correzioni per il 2011 e il 2012 e un grosso sacrificio da farsi dopo le elezioni, nel 2013.
Una strategia degna di un truffatore che, abituato a prendere in giro i creduloni, non capisce quando si trova di fronte persone di tutt'altro spessore. Da quel momento lo spread non ha fatto altroche aumentare. E più che raddoppiato a luglio, passando da 183 (1 luglio) a 389 (4 agosto) per poi schizzare verso l'alto quando Berlusconi ha promesso riforme ambiziose, peraltro mai tentate in quasi 20 anni di politica.
Oscar Giannino l'aveva detto, in un telegiornale: quando si arriva a 500 chi di dovere (testuali parole) alza il telefono e per Berlusconi è la fine. Mai previsione è stata così azzeccata.
Oggi si può guardare con un pò più di ottimismo alle sorti dei risparmi e con una certezza in più: Berlusconi ha fallito ancora una volta. E questa volta si spera per sempre.
Post Scriptum: Giacomo Vaciago ha detto che Monti lavora da 4 mesi, sollecitato dal Quirinale, al programma. Quattro mesi fa è iniziato il dramma: Berlusconi ha presentato una manovra non credibile e gli spread hanno incominciato a salire. Fa piacere sapere che Napolitano (e magari non solo lui) abbia capito per tempo la situazione e abbia provveduto.
09 novembre 2011
La stangata
In pochi giorni lo spread è salito da 400 a oltre 550 punti, con un picco a 575. Colpa delle incertezze legate alla fine del governo Berlusconi e alla nomina di un nuovo governo. Si temono un colpo di coda di Berlusconi e le elezioni anticipate che lascerebbero l'economia esposta alla speculazione internazionale.
In tale scenario, i mercati continuano a liberarsi dei nostri titoli di stato e gli spread crescono mentre le borse crollano. Napolitano, molto preoccupato, precisa che Berlusconi senza dubbio se ne andrà e spinge per accelerare i tempi dell'ultimo atto del governo, la legge di stabilità, e nomina Mario Monti senatore.
E' un segnale per i mercati. Si mette Monti in pole position per fare le scelte che il governo uscente ha evitato sistematicamente. Si crea un governo di salvezza nazionale per fornire ai mercati finanziari certezze sui conti pubblici e allentare la pressione sui tassi di interesse.
Ovvero....ci aspetta una stangata, con tagli alle spese e aumenti delle entrate tali da convincere i mercati, la BCE e i partner europei.
E' necessario agire subito perché la situazione è critica e perchè gli spread di cui tanto si parla sono riferiti i rendimenti dei titoli già emessi.
Lo Stato paga il 6-7% solo su una parte dei titoli del debito pubblico, emessi molti anni fa, quando i tassi di interesse erano più alti, e sui titoli emessi nelle ultime settimane.
Ma sul resto del debito si pagano interessi inferiori, quelli promessi al momento dell'emissione.
Il rischio è che su tutto il debito prima o poi si finisca per pagare tassi elevati e che questo comporti maggiori sacrifici in termini di maggiori imposte e minore spesa pubblica. Ma più aumentano i tassi, minore è la probabilità che lo Stato restituisca il debito e maggiore il rischio che i sacrifici non bastino.
Invece più siamo credibili, minori sono i tassi che lo Stato paga e dunque minore è la spesa per interessi.
Dunque non resta che intervenire in modo pesante e subito sui conti pubblici. Chi può farlo? Un esterno al mondo politico, come Monti, a cui non manca la credibilità a Bruxelles.
Lo situazione è la stessa del 1992. Anche allora gli spread erano elevati e la lira era sotto pressione. Finì con la svalutazione e una finanziaria lacrime e sangue da parte del governo Amato che spiegava ai parlamentari che se non avessero approvato i sacrifici il rischio di fallimento erano molti.
Riuscirà tutto ciò a far scendere gli spread? Forse sì. Secondo Goldman Sachs nuove elezioni fanno schizzare gli spread a 500 (oggi in realtà siamo arrivati a 575), con un nuovo governo di destra si scenderebbe a 400-450 e con un governo tecnico scenderemmo a 350 (vedi immagine).
08 novembre 2011
La folle idea di stampare moneta
Lunedì sera nel Tg3 linea notte un giornalista schierato a favore del governo, tale Loquenzi, direttore de L'Occidentale cercava di difendere l'idea di un governo in salute.
Di fronte all'osservazione che gli spread, negli ultimi giorni, miglioravano solo di fronte alla prospettiva di dimissioni di Berlusconi e peggioravano quando Berlusconi si rafforzava, Loquenzi ha spiegato che a suo avviso c'è un complotto contro il governo e il nostro debito pubblico.
La soluzione -ha ragionato Loquenzi- sarebbe stampare moneta, con cui comprare i nostri titoli e abbassare il temuto spread rispetto ai bund tedeschi.
Ma cosa succederebbe se l'Italia emettesse moneta in gran quantità per comprare il proprio debito?
Le condizioni per creare inflazione non ci sono e quindi supponiamo che creare moneta non produca inflazione attraverso un aumento della domanda. Perchè allora non stampare moneta per comprare i BTP?
Se lo facessimo la quantità di moneta creata aumenterebbe e si svaluterebbe rispetto alle altre monete. Ciò avrebbe diversi effetti.
Anzitutto, farebbe fuggire i capitali. Chi dispone di capitali preferirebbe le monete forti, provocando difficoltà nel finanziamento delle imprese, del debito pubblico e riducendo le possibilità di investire nel paese.
Se il problema è finanziare il debito a costi accettabili, con la fuga dei capitali non fa che peggiorare le cose. La svalutazione non fa solo fuggire i capitali. Il debito espresso nella moneta che si svaluta paga interessi più elevati.
Se si affronta un spread elevato creando moneta, si finisce comunque per pagare interessi più elevati. La cura non guarisce il paziente, ma aggrava la malattia perchè introduce un elemento di incertezza, fa crescere l'inaffidabilità del paese e della moneta che si svaluta.
Incertezza che fa male all'economia e costa, contribuisce a far salire i tassi applicati alla moneta che si svaluta.
Infine ci sono gli effetti della svalutazione sull'attività produttiva e l'inflazione. Se è vero che una svalutazione aiuta a esportare, è anche vero che aumenterebbe il valore dei beni importati, con conseguenze negative per i settori produttivi che usano le materie prime e altri beni a cui non possono rinunciare.
La svalutazione poi aumenta l'inflazione importata: se prima di svalutare una moneta -per capirci- un aumento del prezzo del petrolio fa salire i prezzi dell'1%, dopo la svalutazione l'aumento dei prezzi è maggiore.
In conclusione l'idea che l'economia sarebbe beneficiata dalla possibilità di stampare moneta con cui comprare i titoli di stato e ridurre lo spread, è un'idea errata anche nell'ipotesi che stampare moneta non provochi maggiore inflazione.
Serve solo a illudere chi pensa che i problemi della finanza pubblica si possano eludere o risolvere con qualche trucco monetario.
07 novembre 2011
Grillate
La Banca d'Italia dispone di riserve in oro per circa 83 miliardi di euro, al valore del 31.12.2010. Probabilmente molto di più, se si considera che il prezzo dell'oro è nel frattempo salito.
Riserve in buona parte inutile in un sistema di cambi flessibili e ai tempi dell'euro. Sarebbe opportuno venderne una parte per far scendere il debito pubblico.
Il blog di Beppe Grillo propone invece (vedi qui) uno scenario diverso e assolutamente irrealistico. Poichè la Banca d'Italia -sostiene il blog- è proprietà di banche private, queste useranno l'oro per salvarsi.
Ma sanno di cosa parlano?
Se andiamo a cercare i conti di IntesaSanPaolo, per esempio, scopriamo che l'attivo vale a dire la somma di crediti verso i clienti, titoli di vario genere acquistati dalla banca, ammonti a oltre 400 miliardi di euro.
Le riserve ammontano a quasi 40 miliardi. Possono coprire eventuali perdite, anche rilevanti, determinate dall'insolvenza dei creditori o di uno stato, ma sono tutto sommato poca cosa rispetto al totale dell'attivo, 400 miliardi circa.
Se si verificasse una crisi sistemica, con capitali ritirati e perdite per insolvenza, le necessità di una banca come Intesa San Paolo sarebbero molto superiori all'ammontare delle riserve.
Servirebbe l'oro della Banca d'Italia?
Probabilmente no. Intesa San Paolo possiede circa il 40% delle quote, considerando anche le banche controllate. Se anche tutte le riserve in oro venissero vendute e distribuite, la banca incasserebbe 30-40 miliardi di euro che, insieme alle riserve, porterebbero a 70-80 miliardi la somma disponibile per coprire le perdite.
Il 20% dell'attivo, nella migliore delle ipotesi. Troppo poco per salvare una banca dal fallimento, se mai si creassero le condizioni per un fallimento e non fosse possibile fare altro che lasciarla fallire.
Grillo dunque propone una soluzione inutile e impraticabile perché l'oro non è disponibile senza il consenso della BCE e, come ben sappiamo, le banche che possiedono le quote di Bankitalia non contano davvero nulla.
Il govenatore Visco è stato nominato da altri. Le banche, che possiedono le quote di Bankitalia, sono state a guardare.
06 novembre 2011
Novità sull'auto a aria
Zerogas ha commentato il post del luglio 2011 in cui manifestavo alcuni dubbi sul progetto. Le loro osservazioni, che a mio parere non fanno svanire i dubbi, le trovate qui http://econoliberal.blogspot.com/2011/07/lauto-aria-compressa-e-molti-sospetti.html
Non mi pare si fughino i dubbi tecnici espressi da Quattroruote e ripresi da Paolo Attivissimo sulla possibilità che l'auto funzioni davvero, sulle modalità strane di costituzione della società che costruirebbe le auto e su altro.
Di fronte a risposte parziali si può solo chiedere fatti: auto che circolino davvero, acquistate da qualcuno e non solo pubblicizzata e presentata alla stampa (come nel precedente progetto di auto a aria: dopo la presentazione non s'è visto nulla), i dubbi scompariranno e applaudiremo alla geniale trovata.
Non mi pare si fughino i dubbi tecnici espressi da Quattroruote e ripresi da Paolo Attivissimo sulla possibilità che l'auto funzioni davvero, sulle modalità strane di costituzione della società che costruirebbe le auto e su altro.
Di fronte a risposte parziali si può solo chiedere fatti: auto che circolino davvero, acquistate da qualcuno e non solo pubblicizzata e presentata alla stampa (come nel precedente progetto di auto a aria: dopo la presentazione non s'è visto nulla), i dubbi scompariranno e applaudiremo alla geniale trovata.
05 novembre 2011
Globalizzazione: Economia vs Antropologia Economica
Uno degli esami universitari che sto preparando per il primo quadrimestre (in Spagna l'università funziona a quadrimestri come la scuola dell'obbligo, e la commissione dei docenti sceglie le date degli esami: quali e quando vanno dati; lo studente, al contrario di quanto avviene in Italia non se li gestisce da solo), del secondo anno di "Trabajo Social", (tradotto letteralmente sarebbe "Lavoro Sociale", però in realtà non sono sicuro di come si chiami il corrispettivo italiano, qualcuno quest'Estate in Italia m'ha detto sia "Servizio Sociale" ma sinceramente nutro qualche dubbio per alcuni motivi), è quello d'Antropologia Culturale.
Uno dei capitoli del libro ("Antropologìa Cultural", Barbara Miller, Editoriale Pearson), poi è dedicato all'Antropologia Economica, che viene definita: il campo dell'antropologia culturale incentrato sui sistemi economici in modo inter-culturale.
Per contestualizzare la definizione c'è da dire che nei capitoli anteriori si spiega come antropologicamente la cultura sia intesa come: un'insieme di credenze, simboli, idee e comportamenti appresi e condivisi da una società o da un segmento di essa.
Premettendo che l'economia e l'antropologia economica presentino alcuni terreni di studio in comune e che alcuni economisti ed antropologi economici talvolta abbiano collaborato nell'elaborazione di politiche economiche, il libro evidenzia le differenze fra le due discipline:
-L'antropologia economica studia approfonditamente tutti i sistemi economici esistenti ed esistiti in passato, mentre l'economia si concentrerebbe soprattutto sul capitalismo moderno e sulla formulazione di teorie economiche per il futuro.
-Il lavoro dell'antropologo è più legato a dati di carattere qualitativo piuttosto che quantitativo ed al lavoro sul campo piuttosto che all'analisi di dati statistici o censitivi.
-La differenza sostanziale comunque è che l'antropologia economica tenta più di comprendere i concetti propri della popolazione studiata ed il valore che essa stessa gli attribuisce, in relazione al suo modo di guadagnarsi la vita. Cercando d'evitare di analizzare il tutto attraverso canoni occidentali.
E qui poi le parole spese dal testo sulla relazione tra la scienza economica e quella antropologica si esauriscono, per poi essere riprese verso la fine del capitolo quando si parla del fenomeno della globalizzazione.Ed era proprio questo che m'interessava proporre come spunto su questo blog.
Traduco letteralmente dal libro tentando di sintetizzare un po', (grassetti miei):
Gli scienziati sociali discutono energicamente gli effetti della globalizzazione economica sulla povertà e la disuguaglianza. Gli economisti, basandosi su cifre a livello nazionale [....] di solito appoggiano tale fenomeno, soprattutto perché aumenta la crescita economica.
Gli antropologi culturali, che lavorano più con dati di livello locale e più "sul terreno", tendono invece a mettere in evidenza gli effetti negativi dell'espansione del capitalismo in scenari non capitalisti.
Si segnalano tre trasformazioni principali:
- 'Sfratto' ["despojo" è una delle tante parole delle quali non saprei dare una traduzione precisa in italiano], della popolazione locale dalla sua terra, con una crescita sostanziale di persone scacciate e disoccupate. Il capitalismo globale ha espulso milioni di persone dalla loro terra e contribuito all'aumento di poveri nelle città.
-Reclutamento di cacciatori-raccoglitori, orticultori, pastori e contadini in posti di lavoro di basso livello nel settore industriale/informatico. Persone che passano a dipendere da un salario, in contrapposizione alla loro previa autonomia.
-Aumento della produzione dei beni d'esportazione in regioni periferiche del mondo, in risposta al mercato globale, a discapito della produzione d'alimenti per il consumo familiare. Tendenza che può generare maggiori guadagni per la gente, ma anche ridurre la loro capacità di alimentarsi in autonomia. Contribuisce anche alla monocoltura ed alla perdita della biodiversità nelle coltivazioni.
In realtà esistono esempi di alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori ed orticultori immersi nell'economia globale mantenendo le proprie caratteristiche. 'Tuttavia' ["sin embargo" altra espressione che non so rendere precisamente in italiano], è molto più frequente che queste culture vengano distrutte a causa dell'intrusione degli interessi economici occidentali, che perdano le loro conoscenze locali, e che le persone cadano nell'abbattimento, la depressione, la malattia ed il suicidio.
Le pagine successive descrivono alcuni esempi reali di come hanno reagito alla globalizzazione varie culture, (tra gli esempi proposti: i Tiwi in Australia, i Maya del Chiapas, la Mongolia post-sovietica, Sudafrica post-apartheid, operai di una fabbrica dell'Ohio, e tribù indigene dell'Amazzonia) .
Questa era Barbara Miller, antropologa culturale statunitense ed autrice del libro universitario, (del quale io ovviamente possiedo solo la versione in spagnolo), utilizzato come fonte in quest'articolo.
Visto che dice che gli studiosi d'economia invece di solito sostengono la globalizzazione, ho pensato di proporre qui queste argomentazioni di antropologia economica, e sentire l'eventuale contraddittorio degli economisti.
04 novembre 2011
Il capo di stato maggiore e la raccolta punti
Ogni tanto ho la sensazione che l'Italia si stia trasformando giorno dopo giorno in uno di quei paesi del terzo mondo in cui la ricchezza senza limiti di alcuni vive a stretto contatto con la povertà estrema.
Gian Antonio Stella sul Corriere (vedi qui) racconta l'ennesimo spreco: un appalto da 2,3 milioni di euro per pulire 9 alloggi per 4 anni. Più di 250.000 euro ad alloggio, oltre 60.000 euro l'anno in media ad alloggio.
E che alloggi! Quello destinato a un signore che lavora come capo di stato maggiore ha "399 metri quadri di parquet, 143 di marmo, 275 di terrazzo, 48 di pianerottolo interno. Ha inoltre 188 metri quadri di maioliche, 78 di «superfici vetrate», 240 di rivestimento in legno".
C'è da dubitare che questo onesto (si spera) lavoratore pubblico abbia bisogno di tanto spazio e di tanto fasto. E viene anche il sospetto che non riceva uno stipendio da fame. Eppure non può pagare di tasca propria le pulizie, come un normale dirigente d'azienda ben pagato. No, le pulizie e tutto il resto li paga lo Stato.
E' uno Stato molto generoso: "la domestica chiamata a prendersi cura per 44 ore (scarse) la settimana dell'alloggio del comandante dell'Accademia aeronautica costerà in quattro anni 187.599 euro più Iva: 226.994 euro. Vale a dire 56.748 euro l'anno" spiega Stella.
Stato generoso verso pochi privilegiatissimi e poco generoso verso il comune dipendente pubblico. Un circolo didattico di Genova (vedi qui) ha bisogno di 4 stampanti. Costo inferiore ai 160 euro. Ma non ha i soldi. Così a qualcuno è venuta un'idea geniale: la promozione dell'azienda del latte prevede che chi raccoglie oltre 1000 punti riceverà una stampante.
Così il circolo didattico ha chiesto a tutti gli alunni di portare i punti che trovano sulle confezioni di latte. Se le famiglie aderiranno all'iniziativa, arriveranno le stampanti, se no si dovranno arrangiare.
03 novembre 2011
L'esordio di Draghi
Mario Draghi ha cominciato a lavorare alla BCE, che presiede dal 1 novembre.
E la prima decisione, presa all'unanimità dal massimo organo direttivo della BCE, è stato di ridurre il tasso di sconto. Da 1,50% a 1,25%. Trichet invece aveva fatto salire il tasso dall'1% all'1,50% nel corso del 2011.
La borsa ha festeggiato, passando in poche ore da oltre -2% ad un guadagno del 4%, ma non è un buon segno. Vuol dire che l'economia europea non va bene. C'è il rischio di recessione e per questo la BCE si aspetta un calo dell'inflazione. Non serve aumentare i tassi per tenere a bada l'inflazione. Semmai il contrario: occorre stimolare l'economia perché non ci sono rischi di inflazione.
01 novembre 2011
Argentina, l'altra faccia della medaglia
In rete si legge spesso che l'Argentina ha fatto bene a dichiarare default.
Se è vero che il PIL è crollato e la disoccupazione è salita alle stelle, dicono i sostenitori del default, è anche vero che poi l'economia ha ripreso a crescere, complice anche la forte riduzione del debito, grazie al default e al fatto che l'Argentina s'è ripresa la cosiddetta sovranità monetaria, cioè la possibilità di stampare moneta, slegando la moneta argentina dal dollaro.
E' una teoria debolissima che non tiene conto della realtà. La ripresa argentina ad esempio è dipesa dall'andamento di alcuni beni esportati, il cui prezzo è salito alle stelle negli ultimi anni come conseguenza delle speculazioni.
Non è una ripresa dovuta a una maggiore competitività delle imprese nè dipende dai giochini sulle monete di chi segue qualche strana teoria economica. No, dipende da un aumento del prezzo della carne, del grano e di altri beni agro-alimentari che l'Argentina esporta in gran quantità.
L'Argentina ha vinto la lotteria del prezzo di quei beni e i creduloni hanno pensato che avesse azzeccato le mosse giuste in campo monetario.
Ora pare che l'effetto del prezzo in crescita stia svanendo e tornano a galla i vecchi problemi. In Argentina le imprese sono poco competitive e gli imprenditori non amano pagare le imposte. Si ribellano, cercano di comprarsi il potere politico, e preferiscono portare i soldi all'estero.
Ce lo racconta Milano Finanza (vedi qui) secondo il quale la presidente Cristina Kirchner, appena riconfermata, ha deciso che per comprare valuta straniera, anche in piccola quantità, serve un'autorizzazione.
La nuova moneta argentina infatti produce inflazione (30% annuo secondo Milano Finanza, 22% secondo altri) e anche per questo gli argentini portano i capitali all'estero.
Alla presidente Kirchner non resta che cercare di fermare la fuga dei capitali a colpi di leggi.
Le alchimie monetarie non possono cambiare la realtà economica di un paese. Se non si pagano le imposte o se le imprese non sono competitive, non c'è moneta che tenga. Prima o poi i problemi diventano insostenibili e le illusioni svaniscono.
L'Argentina ha legato la propria moneta al dollaro nel tentativo di attrarre capitali, ma questo non ha cambiato la realtà di un paese economicamente debole dove chi può porta i capitali all'estero per fuggire al fisco e lo stato si indebita costantemente.
Negli ultimi anni l'Argentina s'è ripresa la sovranità monetaria e ha ridotto il debito, ma non per questo ha risolto i problemi. E' tornata l'inflazione che aveva tentato di arginare legando la moneta la dollaro. Con l'inflazione tornano le fughe di capitali. Le riserve si assottigliano perchè la moneta emessa liberamente non è più desiderabile e alla presidente non resta che tentare di evitare per legge il disastro.
Se è vero che il PIL è crollato e la disoccupazione è salita alle stelle, dicono i sostenitori del default, è anche vero che poi l'economia ha ripreso a crescere, complice anche la forte riduzione del debito, grazie al default e al fatto che l'Argentina s'è ripresa la cosiddetta sovranità monetaria, cioè la possibilità di stampare moneta, slegando la moneta argentina dal dollaro.
E' una teoria debolissima che non tiene conto della realtà. La ripresa argentina ad esempio è dipesa dall'andamento di alcuni beni esportati, il cui prezzo è salito alle stelle negli ultimi anni come conseguenza delle speculazioni.
Non è una ripresa dovuta a una maggiore competitività delle imprese nè dipende dai giochini sulle monete di chi segue qualche strana teoria economica. No, dipende da un aumento del prezzo della carne, del grano e di altri beni agro-alimentari che l'Argentina esporta in gran quantità.
L'Argentina ha vinto la lotteria del prezzo di quei beni e i creduloni hanno pensato che avesse azzeccato le mosse giuste in campo monetario.
Ora pare che l'effetto del prezzo in crescita stia svanendo e tornano a galla i vecchi problemi. In Argentina le imprese sono poco competitive e gli imprenditori non amano pagare le imposte. Si ribellano, cercano di comprarsi il potere politico, e preferiscono portare i soldi all'estero.
Ce lo racconta Milano Finanza (vedi qui) secondo il quale la presidente Cristina Kirchner, appena riconfermata, ha deciso che per comprare valuta straniera, anche in piccola quantità, serve un'autorizzazione.
La nuova moneta argentina infatti produce inflazione (30% annuo secondo Milano Finanza, 22% secondo altri) e anche per questo gli argentini portano i capitali all'estero.
Alla presidente Kirchner non resta che cercare di fermare la fuga dei capitali a colpi di leggi.
Le alchimie monetarie non possono cambiare la realtà economica di un paese. Se non si pagano le imposte o se le imprese non sono competitive, non c'è moneta che tenga. Prima o poi i problemi diventano insostenibili e le illusioni svaniscono.
L'Argentina ha legato la propria moneta al dollaro nel tentativo di attrarre capitali, ma questo non ha cambiato la realtà di un paese economicamente debole dove chi può porta i capitali all'estero per fuggire al fisco e lo stato si indebita costantemente.
Negli ultimi anni l'Argentina s'è ripresa la sovranità monetaria e ha ridotto il debito, ma non per questo ha risolto i problemi. E' tornata l'inflazione che aveva tentato di arginare legando la moneta la dollaro. Con l'inflazione tornano le fughe di capitali. Le riserve si assottigliano perchè la moneta emessa liberamente non è più desiderabile e alla presidente non resta che tentare di evitare per legge il disastro.
Il fondo salva stati
L'idea di Eurobond è semplice: si dovrebbe creare un debito europeo, unendo parte dei debiti pubblici degli stati dell'area euro, quindi si dovrebbe finanziare il debito con l'emissione di titoli, gli eurobonds, gestiti e garantiti dall'UE. L'UE dovrebbe inoltre controllare le politiche economiche dei paesi membri, imponendo correzioni dei conti e politiche fiscali comuni, quando serve.
Con gli eurobond Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna potrebbero raccogliere capitali a tassi ragionevoli e avrebbero la possibilità di sistemare i propri bilanci nel tempo, evitando di deprimere le proprie economie.
Perchè non si emettono eurobond? La ragione principale è che i politici conservatori tedeschi e i francesi non vogliono. Hanno raccontato ai loro concittadini che i paesi meno virtuosi devono risolvere da soli i propri guai e temono di pagare interessi più alti.
Ma i fatti stanno dando loro torto. La Grecia, il Portogallo e l'Irlanda ma anche Spagna e Italia non ce la fanno da soli.
Bisognava trovare il modo di finanziare a costi ragionevoli gli stati e chi ne possiede i titoli del debito pubblico e il modo s'è trovato. Si chiama EFSF: European Financial Stability Facility.
Cos'è? E' una società lussemburghese guidata da un ex ministro delle finanze tedesco e ex alto dirigente del Fondo Monetario Internazionale, Klaus Regling, i cui obiettivi sono finanziare gli stati in difficoltà finanziarie, rifinanziare le istituzioni finanziarie e intervenire sui mercati primari e secondari del debito pubblico.
L'EFSF emette bond con il miglior rating perchè sono garantiti dagli stati. Dovrebbe agire come il Fondo Monetario Internazionale, coprendo le necessità temporanee degli stati, ma i governi hanno deciso che può erogare prestiti trentennali.
Per ora solo Irlanda e Portogallo hanno ricevuto alcuni miliardi di euro dall'EFSF, ma altri paesi si potrebbero aggiungere. Per questo servono maggiori garanzie, ovvero l'impegno dei paesi partecipanti (quelli dell'euro) di garantire i prestiti. La Cina, il Giappone e altri paesi sono interessati a prestare soldi all'EFSF ma vogliono garanzie.
Ora tutto questo cos'è se non un modo complicato per emettere eurobond? L'EFSF emette titoli garantiti da tutti i paesi, compresi quelli che ricevono i soldi. Un'assurdità.
Insomma degli eurobond c'è bisogno. Ma i governi di Francia e Germania non ne vogliono sapere e così hanno messo in piedi uno strumento che emette qualcosa di molto simile agli eurobond. Rinviano il problema, sperando in tempi migliori.
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