31 maggio 2010
Quanto versa Bankitalia allo Stato?
Ancora una volta l'attività della Banca è pubblica e appare chiaro che, anche se oltre il 90% delle quote è in mano ai privati, questi non contano molto. Hanno le quote, ma l'utile finisce allo Stato, con buona pace di chi racconta le bufale sul signoraggio.
D'altronde lo aveva scritto nel 1936 John Maynard Keynes: "E' quasi esatto asserire che non vi è classe di persone nel Regno [Unito] quanto i suoi azionisti cui il governatore della Banca d'Inghilterra pensi di meno quando decide circa la sua politica I suoi diritti, oltre al dividendo convenzionale, sono già discesi fin quasi a zero" Keynes, Teoria generale, Utet 2005, pag. 128
30 maggio 2010
Facciamoci qualche risata: il signoraggio in tv
Dopo essersi occupato (all'apparenza in modo serio) di ogni bufala, martedì (ore 21) il programma Mistero su Italia1 si occuperà di signoraggio.
Io ve lo dico, ma che nessuno muoia dal ridere, mi raccomando! Non vorrei avervi sulla coscienza... già la mia coscienza deve fare i conti con i miliardi di euro del signoraggio che ogni mese tutte le banche centrali mi versano...
Risparmi ed illusioni
Ma non è proprio così. Un esempio ce lo offre questo articolo di Alberto Statera, che racconta di un consigliere regionale che ha deciso di rinunciare all'auto blu. Una scelta meritoria? Non proprio. Infatti il consigliere ha diritto a oltre 3000 euro al mese di rimborso spese senza che la sua rinuncia comporti grossi benefici per le casse regionali. Non si può infatti licenziare l'autista nè rinunciare a un'auto acquistata in leasing o affittata.
E lo stesso vale per altre spese. Rinunciare a una provincia vuol dire certo risparmiare, ma certo non ci si può fare illusioni: le spese più importanti come quelle per gestire le strade o per la manutenzione delle scuole non scompaiono se si elimina la provincia.
Quando i giornali pubblicano i costi di un certo servizio, di solito indicano il costo medio di un singolo bene acquistato o di servizio offerto dalla pubblica amministrazione. Non dicono che una parte dei costi sostenuti per prestare il servizio non si può eliminare se si riducono le prestazioni al pubblico: si può chiudere un ospedale ma non per questo si licenzia il personale che ci lavora.
Dire che un giorno in ospedale costa 500 euro senza spiegare che buona parte di quella somma è fatta di costi non eliminabili, vuol dire illudere chi legge. E dimostrare poca conoscenza dell'economia. A volte pure ignorando che il risparmio (vedi l'auto blu del consigliere regionale veneto) non c'è proprio, anzi si spende di più.
27 maggio 2010
Ideologia e macelleria
Insomma solo tagli alle spese, causa dei dissesti, per governo che darà meno soldi a regioni e comuni. Se non bastano possono sempre aumentare le imposte locali. L'importante è che non lo faccia l'esecutivo che ha promesso di non aumentare le imposte.
In questi giorni però il Fondo Monetario Internazionale dice che la spesa non è la causa dei deficit eccessivi degli stati, da attribuirsi invece al crollo delle entrate, come riporta Paul Krugman sul Sole 24 Ore.
Lo studio del FMI sostiene che gli interventi a sostegno dell'economia hanno sì aumentato la spesa, ma anche le entrate fiscali. E' la stessa cosa scritta da me qualche mese fa parlando di incentivi-auto: gli incentivi si ripagano, creano occupazione, riducono le spese per gli aiuti pubblici (cassintegrazione, assegni di disoccupazione, prepensionamenti,ecc) e fanno salire le entrate pubbliche.
Ma allora perchè Governo e Confindustria sostengono che è colpa delle spese eccessive e non cercano di stimolare la domanda?
Le ragioni sono due. Da un lato per motivi ideologici. Hanno sempre sostenuto che le imposte vanno sempre diminuite e non possono contraddirsi. Inoltre appartengono alla scuola economica che non crede negli stimoli alla domanda e dunque non possono fare cose a cui non credono.
Dall'altro è in atto una profonda trasformazione del sistema produttivo, con effetti disastrosi per molti. Vera e propria macelleria sociale giustificata dalla necessità di conti economici in rosso.
Fiat, ad esempio, sta per chiudere lo stabilimento di Termini Imerese e ha fallito, negli scorsi anni, nel progetto di rilancio di Pomigliano d'Arco, dove ha incontrato molti problemi con i lavoratori. Adesso vuole produrre nello stabilimento campano la Panda, ma alle sue condizioni.
Fiat può spiegare che lo stabilimento di Termini Imerese va chiuso comunque e che a Pomigliano sarebbe necessario cambiare registro anche se i conti fossero positivi. Ma in molti non ne vorrebbero sapere. Direbbero che si deve tenere aperto lo stabilimento siciliano. E così cosa fa? Rifiuta gli incentivi e usa la cassa integrazione per portare avanti i suoi progetti. Per la felicità del governo, i cui esponenti non impazziscono di gioia all'idea di aiutare grandi imprese e operai.
26 maggio 2010
Il finto problema dei soci di Bankitalia
Banca d'Italia: finalmente sono pubbliche le quote e i voti dei proprietari della Banca d'Italia, definiti "enti partecipanti al capitale", quando tale qualifica può valere per l'Inps e l'Inail, non certo per banche che sono normali società per azioni: vedi il relativo elenco.
Fino al 2006 la Banca d'Italia teneva tali informazioni il piú nascoste possibile e divennero note solo perché individute e poi pubblicate da R & S - Ricerche & Studi dell'ufficio studi di Mediobanca, diretto da Fulvio Coltorti: si veda per esempio le percentuali possedute nel 2005.
Sembra esserci un pò di mistero.
Scienza dice che le banche sono normali società per azioni e solo nel 2005 s'è saputo chi fossero gli azionisti grazie all'ufficio studi di Mediobanca.
Eppure Bankitalia non è una banca qualunque. E come tale non è una società per azioni, come dimostra anche questa sentenza della Cassazione (vedasi pagina 6).
Primo mistero risolto.
Poi l'elenco, oggi pubblico, è stato ottenuto dall'ufficio studi di Mediobanca in un modo assai semplice: spulciando i bilanci. Dunque cosa c'è di misterioso? Bastava prendere i bilanci e andare a leggere.
Anche senza far parte di un prestigioso ufficio studi bastava cercare i bilanci e leggerli.
Alcuni sono disponibili on line da molti anni.
Ad esempio nel bilancio del Banco di Sicilia del 2000 (vedi qui) si legge che il Banco possedeva il 6,343% della Banca d'Italia.
Ben più interessante è il bilancio del 2000 di Unicredit Group. A pag. 220 (222/339 nella numerazione del documento in formato pdf) di questo documento si trovano le quote (oltre il 10% in totale) possedute dalle nove controllate.
La quota del Monte dei Paschi, bilancio 2002, è a pagina 108 di questo documento.
E pure nel bilancio della piccola Cassa di Risparmio di San Miniato del 2000 (vedi qui) si trova a pag. 141 l'indicazione della quota.
L'ufficio di Mediobanca ha spulciato i bilanci, ma avrebbe potuto farlo chiunque in qualunque anno.
Secondo mistero risolto.
25 maggio 2010
Meglio tardi che mai
Anche Corrado Passera, amministratore delegato di IntesaSanPaolo, scopre che il mercato non funziona come in molti credono.
Meglio tardi che mai!
ROMA (MF-DJ)--"Alcuni assunti culturali macroeconomici non erano veri", come ad esempio l'assunto secondo cui "il mercato si autoregola". Proprio da quegli assunti "sono discese norme sbagliate" che hanno condotto alla crisi economica. "Le ideologie sono scorciatoie al senso critico. Ci sono sistemi concettuali totalizzanti. Adesso possiamo costruire il futuro senza vincoli di ideologie. Noi, per la prima volta, possiamo costruire il futuro senza vincolo di destinazione".
Lo ha spiegato il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, nel corso del suo intervento al Career Day organizzato dall'universita' Luiss Guido Carli a Roma, aggiungendo che "alcuni Paesi che hanno adottato regole giuste, come l'Italia, non hanno avuto problemi, ma in altri Paesi i controlli sono saltati. In questi Paesi, gli Stati hanno dovuto salvare le banche con un'enormita' di soldi. Intesa Sanpaolo non ha invece aggravato il debito pubblico italiano". ste stefania.spezzati@mfdowjones.it
(END) Dow Jones Newswires
23 maggio 2010
Euro 2016: il carro davanti ai buoi
Il governo lo scorso anno ha spiegato che l'economia avrebbe tratto enorme beneficio dal piano-casa. Più libertà di cambiare, aggiungere una veranda o buttare giù un muro era la ricetta.
Risultati? Pare nessuno.
Lo stesso governo vorrebbe gli Europei 2016, anche se non pare abbia fatto molto per aggiudicarseli, come spiega Fulvio Bianchi (vedi qui).
Non è solo una questione politica. Non si tratta solo di andare in giro per l'Europa a convincere gli altri paesi che l'Italia è il luogo migliore per organizzare i campionati europei.
C'è un'altra questione più concreta e banale: in Italia mancano gli stadi adatti a organizzare una manifestazione europea. A contarli sono forse 2-3. L'Olimpico di Roma e il futuro stadio della Juventus.
Altrove la situazione è disastrosa. Gli stadi sono inadeguati e non si fa nulla per migliorare la situazione.
Eppure lo stadio è, in giro per l'Europa, fonte di reddito per le società di calcio. Ci sono ristoranti, musei, supermercati. Ma da noi no. Noi pretendiamo di organizzare un campionato Europeo scrivendo su un pezzo di carta la nostra volontà di costruire nuovi stadi.
Basterebbe imporre ai comuni di cedere gli stadi alle società di calcio insieme al diritto di costruire musei e ristoranti. A spese delle società, naturalmente, con l'effetto di contribuire, sia pur marginalmente, a rilanciare l'economia. E invece?
Invece si mette il carro davanti ai buoi: non abbiamo gli stadi ma vogliamo fare un campionato europeo. Di costruirne di nuovi o di ristrutturare quelli esistenti, creando qualche nuovo posto di lavoro non se ne parla. Tanto di questi tempi c'è forse bisogno di nuovi posti di lavoro?
21 maggio 2010
Quanto vale una finale di Champions?
Tra poche ore si gioca la finale di Champions League tra una squadra, il Bayern Monaco, che negli ultimi anni ha cercato di chiudere i bilanci senza perdite, anche a costo di rinunciare a raggiungere risultati migliori in Europa, e l'Inter che invece ha ricevuto dal principale azionista, Massimo Moratti, decine di milioni l'anno per coprire le perdite e ricapitalizzare la società.
Quanto vale una finale?
Secondo il titolo di un articolo di Repubblica addirittura 100 milioni.
In realtà ne vale al massimo 9. L'Inter finalista riceve circa 60 milioni tra diritti tv, premi UEFA e incassi. Soldi incassati a prescindere dalla finale. Molti di quei milioni sarebbero entrati nelle casse nerazzurre anche in caso di eliminazione nei turni precedenti.
Invece la finale da sola vale circa 9 milioni per chi vince, 5 se perde, più altri 2/2,5 milioni per la Supercoppa Europea e altri soldi per la partecipazione alla Coppa Intercontinentale, più eventuali premi degli sponsor.
Ai 100 milioni indicati da Repubblica si arriva aggiungendo ai 69 milioni in caso di vittoria i proventi della possibile cessione di Maicon al Real Madrid, il minor esborso per Mourinho, se va al Real, e la penale che l'allenatore pagherà per sciogliere il contratto.
Che l'Inter pensi a far tornare i conti è sicuramente un bene perchè tra qualche anno non si potrà più iscrivere alle coppe europee chi avrà deficit troppo elevati. Anche per questo motivo alcune squadre che in passato hanno esagerato con i costi (il Manchester United, ad esempio) stanno correndo ai ripari e cedono i giocatori migliori per riequilibrare i conti, ridurre i debiti.
E per quanto qualcuno si possa illudere che davvero una finale valga 100 milioni, la realtà è diversa e non basta una vittoria per ripianare i deficit finora pagati dalle ricchezze personali di Moratti.
18 maggio 2010
La Germania contro la speculazione
Era ora, viene da dire. Perché è chiaro che la speculazione è dannosa perchè moltiplica gli effetti negativi sull'economia.
Se penso che il valore di un certo titolo, che possiedo, diminuirà, posso venderlo e acquistarlo in un secondo tempo oppure posso aspettare che raggiunga un certo prezzo prima di acquistarlo.
Ma le vendite allo scoperto ovvero la vendita di titoli non posseduti, allo scopo di acquistarli in un secondo momento a un prezzo minore, a cosa servono? Solo a speculare sul ribasso del prezzo, che diventa certo quando l'attacco speculativo proviene da operatori con ingenti capitali.
Costoro sono praticamente certi del successo delle operazioni speculative: possono vendere grandi quantità di un titolo, innescando ulteriori vendite causate dal panico di chi vede il crollo del valore del titolo posseduto.
E' dunque un bene bloccare questo genere di operazioni speculative, come quelle sui credit default swap (CDS), una sorta di assicurazione contro il fallimento di uno stato e il mancato pagamento dei titoli di stato.
Il governo tedesco vuol limitare gli scambi di CDS se non si possiedono i titoli "assicurati" e la ragione è banale: se io possiedo un titolo che mi garantisce un guadagno in caso di fallimento della Grecia, ho interesse a far fallire la Grecia, anche se ciò provoca danni patrimoniali a tantissimi.
La speculazione non sempre è un gioco a somma zero, come potremmo pensare. Non basta dire che c'è chi ci guadagna e chi perde e i guadagni compensano le perdite. Ciò può valere in borsa, ma se consideriamo l'economia nel suo insieme, i danni provocati da una ridistribuzione della ricchezza, dal calo della fiducia e dagli effetti patrimoniali (ovvero la perdita di valore dei patrimoni) sono spesso solo negativi, come dimostrano gli ultimi due anni.
I tedeschi l'hanno capito e, non dovendo difendere gli speculatori più delle loro banche, corrono ai ripari ponendo un limite alla speculazione.
Euro che crolla e Cina
Una frase forse un pò sibillina che indica però come la speculazione stia abbandonando rapidamente l'euro a favore di altre monete.
D'altro canto da una settimana i mercati non possono speculare sui titoli del debito pubblico, ben sapendo che la BCE è pronta a comprare centinaia di miliardi di euro di titoli del debito pubblico greci, portoghesi o spagnoli.
E così puntano su altro. Sanno che l'Europa è in difficoltà perchè i debiti pubblici stanno salendo rapidamente e che i governi, per mettere mano ai conti pubblici, rischiano di sacrificare una crescita già di per sè limitata. Non si fidano dell'euro e dell'Europa e ai primi tremolii della casa europea fuggono come chi teme gli effetti di un terremoto violento.
Lasciano l'euro e questo crolla. Perchè il crollo è rapido? Perchè i capitali in gioco sono enormi e saltano da una borsa all'altra, da una moneta ad un'altra.
Uno degli effetti dell'euro che cala rapidamente è che si sta rivalutando, rispetto all'euro, la moneta cinese.
Noi italiani importiamo beni dalla cina per oltre 20 miliardi di euro l'anno, circa l'1,3% del nostro PIL, e ne esportiamo per poco più della metà. Importiamo molti beni poco costosi, come i vestiti, ed esportiamo soprattutto tecnologia.
Se l'euro diminuisce rispetto alla moneta cinese sarà più difficile trovare al mercato le magliette a pochi euro. Le magliette prodotte in Cina ci saranno sempre ma costeranno di più, e questo farà salire l'inflazione, perchè ormai i nostri imprenditori hanno rinunciato alle produzioni meno costose, non potendo affrontare la concorrenza cinese.
Invece i nostri prodotti con un buon contenuto tecnologico trarranno beneficio dalla svalutazione dell'euro, anche se i benefici per l'economia saranno pochi, visto che le nostre esportazioni verso la Cina valgono meno dell'1% del PIL.
15 maggio 2010
L'evasione e la legge di Benford
Ci sono naturalmente tanti modi, ma uno usato -pare- all'estero è la legge di Benford.
Per capire di cosa si tratta immaginate di possedere 1000 euro e di avere la possibilità di investirli incassando, dopo un certo periodo di tempo, il 5%.
Il 5% di 1000 euro è pari a 50 euro. Avete 1050 euro. Segnate questa cifra su un foglio, poi immaginate di investire 1050 euro, cioè il capitale a vostra disposizione, guadagnando ancora il 5%, vale a dire 52,50 euro. Il capitale diventa 1102,5. Segnate questa cifra e, ma ormai l'avrete capito, immaginare di investire tutti i soldi (1102,5) ad un tasso di rendimento del 5% (per chi volesse cimentarsi nei conti basta moltiplicare 1000 per 1,05, prendere il risultato e moltiplicarlo per 1,05 e così via).
Fermatevi dopo un pò, diciamo quando si supera la soglia di 10.000.
A questo punto contate quante delle cifre che avete segnato sul foglio iniziano per 1, quante pr 2, quante per 3 e così via.
Vi renderete conto che le cifre che iniziano per 1 sono più di quelle che iniziano per 2 che a loro volta sono più di quelle che iniziano per 3 e così via.
Il signor Benford si accorse di ciò e propose un metodo per scoprire i dati falsi: se qualcuno si inventa un bilancio falso scriverà, se non conosce la legge di Benford, più o meno tante cifre che iniziano per 8 quante cifre che iniziano per 1 o per 2, mentre in un bilancio vero le cifre che iniziano per 1 dovrebbero essere più di quelle che iniziano per 2 che a loro volta... vabbè avete capito.
Si potrebbe usare anche in Italia, se solo si volessero scoprire bilanci e dichiarazioni false. Ma ho il sospetto che non succederà mai.
13 maggio 2010
Conviene far fallire uno stato?
Una sola cosa è certa: lo stato che fallisce non trova facilmente credito sui mercati internazionali.
Non gli si può fare guerra, anche se in passato qualche nazione è stata invasa dal creditore, non si può obbligare il paese a pagare con la forza. Al massimo si può sequestrare qualche somma disponibile presso qualche conto estero.
Si può solo evitare di prestargli soldi. Così un paese potrebbe contare solo sull'eventuale credito concesso dai propri cittadini, molti dei quali, peraltro, scottati dal fallimento, non sottoscriverebbero i titoli di stato.
Perciò lo stato fallito può contare solo sulle proprie forze. Niente deficit per non fallire una seconda volta.
Detto così il fallimento pare una soluzione che gli stati non dovrebbero desiderare mai, perchè molti governi preferiscono indebitarsi un pò, spendere più di quanto chiedono ai cittadini. Ma non è detto che sia sempre vero così.
Immaginate uno stato con un forte debito pubblico. Il 120% del PIL. In presenza di un interesse del 4% paga interessi pari a quasi il 5% del PIL.
Ora immaginiamo che il deficit, tramite risparmi e maggiori imposte, sia il 5% del PIL. E' la cifra spesa in interessi.
A quel punto potrebbe scattare la tentazione di dichiarare fallimento: senza più debito e senza interessi da pagare lo stato avrebbe i conti in pareggio senza chiedere soldi ai cittadini.
Dopo qualche anno lo stato potrebbe riprendere a fare debiti, una volta riconquistata la fiducia internazionale, con il vantaggio di non avere più il peso del debito precedente.
Tutto ciò è possibile? Sì, lo è.
Ci sono naturalmente una serie di controindicazioni. Chi restasse con un pugno di carta in mano non solo sarebbe molto arrabbiato verso il governo, ma dovrebbe per forza ridurre i propri consumi. Poi si modificherebbe il comportamento dei cittadini e dei risparmiatori, anche di quelli non coinvolti dal fallimento. Avrebbero paura di nuove spiacevoli sorprese e preferirebbero mettere al sicuro i soldi all'estero.
Le entrate fiscali, perciò, diminuirebbero come anche l'occupazione e il prodotto per effetto del fallimento. La garanzia di pareggiare i conti eliminando il debito e la spesa per interessi sarebbe tutt'altro che certa.
Questo, insieme alle possibili reazioni negative al fallimento (gente in rivolta, come in Argentina) suggerisce che è più prudente rinunciare al fallimento e cercare una soluzione alternativa.
11 maggio 2010
La BCE salva l'Euro
Dopo gli attacchi speculativi della scorsa settimana, con le borse in caduta libera per due sedute consecutive, i paesi dell'Unione Europea hanno deciso un intervento di dimensioni colossali. Oltre 500 miliardi di euro.
Come saranno spesi?
La Banca Centrale Europea comprerà titoli di stato sul mercato secondario, ovvero da chi li possiede. Si comprano perchè i mercati non vogliono finanziare, attualmente, alcuni paesi, primo fra tutti la Grecia. Oggi è così, in futuro chissà.
Nel frattempo si comprano i titoli greci per tranquillizzare i mercati e si prestano soldi alla Grecia imponendo al tempo stesso ad alcuni paesi, Grecia, Spagna e Portogallo in testa, di rimettere in sesto i conti pubblici. Solo in questo modo saranno, in futuro, più credibili e potranno rivolgersi al mercato per collocare i loro titoli di stato.
E' un programma simile al TARP americano. Ha funzionato? Pare proprio di sì, come testimonia la tabella che si trova in wikipedia: su oltre 250 miliardi prestati dallo stato, ne sono stati restituiti circa 180 anche da imprese disastrate come General Motors.
Dunque adesso la Banca Centale presta soldi alla Grecia, l'UE gli impone di rimettere in sesto i conti e tra qualche anno si spera la Grecia riuscirà a collocare i suoi titoli di stato.
Ma questo creerà inflazione? Io penso di no. Benché aumenti la quantità di moneta non aumenta la domanda (magari aumentasse!). Semplicemente si sostituisce capitale che non c'è più, fuggito davanti ai conti pubblici in forte difficoltà, con capitale gentilmente offerto dalla Banca Centrale Europea. Se poi qualcuno sarà disposto a prestare soldi alla Grecia, la BCE si farà da parte e smetterà di comprare i titoli greci. La quantità di moneta aumenterà, ma quella che circola in un'economia no. Per questo non penso che l'inflazione aumenterà.
10 maggio 2010
Ma com'è possibile?
L'obiettivo dei giornalisti era di mostrare che all'estero sono più bravi a gestire il traffico e a puntare sui mezzi pubblici e sull'ubanistica come soluzione per ridurre il flusso di auto.
Fin qui nulla di male. Ma come si fa a paragonare una città con quasi 3 milioni di persone come Roma, con Malmoe, dove vivono in 250 mila o Hannover dove vivono in 550.000?
E poi c'è l'ineffabile professor Giavazzi, che, non contento di aver fatto festa quando è fallita Lehman Brothers (vedi qui) si esercita oggi in improbabili considerazioni sull'intervento dell'UE a difesa dell'euro(vedi qui).
Giavazzi, da sempre sostenitore del libero mercato, non digerisce l'intervento degli stati. E mentre i mercati festeggiano con un aumento quasi del 10% (i piani americani di fine 2008 invece non avevano suscitato altrettanto entusiasmo), Giavazzi spiega che il problema è un altro.
Spagna e Portogallo sono diversi dal resto d'Europa, secondo Giavazzi, perché è diversa la produttività e questo fa sì che se la Gran Bretagna, ma anche gli USA, se si indebitano di più il mercato è pronto a comprare i loro titoli. Mentre lo stesso non vale per spagnoli e portoghesi.
Ma com'è possibile dimenticare che a Londra e New York hanno sede le più importanti piazze finanziarie e di banche capaci di raccogliere e prestare capitali enormi? E come ignorare il peso della speculazione nell'economia?
Giavazzi lo sa, ma è anche convinto che per i mercati sia la stessa cosa prestare soldi agli USA o al Portogallo. E allora cerca di salvare il salvabile spiegando che c'è ben altro che preoccupa "gli investitori, almeno quelli che guardano lontano perchè gestiscono i risparmi della famiglie".
Già: "almeno quelli che guardano lontano": una precisazione doverosa, perchè è chiaro chi opera in borsa e specula sul ribasso di azioni e obbligazioni non è interessato a prospettiva di lungo periodo.
Insomma sembra che ognuno organizzi le cose nel modo preferito, paragonando capra e cavoli (Roma con Malmoe) oppure cercando casi particolari per giustificare le proprie teorie imbarazzanti.
08 maggio 2010
Come manipolare il mercato
Chiamiamo mr C. lo speculatore. mr C. è un fondo che gestisce molti soldi e nei mesi scorsi ha comprato molte azioni dell'azienda X ad un prezzo medio di 4 dollari. Ma oggi le azioni dell'azienda X valgono 5 dollari.
mr C. ha una sala piena di operatori di borsa, proveniente da altri fondi. Sanno come operano.
John arriva dal fondo B e sa che quando il fondo B quando compra una certa azione inserisce nel computer un ordine di vendita. Ragiona così: io ho comprato l'azione dell'azienda X a 4,50 e aspetto che salga. Oggi vale 5 e se dovesse scendere sotto 4,90 la vendo.
Quindi il fondo B inserisce un ordine nel computer: se l'azione scende a 4,90, vendi. Lo fa per tutelarsi e non essere costretto a vendere a prezzi più bassi.
Sam arriva dal fondo C e sa che anche il fondo C inserisce un ordine di vendita simile.
Poi c'è Robert che controlla le compra-vendite dell'azione X. Sa che se ci sono forti ordini di acquisto e acquisti ripetuti nel tempo, sa che possono essere stati solo certi fondi coi soldi necessari a comprare grandi quantità di azioni.
Dunque mr C. ha tutti i dati per preparare il colpaccio: ha tante azioni e sa come operano gli altri fondi. Sa soprattutto che ci sono gli ordini di vendita automatici.
Guarda gli ordini d'acquisto dell'azione X. Se l'azione vale 5 dollari, ci sono ordini per acquistare un certo numero di azioni a 4,99, altri per acquistare a 4,98, e così via. Più ci si allontana da 5, più gli ordini di acquisto si diradano. Pochi inseriscono ordini di acquisto a 4,70 e ancor meno a 4,50 oppure a 4 dollari.
In un giorno in cui gli ordini di acquisto scarseggiano, perchè le borse sono in calo e tutti si attendono ulteriori cali, mr C. chiama a raccolta i suoi e ordina: vendete l'azione X.
I suoi collaboratori inseriscono un primo ordine di vendita a 4,95. I computer vendono a chi offre 4,99, poi a chi offre 4,98, poi a chi offre 4,97 e così via fino a 4,95. Il prezzo di scambio scende da 5 a 4.99 e poi via via a 4.95. Basta qualche attimo perchè domanda e offerta ai diversi prezzi si trasformino in compra-vendite.
Poi parte un secondo ordine che fa scendere il prezzo a 4,90 e poi un altro ancora. In pochi secondi il prezzo arriva a 4,90 e poi scende ancora.
Ma più ci allontaniamo dal prezzo di partenza, meno ordini troviamo. La discesa del prezzo accelera: si passa a 4,80 poi a 4,70, poi a 4,50: il 10% in meno, ma sempre più di quanto speso da mr C. per comprare le azioni dell'azienda X.
Nel frattempo il prezzo in calo innesca gli ordini di vendita automatici dei fondi B, C, D. Che lo vogliano o no anch'essi partecipano al gioco. La palla di neve sta provocando la valanga. Gli ordini di vendita abbondano e a prezzi stracciati.
Prima di reagire, gli operatori si chiedono qual è la causa: un attentato terroristico? notizie inattese sull'azienda X? Mentre verificano, i computer vendono.
A questo punto inizia la fase due. Sui terminali sono pronti gli ordini di acquisto. Un invio e il gioco è fatto: mr C. ricompra le azioni. Anche gli altri faranno lo stesso ma a prezzi che via via risalgono.
In pochi minuti ha venduto azioni e le ha ricomprate pagandole un 5-10% in meno.
Tutto chiaro?
Pensate adesso al fatto che si possono fare vendite allo scoperto, cioè di azioni non possedute, pensate che la speculazione che ho immaginato può riguardare non una singola azione ma più azioni, pensate che ci sono di mezzo anche le valute, per cui se un'azione resta ferma ma scende l'euro conviene venderla e comprare dollari, e capite come siano possibili le speculazioni, anche senza immaginare scenari fatti di insider trading e altre irregolarità.
Basta usare la forza finanziaria di qualche fondo dotato di enormi capitali. Già perchè il mercato fatto di tanti operatori "atomistici" esiste solo sui libri e nelle fantasie di qualche economista liberista. Ma di questo parlerò la prossima volta.
07 maggio 2010
I governi scoprono (finalmente) la speculazione
Tanto evidente che tutti speculano, compresa le fondazioni bancarie, come avevo segnalato tempo fa, che vendono e ricomprano le azioni possedute, ottenendo così utili senza precedenti.
Se la speculazione fa crescere a dismisura i valori di borsa o se qualcuno acquista a prezzi incredibilmente alti un'azienda nessuno se ne preoccupa, ma quando le borse crollano, prima o poi qualcuno reagisce.
Bush non lo fece, togliendo ogni possibilità di essere eletto al candidato repubblicano e consentendo una crisi senza precedenti. Oggi che il copione si è ripetuto, con massicce vendite di titoli greci prima e portoghesi poi, e voci incontrate di difficoltà per banche e stati, i leader politici si sono allarmati.
Obama e altri governi, scottati dagli avvenimenti degli ultimi due anni, non ci stanno e invocano inchieste e provvedimenti. Siamo forse alla vigilia di qualche arresto eccellente, di manager portati via in manette e poi condannati a pene esemplari come accaduto negli anni '80 con Michael Milken re dei junk bonds, i titoli spazzatura (vedi qui)?
Difficile fare previsioni. E anche inutile. Poco importa se troveranno un colpevole, un capro espiatorio su cui sfogare le rabbie dei milioni di disoccupati che hanno perso il posto da quando la crisi è iniziata.
Quello che conta è che i governi comprendano i rischi di una finanza globale e senza regole, e cerchino in qualche modo di porre un freno a un mondo dove qualcuno, con somme enormi a disposizione, può comprare e vendere qualsiasi azione e obbligazione in qualsiasi momento, causando danni enormi quando si specula sul ribasso di un'azione o sul fallimento di uno stato.
Se lo capiranno e se interverranno,in futuro sarà più difficile vedere i mercati salire e scendere a velocità supersonica, come successo ieri sera, quando il Dow Jones ha perso, in un quarto d'ora, 998 punti, oltre 200 in più di quelli persi quando venne bocciato il piano di salvataggio del governo Bush. In caso contrario forse ci appassioneremo all'arresto di qualche manager ubriacato dal potere e dalla voglia di far soldi rapidamente, ma nessuno fermerà il conto alla rovescia della prossima speculazione. Basta infatti, com'è successo ieri sera, che qualcuno infili in un computer un ordine di vendita anomalo per far scattare un'infinità di altri ordini automatici. La borsa crolla e poi si ricompra, guadagnando un 5% in pochi minuti.
05 maggio 2010
Quest'opera s'ha da fare
E' uno dei tanti comitati che in Italia si batte contro qualcosa, la TAV, gli inceneritori, le pale eoliche o le metropolitane.
Beppe Grillo ha dato il suo appoggio, con diversi post sul suo blog (vedi in fondo l'elenco) e una fidejussione richiesta dal Tribunale per bloccare temporaneamente i lavori.
Dopo anni di battaglie legali oggi è arrivata la sentenza definitiva: il parcheggio si farà (vedi qui)
Quest'opera non s'ha da fare, aveva spiegato Grillo, per la gioia di chi è contrario alla TAV e a qualsiasi opera. Ha avuto torto. Pagherà la fidejussione? E cosa dirà sul suo blog, dopo aver annunciato il vantaggio per 2-0?
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Alla vicenda Grillo ha dedicato diversi post del suo blog:
http://www.beppegrillo.it/2009/11/parco_acquasola.html
http://www.beppegrillo.it/2009/09/il_cittadino_con_lelmetto.html
http://www.beppegrillo.it/2009/09/grillo168_lauto.html
http://www.beppegrillo.it/2009/09/i_parcheggi_al.html
Sprechi e sacrifici
Bondi riesce infatti a unire cose diversissime. Il suo passato e il suo presente politico, agli antipodi, ma anche sprechi notevoli e risparmi altrettanto cospicui.
Da qualche giorno, infatti, il mondo dei teatri lirici è in subbuglio. Il governo con un decreto ha tagliato i fondi e cambiato le regole. In molti non saranno assunti o resteranno precari.
I teatri lirici dipendono non da un ministero ma da strane fondazioni.
Una fondazione è, in sostanza, un ente che mette insieme un patrimonio, magari lasciato in eredità, per un certo scopo, spesso benefico, come fare ricerca sul cancro o aiutare gli anziani in difficoltà. Le fondazioni "tradizionali" usano il rendimento del patrimonio fatto di case, azioni, ecc. pagare le spese.
Poi ci sono le fondazioni di tipo nuovo, di moda da qualche anno. Fondazioni che non possiedono un patrimonio o, se lo possiedono, hanno un patrmonio che non rende abbastanza per pagare le spese. E dunque chiedono soldi ai privati e soprattutto allo stato. E' il caso di certe fondazioni politiche che servono a propagandare le idee di qualcuno (si pensi alle fondazioni di Fini e D'Alema) ma anche delle fondazioni che gestiscono i musei o, appunto, i teatri lirici.
Queste fondazioni cercano di darsi da fare e incassare il più possibile, ma di solito vivono solo grazie ai fondi pubblici, anche perchè gli italiani quando devono aiutare qualcuno o decidere la destinazione del 5 per mille preferiscono Emergency o chi fa ricerca sul cancro.
A cosa servono dunque le fondazioni? A dare qualche incarico di prestigio, a cercare di raccogliere qualche soldo in più e a fornire una scappatoia a chi deve gestire musei e teatri: se fossero ministeriali dovrebbero rispettare le leggi, mentre la fondazione all'apparenza agisce come un privato e deve rispettare molte meno regole.
Le fondazioni liriche non riescono a raccogliere quanto basta a sopravvivere senza aiuti dallo Stato e il governo ha deciso di tagliare i fondi. Bondi ha fatto un decreto e quando qualcuno ha protestato s'è arrabbiato.
Dimenticandosi forse che il suo ministero ha speso 1,2 milioni per l'acquisto di un quadro che, a detta di molti, vale al massimo 400.000 euro, come riporta qui Repubblica.
Insomma grandi sacrifici e grandi sprechi, nel ministero del più berlusconiano dei ministri con un passato nel PCI e l'amore per poesie che non piacciono neppure ai parenti stretti.