Non sapendo come criticare il jobs act, Francesco Giavazzi ha scoperto una presunta pecca: se si adotta un sistema a tutele crescenti si disincentiva chi ha già un lavoro a cambiare posto.
Infatti se un lavoratore cambia posto, perde i diritti acquisiti e comincia un periodo in cui i suoi diritti aumentano gradualmente, fino a tornare quelli di prima.
Perchè -dobbiamo chiederci- un lavoratore cambia lavoro volontariamente?
La prima possibilità è che il lavoratore possa cercare un nuovo lavoro perchè l'ambiente di lavoro diventa difficile. E' il caso di un'impresa in difficoltà oppure di una situazione di incompatibilità tra persone che lavorano nella stessa impresa.
Se il lavoratore che teme di perdere il lavoro o si scontra con colleghi o dirigenti e decide di andarsene, probabilmente è poco interessato ai diritti che perderà. Preferisce avere meno diritti lavorando però in un ambiente non ostile o con la certezza di non doversi preoccupare di restare disoccupato.
L'altro caso è quello del lavoratore che cambia posto perchè alla ricerca di un'occasione di crescita professionale e di uno stipendio migliore.
A questo punto apriamo una piccola parentesi.
La legge a tutele crescenti serve a ridurre i vincoli per un'impresa che, scelto un lavoratore e scoperto di aver commesso un errore, vuole interrompere il rapporto di lavoro.
Il lavoratore che lascia un posto di lavoro perchè grazie a un buon curiculum cerca un'occasione di lavoro, è diverso dal lavoratore privo di esperienza alla ricerca del primo impiego e dal lavoratore con poca esperienza a cui magari non è stato rinnovato il contratto a tempo determinato.
Il lavoratore con esperienza sa di correre un minor rischio di essere licenziato perchè l'impresa che lo assume vuole acquisire le sue competenze e per questo è disposta a pagarlo di più.
Perchè dovrebbe rinuciare a un'occasione migliore, come pensa Giavazzi?
30 novembre 2014
29 novembre 2014
Widiba
Da qualche settimana è iniziata la campagna pubblicitaria martellante di Widiba, banca online che promette tassi convenienti e awmlicità nell'uso.
Niente di male, vien da dire. Cose già viste: vi ricordate la pubblicità di Che Banca, con ballerini e musica?
In quel caso il nome era italiano. Nel caso di Widiba si può pensare a una banca straniera che sbarca in Italia.
Invece Widiba è una banca italianissima, appartiene al Monte dei Paschi di Siena che ha rinunciato alla classica sigla MPS. Forse perchè è, insieme alla Cassa di Risparmio di Genova, la peggiore banca italiana e se mostrasse la sua vera identità molti clienti eviterebbero di rivolgersi a Widiba?
Niente di male, vien da dire. Cose già viste: vi ricordate la pubblicità di Che Banca, con ballerini e musica?
In quel caso il nome era italiano. Nel caso di Widiba si può pensare a una banca straniera che sbarca in Italia.
Invece Widiba è una banca italianissima, appartiene al Monte dei Paschi di Siena che ha rinunciato alla classica sigla MPS. Forse perchè è, insieme alla Cassa di Risparmio di Genova, la peggiore banca italiana e se mostrasse la sua vera identità molti clienti eviterebbero di rivolgersi a Widiba?
27 novembre 2014
Guerra del petrolio?
La storia del petrolio è costellata di guerre, che di solito sono il modo in cui un paese o un gruppo politico cerca di controllarne i pozzi di petrolio, direttamente o indirettamente, vale a dire controllando il governo di uno stato ricco di petrolio.
Da qualche mese il prezzo del petrolio è in discesa e la riunione dell'OPEC ha forse aperto la porta a ulteriori ribassi, perchè non s'è trovato un accordo per ridurre la produzione.
Pare una guerra al contrario, perchè le guerre per il petrolio hanno sempre provocato un aumento del prezzo. A volte anche shock petroliferi capaci di provocare forti recessioni nel mondo industrializzato, che consuma molto petrolio.
Questa volta però il prezzo cala. Le ragioni paiono essere due. Una economica e una politica.
La ragione economica riguarda la produzione di shale oil, petrolio ottenuto con tecniche nuove, che ha fatto salire la produzione petrolifera negli USA. Il petrolio estratto in questo modo è però molto costoso e conveniente solo se il prezzo supera gli 80 euro al barile.
Di fronte a un prezzo che cala molte imprese americane e le banche che le hanno finanziate, forse troppo generosamente, sono entrate in crisi.
L'Arabia Saudita che s'è opposta alla diminuzione della produzione e quindi al tentativo di fermare il calo dei prezzi, starebbe cercando di mettere fuori gioco tale produzione.
Poi ci sono le ragioni politiche: negli ultimi anni l'aumento di produzione di petrolio negli USA, aumentata grazie allo shale oil, ha indotto l'amministrazione Obama a ridurre l'impegno in Medio Oriente. Meno interferenze ma anche più instabilità, che forse al regime saudita non piace.
Il prezzo in calo poi è un attacco implicito agli Stati che dal petrolio ottengono buona parte delle proprie entrate fiscali, come Russia, Venezuela e Iran, nemici storici degli Stati Uniti e, direttamente o indirettamente, anche dell'Arabia Saudita.
Ma significa anche -e questa è la buona notizia- una boccata d'ossigeno per l'economia europea, che insieme ai tassi bassi almeno per qualche tempo potrà godere di una calo dei prezzi dell'energia.
Da qualche mese il prezzo del petrolio è in discesa e la riunione dell'OPEC ha forse aperto la porta a ulteriori ribassi, perchè non s'è trovato un accordo per ridurre la produzione.
Pare una guerra al contrario, perchè le guerre per il petrolio hanno sempre provocato un aumento del prezzo. A volte anche shock petroliferi capaci di provocare forti recessioni nel mondo industrializzato, che consuma molto petrolio.
Questa volta però il prezzo cala. Le ragioni paiono essere due. Una economica e una politica.
La ragione economica riguarda la produzione di shale oil, petrolio ottenuto con tecniche nuove, che ha fatto salire la produzione petrolifera negli USA. Il petrolio estratto in questo modo è però molto costoso e conveniente solo se il prezzo supera gli 80 euro al barile.
Di fronte a un prezzo che cala molte imprese americane e le banche che le hanno finanziate, forse troppo generosamente, sono entrate in crisi.
L'Arabia Saudita che s'è opposta alla diminuzione della produzione e quindi al tentativo di fermare il calo dei prezzi, starebbe cercando di mettere fuori gioco tale produzione.
Poi ci sono le ragioni politiche: negli ultimi anni l'aumento di produzione di petrolio negli USA, aumentata grazie allo shale oil, ha indotto l'amministrazione Obama a ridurre l'impegno in Medio Oriente. Meno interferenze ma anche più instabilità, che forse al regime saudita non piace.
Il prezzo in calo poi è un attacco implicito agli Stati che dal petrolio ottengono buona parte delle proprie entrate fiscali, come Russia, Venezuela e Iran, nemici storici degli Stati Uniti e, direttamente o indirettamente, anche dell'Arabia Saudita.
Ma significa anche -e questa è la buona notizia- una boccata d'ossigeno per l'economia europea, che insieme ai tassi bassi almeno per qualche tempo potrà godere di una calo dei prezzi dell'energia.
I 300 miliardi di Junker
Junker, nuovo presidente della Commissione Europea, ha illustrato oggi il progetto da 300 miliardi per rilanciare l'economia europea e far uscire i paesi membri dalla recessione o da una crescita
asfittica.
Il piano è questo: si prendono 15 miliardi di fondi europei e 6 della banca europea degli investimenti. Questi soldi serviranno a emettere obbligazioni per 60 miliardi, e questi insieme a investimenti privati e pubblici (questi ultimi non influenzeranno il calcolo del rapporto deficit/PIL dei singoli stati) muoveranno 315 miliardi in 3 anni.
Il commissario Katainen ha spiegato che la commissione sa che ci sono imprenditori desiderosi di investire, interessati al programma europeo.
Detto così, il programma pare interessante. L'idea di fondo è aumentare la spesa in investimenti, con la speranza che una strada o un porto costruiti nei prossimi anni facciano aumentare il PIL, riducendo il rapporto debito/PIL e facendo incassare allo Stato più imposte, con cui ripagare l'investimento iniziale.
Funzionerà?
Forse sì, ma bisogna valutare alcuni punti deboli.
Pare un pò ottimistica l'idea di smuovere 315 miliardi di euro con soli 21 miliardi messi dall'Europa, parte dei quali peraltro arrivano da fondi già esistenti.
Il rischio è che i 21 miliardi generino una massa di investimenti molto inferiore al previsto, considerato anche l'effetto negativo prodotto dall'uso di soldi già destinati a altri scopi.
E poi c'è da chiedersi se gli investimenti si aggiungerebbero a quelli già programmati. Le parole di Katainen lasciano intendere che con i fondi europei si finanzieranno investimenti, buona parte dei quali sono già stati già programmati. Se così fosse, alla fine l'effetto sull'economia sarà inferiore al previsto. I 315 miliardi rischiano di essere un'illusione. Come una rapida uscita dalla crisi.
asfittica.
Il piano è questo: si prendono 15 miliardi di fondi europei e 6 della banca europea degli investimenti. Questi soldi serviranno a emettere obbligazioni per 60 miliardi, e questi insieme a investimenti privati e pubblici (questi ultimi non influenzeranno il calcolo del rapporto deficit/PIL dei singoli stati) muoveranno 315 miliardi in 3 anni.
Il commissario Katainen ha spiegato che la commissione sa che ci sono imprenditori desiderosi di investire, interessati al programma europeo.
Detto così, il programma pare interessante. L'idea di fondo è aumentare la spesa in investimenti, con la speranza che una strada o un porto costruiti nei prossimi anni facciano aumentare il PIL, riducendo il rapporto debito/PIL e facendo incassare allo Stato più imposte, con cui ripagare l'investimento iniziale.
Funzionerà?
Forse sì, ma bisogna valutare alcuni punti deboli.
Pare un pò ottimistica l'idea di smuovere 315 miliardi di euro con soli 21 miliardi messi dall'Europa, parte dei quali peraltro arrivano da fondi già esistenti.
Il rischio è che i 21 miliardi generino una massa di investimenti molto inferiore al previsto, considerato anche l'effetto negativo prodotto dall'uso di soldi già destinati a altri scopi.
E poi c'è da chiedersi se gli investimenti si aggiungerebbero a quelli già programmati. Le parole di Katainen lasciano intendere che con i fondi europei si finanzieranno investimenti, buona parte dei quali sono già stati già programmati. Se così fosse, alla fine l'effetto sull'economia sarà inferiore al previsto. I 315 miliardi rischiano di essere un'illusione. Come una rapida uscita dalla crisi.
25 novembre 2014
Alluvione ..sull'acquario di Genova
L'acquario di Genova è il più grande acquario italiano e il secondo in Europa, dopo quello di Valencia, in Spagna. E' anche un'importante attrazione turistica e fa parte di un gruppo economico in continua crescita, la Costa Edutainment, gestita dalla famiglia Costa un tempo proprietaria dell'omonima società di crociere, oggi in mano agli americani.
A inizio ottobre e poi a metà novembre, Genova e la Liguria sono state flagellate dalla pioggia, che ha provocato rilevanti danni e qualche morto. Le piogge non hanno interessato l'acquario, che si trova nel porto antico di Genova, lontano dai fiumi esondati. Ma ha coinvolto strade, autostrade e treni e ha provocato molti timori tra i potenziali visitatori.
La paura di restare bloccati in autostrada o su un treno fermo per una frana, ha fatto diminuire le presenze: 50.000 biglietti in meno in poco più di un mese e un danno economico di oltre 1 milione di euro.
Sembra assurdo, perchè nell'era di internet è possibile sapere in tempo reale se pioverà o se un'autostrada è percorribile. Ma è così. Siamo connessi ma continuiamo a ragionare come quando per aggiornarsi si doveva aspettare il giornale del giorno dopo o il tg della sera. Con effetti economici disastrosi: le paure fermano l'economia anche quando il rischio non c'è più.
A inizio ottobre e poi a metà novembre, Genova e la Liguria sono state flagellate dalla pioggia, che ha provocato rilevanti danni e qualche morto. Le piogge non hanno interessato l'acquario, che si trova nel porto antico di Genova, lontano dai fiumi esondati. Ma ha coinvolto strade, autostrade e treni e ha provocato molti timori tra i potenziali visitatori.
La paura di restare bloccati in autostrada o su un treno fermo per una frana, ha fatto diminuire le presenze: 50.000 biglietti in meno in poco più di un mese e un danno economico di oltre 1 milione di euro.
Sembra assurdo, perchè nell'era di internet è possibile sapere in tempo reale se pioverà o se un'autostrada è percorribile. Ma è così. Siamo connessi ma continuiamo a ragionare come quando per aggiornarsi si doveva aspettare il giornale del giorno dopo o il tg della sera. Con effetti economici disastrosi: le paure fermano l'economia anche quando il rischio non c'è più.
23 novembre 2014
Curiosità: Bin Laden e la moneta
Secondo il giornalista inglese Jason Burke (Al Qaeda, Feltrinelli 2004, pag.41) anche bin Laden voleva una riforma monetaria...
20 novembre 2014
Il penale tributario
Prendo spunto da questa intenzione del governo che prevede limiti più alti per il penale tributario. Rimando a questo ottimo articolo del 2011 di Rischio calcolato per una disamina puntuale della normativa e dello stato di fatto e colgo l'occasione per fare qualche considerazione.
Nel rimando preso dal Fatto Quotidiano è tutto un susseguirsi di pianti per la mancanza di severità contro l'evasione. Viceversa dagli addetti ai lavori si plaude alla fine di un periodo di caccia alle streghe che non ha prodotto il benché minimo risultato e, quando ha punito, o lo ha fatto con mano leggera contro i grandi, oppure con mano pesantissima e sproporzionata contro i piccoli (e ingenui).
Vediamo un caso per qualche ragionamento
Viene imposto un limite per le fatture false a 1.000 € perché ciò sia reato penale. Chi non ha mai subito un controllo, purtroppo non può capire. Cito un caso esemplare: il contribuente Tizio è soggetto a un controllo analitico dell'Agenzia delle Entrate e il controllore scova una fattura sospetta emessa da Caio di 30 €. Il funzionario dell'Agenzia effettua un controllo nelle banche dati e scopre che Caio non ha mai presentato la dichiarazione dei redditi. Quindi deduce che non ha mai lavorato e non ha potuto aver mai emesso una fattura attiva nei confronti di Tizio.
Viene quindi accertato in sede amministrativa un minor costo di 30 € con relative sanzioni e interessi (60 € in tutto) e passata alla Guardia di Finanza la fattura incriminata perché indaghi.
La guardia di Finanza indaga e scopre che Caio è irreperibile, quindi chiama Tizio per interrogarlo, informandolo che è stato aperto un fascicolo a suo carico per uso di fatture false. In pratica Tizio si sarebbe autoprodotto la fattura e l'avrebbe portata in deduzione. Tizio, interrogato, non è in grado di fornire strumenti tracciabili di pagamento (pagamento in contanti, vista l'esiguità della somma), ma afferma che la prestazione è stata fatta senz'altro. Ma non può fornire prove perché si tratta di un fatto di 5 anni prima (per il penale i termini di prescrizione ordinaria sono raddoppiati).
Quindi la Guardia di Finanza non può fare altro che passare il fascicolo alla procura perché la giustizia faccia il suo corso.
E tutto questo per una fattura di 30 €.
Ora, si può obiettare che non conta la cifra ma il fatto, ma bisogna anche chiedersi quanto costa tutto ciò ai contribuenti per stabilire la verità: Funzionari, Finanzieri, Cancellieri, Giudici e avvocati costano!
Bisogna anche chiedersi che risultati abbia prodotto tutta questa severità: è calata l'evasione? Ci sono forse le carceri intasate di evasori fiscali?
La risposta è no ad entrambe le risposte. Inoltre a mio parere verrà inserito un limite che preveda che più fatture dello stesso emittente ai fini del limite dei 1.000 € si possano sommare (altrimenti avremmo dei fatturifici a 1.000 €): all'agenzia delle entrate non sono cretini e certe cose le sanno benissimo.
Questo provvedimento ha un senso se si pensa che tutti i movimenti oltre i 1.000 € devono essere tracciati e i movimenti di poche centinaia di Euro costa più perseguirli che lasciarli perdere!
Inoltre con l'introduzione dei nuovi strumenti e gli incroci di banche dati (nuovo ISEE, Spesometro, Redditometro) è finita l'era dei blitz e degli scontrini fiscali: se evado è meglio che espatrio subito, altrimenti se spendo prima o poi mi prendono!
Infine sulle soglie aumentate per la dichiarazione infedele bisogna considerare che se le soglie sono basse in pratica qualunque errore, anche in buona fede, fa scattare il penale e che quindi qualunque controllo finisce in tribunale.
Quindi meglio concentrarsi analiticamente su pochi grandi lasciando i piccoli ai controlli degli strumenti sintetici: prima o poi chi evade, spende e se spende è solo questione di tempo.
p.s. Tizio fu assolto dopo 2 gradi di giudizio e 5 anni di calvario e alcune migliaia di Euro spese in avvocati.
Nel rimando preso dal Fatto Quotidiano è tutto un susseguirsi di pianti per la mancanza di severità contro l'evasione. Viceversa dagli addetti ai lavori si plaude alla fine di un periodo di caccia alle streghe che non ha prodotto il benché minimo risultato e, quando ha punito, o lo ha fatto con mano leggera contro i grandi, oppure con mano pesantissima e sproporzionata contro i piccoli (e ingenui).
Vediamo un caso per qualche ragionamento
Viene imposto un limite per le fatture false a 1.000 € perché ciò sia reato penale. Chi non ha mai subito un controllo, purtroppo non può capire. Cito un caso esemplare: il contribuente Tizio è soggetto a un controllo analitico dell'Agenzia delle Entrate e il controllore scova una fattura sospetta emessa da Caio di 30 €. Il funzionario dell'Agenzia effettua un controllo nelle banche dati e scopre che Caio non ha mai presentato la dichiarazione dei redditi. Quindi deduce che non ha mai lavorato e non ha potuto aver mai emesso una fattura attiva nei confronti di Tizio.
Viene quindi accertato in sede amministrativa un minor costo di 30 € con relative sanzioni e interessi (60 € in tutto) e passata alla Guardia di Finanza la fattura incriminata perché indaghi.
La guardia di Finanza indaga e scopre che Caio è irreperibile, quindi chiama Tizio per interrogarlo, informandolo che è stato aperto un fascicolo a suo carico per uso di fatture false. In pratica Tizio si sarebbe autoprodotto la fattura e l'avrebbe portata in deduzione. Tizio, interrogato, non è in grado di fornire strumenti tracciabili di pagamento (pagamento in contanti, vista l'esiguità della somma), ma afferma che la prestazione è stata fatta senz'altro. Ma non può fornire prove perché si tratta di un fatto di 5 anni prima (per il penale i termini di prescrizione ordinaria sono raddoppiati).
Quindi la Guardia di Finanza non può fare altro che passare il fascicolo alla procura perché la giustizia faccia il suo corso.
E tutto questo per una fattura di 30 €.
Ora, si può obiettare che non conta la cifra ma il fatto, ma bisogna anche chiedersi quanto costa tutto ciò ai contribuenti per stabilire la verità: Funzionari, Finanzieri, Cancellieri, Giudici e avvocati costano!
Bisogna anche chiedersi che risultati abbia prodotto tutta questa severità: è calata l'evasione? Ci sono forse le carceri intasate di evasori fiscali?
La risposta è no ad entrambe le risposte. Inoltre a mio parere verrà inserito un limite che preveda che più fatture dello stesso emittente ai fini del limite dei 1.000 € si possano sommare (altrimenti avremmo dei fatturifici a 1.000 €): all'agenzia delle entrate non sono cretini e certe cose le sanno benissimo.
Questo provvedimento ha un senso se si pensa che tutti i movimenti oltre i 1.000 € devono essere tracciati e i movimenti di poche centinaia di Euro costa più perseguirli che lasciarli perdere!
Inoltre con l'introduzione dei nuovi strumenti e gli incroci di banche dati (nuovo ISEE, Spesometro, Redditometro) è finita l'era dei blitz e degli scontrini fiscali: se evado è meglio che espatrio subito, altrimenti se spendo prima o poi mi prendono!
Infine sulle soglie aumentate per la dichiarazione infedele bisogna considerare che se le soglie sono basse in pratica qualunque errore, anche in buona fede, fa scattare il penale e che quindi qualunque controllo finisce in tribunale.
Quindi meglio concentrarsi analiticamente su pochi grandi lasciando i piccoli ai controlli degli strumenti sintetici: prima o poi chi evade, spende e se spende è solo questione di tempo.
p.s. Tizio fu assolto dopo 2 gradi di giudizio e 5 anni di calvario e alcune migliaia di Euro spese in avvocati.
Cappellani militari
Piccola e interessante inchiesta delle Iene sull'enorme spesa, in aumento, per i cappellani militari
http://www.iene.mediaset.it/puntate/2014/11/19/pelazza-i-sacerdoti-pagati-dallo-stato_9000.shtml
http://www.iene.mediaset.it/puntate/2014/11/19/pelazza-i-sacerdoti-pagati-dallo-stato_9000.shtml
18 novembre 2014
Altroconsumo indaga su Crevit
Interessante video di Altroconsumo sulla moneta complementare Crevit
e intervista integrale al creatore di Crevit
16 novembre 2014
Barolo Boys
Un bel documentario trasmesso da Rai2 (visibile qui: htmlhttp://www.tg2.rai.it/dl/tg2/RUBRICHE/PublishingBlock-8f49a286-7527-4264-9979-72b4aca618d8.html) offre una bella lezione di economia, che proverò a sintetizzarvi.
Negli anni '70 alcuni piccoli produttori di vino a Barolo si trovano in mano aziende vitivinicole a gestione famigliare che faticano a sopravvivere. Il vino si vende sfuso e il prezzo è basso, come la qualità, condizionata da metodi di produzione antichi, molto tradizionali.
Decidono di cambiare, adottano nuove botti e un metodo quasi rivoluzionario: si riuniscono, confrontano i metodi di produzione, valutano i risultati e imparano dai migliori e dagli errori. Poi arriva un giovane toscano, Marco De Grazia, che li convince a portare i loro vini "innovativi" negli USA.
E' un successo, trovano nuovi mercati, vendono a prezzi molto più elevati, creano un modello da imitare, portano ricchezza dove c'era povertà e fame.
Ma il successo riporta l'orologio indietro. Il lavoro comune, la collaborazione che ha reso importante il Barolo in tutto il mondo, finisce. Torna l'individualismo dei produttori che col tempo da innovatori si trasformano in conservatori, ostili alle novità proposte dalle nuove generazioni.
Innovazione e conservazione, individualismo e capacità di far gruppo, invidie e condivisioni. Tutto questo rende povero o ricco un prodotto e un territorio.
Negli anni '70 alcuni piccoli produttori di vino a Barolo si trovano in mano aziende vitivinicole a gestione famigliare che faticano a sopravvivere. Il vino si vende sfuso e il prezzo è basso, come la qualità, condizionata da metodi di produzione antichi, molto tradizionali.
Decidono di cambiare, adottano nuove botti e un metodo quasi rivoluzionario: si riuniscono, confrontano i metodi di produzione, valutano i risultati e imparano dai migliori e dagli errori. Poi arriva un giovane toscano, Marco De Grazia, che li convince a portare i loro vini "innovativi" negli USA.
E' un successo, trovano nuovi mercati, vendono a prezzi molto più elevati, creano un modello da imitare, portano ricchezza dove c'era povertà e fame.
Ma il successo riporta l'orologio indietro. Il lavoro comune, la collaborazione che ha reso importante il Barolo in tutto il mondo, finisce. Torna l'individualismo dei produttori che col tempo da innovatori si trasformano in conservatori, ostili alle novità proposte dalle nuove generazioni.
Innovazione e conservazione, individualismo e capacità di far gruppo, invidie e condivisioni. Tutto questo rende povero o ricco un prodotto e un territorio.
15 novembre 2014
AMT e jobs act
E' difficile credere che non servano interventi nella legislazione sul lavoro dopo episodi come quello denunciato ieri da AMT, l'azienda pubblica genovese dei trasporti, devastata dai manifestanti, tra cui alcuni sindacalisti e dipendenti.
Secondo la denuncia di AMT 70 persone sono entrate nella sede devastandola e danneggiando i computer e il sistema di controllo dei bus (come racconta Il Secolo XIX).
Qualche mese fa l'azienda genovese è stata al cento di uno sciopero selvaggio: 5 giorni senza autobus, picchetti, scontri, proteste, amnifestazioni. Il tutto perchè i dipendenti si sono ribellati ai tagli, per alcuni milioni di euro, finendo però per pagare milioni di euro in multe provocate dagli scioperi, attuati nonostante la precettazione.
Cosa si deve fare con dipendenti che attuano comportamenti per così dire auto-distruttivi, cioè comportamenti che provocano un danno ingiustificato all'azienda per cui lavorano?
Casi come questi sono forse la prova è necessaria che una legge sul lavoro che punisca questi comportamenti, per evitare che le dispute aziendali o le proteste politiche sfocino nella follia.
Secondo la denuncia di AMT 70 persone sono entrate nella sede devastandola e danneggiando i computer e il sistema di controllo dei bus (come racconta Il Secolo XIX).
Qualche mese fa l'azienda genovese è stata al cento di uno sciopero selvaggio: 5 giorni senza autobus, picchetti, scontri, proteste, amnifestazioni. Il tutto perchè i dipendenti si sono ribellati ai tagli, per alcuni milioni di euro, finendo però per pagare milioni di euro in multe provocate dagli scioperi, attuati nonostante la precettazione.
Cosa si deve fare con dipendenti che attuano comportamenti per così dire auto-distruttivi, cioè comportamenti che provocano un danno ingiustificato all'azienda per cui lavorano?
Casi come questi sono forse la prova è necessaria che una legge sul lavoro che punisca questi comportamenti, per evitare che le dispute aziendali o le proteste politiche sfocino nella follia.
13 novembre 2014
La bolla immobiliare svedese
In Svezia da tempo c'è una bolla immobiliare, vale a dire il prezzo degli immobili è cresciuto troppo negli ultimi anni e rischia di crollare, trascinando nel baratro le banche.
Già perchè di solito la bolla funziona così: anzitutto il prezzo degli immobili sale per vari motivi (l'economia che funziona bene alimentando i risparmi e la voglia di immobili di proprietà, l'ampia disponibilità di credito, basse imposte sulla casa, convenienza a investire in immobili). Poi la casa funge da garanzia per i prestiti bancari, a volte concessi non solo per acquistare l'immobile ma anche per finanziare i consumi. Quindi la bolla scoppia: i prezzi degli immobili calano quando la domanda diminuisce e le banche riducono il credito, provocando un rallentamento dell'economia.
Gli Stati Uniti hanno visto questo processo all'opera a partire dal 2007 e, come il resto del mondo industrializzato, ne hanno pagato pesantemente il prezzo. La bolla immobiliare è scoppiata e ha fatto molto male, soprattutto perchè il governo Bush è intervenuto soltanto quando il danno era fatto.
La Svezia invece cerca di intervenire prima che la bolla immobiliare svedese, segnalata da tempo, scoppi. Come? Per esempio imponendo limiti alla concessione di prestiti bancari e aumentando le imposte sulla casa o diminuiendo la concenienza fiscale dei mutui per limitare la domanda.
Se la bolla scoppierà, i danni a cui porre rimedio saranno meno gravi.
Gli svedesi ci stanno pensando, consapevoli che esiste un interesse collettivo: il buon funzionamento dell'economia, più importante degli interessi dei singoli, che invece rischiano di provocare danni per tutti e benefici per pochi.
Già perchè di solito la bolla funziona così: anzitutto il prezzo degli immobili sale per vari motivi (l'economia che funziona bene alimentando i risparmi e la voglia di immobili di proprietà, l'ampia disponibilità di credito, basse imposte sulla casa, convenienza a investire in immobili). Poi la casa funge da garanzia per i prestiti bancari, a volte concessi non solo per acquistare l'immobile ma anche per finanziare i consumi. Quindi la bolla scoppia: i prezzi degli immobili calano quando la domanda diminuisce e le banche riducono il credito, provocando un rallentamento dell'economia.
Gli Stati Uniti hanno visto questo processo all'opera a partire dal 2007 e, come il resto del mondo industrializzato, ne hanno pagato pesantemente il prezzo. La bolla immobiliare è scoppiata e ha fatto molto male, soprattutto perchè il governo Bush è intervenuto soltanto quando il danno era fatto.
La Svezia invece cerca di intervenire prima che la bolla immobiliare svedese, segnalata da tempo, scoppi. Come? Per esempio imponendo limiti alla concessione di prestiti bancari e aumentando le imposte sulla casa o diminuiendo la concenienza fiscale dei mutui per limitare la domanda.
Se la bolla scoppierà, i danni a cui porre rimedio saranno meno gravi.
Gli svedesi ci stanno pensando, consapevoli che esiste un interesse collettivo: il buon funzionamento dell'economia, più importante degli interessi dei singoli, che invece rischiano di provocare danni per tutti e benefici per pochi.
11 novembre 2014
L'economia va, ma sconfigge Obama
La settimana scorsa gli americani hanno votato per rinnovare in parte Camera e Senato, nelle cosiddette elezioni di mid-term. E hanno sconfitto Obama e i democratici, che perdono il controllo di entrambi i rami del Parlamento e si apprestano a fare i conti con una maggioranza parlamentare ostile.
La sconfitta si spiega con l'astensione di molti elettori democratici e con i problemi economici.
L'economia americana a dire il vero funziona bene: la disoccupazione ha raggiunto i livelli del 2008, il prodotto interno lordo cresce a ritmi da fare invidia all'Europa. Dati che dovrebbero spingere gli americani a premiare Obama e punire i repubblicani che hanno avuto un ruolo importante e molto negativo nel causare la crisi.
Eppure Obama e i democratici hanno perso. La ragione è che l'aumento del PIL e dell'occupazione sta avvenendo nel peggiore dei modi: con molti posti di lavoro mal pagati. Gli americani che hanno perso il posto di lavoro negli anni passati lo stanno ritrovando ma è un lavoro che non consente loro di sperare di guadagnare di più. Anzi spesso è un lavoro che offre paghe più basse che in passato.
La destra sconfitta alle urne nel 2008 e nel 2012 in realtà non ha mai perso: la crisi ha impedito di ridurre le diseguaglianze, anzi le ha aumentate, offren
do alla destra repubblicana il paese che desiderano ed elettori delusi da Obama e dai democratici.
La sconfitta si spiega con l'astensione di molti elettori democratici e con i problemi economici.
L'economia americana a dire il vero funziona bene: la disoccupazione ha raggiunto i livelli del 2008, il prodotto interno lordo cresce a ritmi da fare invidia all'Europa. Dati che dovrebbero spingere gli americani a premiare Obama e punire i repubblicani che hanno avuto un ruolo importante e molto negativo nel causare la crisi.
Eppure Obama e i democratici hanno perso. La ragione è che l'aumento del PIL e dell'occupazione sta avvenendo nel peggiore dei modi: con molti posti di lavoro mal pagati. Gli americani che hanno perso il posto di lavoro negli anni passati lo stanno ritrovando ma è un lavoro che non consente loro di sperare di guadagnare di più. Anzi spesso è un lavoro che offre paghe più basse che in passato.
La destra sconfitta alle urne nel 2008 e nel 2012 in realtà non ha mai perso: la crisi ha impedito di ridurre le diseguaglianze, anzi le ha aumentate, offren
do alla destra repubblicana il paese che desiderano ed elettori delusi da Obama e dai democratici.
10 novembre 2014
Marketing per allocchi
Anni fa fece scalpore in Gran Bretagna il caso di uno scrittore sconosciuto che sottoscrisse un contratto da un milione di sterline.
I critici letterari si misero al lavoro senza trovare nulla che giustificasse l'enorme somma pagata dall'editore e molti sospettarono che fosse solo un'operazione di marketing: la clamorosa notizia di uno scrittore strapagato per pubblicare un libro serviva a attirare lettori, curiosi o magari invidiosi.
Woody Allen dedicò al tema buona parte del film To Rome with Love: Leonardo Pisanello, interpretato da Roberto Benigni, diventa famoso. inseguito dai giornalisti ansiosi di registrare ogni suo sospiro, senza un perchè.
Ogni tanto qualcuno ci riprova, come racconta il Secolo XIX: il libro più costoso venduto da Amazon è una bufala, un accozzaglia di frasi piene di errori e fotografie giustificati solo dall'idea, venduta dal libro, che -come spiega il Secolo-"è “fico” averlo". Un libro dedicato "alle persone più ricche, quelle che possono acquistare senza batter ciglio" e non a poveri, avari o a "chi sta lì a contare i soldi", cioè allocchi che spendono 179 euro per sentirsi meglio.
I critici letterari si misero al lavoro senza trovare nulla che giustificasse l'enorme somma pagata dall'editore e molti sospettarono che fosse solo un'operazione di marketing: la clamorosa notizia di uno scrittore strapagato per pubblicare un libro serviva a attirare lettori, curiosi o magari invidiosi.
Woody Allen dedicò al tema buona parte del film To Rome with Love: Leonardo Pisanello, interpretato da Roberto Benigni, diventa famoso. inseguito dai giornalisti ansiosi di registrare ogni suo sospiro, senza un perchè.
Ogni tanto qualcuno ci riprova, come racconta il Secolo XIX: il libro più costoso venduto da Amazon è una bufala, un accozzaglia di frasi piene di errori e fotografie giustificati solo dall'idea, venduta dal libro, che -come spiega il Secolo-"è “fico” averlo". Un libro dedicato "alle persone più ricche, quelle che possono acquistare senza batter ciglio" e non a poveri, avari o a "chi sta lì a contare i soldi", cioè allocchi che spendono 179 euro per sentirsi meglio.
06 novembre 2014
Titoli di stato perpetui
E' possibile ripagare il debito pubblico e quanto tempo ci vorrà?
La risposta a questa domanda è sì, in teoria. Ma se vogliamo essere realisti, la risposta giusta è no, il debito pubblico è perpetuo o quasi.
Lo testimonia il caso inglese dei perpetual bond. Titoli emessi per la prima volta addirittura nel 1720, quando scoppiò la bolla della Compagnia dei mari del sud e il governo inglese emise titoli di stato perpetui con un rendimento del 5%.
Poi sono arrivate le guerre (contro Napoleone, contro i russi in Crimea, la prima guerra mondiale) o altri eventi, come le carestie, che hanno richiesto l'emissione di altri titoli di stato "perpetui", sempre con rendimento pari al 5%.
Le guerre richiedono capitali e spesso causano inflazione e possono ridurre la capacità di uno stato di produrre reddito e pagare le imposte. L'emissione di titoli perpetui (o a lungo termine) a tassi fissi era un'assicurazione contro il rischio di aumenti futuri di tassi, spinti dall'inflazione o dalla scarsità dell'offerta di capitali.
Ora il governo britannico ha deciso di rimborsare l'ultima parte dei bond. La ragione è semplice: il 5% è un tasso elevato.
Finisce l'epoca dei titoli di stato perpetui, ma è un cambiamento solo formale. Si emettono altri titoli che rendono meno e alla scadenza saranno rinnovati... in perpetuo o quasi. Tra un titolo perpetuo (o irredimibile come si direbbe in Italia) e un titolo con una scadenza ma rinnovato infinite volte non ci sono molte differenze. A unirli è il fatto che il debito non è facile da ridurre. Succede raramente e di solito in situazioni particolari, come ad esempio quando uno stato fallisce o quando l'economia va così bene che le entrate fiscali permettono la riduzione del debito.
La risposta a questa domanda è sì, in teoria. Ma se vogliamo essere realisti, la risposta giusta è no, il debito pubblico è perpetuo o quasi.
Lo testimonia il caso inglese dei perpetual bond. Titoli emessi per la prima volta addirittura nel 1720, quando scoppiò la bolla della Compagnia dei mari del sud e il governo inglese emise titoli di stato perpetui con un rendimento del 5%.
Poi sono arrivate le guerre (contro Napoleone, contro i russi in Crimea, la prima guerra mondiale) o altri eventi, come le carestie, che hanno richiesto l'emissione di altri titoli di stato "perpetui", sempre con rendimento pari al 5%.
Le guerre richiedono capitali e spesso causano inflazione e possono ridurre la capacità di uno stato di produrre reddito e pagare le imposte. L'emissione di titoli perpetui (o a lungo termine) a tassi fissi era un'assicurazione contro il rischio di aumenti futuri di tassi, spinti dall'inflazione o dalla scarsità dell'offerta di capitali.
Ora il governo britannico ha deciso di rimborsare l'ultima parte dei bond. La ragione è semplice: il 5% è un tasso elevato.
Finisce l'epoca dei titoli di stato perpetui, ma è un cambiamento solo formale. Si emettono altri titoli che rendono meno e alla scadenza saranno rinnovati... in perpetuo o quasi. Tra un titolo perpetuo (o irredimibile come si direbbe in Italia) e un titolo con una scadenza ma rinnovato infinite volte non ci sono molte differenze. A unirli è il fatto che il debito non è facile da ridurre. Succede raramente e di solito in situazioni particolari, come ad esempio quando uno stato fallisce o quando l'economia va così bene che le entrate fiscali permettono la riduzione del debito.
04 novembre 2014
Le oche, i piumini e l'alta moda
Prendo spunto per fare alcune considerazioni sull'alta moda, dopo il caso sollevato da "Report" sui piumini Moncler.
Ho avuto modo ultimamente di studiare il ciclo produttivo di alcuni capi dell'alta moda dello stesso livello della Moncler in termini di valore aggiunto e costi e devo dire che tutto quello esposto da Report non mi sorprende affatto, anzi entra perfettamente nella norma.
In un piumino che costa 1.000 €, ma possono esserci anche piumini più costosi, possiamo definire i seguenti costi:
Costo alla produzione: comprende tutti i costi per la produzione del piumino, ripartiti pro quota. Questi si dividono in costi diretti e indiretti. I costi diretti sono quelli che entrano direttamente nel pezzo, tipo il tessuto, l'imbottitura, il lavoro. Quelli indiretti sono i costi amministrativi, la distribuzione, i trasporti, il marketing, la progettazione, che sono sostenuti per tutto il campionario.
Costo franco fabbrica (ex works): comprende il costo alla produzione più il guadagno del produttore.
Costo allo scaffale: comprende il costo franco fabbrica più il trasporto, gli eventuali dazi, il marketing del distributore, gli intermediari.
Prezzo finale: comprende il costo allo scaffale più il guadagno del negoziante/Distributore.
Per semplicità ho saltato gli eventuali passaggi intermedi: grossisti, distributori, agenti, ecc. ecc. che esistono e che gravano sui costi e consideriamo incluso nella voce "intermediari"
Il costo alla produzione, in un piumino da 1.000 € è composto (grosso modo):
120 € di costi diretti
120 € di costi indiretti
Costo alla produzione = 240 €
Guadagno del produttore 60 €
Costo franco fabbrica = 300 €
Costo allo scaffale = 400 €
Prezzo finale = 1.000 €
Il ricarico del negoziante varia dal 100% al 150% a seconda dell'appeal del prodotto. Quindi in pratica il negoziante compra a 400 e vende ad un prezzo compreso tra 800 e 1.000. Per poi scendere fino a 6-700 nei periodi dei saldi.
Questo perché il negoziante, che è l'ultimo anello della catena è quello che si sobbarca i rischi dell'invenduto.
Quindi il "prodotto" che sta dentro ad un piumino da 1.000 € è non più di 120 € (e parliamo già di un prodotto di ottima qualità).
Ma, e questa è una considerazione personale, quando si comprano oggetti del genere in realtà non si comprano le piume, il tessuto o le cerniere, ma si compra il prestigio associato ad indossare quel vestito.
Se un piumino non fosse gravato da grossi investimenti in marketing e distribuzione e fosse venduto direttamente dal produttore costerebbe, a parità di qualità non più di 200 €, lasciando un buon guadagno al produttore. Ma chi spenderebbe 200 € per un piumino di un produttore sconosciuto?
Il nostro piumino sconosciuto da 200 € dal punto di vista funzionale è perfettamente equivalente a quello da 1.000 €, ma questo lo sappiamo probabilmente tutti. Ma quello che fa differenza non è la capacità di tenerci caldi e asciutti (funzione svolta egregiamente anche da un economico piumino da 50 €), ma quello che è associato al piumino di marca quando lo indossiamo che ci permette di distinguerci da quelli che non se lo possono permettere.
In una parola quando compriamo un indumento di marca, non stiamo comprando l'indumento, ma la marca con tutto quello che a lei è associata.
02 novembre 2014
Libri: La FED e la crisi finanziaria
Ben Bernanke, ex numero uno della banca centrale americana, la Federal Reserve, ha scritto un libro tratto da quattro lezioni tenute alla George Washington University.
Il libro è decisamente ben scritto e di facile comprensione. Un libro utile per capire qualcosa in più di banche centrali, il loro ruolo e il modo di intervenire nell'economia, di moneta (interessantissima la parte sul gold standard): http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/economia/9788842820383/la-federal-reserve-e-la-crisi-finanziaria/
Il libro è decisamente ben scritto e di facile comprensione. Un libro utile per capire qualcosa in più di banche centrali, il loro ruolo e il modo di intervenire nell'economia, di moneta (interessantissima la parte sul gold standard): http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/economia/9788842820383/la-federal-reserve-e-la-crisi-finanziaria/
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