Si tratta in realtà, come spiegano gli autori, di una vecchia idea, proposta da Easterlin che ha osservato per primo, 40 anni fa, una situazione paradossale: un incremento del PIL procapite non determina un aumento della felicità.

Invece quando il reddito supera un certo livello, la felicità tende a non crescere più e anzi diminuisce.
La ragione è che si modificano gli obiettivi e i desideri. Se il povero aspira ad avere una casa più confortevole, cibo migliore, vestiti ecc., chi è ricco aspira a possedere una villa invece di un appartamento, vuole un'auto di lusso invece di un'utilitaria, e così via.
Ma aspirare a possedere beni o acquistare servizi più costosi non rende le persone più felici, anzi scaturisce l'effetto opposto. Questo è il risultato a cui sono giunti i due economisti italiani, che hanno individuato l'intervallo di reddito oltre il quale il benessere non aumenta all'aumentare del reddito.
Ancora una volta si giunge alla conclusione che in una società con minori disuguaglianze si vive meglio. La qualità della vita diminuisce infatti dove è maggiore l'ambizione di possedere i beni, e quindi diminuisce con il grado di disuguaglianza.