30 aprile 2010

Perchè i titoli greci rendono il 20%?

L'economia non è una disciplina semplicissima, come diceva Keynes (1), e non devono stupire gli errori.

In questo articolo su Corriere.it si legge di un'apparente stranezza dei mercati: "il rendimento dei titoli di Stato greci si è impennato, arrivando ieri vicino al 20% per le scadenze a due anni, mentre il decennale, che solitamente ha un rendimento superiore alle scadenze a breve e medio termine, è salito all'11%."

I titoli che scadono tra due anni rendono più di quelli con durata maggiore. Perché? Proviamo a spiegarlo.

Immaginate di possedere un appartamento. Vale 100 e lo affittate incassando 8. Il rendimento è 8:100 cioé l'8%.

Improvvisamente avete bisogno di soldi e decidete di vendere l'appartamento. Trovate qualcuno disposto a pagarvelo 80 e accettate. L'acquirente continua a incassare l'affitto che rende, tenuto conto che ha investito 80, il 10%, (8 su un capitale investito di 80).

Dunque se qualcuno svende l'appartamento e l'affitto resta uguale, il rendimento aumenta.

Lo stesso accade con i titoli greci: la svendita dei titoli, nel timore che la Grecia sia dichiarata insolvente, fa scendere il prezzo e fermo restando l'importo della cedola pagata da quei titoli, il rendimento dei titoli aumenta.

Ecco spiegato perchè i titoli con scadenza più breve rendono più di quelli con scadenza più lunga.

Non succede, come qualcuno potrebbe immaginare, che la Grecia emetta titoli con un rendimento vicini al 20%. L'aumento del rendimento dipende dalla svendita dei titoli.

Se la Grecia fosse in grado di pagare interessi così elevati (quasi il 20%) perchè mai dovrebbe rivolgersi ai prestiti dell'Unione Europea che chiederà tassi decisamente inferiori?

Qualcuno potrebbe credere che la Grecia sia obbligata ad aggiustare i conti per colpa di interessi elevati, mentre invece i prestiti dell'UE arriveranno a tassi inferiori a quelli che dovrebbe pagare senza l'intervento UE.

Per questo motivo il salvataggio a cura dell'UE pare una buona soluzione: la Grecia pagherà tassi di interesse più bassi per effetto del salvataggio dell'Unione.

La paura invece fa il gioco degli speculatori. I più coraggiosi compreranno i titoli svalutati e con un pò di fortuna porteranno a casa il 20% annuo.

Altri vendono i titoli e ci rimettono, come l'ipotetico proprietario della casa costretto a cederla.




(1) Keynes ha detto: “è un argomento difficile e tecnico ma nessuno vuol crederci

29 aprile 2010

Il signoraggio non interessa neppure ai truffatori

Il phishing, una truffa informatica che ha come scopo ottenere i dati per accedere ai conti online altrui, interessa anche la Banca d'Italia, che segnala la truffa (vedi qui).

Gli autori della truffa cercano di attrarre i malcapitati con un finto rimborso di imposte. Perché invece non promettere un allettante guadagno del signoraggio? Non sarà forse che le teorie sul signoraggio sono una tale bufala che non ci cascherebbe nessuno?

27 aprile 2010

Riuscirà la cancelliera Merkl ad affondare la Grecia?

Il Partenone, simbolo di Atene e della Grecia, esiste da oltre 2000 anni. E' sopravvissuto a una cannonata dei veneziani nel Seicento ed è stato depredato dagli inglesi due secoli dopo, ma rischia di non sopravvivere (simbolicamente) alla crisi delle finanze pubbliche elleniche.

Standard & Poors considera spazzatura i titoli di stato greci, svenduti a prezzi da realizzo, tanto che il loro rendimento ha raggiunto il 17%.

Perchè oggi nessuno è disposto a offrire soldi alla Grecia o almeno non a tassi ragionevoli?

Il precedente governo greco ha speso troppo e ha incassato troppo poco, e, soprattutto, ha mentito sul deficit dei conti pubblici, molto peggiore di quanto spiegato negli anni passati dal governo di allora, guidato dai conservatori.

Il nuovo governo socialista ha deciso di intervenire con un insieme di tagli e aumenti delle imposte che i greci non gradiscono. Ma non è bastato a placare la speculazione che ha l'effetto di far salire i tassi che i greci dovrebbero pagare, al punto che il governo ha dichiarato di non poter più trovare capitali sui mercati.
A cominciare dalla prossima scadenza: il 19 maggio scadono titoli pubblici greci per 9 miliardi e il governo greco non sa come finanziarsi.

L'unica soluzione possibile è un intervento europeo. L'Europa deve prestare alla Grecia i soldi di cui ha bisogno. In cambio deve imporre un drastico miglioramento dei conti pubblici.

L'Italia tirerebbe fuori 5,5 miliardi, remunerati ad un tasso del 5%. Un buon rendimento, e, visto che il governo italiano paga molto poco i BOT (1-2%), un guadagno netto dai 100 ai 200 milioni l'anno.

L'intervento andrebbe fatto subito, prima che la speculazione faccia ulteriori danni. Ma non succede perchè il 9 maggio si vota in Renania-Nord Westfalia e Angela Merkl ha paura di perdere un pò di voti se dice prima di allora che vuole aiutare la Grecia.

Così la riunione dei paesi europei per salvare la Grecia è stata fissato per il giorno successivo le elezioni, il 10 maggio, 9 giorni prima della scadenza dei titoli greci.

Nel frattempo la speculazione si scatenerà, col rischio di far crollare la fiducia, già bassa, dei consumatori e delle imprese europee e di far salire i tassi di interesse.

Tutti noi rischiamo di pagare pesantemente la campagna elettorale della cancelliera Merkl. Per qualche migliaio di voti in più rischiamo di pagare interessi più alti, il crollo della fiducia nell'economia, le borse in picchiata (in un solo giorno, oggi, il valore delle borse è sceso di 160 miliardi, che è pari alla metà del debito pubblico greco), e la diffusione della crisi ad altri paesi.

Purtroppo nessuno invierà il conto ad Angela Merkl e agli elettori della Renania-Nord Westfalia che non cambieranno idea sulla signora Merkl e che, vedendo crescere i profitti della propria banca, impegnata nelle speculazioni contro i titoli greci, si convinceranno che la crisi sta per finire.

Il commento di Prodi (clicca qui)

24 aprile 2010

Si offre lauta ricompensa

Secondo qualche personaggio poco raccomandabile mi pagano (vedi qui)

Mi hanno fatto un bonifico su un conto segreto. Si offre lauta ricompensa a chi offrirà informazioni utili a venire in possesso del conto a me intestato.

22 aprile 2010

Le strane idee sulla moneta di Paolo Barnard

Il giornalista Paolo Barnard in un articolo (vedi qui) spiega che la soluzione dei problemi della Grecia è semplice: creare moneta in grande quantità.

Un economista spiegherebbe che l'effetto sarebbe una moneta inflazionata e svalutata. Ma per Barnard l'economia ne trarrebbe solo benefici. Infatti nel 1946 l'economia USA è cresciuta del 25% in presenza di un aumento considerevole della quantità di moneta.

Quindi, suggerisce Barnard, la Grecia faccia lo stesso, con una propria moneta.

Barnard però anzitutto ignora le ragioni della crescita del PIL americano nel 1946.

Nel 1946 la guerra era appena finita. Le guerre di solito provocano forti cali della produzione in alcuni settori economici. Milioni di persone finiscono nell'esercito, i consumi diminuiscono, specie quelli meno necessari, e si usano le poche risorse disponibili (poche perchè la guerra ostacola i commerci e quindi le importazioni di materie prime, ma riduce anche la forza lavoro) per alimentare la macchina militare. Le aziende riducono le produzioni di beni che non sarebbero acquistati, crollano le esportazioni, il futuro è incerto e questo deprime i consumi e gli investimenti.

Quando la guerra finisce, la situazione si ribalta. L'economia riprende a funzionare in un clima di crescente ottimismo, milioni di persone tornano a lavorare e a consumare. I governi aiutano le imprese a riconvertire gli impianti e riprendono le esportazioni che, negli USA, erano trainate dalla domanda di un'Europa a pezzi.

Spesso però la corsa dell'economia nel periodo post-bellico serve solo a recuperare il calo precedente.

In Italia, quando si parla di PIL, è difficile che un economista parli del periodo 1946-1950: in cinque anni si sono raggiunti livelli di ricchezza e reddito simili a quelli del 1939, ultimo anno prima della guerra. Lo sforzo fatto per crescere è servito solo a tornare indietro ai livelli di 11 anni prima. Per questo motivo i dati della seconda metà degli anni '40 non sono molto significativi e ancora di meno lo è il singolo dato di un solo anno.

La ripresa post-bellica spiega quindi l'aumento sia del prodotto (PIL) sia della domanda e dell'offerta di moneta.

In Grecia nel 2010 le condizioni economiche sono assai differenti e quindi la proposta di Barnard non ha molto senso: non c'è un paese da ricostruire e un'economia, fermata da una guerra, da rimettere in moto.

Poi non ha senso perchè il dollaro e la moneta greca non sono la stessa cosa. Il dollaro nel 1946 era accumulato dalle banche centrali che volevano costituire riserve in valuta. La moneta greca non gode delle stesse attenzioni.

Così mentre gli USA potevano emettere dollari in grandi quantità certi che non si sarebbero svalutati, perchè era forte la richiesta di dollari, i greci avrebbero la certezza che una loro moneta emessa in quantità si svaluterebbe e provocherebbe una forte inflazione (in proposito di veda il precedente post su un ipotetico abbandono dell'euro).

La crisi, dunque, la pagherebbero i greci sotto forma di forte inflazione e di una moneta svalutata, e non ci sarebbe alcuna crescita rapida a salvare capra e cavoli.


20 aprile 2010

Derivati: il pericolo era noto! Ecco la prova

Questo post vuole fornire una prova. La prova che il pericolo rappresentato dai derivati era ben noto e che, pertanto, è stato sottovalutato, per miopia.

Ma iniziamo dal problema dei derivati.

Immaginate una grande banca che investa una somma rilevante in titoli di stato greci. La Grecia, si sa, è piena di debiti e potrebbe non pagare.

La banca non vuole rischiare di trovarsi in mano un pugno di mosche e perciò si assicura, ad esempio comprando un credit default swap (CDS): se la Grecia non paga, ci pensa l'"assicuratore", che può essere una banca o un'assicurazione.

Il rischio per la banca si riduce e i CDS, in quanto titoli (derivati) si possono trattare sul mercato.

Ma cosa succede se all'improvviso la credibilità del debitore (in questo caso la Grecia, ma potrebbe essere una banca o una impresa) diminuisce e aumenta la probabilità di insolvenza?

Chi ha in mano i titoli di stato (o le obbligazioni di una impresa) se ne libera. Il loro valore diminuisce rapidamente e lo stesso accade con i derivati. Se l'assicuratore fallisse, perché si trova a restituire troppi soldi, anche i derivati che assicurano il creditore, tendenzialmente valgono poco o nulla.

Quindi è prevedibile che in caso di crisi chi possiede titoli derivati se ne liberi.

Ma non finisce qui, perché il timore che chi ha emesso i derivati subisca forti perdite spinge a vendere azioni, obbligazioni e altri titoli emessi da chi potrebbe subire una forte perdita.

Dunque uno strumento, i derivati, usato dal singolo operatore per proteggersi dal rischio, può produrre a livello di sistema economico l'effetto opposto. Come è accaduto nel 2008 in seguito al crollo di Lehman Brothers. I derivati hanno moltiplicato il rischio e ampliato la reazione degli operatori che si sono liberati dei titoli più rischiosi.

E qui veniamo alla prova. Oggi sappiamo che i derivati sono strumenti molto rischiosi e si invoca una regolamentazione di tali strumenti per evitare che si ripeta la vendita indiscriminata (sell off in inglese) dei titoli, con le conseguenze che conosciamo.

Ma nel 2008 cosa si sapeva? La risposta è semplice: si sapeva tutto!

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia, e altri economisti hanno scritto Stabilità non solo crescita, pubblicato nel 2008 in Italia da Brioschi e nel 2006 in Inghilterra dalla Oxford University Press.

Il capitolo 10 è dedicato ai pro e contro della liberalizzazione del mercato dei capitali (Lmc). Si spiega che essa aumenta l'instabilità e si dice che: l'impiego crescente di prodotti derivati è una fonte di instabilità legata alla Lmc. Se da un lato la crescita accelerata dei mercati dei derivati ha contribuito a ridurre la microinstabilità creando nuove tecniche di copertura che consentono ai songoli agenti di neutralizzare i rischi microeconomici, dall'altro ha probabilmente accresciuto la macroinstabilità.

I prodotti finanziari derivati hanno ridotto la trasparenza, posizioni "fuori bilancio"consentito la creazione di ampie che sono difficili da regolamentare e hanno accelerato le risposte del mercato a repentini mutamenti di opinioni ed aspettative.

Il ragionamento del libro poi continua, ma una cosa è chiara: i pericoli legati all'uso di derivati erano noti e l'allarme non proveniva da un economista sconosciuto ma addirittura da un premio Nobel.

Perchè si ignorano tali teorie, contenute in un libro che si poteva trovare in molte librerie?

Le risposte possono essere due.

La prima è che chi governa non ha molto interesse a regolare i fenomeni potenzialmente pericolosi. Prevale il libersmo che, nel caso di Lehman Brothers, ha significato non intervenire. In proposito vale la pena ricordare la strana frenesia del professor Giavazzi di cui ho scritto tempo fa.

La seconda è che l'economia è, per molti, utile se serve ad affrontare i problemi microeconomici, a spiegare come funziona l'impresa o un singolo mercato. Ma se la teoria lancia un allarme rosso riguardante l'economia nel suo complesso, la si ignora o si tira fuori una teoria che ignora o ridimensiona gli effetti macroeconomici.


18 aprile 2010

Due aggiornamenti - Incentivi e banche

Gli incentivi di cui s'era parlato (vedi qui) per i motorini hanno funzionato. Esauriti in 3 giorni, come racconta il Corriere. Una presa in giro, come prevedibile.

Anche Eugenio Scalfari su Repubblica pensa, con motivazioni diverse dalle mie, che sia un pericolo la presa delle banche da parte della Lega.
Ecco cosa scrive: La territorialità bancaria nella visione leghista ha questo significato: raccolta di depositi ovunque, impieghi prevalentemente nel Nord. Questa è l'autarchia finanziaria leghista. Con altre parole questa è la politicizzazione del credito. Nella famigerata Prima Repubblica, un concetto del genere non era neppure pensabile. Ai tempi di Menichella, di Carli, di Baffi, di Ciampi, di Mattioli, di Cingano, di Siglienti, di Rondelli, una concezione del genere equivaleva ad una bestemmia.

Il credito è una linfa che circola in tutto l'organismo e affluisce là dove c'è bisogno ed è il mercato a stabilire la sua locazione ottimale. Perciò suscita preoccupato stupore vedere il sindaco di Torino che discetta sulla maggiore o minore "torinesità" dei dirigenti di Banca Intesa e i presidenti leghisti del Piemonte e del Veneto occuparsi della dirigenza di Unicredit, nel mentre il ministro dell'Economia si adopera per la creazione della Banca del Sud e consolida i suoi rapporti con le Generali.

La conclusione sarà l'isolamento del sistema bancario italiano dal sistema internazionale. Un'aberrazione che basterebbe da sola a squalificare un intero sistema politico.

Opinione condivisibilissima.

16 aprile 2010

Ma non erano i padroni del mondo?

Ma non erano i padroni del mondo?

Secondo i complottisti di mezzo mondo Goldman Sachs sarebbe uno dei capisaldi del male, del potere economico espressione di gruppi che puntano a conquistare il mondo attraverso la gestione spregiudicata delle monete.

Eppure Goldman Sachs, terremotata dalla crisi, oggi è messa sotto accusa per manovre spregiudicate con i titoli derivati (vedi qui).

Il potere, se davvero esisteva, traballa parecchio e qualcuno dei dirigenti che, secondo i complottisti, puntava a conquistare il mondo, potrebbe in futuro lottare con il compagno di cella per la branda più comoda.

14 aprile 2010

Bossi, le banche e le micro-imprese

Umberto Bossi è il vero vincitore delle elezioni politiche di 2 anni fa e delle elezioni regionali di quest'anno. Ha chiesto e ottenuto due candidature alle regionali e i suoi uomini hanno vinto.

Per questo chiede ancora potere: il comune di Milano e, in futuro, la presidenza del Consiglio. Magari non con un proprio uomo, ma con un amico come Giulio Tremonti che nel 1994 non è stato eletto in Parlamento con Forza Italia ma con il Partito Popolare. Partito erede della DC come la Lega che vince facilmente dove un tempo la DC era forte. Ad esempio in Veneto.

Ma ci sono anche le banche. Bossi vuole che i propri uomini contino nelle fondazioni bancarie e, tramite queste, nelle banche del nord. Un messaggio chiaro alla piccola impresa: se conquisteremo le banche, le spingeremo a essere più generose nei vostri confronti.

Pare una buona idea, ma purtroppo non lo è. Le imprese italiane sono troppo piccole, concentrate su mercati di dimensioni ridotte, troppo legate agli interessi anche personali dei pochi proprietari, hanno pochi capitali e pochi manager capaci di farle crescere e sono spesso gestite da signori il cui solo merito è di aver ereditato l'azienda di famiglia.

Benchè questi limiti del tessuto industriale italiano sono noti da anni, interessano a pochi. Chi -come ad esempio Prodi- ha predicato la necessità di far crescere le imprese, agevolando le fusioni e le acquisizioni, e creando imprese meno familistiche e più manageriali, di solito non ha ricevuto attenzione e consenso.

Oggi Bossi spiega agli imprenditori che non devono preoccuparsi: se hanno problemi con le banche, ci penserà lui a limitarne le pretese.
L'effetto è potenzialmente devastante: invece di spingere le imprese a crescere per affrontare meglio il futuro, le si spinge a restare come sono. Col rischio di rinviare i conti con la realtà e trovarsi, tra qualche anno ad avere imprese restate piccole in competizione con imprese straniere nel frattempo diventate più competitive.

09 aprile 2010

Qualche curiosità sulle banconote americane

Forse non tutti lo sanno ma negli USA alcune banconote non sono state emesse dalla banca centrale, la FED, ma dallo Stato Federale.

Lo spiega il Tesoro americano (vedi qui e qui): le US notes note anche come greenbacks (per l'abbondante verde sul retro) risalgono ai tempi della guerra civile eredi delle Demand Notes, usate per pagare i costi della guerra.
Sono diverse dalle "notes" emesse dalla Federal Reserve, cioé dalla banca centrale americana.

Le United States Notes sono state emesse fino al 1971. Nel 1913 il Congresso ha confermato la possibilità di emettere le US notes ma stabilendo il limite di 300 milioni. Oggi sono pezzi da collezionismo.
Dunque lo stato federale ha emesso moneta, un secolo e mezzo fa.

In passato i governi hanno coperto le spese impreviste di una guerra emettendo moneta, provocando inflazione. Per questo motivo in seguito il Congresso ha posto un limite alla loro emissione: ben sapevano che l'emissione provoca un aumento del tasso di inflazione. E seguendo il vecchio consiglio di David Ricardo ha preferito lasciare alla banca centrale, la FED, il compito di emettere moneta.

Altra curiosità: il Tesoro scrive che il gli USA sono usciti dal gold standard nel 1933. Non negli anni '70 con la fine (apparente) della convertibilità in oro, come molti sostengono.


Il dividendo della pace

Obama ha firmato l'accordo Start 2 che riduce di un 30% le testate atomiche, dopo aver annunciato che gli USA potrebbero l'atomica solo in guerre con nemici dotati della stessa arma, ovvero, considerati i paesi amici, sei-sette paesi al massimo

Perchè allora creare e mantenere migliaia di ordigni nucleari se possono essere usati -eventualmente- solo in poche occasioni con il rischio concretissimo di spazzare via l'umanità per sempre?

Le ragioni sono due.

Ai tempi della guerra fredda l'atomica ha avuto un effetto deterrente: una guerra convenzionale tra USA e URSS avrebbe scatenato una rappresaglia devastante. Meglio starsene buoni, dunque, e fare come il cane che ringhia ma non morde.

Poi occorreva pagare dazio all'industria e ai militari che avevano vinto la guerra seconda guerra mondiale e avevano conquistato un peso politico rilevante. Le armi nucleari non servivano a nulla ma erano una specie di supertassa da pagare ai vincitori, una specie di regalo per aver tenuto lontano Hitler.

Tutto questo ha avuto un senso finchè c'è stata la guerra fredda. Ma nel 1989 il muro di Berlino è crollato trascinando con sè l'URSS, sconfitta in Afghanistan prima che nella guerra combattuta senza armi.

Si parlò, allora, di dividendo della pace: in assenza di un nemico e di buone ragioni per continuare a mantenere armi e militari di fatto inutili, sarebbero diminuite le spese militari. La pace avrebbe offerto un dividendo da usare per qualcosa di più utile.

Ma un anno dopo, nell'agosto del 1990 è arrivato Saddam, che invadendo il Kuwait ha aperto un nuovo fronte: guerra nel golfo, Afghanistan, undici settembre. E solo la seconda guerra del Golfo è costata, secondo il premio Nobel Stiglitz 3.000 miliardi di dollari.

Il dividendo della pace non è mai stato incassato. Oggi Obama ha aggiunto un nuovo elemento alla sua voglia di pace, premiata dal Nobel 2009. Sarà la volta buona?

Oggi è ancora più importante che gli USA riducano l'impegno militare (e le relative spese): lo richiede non solo un legittimo desiderio di pace (gli USA in pratica sono in guerra da 70 anni, pur con alcune pause, senza che ciò abbia reso il mondo migliore) ma anche la crisi economica, che richiede meno incertezze e meno spese inutili.

07 aprile 2010

Ma che ci azzecca il profitto?



Qualche giornale è andato a cercare le immagini de L'Aquila su Street View/Google Earth scoprendo che le immagini sono quelle catturate prima del terremoto. D'altro canto non può essere diversamente, come spiega Paolo Attivissimo: Street View consiste in un'auto su cui è montata una macchina fotografica che scatta foto a 360°, come testimonia la fotografia.

All'Aquila c'è stato il terremoto e anche volendo non si potrebbero rifare le foto, perchè le strade del centro non sono percorribili.

Ma La Stampa non capisce e pensa che la multinazionale americana pecchi di scarsa sensibilità e di troppa voglia di fare profitti dimenticando di aggiornare le foto de L'Aquila. Multinazionali e profitti: un bel mix per giustificare ogni male.

Che ci azzecca, come direbbe Di Pietro, il profitto, quando una strada è piena di macerie?

06 aprile 2010

Il buco nero dell'Aquila + aggiornamento

Un anno fa il terremoto de L'Aquila. Oltre 300 morti e danni rilevanti.

Molti soldi sono stati spesi per dare un tetto provvisorio a migliaia di persone: 580.000 euro spesi al giorno per mantenere gli sfollati in albergo, quasi 3.000 euro al metro quadro per costruire nuove case nelle zone terremotate. 800 milioni per costruire case provvisorie. Migliori dei prefabbricati che hanno accompagnato per anni la vita dei terremotati, dall'Irpinia all'Umbria, ma per tanti aspetti diverse dalle case vere.

La ricostruzione delle case originali, volute e amate dagli aquilani, invece va a rilento. Un anno quasi perso in attesa di perizie, leggi, regolamenti, direttive. Molte case si potrebbero aggiustare con pochi soldi, ma spesso i condomini preferiscono aspettare, in attesa di saperne di più sugli aiuti dello Stato.

Il buco nero della burocrazia sembra aver fagogitato gli aquilani, che sanno tutto delle regole: da quelle che vietano di frequentare la zona rossa, ai regolamenti che devono stabilire come si provvederà a sistemare le case lesionate, ai regolamenti che classificano le case in base al tipo di lesione subita. Il nostro condomino è di tipo E, spiegano alle tv, sciorinando una serie di questioni che fanno assomigliare un pensionato delle poste a un ingegnere edile.

E mentre il neo-presidente della provincia lascia intendere che i tempi saranno lunghi (Bertolaso parla di 8 anni), dando la colpa ai comuni (come ha spiegato domenica sera a Reality su La7), la Regione blocca le pratiche per i rimborsi. Si può intervenire solo su poche decine di case. Un anno dal terremoto e gli edifici lesionati rischiano di peggiorare.

In molti paiono capire solo oggi, a un anno di distanza, che la ricostruzione sarà molto lunga: il governo cerca di rinviare la ricostruzione perchè i soldi scarseggiano. Così ha messo in piedi una cortina fumogena fatta di burocrazia, rimpalli di responsabilità, progetti che richiedono mesi se non anni e regolamenti attesi e rinviati.

Finora il gioco ha funzionato, complice una diffusa disattenzione per l'interesse generale: importa molto di più capire come è classificata la propria casa e sperare che i soldi arrivino in tempi brevi, dando la colpa, se questo non succede, a qualche burocrate incapace di emanare un regolamento nei tempi promessi, che chiedersi se davvero il governo è in grado di rispettare gli impegni presi.

Un esempio di come funziona gran parte d'Italia. Si sa tutto del proprio ombelico. Nulla di ciò che ci circonda, se ci riguarda poco.

AGGIORNAMENTO

Avevo segnalato (vedi qui) la modesta entità degli incentivi all'economia per il 2010.
Lavoce.info segnala che dei 420 milioni di spesa prevista, 150 sono sottratti ad altre spese previste. Gli incentivi veri del governo, alcuni dei quali funzioneranno (come spiega l'articolo) solo nel 2011, sono dunque pari a 270 milioni. Un bel modo per far finta di aiutare l'economia.

04 aprile 2010

Lo SCEC


Da qualche anno esistono, almeno sulla carta, delle monete definite locali o alternative. Come lo SCEC. Come funziona?

Lo SCEC non può essere una moneta. Sarebbe illegale emettere una vera moneta. E' definito uno sconto "che cammina", perché utilizzabile da chi lo riceve.
Mentre il normale buono-sconto favorisce l'acquirente, lo SCEC può essere utile anche per il negoziante, che può usare il buono sconto per i suoi acquisti. Un motivo in più per aderire al progetto SCEC.

Ma non è tutto oro quel che luccica, perchè le condizioni nelle quali si può usare lo SCEC sono piuttosto restrittive, come si capisce leggendo l'elenco dei partecipanti.

Lo SCEC non si può usare in supermercati o pompe di benzina, ad esempio. Il margine di guadagno non consentirebbe di applicare sconti, specie se del 10-20% offerto da quasi tutti i partecipanti all'arcipelago SCEC.

Lo SCEC copre solo una parte, fino al 10-20%, del prezzo e a volte solo se si spende una somma superiore a un minimo prestabilito. Ciò riduce l'effettiva convenienza dello SCEC.

Lo sconto serve a conquistare nuovi clienti o ad aumentare il giro d'affari in certi periodi
dell'anno, come succede con i saldi o con i parrucchieri che applicano lo sconto in taluni giorni della settimana. Se vale sempre ed riutilizzabile, si rischia un calo delle entrate. Compensato magari da un aumento dei prezzi, che renderebbe illusorio, per il consumatore, lo sconto.

Ma è anche dubbio che lo sconto "cammini" davvero. Se il pizzaiolo riceve 100 euro in SCEC e li vuole usare, dovrebbe spendere 1000 euro: chi partecipa allo SCEC accetta di solito che il 10% delle proprie fatture sia pagate in SCEC.

Difficile immaginare che tutti quelli che ricevono gli SCEC poi li usino davvero e, se anche accadesse, saremmo pur sempre in prensenza di normali buoni-sconto, di solito offerti da chi produce biscotti o detersivi per aumentare le vendite e svuotare i magazzini.


01 aprile 2010

2 voti

Giovanni Sandi, uno dei paladini della lotta al signoraggio, conquista consensi nella lista dei Grilli: 2 voti di preferenza (vedi i dati ufficiali). La lotta al signoraggio coinvolge davvero molti....

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