29 dicembre 2015

La manovra che non scontenta nessuno

Di questa legge di stabilità, c'è un aspetto che mi ha colpito: non ci sono grandi proteste, nonostante si muovano risorse per 34 miliardi di euro. Solo osservazioni obbligate da parte delle opposizioni e magari di qualche parlamentare male informato che deve trovare a tutti i costi il pelo nell'uovo.

Dov'è il trucco?

Abbiamo detto 34 miliardi, una cifra notevole che in altre epoche avrebbe fatto saltare molti sulla sedia.

Ebbene 19 miliardi arrivano dalla cancellazione di una clausola di salvaguardia. Vale a dire in passato, temendo un peggioramento dei conti pubblici, il governo di allora s'è impegnato a aumentare in automatico le imposte se non si fossero raggiunti certi obiettivi di finanza pubblica.

Ma l'economia cresce e si spera continui nel 2016, e i conti pubblici, anche grazie a un buon recupero dell'evasione, vanno bene. Il governo non fa nulla e si limita a infilare i 19 miliardi nella manovra, anche grazie al fatto che giornali e partiti d'opposizione hanno allarmato gli italiani, lasciando credere che gli aumenti fossero automatici e obbligatori.

Gli altri 15 miliardi sono il frutto per 4/5 della flessibilità nei conti pubblici ottenuta da Renzi, per cui se si investe e si fanno le riforme si possono sforare i conti del 1% del PIL (metà per gli investimenti, metà per le riforme).

Il governo ha sfruttato questa possibilità solo in parte, sforando dello 0,8% del PIL l'obiettivo di deficit. Un altro 0,2% si sforamento lo si deve alle spese straordinarie a causa del flusso di immigrati da Africa e Medio Oriente, grazie a una clausola contenuta in patti europei di oltre 20 anni fa.

In totale dunque lo Stato spenderà un 1% del PIL in più di quello che avrebbe dovuto spendere in base a precedenti accordi. 1% del PIL ovvero 15 miliardi circa, che aggiunti ai 19 di cui si parlava prima fanno esattamente 34.

Ecco spiegata una legge di stabilità che non scontenta nessuno. Non ci sono grandi aumenti di spesa e grandi aumenti delle imposte. C'è la cancellazione della TASI, che piace a molti e altri interventi che non tolgono il sonno agli italiani.

C'è infine un aspetto positivo e uno potenzialmente negativo: è positivo il deficit al 2,4%, il migliore da molti anni a questa parte, che dipende dalla crescita dell'economia: se inferiore a quella attesa ci potrebbero essere problemi a rispettare il deficit previsto.

21 dicembre 2015

Lo strano caso della focaccia di Recco IGP

Recco è una graziosa cittadina in provincia di Genova famosa per un'ottima focaccia al formaggio, specialità locale che pare avere origine nella notte dei tempi.

Tempo fa il Consorzio che promuove la focaccia ha ottenuto il marchio IGP "Focaccia di Recco col formaggio".  Il disciplinare prevede che la focaccia si può produrre solo in 4 comuni, Recco, Camogli, Sori e Avegno.

Leggendo il disciplinare pare si sia "brevettato" il nome. La focaccia si cucina con farina, olio, sale più un formaggio fresco. Niente che non si possa trovare altrove. Altrimenti si sarebbe chiamata Focaccia col formaggio di Recco o con il nome di un formaggio locale.

Ma brevettare una ricetta di un prodotto fresco che si può fare solo in quattro comuni della Liguria sa di scelta autolesionista. Se a Milano vogliono la focaccia di Recco che si fa? Semplice non si può.

Il vincolo territoriale viene fatto rispettare al punto che i NAS sono andati alla fiera dell'artigianato a Rho e hanno fatto chiudere lo stand voluta proprio dal Consorzio della Focaccia di Recco per promuovere il prodotto che, in quanto prodotto fresco, non può di fatto uscire dai confini dei quattro comuni che ne vanno fieri.

18 dicembre 2015

Perchè alcune banche vendono le proprie azioni allo sportello?

Tra le vicende bancarie di cui si occupano i mass media in queste settimane, c'è il caso interessante di banche che vendono le proprie azioni anche ai risparmiatori più ingenui.

Una di queste è la Banca Popolare di Vicenza, che ha venduto negli anni scorsi le proprie azioni anche a anziane casalinghe o a imprenditori alla ricerca di un mutuo, che si sentivano proporre tassi vantaggiosi se avessero sottoscritto il capitale della banca.

Chi l'ha fatto s'è trovato a fare i conti con probabili perdite. E' il caso della presidente della Regione Friuli VG, Debora Serracchiani, che col marito ha sottoscritto azioni della Popolare vicentina mentre sottoscriveva un mutuo per l'acquisto di un immobile a tasso agevolato.

Qualche imprenditore s'è sentito proporre un prestito per una somma superiore a quella richiesta, con l'obbligo di usarne una parte per acquistare azioni della banca.

Perchè una banca fa queste operazioni ?

La probabile ragione si chiama capitale variabile. La Popolare di Vicenza è una banca cooperativa a capitale variabile. Questo significa che non esiste un numero prestabilito di azioni che passano di mano in mano in un mercato telematico, ma il numero è variabile e dipende dalla volontà dei soci.

Se arrivano nuovi soci, il numero delle azioni aumenta, se chi è socio decide di recedere dalla società il numero delle azioni diminuisce e con esso il capitale sociale.

Se il capitale di una banca diminuisce, la banca diventa meno affidabile. Nei coefficienti che indicano la solvibilità della banca, il capitale sociale ha un ruolo importante.

Perciò una banca con un capitale variabile ha interesse a cercare nuovi soci e a spingere i soci a non recedere dalla società. La banca costituita come società con capitale variabile in altri termini riesce a realizzare un aumento di capitale non dichiarato: basta trovare nuovi soci.

Al tempo stesso però ci sono alcuni problemi. Una banca in difficoltà può essere tentata dal nascondere la reale situazione per evitare il recesso degli azionisti e quindi il peggioramento dei coefficienti di solvibilità della banca. Può trovare conveniente vendere le azioni ai risparmiatori, mentre altri soci, magari consapevoli delle difficoltà della banca, chiedono di recedere dalla società. Può insomma succedere che i soci più astuti abbandonino la banca che nel frattempo cerca di vendere azioni a ignari risparmiatori.

12 dicembre 2015

Obbligazioni Banca Etruria

La Consob ha fatto un buon lavoro nel caso delle obbligazioni subordinate di Banca Etruria?

I prospetti informativi che si trovano sul sito della Consob, mostrano che Banca Etruria segnalava bene i rischi per gli azionisti e i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate.

Nel maggio del 2011 vengono offerte "obbligazioni subordinate convertibili in azioni ordinarie della Banca Popolare dell'Etruria". Nella prima pagina si anticipa un punto del prospetto, inserendo un'avvertenza:

In particolare, si segnala che le Obbligazioni Convertibili sono composte da una obbligazione subordinata unita a delle componenti derivative; pertanto, il loro valore è influenzato, tra l’altro, dal prezzo delle Azioni BPEL [....] ove il possessore intendesse vendere Azioni BPEL [...] il ricavato di tale vendita, anche tenendo conto dell’eventuale conguaglio in denaro, potrebbe non consentire il recupero integrale del valore nominale delle Obbligazioni Convertibili (cfr. Sezione Prima, Capitolo IV, Paragrafo 4.3.1 del Prospetto).

Poi si aggiunge che "rispetto alle obbligazioni convertibili standard" "l'Emittente avrà il diritto di procedere al riscatto totale o parziale delle Obbligazioni in circolazione mediante pagamento in denaro e/o consegna di Azioni BPEL" e che si ripete che c'è il rischio di perdite.

In poche parole c'è scritto che le obbligazioni appartengono a una categoria particolar, saranno presumibilmente convertite in azioni e ciò potrebbe provocare perdite.

Solo dopo questa avvertenza, si trova il sommario del prospetto informativo. Un pò come se in un saggio, prima dell'indice si spiegasse in grassetto che i contenuti potrebbero turbare il lettore.

Due anni più tardi, nel 2013, la Banca emette azioni. E anche in questo caso la prima cosa che si legge nel prospetto informativo è una serie di avvertenze.

Tra cui la tabella seguente, che la dice lunga sullo stato di salute della banca:



La Banca Popolare dell'Etruria ha crediti deteriorati in aumento e pari a più del doppio della media, le sofferenze in rapporto al patrimonio sono quasi il triplo della media delle banche italiane e pari a oltre l'80% del patrimonio della banca.

In sostanza si avvertiva chiaramente della situazione della banca e dei forti rischi connessi all'acquisto di azioni o obbligazioni.

11 dicembre 2015

Obbligazioni rischiose: quale alternativa?

Di fronte a tassi di interesse che tendono allo zero, i risparmiatori sono in difficoltà. Comprare un titolo di stato vuol dire guadagnare pochissimo. A volte significa anche perdere soldi, se si considerano le commissioni bancarie. Per cui si cercano investimenti alternativi, che offrano rendimenti più elevati pur con un rischio prossimo allo zero.

La ricerca di rendimenti maggiori è forse all'origine dei drammi di cui si parla in questi giorni: risparmiatori attratti dai tassi elevati offerti da alcune banche ne hanno comprato le obbligazioni finendo per perdere tutti i soldi.

Ci sono diverse cose che si potrebbero fare per impedire il ripetersi di tali situazioni. La fusione tra banche può ridurre il pericolo di future crisi di banche piccole. Alle quali, se restano indipendenti, si potrebbero porre una serie di vincoli per l'emissione di obbligazioni rischiose.

Le obbligazioni potrebbero essere sottoscritte solo per importi elevati (per esempio per un minimo di 50 mila euro). In questo modo il piccolo risparmiatore non potrebbe acquistare tali obbligazioni. Oppure si potrebbe limitare la vendita delle obbligazioni al piccolo risparmiatore se la banca non è quotata in borsa. Il valore di borsa delle azioni della banca emittente sarebbe un segnale dello stato di salute della banca, che anche il risparmiatore ingenuo potrebbe comprendere.

Per lo stesso motivo si potrebbe chiedere che le obbligazioni che finiscono nelle tasche di chi ha risparmi modesti siano a loro volta quotate, prevedendo clausole di salvaguardia a favore del sottoscrittore se l'obbligazione è poco scambiata.

O ancora si potrebbe imporre a talune banche di non cedere le obbligazioni emesse dalla stessa banca. Ma allora -si potrebbe chiedere qualcuno- come vendono le obbligazioni?

Attraverso altri canali. Se una banca A può emettere obbligazioni rischiose ma non può venderle se non a alcuni clienti, dovrebbe rivolgersi a una banca B, che accetterebbe di vendere le obbligazioni altrui solo dopo averne valutato il rischio: in caso di perdita la reputazione della banca B è a rischio.

Lo stesso potrebbe succedere con i fondi di investimento in obbligazioni. Il fondo acquista una obbligazione per offrirla al cliente insieme a tante altre obbligazioni. Non ci tiene a dare una valutazione errata. Le quote di un fondo obbligazionario registrerebbero un rischio molto inferiore a quello della singola obbligazione, offrendo presumibilmente un tasso superiore a quello dei titoli di stato.

08 dicembre 2015

Bail in e bail out

Salve a tutti, ho ripreso in mano la penna per dare il mio contributo a questa penosa via crucis bancaria, che mi tocca anche molto da vicino, essendo io marchigiano e avendo innumerevoli rapporti lavorativi con Banca Marche.

Ed è proprio di Banca Marche che parlerò, perché è la realtà che conosco meglio.

Banca Marche, a differenza di altri casi, dove sono "spariti" i soldi, intascati da qualcuno o evaporati in improbabili azioni finanziarie, semplicemente è la vittima combinata della disastrosa politica governativa sugli immobili, che ha portato i valori immobiliari al minimo e della miopia del proprio management che proprio, e quasi esclusivamente sugli immobili, aveva puntato.

Per immobili intendo non solo gli immobili abitativi, ma anche quelli commerciali e i capannoni industriali.

Banca Marche ha finanziato, oltre ai privati, anche una serie di imprese edilizie in operazioni immobiliari gigantesche (ovviamente in rapporto alle dimensioni della banca), tanto da trovarsi esposta dal punto di vista creditizio in gran parte verso il settore immobiliare e verso poche, grandi imprese. Quando queste imprese si son trovate in difficoltà, come buona parte del tessuto imprenditoriale marchigiano a causa della crisi e della politica del governo, i valori a cui erano iscritti gli immobili dati in garanzia è clamorosamente crollato insieme al mercato immobiliare. Alla fine è arrivata la Banca d'Italia (ma proprio alla fine...) che ha defenestrato il management, commissariato la banca e svalutato gli attivi iscrivendo le differenze a perdite. A questo punto il patrimonio netto, a causa delle perdite, si è azzerato e, vista l'impossibilità di una nuova ricapitalizzazione (dopo il disastro di quella del 2012), la banca è in pratica fallita.

Ora, bisognerebbe chiedersi un po' di cose:

1. Dove erano le fondazioni bancarie, che oggi lamentano decine di milioni di perdite? Le fondazioni bancarie, istituzionalmente detengono il capitale delle banche, quindi non sono soggetti inesperti o piccoli risparmiatori, anzi, sovente piazzano i propri uomini all'interno delle banche per controllarne e dirigerne l'andamento! Quindi, perché non si sono accorte di nulla se non quando il danno era fatto?

2. Dov'era la Banca d'Italia, i revisori, e tutto il sistema di controlli, quando Banca Marche distribuiva dividendi a differenza del resto del settore bancario che invece soffriva per la crisi?

3. Cosa dire agli azionisti e ai piccoli risparmiatori di Banca Marche della perdita derivante dall'azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate? Beh, in questo caso diamo un colpo al cerchio e uno alla botte! Che Quando entri in una banca per avere un prestito o un mutuo, qualcuno cerchi di rifilarti, assicurazioni vita, azioni della banca, prodotti finanziari, è risaputo anche se non proprio correttissimo. Qui trovate un link a una vecchia discussione in merito. Si tratta di una pratica a dir poco in conflitto di interessi, ma d'altra parte che cedole e dividendi si sono messi in tasca i possessori di tali prodotti finché li hanno detenuti in portafoglio?

4. Cosa succederà adesso? Beh, a questo punto si avrà una "Nuova Banca Marche" (e altre Nuove Banche...) con la parte "sana" e una bad bank che raggrupperà le attività deteriorate di tutte le 4 banche. In teoria senza costi per lo stato subito. Ma costi che comunque potrebbero esserci (qui trovate un po' di spiegazioni, che altrimenti sarebbero molto lunghe, da un servizio di La7, la Gabbia).

5. Quali saranno le conseguenze a medio/lungo termine di questa esperienza? Beh, a mio parere il passaggio da bail out a bail in, sarà disastroso. L'unico fatto positivo è che non saranno socializzate le perdite dopo che sono privatizzati gli utili. D'altra parte in caso di fallimento bancario contribuiranno azionisti, obbligazionisti e alla fine i correntisti. E attenzione, il limite dei 100.000 € sui depositi, è pura teoria, in quanto i soldi dovrebbero venire da un fondo interbancario (cioè finanziato dalle stesse banche). Quindi in caso di fallimento di una banca "grossa", non ci sarebbero proprio i soldi, né vi sono indicazioni sui tempi di rimborso: mesi? Anni? Nessuno lo sa, perché in realtà nessuno sa cosa potrebbe succedere se fallisse - ad esempio - Unicredit o Banca Intesa.
Inoltre, a differenza di quanto molti possono credere, vi sono soggetti che hanno sui conti correnti anche centinaia di migliaia di Euro o milioni o decine di milioni (anche se divisi magari su più banche): le aziende grandi, necessitano di liquidità per i pagamenti e non bisogna credere che la liquidità sia tutta presa a prestito (con affidamenti o simili). Quindi se saltasse una banca e venisse applicato il bail in, la banca si trascinerà dietro un'intera economia.

Certo, bisognerebbe obiettare che il risparmiatore deve stare attento e spostare i soldi dove è più sicuro. Ma nel caso delle banche questo sarebbe l'inizio della fine! Se apparisse sulla stampa una notizia dove la banca "X" non ha chiuso bene e non si sa come andrà l'anno successivo, cosa dovrebbe fare il risparmiatore razionale? Ovvio, spostare i soldi in un'altra banca! Ma se tutti i risparmiatori fossero razionali, la banca perderebbe tutti i depositi e da andare un po' male improvvisamente andrebbe malissimo e rischierebbe di saltare!

Quindi si profila un futuro risiko bancario, dove rimarranno poche grandi banche con un elevato e concentrato potere economico e politico.

05 dicembre 2015

Salvare gli obbligazionisti/azionsti

Nelle scorse settimane il governo ha emanato un decreto per salvare quattro banche italiane (Banca dell'Etruria, Cassa di Risparmio di Chieti, Cassa di Risparmio di Ferrara e Banca Marche) da tempo commissariate. 
E' stata una corsa contro il tempo per limitare i danni per i risparmiatori, perchè nel 2016 entreranno in vigore le nuove norme europee sui fallimenti, ma non tutto è andato bene.

Le quattro banche "salvate" hanno complessivamente 8,5 miliardi di euro di crediti che non riescono a incassare. Un 60% di quella cifra è ormai per così dire persa, cioè oggetto di svalutazioni ovvero di perdite inserite nei bilanci. 

Restano 3,4 miliardi in bilancio, dei quali solo 1,1 miliardi si pensa torneranno nelle casse delle banche.

Quindi le quattro banche perderanno complessivamente quasi 7,5 miliari di euro. Di fronte a una perdita così consistente, ci sarebbere da aspettarsi un fallimento. Ma non succederà: le banche verranno tenute in vita usando in parte i soldi del sistema bancario (con Unicredit, IntesaSanPaolo e Ubi Banca a far la parte del leone) mentre gli azionisti delle quattro banche e i possessori di obbligazioni subordinate finiranno per perdere tutto: i loro soldi copriranno parte delle perdite. 

Tra qualche tempo poi le banche saranno vendute e -si spera- ciò permetterà al sistema bancario di incassare i soldi sborsati per il salvataggio.

A far storcere il naso, in questo salvataggio, è il fatto che tra gli obbligazionisti e gli azionisti che perderanno tutti i loro risparmi ci sono molti cittadini che pensavano di acquistare normali obbligazioni e non pensavano di correre rischi. 

Dal punto di vista legale le loro perdite sono giustificate: hanno comprato titoli rischiosi.
Meno da un punto di vista etico: spesso le banche agiscono come un venditore che ha molti motivi di nascondere al cliente i difetti, reali o potenziali, del prodotto venduto. Difetti che le banche stesse hanno contribuito a creare con la concessione di prestiti secondo criteri non economici o per soddisfare interessi di altri clienti o degli amministratori della banca.





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