14 ottobre 2024

Tavares

Che dire della pessima figura fatta da Tavares, amministratore delegato del gruppo Stellantis nell'audizione in Parlamento della scorsa settimana?

La prima cosa che mi viene in mente sono le parole di Marchionne del 2012, quando spiegò che in Europa c'era un eccesso di capacità produttiva e che sarebbe stato necessario un piano, finanziato anche dall'UE, per ridurre la produzione da parte di tutti i produttori. I tedeschi rifiutarono l'idea perchè loro erano i leader del mercato e i problemi dell'auto li riguardavano solo in parte.

La seconda cosa che mi viene in mente è che Marchionne aveva le spalle coperte dagli utili della Jeep negli USA, capaci di coprire le perdite europee del Gruppo senza imporre troppi sacrifici in Italia e negli altri stabilimenti europei.

Merito senza dubbio del manager italo-canadese che ha comprato Chrysler e quindi Jeep e l'ha messa nelle condizioni di ottenere ottimi risultati nel mercato nord americano. Oggi non è più così e i risultati deludenti oltreoceano, probabilmente, spingerà Stellantis a non rinnovare la fiducia a Tavares, il cui contratto scade nel 2026. 

Così, mentre la produzione di auto in Italia, ridotta ai minimi termini, spinge i politici a chiedere conto a Stellantis del futuro del settore, Tavares non trova di meglio che chiedere incentivi e lamentare costi doppi in Italia delle ricariche per le auto elettriche, senza sapere spiegare il perchè.

Intanto gli incentivi per vendere più auto sono assurdi perchè in seguito i potenziali clienti rinviano l'acquisto in attesa di altri incentivi. Poi lo sono perchè solo una parte, piuttosto modesta, delle auto vendute in Italia è prodotta in Italia. E quindi gli incentivi aiutano l'industria straniera più delle fabbriche e degli operai italiani. 

Poi è grave che il massimo dirigente di un gruppo automobilistico non sappia spiegare il motivo dei costi di ricarica doppi, rispetto a Spagna e Francia, nè abbia suggerimenti o rimproveri da fare alla politica che da (quasi) sempre è incapace di fare una politica industriale di qualità.

Tutto questo ci dice, infine, che di fronte a difficoltà dell'auto europea che coinvolgono anche i tedeschi Volkswagen, servirebbero dirigenti credibili e competenti, con una visione ampia e a lungo termine dei problemi e delle possibili soluzioni, che non pare avere Tavares, probabilmente destinato a lasciare il gruppo automobilistico tra poco più di un anno.

23 settembre 2024

Revisione del PIL

L'ISTAT ha rivisto il PIL del periodo 2021-2023, scoprendo, grazie a "innovazioni e miglioramenti di metodi e di fonti" che il PIL nominale è più alto di quasi 100 miliardi rispetto ai dati precedenti. Il PIL 2021 è più alto di 20,5 miliardi, il PIL 2022 di 34,2 e il PIL 2023 di 42,6 miliardi.

Come sempre si tratta di un dato stimato e si cerca di fare in modo di avvicinarsi il più possibile al dato vero, che resta sconosciuto perchè non si conosce bene il valore aggiunto vero delle aziende, in parte perchè non denunciano i dati reali e in parte perchè alcuni "imprenditori" non svolgono attività lecite e quindi non dichiarano nulla. 

Però una cosa la possiamo dire: a meno che la correzione riguardi solo l'economia sommersa, un  aumento del PIL nominale di 100 miliardi vuol dire che i prezzi sono aumentati più di quanto riportato dai dati ufficiali.

Un aumento del PIL nominale ha poi un impatto positivo sul deficit/PIL e sul rapporto debito/PIL, che infatti scende da circa il 137 a circa il 134%. 

Tutto sommato è una buona notizia. Serviranno meno sacrifici per raggiungere gli obiettivi di bilancio concordati con l'UE. E il motivo è che li abbiamo pagati sotto forma di inflazione. O di finanziamento alla criminalità.

16 settembre 2024

Proroga a tempo per i balneari

La vicenda delle concessioni balneari pare destinata a concludersi con una proroga a tempo, fino al 2027. 

La direttiva Bolkestein obbliga i paesi dell'Unione Europea a mettere all'asta le concessioni di spiagge, che, di fatto, in precedenza erano possedute dai titolari degli stabilimenti balneari che se le passavano di padre in figlio come fossero beni di proprietà.

La magistratura italiana e europea ha bocciato ogni tentativo di non applicare la direttiva Bolkestein. Invece la politica ha fatto spesso promesse irrealizzabili, in cambio del voto di una categoria di imprenditori che sceglieva di votare chi difendeva i loro interessi (privati).

Tra le motivazioni di chi non vuole l'asta delle concessioni, qualcuna ha senso. Una dice: se il balneare perde la concessione, parte dei soldi spesi nello stabilimento, per beni e servizi che esercitano la loro funzione nel medio-lungo termine, diventano costi che non producono nessun ricavo. 

Per esempio, se uno stabilimento balneare 2 anni fa ha acquistato sdraio e ombrelloni nuovi, l'ha fatto nella certezza (magari derivante da una promessa politica) di poterli usare per (supponiamo) 5 anni, durante i quali l'imprenditore era certo di incassare i ricavi generati dagli stessi. 

Ma se dopo 2 anni l'impresa perde la concessione, si ritrova a registrare una perdita: il costo d'acquisto viene pertanto diviso in 5 parti, inserite in 5 bilanci annuali differenti, ma dopo il secondo anni i ricavi non ci sono più.

Per questo i balneari hanno chiesto un risarcimento. Come dire: ci avete illusi, facendoci pensare che non ci sarebbero state le aste per le concessioni e per questo abbiamo speso soldi nelle nostre imprese. Soldi che non recupereremo se perdiamo la concessione, quindi rimborsateci.

Qualcuno addirittura ha pensato ai mancati guadagni, ma il governo italiano pare intenzionato a comprendere in eventuali rimborsi solo i costi pluriennali sopportati negli ultimi 5 anni oltre a estendere, accordandosi con l'UE, le concessioni per altri 3 anni. 

In questo modo i costi non daranno luogo a perdite se non minime, perchè per altri 3 anni i costi pluriennali sopportati di recente saranno coperti dai ricavi degli stabilimenti balneari. 

Dopo aver promesso che la direttiva Bolkestein non sarebbe stata applicata, finirà che le aste si faranno e i risarcimenti saranno ridotti ai minimi termini. 

12 giugno 2024

L'auto cinese e l'UE

Tre giorni dopo le elezioni che hanno rinnovato il Parlamento dell'Unione Europea premiando una destra estrema che attira i cittadini delusi, arrivano forti dazi sull'importazione di automobili elettriche dalla Cina. 

Con i dazi, le autorità dell'UE tutelano le produzioni europee dalla concorrenza senza regole della Cina, e cercano di far sentire meno in difficoltà i lavoratori europei che, delusi e impoveriti, preferiscono Le Pen a Macron, Meloni a Calenda, l'AfD all'SPD. 

Ma ci spiegano, anche, implicitamente, che hanno molti dubbi sui valori liberisti che promettevano più benessere per tutti grazie a mercati aperti, deregolamentazioni, più libertà di impresa, meno Stato. 

In pochi hanno goduto dei benefici del liberismo, anche se in tanti hanno sposato più o meno esplicitamente l'ideologia liberista, ignorando le critiche e le prove. I delusi si sono rivolti all'estrema destra, perchè anche la sinistra "moderata" ha condiviso l'ideale liberista, credendo a chi sosteneva che fosse una strada obbligata, senza alternative.

I dazi sull'auto potrebbero essere il primo passo di un'Europa che rinnega il suo passato e il suo presente libersta, dopo aver compreso che non produce benefici per tutti. In palio c'è il futuro dell'auto europea ma pure l'Europa, perchè i delusi cercano a casa propria e contro lo straniero, anche europeo, la soluzione dei problemi. 

27 maggio 2024

Nicolò Introna

Federico Fubini, giornalista economico del Corriere della Sera ha scritto un interessante libro, L'oro e la patria (Mondadori), dedicato a un personaggio sconosciuto o quasi, Nicolo Introna. 

Introna, importante dirigente della Banca d'Italia che ha lavorato soprattutto in epoca fascista, ha lasciato un archivio personale di 80 mila pagine che hanno permesso a Fubini di ricostruire numerose vicende che l'hanno visto protagonista. Una in particolare, la difesa dell'oro della Banca d'Italia, che interessava ai tedeschi durante l'occupazione di Roma. 

Introna cerca di nascondere l'oro in una intercapedine, sconosciuta ai più, del palazzo della Banca d'Italia, ma deve fare i conti con la paura del Governatore Azzolini che, temendo ripercussioni, finisce per lasciare che i tedeschi si impossessino dell'oro e che Mussolini, diventato capo della Repubblica Sociale Italiana, uno stato fantoccio creato dai  tedeschi che occupano l'Italia, ottenga i soldi che gestiva personalmente su un conto della Banca d'Italia.

Il libro di Fubini mostra le due facce contrapposte del paese durante la dittatura. 

Azzolini è il classico yesman piegato ai voleri del regime, di cui sfrutta i benefici. Non si oppone in alcun modo alla folle politica di rivalutazione della lira, che porta alla forte diminuzione delle riserve auree della Banca d'Italia e all'uso molto spregiudicato dei soldi pubblici da parte di Mussolini. Asseconda i tedeschi sull'oro, mettendo in pericolo il futuro dell'Italia che ha bisogno delle riserve di oro come garanzia per il pagamento delle importazioni. Finisce in carcere ma se la cava, dopo una condanna in primo grado dove rischia anche la pena di morte, in un'Italia democratica che non respinge il passato e chi l'ha costruito, ma lo usa per ricostruirsi.

Introna invece è un uomo indipendente e onesto, per questo chiamato a Roma dal governatore Bonaldo Stringher, subisce attacchi dai giornali di regime perchè oppone le regole della Banca d'Italia a chi cerca di sfruttare le banche (controllate dalla Banca d'Italia) per operazioni spregiudicate e illecite. Non ha capacità politiche e per questo subisce molte sconfitte, tra cui quella di essere accantonato da Luigi Einaudi che diventa governatore della Banca dopo che lui, Introna, ne è stato il commissario straordinario. 

Anche Einaudi e Introna possono essere considerate le due facce contrapposte di un paese, questa volta democratico. Mentre Introna spiega le sue idee sul futuro economico del paese, soprattutto allo scopo di evitare che la politica usi l'economia per fini privati e politici, Einaudi si rifiuta di farlo, evitando di rispondere alle domande di una commissione nata per offrire le migliori idee degli esperti di economia ai membri dell'Assemblea Costituente. Il motivo è che pensa che le sue idee piacerebbero a pochi e gli compremetterebbero la carriera politica. Che invece va a gonfie vele: Einaudi benchè monarchico dichiarato diventa il primo Presidente della Repubblica.

Non è, nel suo piccolo, un uomo coraggioso come Introna, e ce lo conferma la vicenda IRI di cui parleremo la prossima volta.

04 maggio 2024

La crisi di Fiat (in Italia)

Pochi lo sanno, ma tra i diversi marchi del gruppo Stellantis, Fiat è il marchio che vende più automobili. Eppure in Italia, patria della Fiat, la produzione di auto pare in crisi e Mirafiori, storico stabilimento di Torino, affronta un futuro molto incerto. Perchè?

La storia della Fiat racconta di un'impresa che ha prodotto tante automobili tenendo sotto controllo i costi di produzione, offrendo bassi i prezzi di vendita, con cui ha attirato milioni di italiani con redditi bassi e poche pretese, e guadagnando quindi pochi soldi per ogni esemplare prodotto e venduto. 

Questo modello di business funziona ancora in parte del mondo, dove l'automobilista ha poche pretese e pochi soldi da spendere. 

Non dove i costi di produzione sono più elevati e dove si sta ampliando il divario tra consumatori ricchi che puntano a acquistare marchi prestigiosi e consumatori meno ricchi che cercano quasi sempre il prodotto più conveniente.

In questi paesi, è sempre meno conveniente produrre le auto dei marchi che un tempo erano molto diffuse. E' una questione di costi di produzione e di mercato. Ci si sposta dove i costi di produzione sono inferiori e dove il mercato di un certo tipo di auto è più attraente.

Naturalmente Stellantis non dimentica di avere impianti e personale competente in Italia, ma è difficile se non impossibile che la produzione di utilitarie torni in Italia.
Soprattutto se la motivazione è nazionalistica: l'Italia non è il miglior posto al mondo in cui produrre qualcosa, non si produce in un paese per amore di quel paese. Chi ha il potere di decidere la politica industriale di un paese dovrebbe cercare di capire quali sono i motivi che spingono Stellantis a produrre altrove e perchè non esistono impianti di altri produttori mondiali.


10 aprile 2024

Spesa sanitaria e inflazione spiegata facilmente

C'è stata un'epoca di forte inflazione, in Italia. Ai tempi ero bambino e a volte prima di andare a scuola passavo in una panetteria a comprare un pezzo di pizza. Invece di chiedere 1 etto o 2 di pizza, chiedevo 200, 300 o forse 500 lire di pizza (non ricordo i numeri esatti). Il panettiere tagliava, pesava, incartava la pizza e incassava la cifra che avevo a disposizione.

Un giorno il panettiere ha aumentato i prezzi. Colpa dell'inflazione che ai tempi era tra il 10 e il 20%. Così quando mi sono presentato con la stessa somma, il pezzo di pizza è diventato più piccolo. 

Nei giorni successivi la somma a disposizione per comprare la pizza è aumentato, ma non abbastanza per compensare l'aumento del prezzo. Il pezzo di pizza che ottenevo con una somma maggiore era comunque più piccolo rispetto a quello che acquistavo prima dell'aumento del prezzo. 

Spendevo più di prima ma una somma maggiore serviva a comprare meno pizza. Lo stesso accade con la sanità. Il governo spende più di prima e si vanta che non s'è mai speso tanto, ma l'aumento non basta a compensare l'aumento dei costi, causato dalla fiammata inflazionistica legata al conflitto ucraino.

Non ha senso confrontare la spesa pubblica in sanità (o altro) con la spesa precedente, proprio come non aveva senso confrontare la spesa per la pizza in due momenti differenti (prima e dopo l'aumento del prezzo da parte del panettiere). Anche se i soldi per la pizza erano aumentati, il pezzo di pizza era diventato più piccolo. 

Invece il PIL aumenta (anche) con l'inflazione e quindi si deve sempre calcolare il rapporto tra la spesa per la sanità e il PIL proprio come si calcolano i rapporti tra deficit e il PIL e tra debito e PIL.

13 febbraio 2024

La ricerca degli investimenti di Milei

Milei, presidente argentino, ha annunciato: "Avremmo bisogno di investimenti perchè nel corso del risanamento è possibile un calo dell'attività economica, una riduzione dell'occupazione e il crollo dei salari reali", come riporta il Sole 24 Ore

In un paese con il 40% di cittadini poveri, far crollare i salari reali e ridurre l'occupazione significa far crescere la percentuale di cittadini poveri. 

Una follia.  

Perchè i poveri sono pessimi consumatori, e quindi far crescere la povertà vuol dire far scendere i consumi. Che sono il vero motore degli investimenti: se il cittadino consuma, le imprese investono per ampliare la produzione e offrire nuovi prodotti, per costruire nuovi impianti e rinnovare quelli esistenti.  Con i maggiori ricavi derivanti da maggiori consumi, gli investimenti si ripagano. Se invece accade il contrario, ovvero si consuma meno, le imprese hanno meno incentivi (spesso non ne hanno alcuno) a investire.

Sperare negli investimenti in presenza di un "crollo dei salari reali" non ha alcun senso, almeno per chi ha una conoscenza anche modesta dell'economia. A Milei che forse confonde l'economia con l'interesse suo personale individuale o aziendale, paiono mancare le conoscenze di base della scienza economica.

A meno che il piano del presidente Milei sia di trasformare l'Argentina in un paese molto povero in cui imprese straniere acquistano lavoro, materie prime, prodotti industriali  a prezzi molto bassi facendo concorrenza a paesi africani e asiatici e i cittadini sono costretti a lavorare tanto in cambio di salari da fame, perchè non hanno alternative.


05 febbraio 2024

Lo Stato Italiano in Stellantis?

Gli attacchi di Giorgia Meloni a Stellantis hanno portato all'idea, quasi impossibile da realizzare, che lo Stato italiano diventi azionista di Stellantis, casa automobilistica nata dalla fusione del gruppo Fiat e del gruppo PSA, ovvero Peugeot.

Di recente il governo italiano ha detto di voler aumentare la produzione nazionale di autoveicoli, elencando gli incentivi messi in campo a questo scopo e ha polemizzato con i giornali di Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli che è uno dei principali azionisti di Stellantis. 

Irritato, l'amministratore di Stellantis, Tavares, ha spiegato a Bloomberg, come riporta Sky Tg24, che gli attacchi servono a coprire la mancanza di incentivi per l'auto elettrica, con conseguenti rischi per gli stabilimenti italiani.

A sua volta il governo ha risposto ipotizzando l'entrata nel capitale di Stellantis, dove è presente invece lo Stato francese, che farebbe in modo di favorire la produzione negli impianti nazionali. Il governo vuole far credere che l'Italia, se fosse azionista, costringerebbe Stellantis a produrre in Italia.

Perchè l'Italia non è azionista di Stellantis ed è molto improbabile che lo diventi mentre la Francia possiede molte azioni che fa (o farebbe) valere nelle scelte strategiche di Stellantis?

Tempo fa entrambe le aziende che si sono fuse in Stellantis, Fiat e Peugeot, sono entrate in crisi. Crisi così forti da rischiare la chiusura in entrambi i casi. La Fiat nei primi anni 2000, Peugeot dieci anni più tardi. 

La crisi Fiat è stata affrontata dal governo Berlusconi con tante parole e proclami ma nessun intervento concreto. Famosa l'immagine dei vertici Fiat in lunga attesa fuori dalla villa di Arcore, residenza del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quasi fossero ospiti non graditi.

Il governo non è intervenuto, Tremonti ha detto che la Fiat era virtualmente fallita e i soldi che hanno permesso di superare la crisi sono arrivati dai tre principali gruppi bancari dell'epoca. Un prestito di miliardi definito "convertendo" perchè prevedeva, alla scadenza, la conversione in azioni. Le banche, poco fiduciose del futuro della Fiat hanno quasi subito poi venduto le azioni preferendo una plusvalenza ad un ruolo nella Fiat.

Quando un decennio più tardi la crisi ha rischiato di travolgere Peugeot, invece, lo Stato francese è intervenuto direttamente, diventando azionista di Peugeot, con una quota superiore a quella della famiglia che ha fondato il gruppo PSA.

Per questo motivo oggi il governo francese può mandare un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione di Stellantis e lo Stato italiano no. 

E, visto che il gruppo nato dalla fusione Fiat-Peugeot gode di buona salute, non esiste motivo per cui la richiesta del governo italiano di diventare azionista si realizzi. L'idea lanciata dal ministro D'Urso è solo un modo di salvare l'immagine del governo, che non pare interessarsi al futuro elettrico dell'auto.

30 gennaio 2024

Le proteste dei trattori


Quanto c'è di sensato nella protesta degli agricoltori che scendono in piazza lamentando prezzi troppo bassi per i loro prodotti e il rischio che i sussidi all'agricoltura, sotto forma di tagli fiscali e contributi (anche per non produrre) possano sparire o almeno essere ridotti?

Pensiamo al latte. Quante marche diverse ne troviamo in un supermercato? 

Una mezza dozzina, forse di più considerando tutte le tipologie di latte. 

E' un classico caso di oligopolio. Pochi produttori di un bene. Meno sono i produttori, più questi possono decidere il prezzo imposto al consumatore e il prezzo di acquisto dai fornitori, che invece sono tanti, spesso piccole aziende con poche mucche.
Se uno di questi non accetta il prezzo offerto dall'industria che trasforma il latte, quest'ultima si rivolge altrove. Prendere o lasciare. 

Le politiche dell'UE ispirate alle libera concorrenza avranno spiegato ai produttori di latte, arance, pomodori, eccetera, come si sarebbe dovuto evolvere il loro settore produttivo, in un sistema concorrenziale?

Sicuramente s'è fatto grande uso di soldi pubblici che hanno permesso per decenni agli agricoltori e allevatori europei di ignorare un mercato in cui tanti piccoli produttori finiscono per essere in balia di pochi trasformatori e venditori finali. 

I soldi hanno integrato il reddito e si sono dimenticate le possibili alternative: una politica capace di mediare tra interessi diversi oppure una politica che vincoli i fondi pubblici alla trasformazione del settore, creando produttori grandi e capaci di trattare alla pari con gli acquirenti di latte, arance, ponmodori, ecc..

Ha prevalso in altre parole una concorrenza selvaggia con aiuti pubblici, utilissimi anche per creare consenso politico. Oggi la minaccia di cambiamento spaventa e stimola le proteste.

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