10 aprile 2024

Spesa sanitaria e inflazione spiegata facilmente

C'è stata un'epoca di forte inflazione, in Italia. Ai tempi ero bambino e a volte prima di andare a scuola passavo in una panetteria a comprare un pezzo di pizza. Invece di chiedere 1 etto o 2 di pizza, chiedevo 200, 300 o forse 500 lire di pizza (non ricordo i numeri esatti). Il panettiere tagliava, pesava, incartava la pizza e incassava la cifra che avevo a disposizione.

Un giorno il panettiere ha aumentato i prezzi. Colpa dell'inflazione che ai tempi era tra il 10 e il 20%. Così quando mi sono presentato con la stessa somma, il pezzo di pizza è diventato più piccolo. 

Nei giorni successivi la somma a disposizione per comprare la pizza è aumentato, ma non abbastanza per compensare l'aumento del prezzo. Il pezzo di pizza che ottenevo con una somma maggiore era comunque più piccolo rispetto a quello che acquistavo prima dell'aumento del prezzo. 

Spendevo più di prima ma una somma maggiore serviva a comprare meno pizza. Lo stesso accade con la sanità. Il governo spende più di prima e si vanta che non s'è mai speso tanto, ma l'aumento non basta a compensare l'aumento dei costi, causato dalla fiammata inflazionistica legata al conflitto ucraino.

Non ha senso confrontare la spesa pubblica in sanità (o altro) con la spesa precedente, proprio come non aveva senso confrontare la spesa per la pizza in due momenti differenti (prima e dopo l'aumento del prezzo da parte del panettiere). Anche se i soldi per la pizza erano aumentati, il pezzo di pizza era diventato più piccolo. 

Invece il PIL aumenta (anche) con l'inflazione e quindi si deve sempre calcolare il rapporto tra la spesa per la sanità e il PIL proprio come si calcolano i rapporti tra deficit e il PIL e tra debito e PIL.

13 febbraio 2024

La ricerca degli investimenti di Milei

Milei, presidente argentino, ha annunciato: "Avremmo bisogno di investimenti perchè nel corso del risanamento è possibile un calo dell'attività economica, una riduzione dell'occupazione e il crollo dei salari reali", come riporta il Sole 24 Ore

In un paese con il 40% di cittadini poveri, far crollare i salari reali e ridurre l'occupazione significa far crescere la percentuale di cittadini poveri. 

Una follia.  

Perchè i poveri sono pessimi consumatori, e quindi far crescere la povertà vuol dire far scendere i consumi. Che sono il vero motore degli investimenti: se il cittadino consuma, le imprese investono per ampliare la produzione e offrire nuovi prodotti, per costruire nuovi impianti e rinnovare quelli esistenti.  Con i maggiori ricavi derivanti da maggiori consumi, gli investimenti si ripagano. Se invece accade il contrario, ovvero si consuma meno, le imprese hanno meno incentivi (spesso non ne hanno alcuno) a investire.

Sperare negli investimenti in presenza di un "crollo dei salari reali" non ha alcun senso, almeno per chi ha una conoscenza anche modesta dell'economia. A Milei che forse confonde l'economia con l'interesse suo personale individuale o aziendale, paiono mancare le conoscenze di base della scienza economica.

A meno che il piano del presidente Milei sia di trasformare l'Argentina in un paese molto povero in cui imprese straniere acquistano lavoro, materie prime, prodotti industriali  a prezzi molto bassi facendo concorrenza a paesi africani e asiatici e i cittadini sono costretti a lavorare tanto in cambio di salari da fame, perchè non hanno alternative.


05 febbraio 2024

Lo Stato Italiano in Stellantis?

Gli attacchi di Giorgia Meloni a Stellantis hanno portato all'idea, quasi impossibile da realizzare, che lo Stato italiano diventi azionista di Stellantis, casa automobilistica nata dalla fusione del gruppo Fiat e del gruppo PSA, ovvero Peugeot.

Di recente il governo italiano ha detto di voler aumentare la produzione nazionale di autoveicoli, elencando gli incentivi messi in campo a questo scopo e ha polemizzato con i giornali di Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli che è uno dei principali azionisti di Stellantis. 

Irritato, l'amministratore di Stellantis, Tavares, ha spiegato a Bloomberg, come riporta Sky Tg24, che gli attacchi servono a coprire la mancanza di incentivi per l'auto elettrica, con conseguenti rischi per gli stabilimenti italiani.

A sua volta il governo ha risposto ipotizzando l'entrata nel capitale di Stellantis, dove è presente invece lo Stato francese, che farebbe in modo di favorire la produzione negli impianti nazionali. Il governo vuole far credere che l'Italia, se fosse azionista, costringerebbe Stellantis a produrre in Italia.

Perchè l'Italia non è azionista di Stellantis ed è molto improbabile che lo diventi mentre la Francia possiede molte azioni che fa (o farebbe) valere nelle scelte strategiche di Stellantis?

Tempo fa entrambe le aziende che si sono fuse in Stellantis, Fiat e Peugeot, sono entrate in crisi. Crisi così forti da rischiare la chiusura in entrambi i casi. La Fiat nei primi anni 2000, Peugeot dieci anni più tardi. 

La crisi Fiat è stata affrontata dal governo Berlusconi con tante parole e proclami ma nessun intervento concreto. Famosa l'immagine dei vertici Fiat in lunga attesa fuori dalla villa di Arcore, residenza del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quasi fossero ospiti non graditi.

Il governo non è intervenuto, Tremonti ha detto che la Fiat era virtualmente fallita e i soldi che hanno permesso di superare la crisi sono arrivati dai tre principali gruppi bancari dell'epoca. Un prestito di miliardi definito "convertendo" perchè prevedeva, alla scadenza, la conversione in azioni. Le banche, poco fiduciose del futuro della Fiat hanno quasi subito poi venduto le azioni preferendo una plusvalenza ad un ruolo nella Fiat.

Quando un decennio più tardi la crisi ha rischiato di travolgere Peugeot, invece, lo Stato francese è intervenuto direttamente, diventando azionista di Peugeot, con una quota superiore a quella della famiglia che ha fondato il gruppo PSA.

Per questo motivo oggi il governo francese può mandare un proprio rappresentante nel consiglio di amministrazione di Stellantis e lo Stato italiano no. 

E, visto che il gruppo nato dalla fusione Fiat-Peugeot gode di buona salute, non esiste motivo per cui la richiesta del governo italiano di diventare azionista si realizzi. L'idea lanciata dal ministro D'Urso è solo un modo di salvare l'immagine del governo, che non pare interessarsi al futuro elettrico dell'auto.

30 gennaio 2024

Le proteste dei trattori


Quanto c'è di sensato nella protesta degli agricoltori che scendono in piazza lamentando prezzi troppo bassi per i loro prodotti e il rischio che i sussidi all'agricoltura, sotto forma di tagli fiscali e contributi (anche per non produrre) possano sparire o almeno essere ridotti?

Pensiamo al latte. Quante marche diverse ne troviamo in un supermercato? 

Una mezza dozzina, forse di più considerando tutte le tipologie di latte. 

E' un classico caso di oligopolio. Pochi produttori di un bene. Meno sono i produttori, più questi possono decidere il prezzo imposto al consumatore e il prezzo di acquisto dai fornitori, che invece sono tanti, spesso piccole aziende con poche mucche.
Se uno di questi non accetta il prezzo offerto dall'industria che trasforma il latte, quest'ultima si rivolge altrove. Prendere o lasciare. 

Le politiche dell'UE ispirate alle libera concorrenza avranno spiegato ai produttori di latte, arance, pomodori, eccetera, come si sarebbe dovuto evolvere il loro settore produttivo, in un sistema concorrenziale?

Sicuramente s'è fatto grande uso di soldi pubblici che hanno permesso per decenni agli agricoltori e allevatori europei di ignorare un mercato in cui tanti piccoli produttori finiscono per essere in balia di pochi trasformatori e venditori finali. 

I soldi hanno integrato il reddito e si sono dimenticate le possibili alternative: una politica capace di mediare tra interessi diversi oppure una politica che vincoli i fondi pubblici alla trasformazione del settore, creando produttori grandi e capaci di trattare alla pari con gli acquirenti di latte, arance, ponmodori, ecc..

Ha prevalso in altre parole una concorrenza selvaggia con aiuti pubblici, utilissimi anche per creare consenso politico. Oggi la minaccia di cambiamento spaventa e stimola le proteste.

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