30 ottobre 2011

Una misura della (s)fiducia bancaria


Guardate questa tabella (vedi qui) nel sito della FED. Indica le riserve delle banche presso la FED. La cifra cambia mese dopo mese diminuendo quando l'economia funziona bene (anni '90) e risalendo quando l'economia è più debole come nei primi anni '90.

Nell'agosto 2008 le riserve ammontano a 46.592 milioni di dollari, 46 miliardi e mezzo. A settembre sale a 103 miliardi e nell'arco di un anno cresce in modo rapidissimo, superando i 1000 miliardi di dollari.

Si stabilizza per un pò di tempo e da marzo del 2011 ricomincia a salire fino a 1642 miliardi di dollari.
Cosa significa?

Significa che le banche hanno molti soldi che, quando le cose fanno bene e hanno fiducia nel sistema bancario, prestano a altre banche, e invece depositano presso la FED quando la fiducia tra banche scende.

Nel settembre 2008 la fiducia delle banche nella capacità di altre banche di restituire i prestiti crolla e nessuno presta più soldi alle altre banche. I tanti soldi non stanno fermi nelle casse delle banche, non prendono la strada dei mercati interbancari, ma sono depositati presso la FED. E' meno remunerativo, ma meno rischioso rispetto al prestito a un'altra banca.

Ma questi dati ci dicono che la situazione da marzo 2011 in poi è peggiorata. La fiducia è di nuovo scesa e, di conseguenza, i depositi presso la FED sono aumentati. Ci aspetta una nuova recessione?

29 ottobre 2011

Citazioni divertenti (o forse no)


"Il 18 giugno 2007 venne reso pubblico un sondaggio della Cgia di Mestre su un campione di 600 artigiani e piccoli imprenditori del Nordest con aziende che occupano meno di 2o addetti..."

"Gli studi di settore costituivano per il 44,5% degli intervistati uno strumento usato dal governo per punire i piccoli imprenditori, e per un altro 37,5% solo uno strumento per fare cassa. Per cui il 53,5% chiedeva nuove elezioni..."

"Il giorno dopo peraltro venne diffuso dal Ministero dell'Economia un comunicato relativo agli studi di settore sui redditi del 2005 da cui risultava che il 53,8% dei lavoratori autonomi e delle piccole-medie imprese aveva denunciato al fisco un imponibile su cui pagare le tasse di 10.500 euro, ossia 875 euro al mese".

Rodolfo Brancoli, Fine corsa, Garzanti, 2008, pag. 219

Rodolfo Brancoli è stato uno dei principali collaboratori di Prodi presidente del Consiglio

28 ottobre 2011

Fiducia a picco


Come evolverà l'economia italiana nei prossimi mesi?

Se guardiamo i dati economici degli ultimi giorni, siamo messi male. Un po' come gli alluvionati delle province di La Spezia e Massa. Abbiamo salvato la pelle ma siamo immersi nel fango fino al collo.

E' quanto emerge da un indicatore della Banca d'Italia, €-coin, che sintetizza una serie di dati sull'andamento dell'economia.

Il grafico è impietoso: l'indicatore sta diminuendo, è sceso sotto zero per la prima volta dal 2008 ed è inferiore ai livelli del 2003, quando era appena scoppiata la guerra in Iraq.

Il dato è ancora più preoccupante se si pensa che pochi mesi fa la fiducia era decisamente più alta. La lenta risalita degli ultimi 12 mesi è stata bruciata in poco tempo, complici le incertezze del governo che ha tentato di cavarsela rinviando le misure necessarie per sistemare i conti pubblici.

Il continuo rinvio delle misure economiche da parte del governo, le incertezze sulla Grecia, gli spread che salgono e la borsa che scende, le misure finanziarie annunciate e poi smentite non possono che far male a imprese e consumatori che rinviano gli acquisti, annullano gli investimenti, aspettano a vedere cosa succede e nel frattempo non spendono.

Tutto ciò, dice Bankitalia, rischia di pesare e non poco sull'andamento economico dei prossimi mesi, con l'aggravante di misure promesse all'Unione Europea che, se attuate, non faranno che aumentare l'incertezza dei lavoratori, delle imprese e dei consumatori, facendo scendere ulteriormente la voglia di spendere e consumare.

27 ottobre 2011

Cifre a casaccio
















Guardate l'immagine. Bruno Vespa ha spiegato, lunedì sera, che non si può far fallire la Grecia perchè le banche europee, specie francesi e tedesche, sono piene di titoli greci.

E ha presentato una tabella che, se letta, spiega che in una mezza dozzina di banche europee ci sono bond greci per oltre 9.000 miliardi di euro... anche se il debito greco ammonta a circa 350 miliardi.

Se poi si sente l'audio, Vespa spiega che le cifre riferite alle banche italiane sono milioni, mentre quelle delle banche francesi e tedesche sono miliardi.

Neanche capace di leggere dati incredibili.

26 ottobre 2011

Le pazze idee della premiata ditta A&G - Appendice


Ieri un'alluvione ha ucciso 9 persone tra Liguria e Toscana. Fiumi straripati, case che cadono, dissesto ideogeologico generalizzato, l'autostrada bloccata tra Genova e La Spezia come anche la ferrovia. Oggi ci sono 20 km di code sul tratto appenninico dell'A1.

Però secondo la premiata ditta le infrastrutture non servono. "la scarsità di infrastrutture fisiche non è la priorità del Paese" hanno scritto due giorni fa, ribadendo concetti che loro stessi avevano ripetuto infinite volte negli ultimi anni.

E' bastata qualche ora di pioggia a mostrare quanto la premiata ditta A&G sia lontana dal mondo reale e non solo dalle buone idee economiche.

25 ottobre 2011

Le pazze idee della premiata ditta A&G - Seconda puntata

Continuiamo con le proposte per far funzionare meglio l'economia.

La proposta 5 dice che si deve favorire l'occupazione femminile anche con opportuni incentivi fiscali. Qui sorgono due problemi. A&G si smentiscono. Volevano idee a costo zero. Ma questa costa...Inoltre se le donne lavorano di meno, è perchè ci sono altri problemi, come la mancanza di asili e altri servizi, per cui più facilmente una donna si occupa dei figli, della casa, dei genitori anziani e così via.

L'idea (proposta 6) di riformare le pensioni serve a far risparmiare lo stato. Solo indirettamente e nel lungo periodo questo può servire all'economia. Più interessante invece è la proposta di riformare la giustizia civile (proposta 7), anche se, come prima, gli effetti si vedranno nel tempo perchè presumibilmente le vecchie cause sarebbero affrontare con le vecchie regole.

Appare invece strana la proposta 9: usare i soldi di una minore evasione (che per A&G avverrà per miracolo, visto che non si sa come la premiata ditta voglia ridurre l'evasione) per ridurre le imposte. Con un debito pubblico enorme, possiamo pensare davvero a usare i soldi di una minore evasione per ridurre le imposte?

Resta la madre di tutte le liberalizzazioni della premiata ditta A&G: aprire i mercati delle libere professioni e dei servizi pubblici locali.

Ora io vorrei capire come fa l'economia a crescere se liberalizziamo la professione di notaio, commercialista, avvocato, e via discorrendo. Ci possono essere due soli benefici diretti. Una maggiore concorrenza potrebbe (il condizionale è d'obbligo) far scendere le tariffe con qualche beneficio per cittadini e imprese. Inoltre potrebbe esserci una redistribuzione del reddito: i vecchi notai (ma anche avvocati, commercialisti ecc) potrebbero guadagnare di meno a favore dei nuovi arrivati. Ma quale sarebbe il beneficio per l'economia?

La liberalizzazione infine dovrebbe toccare i servizi locali. A&G citano i rifiuti. Ma cosa significa liberalizzare un servizio che la collettività si paga con una tassa apposita e magari con un contributo dell'ente locale? Il privato che volesse sostituire l'azienda pubblica della raccolta rifiuti o volesse comprarsela, sarebbe intenzionato a realizzare un utile e a guadagnare quanto basta per ripagare l'investimento.

Visto che non è possibile aumentare il giro d'affari come succede negli altri settori economici, i soldi per gli utili e per ripagare gli investimenti arriverebbero da un aumento delle tariffe o da una diminuzione dei costi, vale a dire pagando meno la gente. Misura che finirebbe per rivelarsi recessiva.

Concludendo, la premiata ditta Alesina & Giavazzi partorisce il topolino. E' convinta che l'economia funziona se l'offerta è dinamica, ignora la domanda e per questo cerca di dare la scossa all'economia, sperando che una scossa produca effetti positivi, realmente difficili da immaginare.

Le pazze idee della premiata ditta A&G - Prima puntata


La premiata ditta Alesina e Giavazzi torna a dare il meglio di sè (vedi qui) proponendo 10 riforme che a costo zero (all'apparenza) possono rilanciare l'economia italiana.

Secondo A&G le proposte di Berlusconi sono "pannicelli tiepidi per un malato che rischia l’arresto cardiaco". Fin qui si può essere d'accordo. Ma cosa propongono i due?

10 idee che non costano nulla e che dovrebbero servire a dare una scossa all'economia. E' bene sottolineare il termine usato: scossa. Non vogliono far crescere l'economia, vogliono dare una scossa.

La prima riguarda il mercato del lavoro, che dovrebbe diventare più precario per chi precario non è e un pò meno per chi è precario. Una scelta criticabile, perchè i consumi dei lavoratori che diventassero più precari ne risentirebbero. E meno consumi significano meno crescita.

La terza pare assurda. Si vorrebbe tornare alla prima formulazione dell'art. 8 voluto da Sacconi che diceva: se imprese e sindacati trovano un accordo aziendale, questo prevale sulla legge nazionale.

Confidustria e sindacati si son detti: ma così i lavoratori avranno paura. Questa è una norma fatta per la Fiat. Le altre imprese non ne hanno bisogno e quindi rinunciano alla norma, seguendo l'opinione di alcuni imprenditori, come Della Valle, secondo cui in questo momento è sbagliato introdurre maggiore flessibilità e incertezza, perchè il lavoratore che ha paura di perdere il posto taglia i consumi.

Per la premiata ditta A&G invece imprese e sindacati non possono fare accordi. Devono essere costrette a usare una norma che entrambi considerano nefasta per le imprese e i lavoratori.
La flessibilità è un obbligo. Non serve all'economia, non fa crescere il PIL. Serve a dare la scossa, come giustamente scrivono A&G.

Sulla stessa linea si pone anche la decima proposta. Che dice: tagliamo i costi della politica. Non serve a migliorare l'economia, e lo dicono anche loro, ma dà la scossa.

Ma oltre alla scossa (forse avranno fatto l'elettroshock a qualcuno degli autori e si sarà svegliato dal torpore intellettuale in cui si trovava?) all'economia qualcuno ci pensa?

Una scossa dovrebbe arrivare anche dalle gabbie salariali. Al sud il costo della vita sarebbe inferiore del 30% rispetto al nord e quindi occorre diminuire stipendi e salari dei lavoratori pubblici al sud. Per risparmiare e incentivare le persone a lavorare nel settore privato.

Una proposta irrealizzabile senza profondi cambiamenti delle leggi e una proposta che da un lato è positiva (meglio che i migliori siano incentivati a lavorare nel settore privato) ma dall'altro è disastrosa: se si tagliano salari e stipendi al sud, le imprese del sud, di solito più deboli della media, ne risentirebbero. Il sud cresce meno del centro-nord e con queste proposte sarebbe destinato a crescere ancora meno.

E qui passiamo o meglio passeremo, la prossima volta, alle incredibili proposte con cui la premiata ditta A&G vorrebbe offrire qualcosa in più di una scossa all'economia.

24 ottobre 2011

Banche: orgasmo e arresti













Due video (vedi qui e qui) raccontano due storie diverse del rapporto banca-cliente.

Nella Repubblica Ceca la Komerční banka invita a godersi la prima transazione bancaria. Negli USA alcuni esponenti di Occupy Wall Street provano a entrare in una filiale di Citi Bank per spiegare le proprie ragioni agli impiegati e chiudere i conti e finiscono per essere arrestati.

Riusciremo mai a capire seriamente come funziona una banca?

22 ottobre 2011

Elezioni 20 Novembre...Ci risiamo

Era ovvio che prima o poi avrei fatto un post sulle elezioni politiche che si terranno in Spagna fra circa un mese, il 20 novembre.

Ho deciso di farlo adesso, perché il mese prossimo potrei essere troppo occupato a causa di lavori richiesti dall'università.

Vista la grave crisi economica, l'emergenza di tenere sotto controllo i conti pubblici, e l'alto tasso di disoccupazione è chiaro che stavolta non ci sono coppie omosessuali, guerre, lotta al terrorismo (tra l'altro ETA ha appena dichiarato la fine della sua attività sanguinaria), aborto, immigrazione, difesa o meno del cattolicesimo o altre questioni di sorta che tengano....
A differenza di varie elezioni passate in cui gli argomenti erano soprattutto questi (visto che tanto l'economia spagnola non faceva altro che crescere dagli anni '90 e quindi non preoccupava), stavolta il dibattito verte intorno proprio all'economia.

In particolare il terreno di scontro sembra essere più precisamente quello delle imposte.
Il PSOE di Rubalcaba infatti nel suo programma, (scaricabile qui), dedica ampio spazio all'economia e alle riforme fiscali, , (poi vedremo qualcosa pure della destra, che ancora non ha pubblicato nessun programma ma che di discorsi, articoli e dibattiti a riguardo ne ha fatti tanti).

Per quanto riguarda la crisi spagnola, scaricano praticamente tutta la colpa ai governi di destra che dagli anni '90 al 2004 avrebbero basato la crescita economica spagnola solo sul settore edilizio, dicendo che invece loro dal quando furono eletti nel 2004 hanno provato ad investire e a stimolare altri settori, (citano alcuni esempi di leggi, decreti ecc sull'energia rinnovabile, tecnologie informatiche ecc).
Opinabile.Non che sia falso quello che dicono, però non tengono conto di alcuni errori di Zapatero e Salgado (ministra dell'economia), effettivamente poco difendibili.
Finchè il PIL cresceva, il governo socialista tagliava le imposte ed aumentava la spesa pubblica col sorriso sulle labbra. Certo, in quel momento sembravano politiche sostenibili perchè il buon andamento dell'economia le permetteva....Sì...ma solo nel breve periodo...
Perché l'errore grave del governo è stato quello di non aver affatto previsto la crisi che, visti i difetti strutturali dell'economia spagnola che loro stessi citano, forse non era poi così difficile da prevedere.
Un po'più di lungimiranza negli ultimi 7 anni non avrebbe guastato.

Ma veniamo al nocciolo del dibattito che è quello delle imposte: da circa pagina 16 in poi propongono numerosi nuovi tipi d'imposte che colpiscano i ceti più ricchi della popolazione.
Patrimoniali,e non patrimoniali.
Però si ribadice più e più volte un principio basilare: aumento della pressione fiscale con imposte progressive e lotta all'evasione.
Questa è la chiave secondo l'attuale maggioranza socialista per continuare a tenere in piedi i conti pubblici limitando il più possibile le sofferenze ai redditi più bassi, (e se possibile ridurle).

Per dare maggior credibilità alle proposte, vengono citate anche alcune delle misure già messe in atto dal PSOE a partire dal 2009-2010, tra di esse per esempio l'abolizione della legge Beckham, aumento delle aliquote IRPF sui redditi alti, inasprimento del regime fiscale su categorie di lavoratori professionisti che guadagnano molto, recupero dell'Imposta sul Patrimonio (che era stata tolta nel 2008 perchè la Salgado diceva che era calcolata male), un supplemento che dovranno pagare i redditi  oltre i 200'000 € l'anno ed altri.
Qui per esempio una serie di aumenti d'imposte sulle classi più abbienti in parte già attuati, in parte ancora in dibattito, dal governo, e qui invece quelli attuati dalle regioni amministrate dal Partido Socialista Obrero Español (PSOE).
E consideriamo che entrambi gli esempi sono relativi solo a quest'Estate...

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Cosa si dice invece nel bando opposto?
Come già detto prima, ancora il programma del Partido Popular non c'è, (o per lo meno io non l'ho trovato nemmeno nella pagina ufficiale).
Però ho letto diverse dichiarazioni che vanno nella direzione diametralmente opposta alle proposte fiscali del PSOE.

Si possono riassumere con questa breve uscita di Gonzàlez Pons (vice-segretario della comunicazione del PP), tratta dal sito ufficiale del loro partito: "Rubalcaba si stà impegnando nell'aumento delle imposte, Rajoy invece nell'aumentare i posti di lavoro. Il PSOE vuole evitare che gli spagnoli risparmino aumentandogli le imposte, noi invece vogliamo ridurle per far sì che tutto cambi".

O questa, in cui esibiscono opposizioni lapidarie a tutti gli aumenti d'imposta fatti dal governo, (tutti che colpiscono i ricchi salvo l'aumento dell'IVA che comunque non fece aumentare i prezzi) e propongono il contrario, riduzione delle imposte in favore del risparmio...

E' scontato dire che ciò implica ovviamente una forte riduzione della spesa pubblica, (vista la situazione spagnola non si può certo pensare che sia possibile anche solo concepire tagli d'imposta senza tagli di spesa!).
Con tutto quello che esso comporta soprattutto per i redditi più bassi che hanno meno accesso a servizi privati.

Insomma la buona vecchia favola liberista fallimentare e nemica della giustizia sociale.
Ci risiamo....

Indignati sveglia.


(nell'immagine, i due candidati, a sinistra Rubalcaba a destra Rajoy).

20 ottobre 2011

Debito pubblico e debito privato


In Italia abbiamo uno dei debiti pubblici più alti del mondo e anche uno dei più pericolosi.
Giustamente, a mio parere, le agenzie di rating considerano l'Italia poco affidabile e potenzialmente insolvente, costringendoci a finanziarci a caro prezzo sul mercato dei titoli di stato.
E' ovvio che ci sarebbe molto da dire sul fatto che agenzie private di rating americane giudicano i debiti di tutto il mondo, quelle stesse agenzie spesso accusate di collusione con le maggiorni banche di affari mondiali. Quelle banche che non si sono accorte erano piene di subprime e sfornavano prodotti con la tripla A certificata proprio da loro.
C'è però un fattore che viene poco considerato e che sta diventando importante ultimamente con la crisi finanziaria europea: le connessioni tra debito pubblico, bancario , aziendale e privato.

Innanzitutto vi segnalo queste considerazioni che risalgono a quest'estate e questo interessante grafico, che serve almeno per capire a grandi linee.

Ora, io sostengo che in caso di crisi il debito, pubblico, privato, aziendale e bancario, sono in sostanza la stessa cosa.
Vediamo come.
Il debito pubblico è quello più facilmente stimabile: somma dell'indebitamento delle amministrazioni pubbliche, più gli enti pubblici territoriali (comuni, regioni...) e non, in quanto lo stato non li lascerebbe fallire.
Poi veniamo alle banche europee: i governi non lasceranno che le banche più grandi falliscano, questo perchè ciò provocherebbe danni maggiori all'economia, con fallimenti a catena, che salvarle con soldi pubblici.
Quindi il debito bancario e le relative perdite, si trasferiscono al bilancio dello stato.
Un esempio pratico e di attualità: se le banche francesi rischiano di fallire perchè sono piene di titoli greci che hanno comprato tempo addietro (e scadono tra tipo 15 anni) non li vuole più nessuno, e la Grecia fallisce, magari annunciando che ripagherà il 40% dei propri titoli, allora il governo francese per evitare fallimenti bancari a catena, ricapitalizzerà o nazionalizzerà le banche in difficoltà, di fatto trasferendo i debiti bancari allo stato.
Questo meccanismo non è che succede sempre e comunque: le banche italiane hanno pochi titoli greci in portafoglio e in caso di fallimento greco sarebbero in grado di assorbire le perdite, non così le banche tedesche e francesi.

Poi veniamo al debito aziendale e privato. Se l'economia va male e le imprese cominciano a fallire, licenziano, e di conseguenza le famiglie non riescono più a ripagare i loro debiti a lungo termine (mutui) o a breve termine (carte di credito) tutto il credito erogato a imprese e famiglie non sarà restituito alle banche e le banche si ritroveranno piene di insolvenze aziendali e private.
In questo caso si arriverà di nuovo ad un rischio di fallimento bancario e lo stato dovrà di nuovo intervenire, in modo da trasferire i debiti allo stato.

Ecco così completato il percorso: famiglie e imprese -> banche -> stato

Quindi in caso di crisi, debito pubblico, privato o di aziende non fa molta differenza, in ogni caso si produrrà una crisi di solvibilità bancaria e allora allo stato rimarranno solo due scelte:

1. lasciar fallire le banche
2. salvare il sistema indebitandosi

Attualmente gli stati, tutti eccetto l'Islanda, hanno e stanno scegliendo la seconda soluzione.
Va quindi compreso, anche se non condiviso, il punto di vista di Tremonti, quando diceva di considerare anche il debito privato oltre che quello pubblico.
Tremonti forse si è però dimenticato che il debito pubblico è sempre rilevante, in quanto lo stato ci paga puntualmente interessi, invece il debito privato e delle aziende, se l'economia cresce, è irrilevante, per l'effetto leva che ha sull'economia. Quest'ultimo diventa quindi rilevante solo nei periodi di profonda crisi.
E così è stato nell'estate 2011: l'unica ad essere pesantemente punita dai mercati è stata l'Italia, non gli altri paesi europei che scontano livelli di debito aggregato ancora più alti del nostro.

Infine segnalo questo articolo risalente a oltre un anno e mezzo fa.

19 ottobre 2011

Lo strano stupore di Marchionne


Quest'anno venderemo 1,8 milioni di auto, s'è lamentato oggi Sergio Marchionne. 700.000 auto in meno, il livello più basso negli ultimi decenni.
Finiti gli incentivi auto del 2009, Marchionne aveva spiegato che era meglio così perchè c'era il rischio di venderne troppe. Se gli incentivi continuano, è stato il ragionamento di Marchionne, in futuro venderemo di meno. "...voglio sottolineare che l'eventuale scelta del Governo di non rinnovarli ci trova pienamente d'accordo" disse Marchionne (vedi qui) "I bonus ... hanno sostenuto la domanda nel 2009, ma hanno anche anticipato acquisti che ci sarebbero comunque stati negli anni successivi. Rinnovare queste misure adesso non farebbe altro che rimandare il problema alla prossima scadenza".

Due anni dopo Marchionne si stupisce che il mercato è sceso ancora. Ma non dovrebbe. Perchè c'è la crisi che non solo fa scendere la domanda di auto, ma soprattutto cambia i comportamenti.
L'osservazione di Marchionne era sbagliata: pensava che i clienti anticipassero gli acquisti ma non ha considerato, banalmente, che la crisi avrebbe modificare i comportamenti dei clienti, spingendoli a rinviare gli acquisti di beni durevoli. Senza incentivi molti italiani hanno rinviato l'acquisto dell'auto. Non era difficile da immaginare (per questo ero favorevole alla continuazione degli incentivi), ma Marchionne non l'ha capito e oggi si stupisce.

18 ottobre 2011

La Stupidità del Separatismo

Il Regno di Spagna vanta ormai una storia pluri-secolare alle spalle.
Lo si fa spesso iniziare nel 1492, a seguito delle nozze tra Isabella I di Castiglia e di Ferdinando II d'Aragona, che unirono di fatto i due regni maggiori della penisola iberica.
Mancava praticamente solo quello, piccolo, di Navarra che fu annesso nel 1512, (e quello del Portogallo che poi è rimasto indipendente).

Da allora, negli ultimi 500 anni, la Spagna è sempre stata unita. Quella che tutti conosciamo.
In teoria volendo esagerare e mettersi a scavare ancora di più, l'unione ci sarebbe già stata nel medioevo sotto i visigoti prima e gli arabi poi, (gli arabi che fondarono Madrid e che chiamavano la Spagna "Al Andaluz" da cui prende il nome l'attuale regione "Andalusìa"), ed ancora prima gli spagnoli erano uniti sotto i romani (dal cui  termine"Hispania" deriva anche l'attuale "Spagna"). Da questo punto di vista le radici del popolo spagnolo sarebbero ancora più profonde....

Tuttavia si sono sviluppate nel corso della storia alcune differenze linguistiche e culturali in determinate regioni. In particolare si tratta di: Cataluña, Paìs Vasco e Galicia, (ci sarebbe poi anche il valenziano che è una specie di dialetto catalano, che alcuni considerano un'altra lingua ancora).

Ciò fa sì che la Costituzione del '78 (come già aveva fatto quella repubblicana del '31), giustamente riconosca e tuteli tali minoranze linguistiche e culturali cresciute in seno al popolo spagnolo, oltre a concedere una  maggior autonomia amministrativa e legislativa a quelle regioni.
Ma a qualcuno non è bastato.  Infatti, una parte della popolazione di quei territori desidererebbe separarsi dal resto del Paese coltivando fino all'estremo le differenze e riducendo le similitudini con esso.
Altri invece accettano almeno in apparenza l'unità spagnola ma pretendono continue concessioni speciali ai propri territori sfociando talvolta nell'assurdo.

Pretesa difficile da accettare per i governi di Madrid, quella dell'indipendenza, per svariate ragioni, teniamo conto anche del fatto che soprattutto Paìs Vasco e Cataloña, sono da sempre tra le zone più industrializzate della Spagna, (in questo il separatismo del nord-est della penisola iberica somiglia molto a quello padano....).

Per non parlare poi delle difficoltà pratiche di raggiungere un'eventuale secessione: bisognerebbe modificare interi paragrafi della Costituzione molto ben protetti (come l'unità dello Stato, il territorio, le comunità autonome ecc), che prevedono un complicato ed impraticabile procedimento che sarebbe troppo lungo da spiegare. E vari altri motivi.
Molti di quelli che vivono al di fuori di questo Paese pensano che l'indipendentismo sia forte soprattutto nei Paesi Baschi, per via del clamore suscitato da ETA (che fortunatamente sembra stia terminando definitivamente la sua attività), e dalle sue migliaia di vittime innocenti.
In realtà a mio avviso è molto più forte quello catalano, alimentato oltretutto anche dall'eterna rivalità fra Real Madrid e Barcellona che da sempre ogni anno si contendono il titolo.

Prendiamo un piccolo esempio a caso, (in realtà ce ne sarebbero un'infinità), una cosa di cui ultimamente si sta parlando molto da queste parti: la modifica alle regole del Senato che un gruppo di socialisti catalani riuscirono tempo fa' a far approvare, che consente ai senatori di esprimersi nella lingua della propria regione, obbligando il Senato ad assumere traduttori che per esempio quest'anno sono costati circa 350'000 €. Soldi spesi per politici che semplicmente si rifiutano di parlare in spagnolo.
La notizia è vecchia, ma la scrivo ora perchè mi è venuta in mente grazie ad una campagna che sta venendo fuori ultimamente per abolire questo spreco.

Questi sono i motivi per cui parlo di "stupidità del secessionismo" non del fatto in se' che ci sia chi si vuol separare, cosa che non mi piace in Spagna ed ancora meno in Italia, ma che è comunque un'opinione ed è legittima, ma di queste pretese dettate da un ultra-nazionalismo sciocco.

C'è chi dice che si è passati da una dittatura franchista nella quale le minoranze linguistche venivano oppresse, ad una opposta nella quale esse si impongono sulla lingua nazionale.
Certe volte mi viene da pensare che non abbiano tutti i torti.

17 ottobre 2011

Draghi, Obama e gli indignati


Sabato gli indignati di tutto il mondo hanno manifestato contro la crisi, incassando la solidarietà di Mario Draghi, Barack Obama, che, ricordando Martin Luther King, ha detto che se fosse vivo avrebbe manifestato, George Soros e Ben Bernanke.

All'apparenza qualcosa non torna, perché molti manifestavano contro le banche centrali e il potere politico che impone sacrifici.

In realtà una logica c'è, almeno per Draghi, Bernanke e Obama. Sanno che lo scontro a cui si assiste in questi anni è tra chi vuole le regole e chi non le vuole, tra chi vuole la finanza libera di muoversi senza vincoli e chi vorrebbe porre dei limiti, tra chi pensa che il mercato funzioni in modo perfetto e chi invece pensa che il mercato libero e selvaggio produca squlibri.

Dunque Draghi, Obama, Bernanke si schierano dalla parte della protesta perchè sanno che per ora prevale chi vuole un mondo selvaggio e senza regole e vorrebbero cambiarlo. Vorrebbero che chi protesta usasse le sue energie per proporre un mondo migliore, capiscono che il rischio è che i banchieri di Wall Street, che beneficiano di un mondo senza regole, si rafforzino grazie alle divisioni altrui.

La controprova di tutto ciò l'hanno offerta in Italia alcuni esponenti del Pdl e, negli USA, i Repubblicani. Nei dibattiti politici, i Repubblicani hanno attaccato Ben Bernanke, mentre da noi Cicchitto, in rappresentanza del potere che non vuole regole, ha criticato Draghi al pari di Sacconi, da sempre impegnato nel tentativo di demonizzare gli avversari e dividere i sindacati sventolando la bandiera delle violenze in piazza degli anni '70.

Dunque Draghi, Bernanke, Obama e altri hanno buone ragioni per dare una pacca sulla spalla al movimento degli indignati. Sperando che il 99% dei manifestanti lo capisca e non cada nella trappola delle proteste fini a se stesse o, peggio, strumentalizzate dai loro veri oppositori.

16 ottobre 2011

La credibilità di Tamburro


Tra i signoraggisti che diffondono teorie improbabili c'è Salvatore Tamburro che sul signoraggio ha scritto una tesi e scrive libri sull'argomento.

In questo video (vedi qui) riesce a dare il meglio (o il peggio?) di sè.

Nei minuti iniziali del video dice che la Banca d'Italia si spaccia per istituto di diritto pubblico e poi che solo dal 2005-6 si scopre chi sono i reali partecipanti al capitale della Banca d'Italia.

Balle, come sappiamo. E come sa o dovrebbe sapere pure lui.
Basta infatti cercare la tesi di Tamburro per scoprire che la tesi inizia, dopo la premessa, con l'affermazione che la Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico.

Concetto espresso a pagina 10, ricordando l'articolo 1 dello Statuto della Banca. Ripetuto a pagina 11 dove la Banca è definita istituto, e ribadito a pagina 14 dove si legge: "Queste disposizioni legislative confermarono l'autonomia della Banca d'Italia, alla quale, per la prima volta, fu esplicitamente riconosciuta la qualifica di "Istituto di Diritto Pubblico".

Frase che non lascia dubbi: la banca è autonoma ed è un istituto di diritto pubblico. Anzi forse già prima lo era, ma non formalmente.
Perchè dire il contrario nel video su youtube?

Se poi si scorre la tesi, si scopre che uno dei primissimi testi citati è il doppio volume di De Mattia Storia del capitale della Banca d'Italia e degli istituti predecessori. Lo stesso libro che ho consultato io per scrivere un piccolo pdf sul Capitale della Banca d'Italia (vedi qui).

Il libro è del 1977 e contiene molte informazioni sui partecipanti al capitale della Banca. Come si può affermare che solo nel 2005-6 si è saputo chi fossero i partecipanti al capitale?

15 ottobre 2011

La favola pensionistica


Quando ho letto questo articolo all'inizio non ci credevo, poi mi è venuto da ridere, alla fine mi sono veramente alterato per la presa per il sedere che sottende.

Sostanzialmente il concetto è che lavorando fino 70 anni e versando oltre 35 anni di contributi la pensione sarà più alta.

Ma guarda! E chi lo avrebbe mai detto?

Cioè, se vado in pensione più tardi il mio montante contributivo verrà diviso per un numero minore di anni e quindi la pensione sarà mediamente più alta.
Facciamo un esempio pratico del sistema contributivo.
Se inizio a lavorare a 30 anni e lavoro per 35 anni, vado in pensione a 65 anni. Siccome la vita media è 80 anni starò in pensione per 15 anni. Quindi tutto quello che ho versato, il montante, viene diviso per 180 mesi e versato come rendita (pensione).
Viceversa, se inizio a lavorare a 30 anni e vado in pensione a 70, avrò 40 anni di contributi e starò in pensione (mediamente) per 10 anni, quindi è ovvio che la mia pensione sarà più alta: il montante sarà diviso per 120 mesi, non per 180!

Allora perchè non andiamo in pensione a 79 anni? La nostra pensione sarà stratosferica! Altro che il 70% dell'ultimo stipendio, avremo il 300 o il 400%!

Chi oggi lavora, specialmente gli autonomi e i precari, entrano nel mondo del lavoro a oltre 30 anni e non lavorano di continuo, quindi difficilmente a 65 anni arriveranno a 35 anni di contributi. Quindi la prospettiva è di andare in pensione anche oltre i 70 anni e con 35 (non 40) anni di contributi, con una pensione da fame.
Come ho già scritto in altri articoli, la pensione con il contributivo, è data dalla somma dei versamenti effettuati in età lavorativa rivalutati, divisi per la speranza di vita residua al momento della pensione.

Quindi non ci facciamo illusioni su quello che scrive l'INPS.

Chiudo con una precisazione su quello che circola ultimamente sul web. Circola infatti la voce che le pensioni siano pagate da precari e immigrati e che queste siano le sole gestioni attive.

Beh, è una balla colossale.

Intanto precisiamo che l'INPS non è in pareggio. Cioè lo è come può esserlo un ente pubblico: è in pareggio perchè lo stato contribuisce con circa un terzo. In altre parole le entrate dell'INPS coprono circa i 2/3 delle uscite.
Poi le gestioni dei precari (la gestione separata) e di artigiani e commercianti extracomunitari sono effettivamente in attivo, ma solo perchè sono state attivate da pochi anni e ancora non erogano prestazioni!
In pratica incassano solo e non erogano quasi niente. Ma questo è destinato a cambiare radicalmente nei prossimi 20 anni!

Prossimamente tornerò sulle questioni previdenziali chiarendo la contribuzione e i montanti.

14 ottobre 2011

Sprechi Militari: Un Buon Esempio Dalla Spagna

Il Ministro della Difesa spagnolo Constantino Méndez a seguito dei risultati pubblicati da alcune commissioni parlamentari ha annunciato chiaramente che la situazione è insostenibile, dato che le Forze Armate spagnole si sono rifornite di armamenti e tecnologie militari ultra-avanzati  e costosissimi senza nessuna reale utilità pratica.
Una spesa che il ministero non può permettersi.
Per tanto il settore della Difesa verrà duramente tagliato. Si parla di recuperare circa 5,2 miliardi di € in breve tempo.
Tagli che si otterrano in gran parte con la soppressione di alcuni programmi di armamento e con la riduzione di altri.
Inoltre, il debito è stato dilatato fino al 2030 invece che al 2025 come era previsto.
Interessanti anche le responsabilità politiche: l'85% di questo debito del Ministero della Difesa fu accumulato durante i governi del PP.

Maggiori informazioni, in spagnolo, sono reperibili qui

A quando una seria riflessione anche in Italia riguardo la questione degli sprechi dell'esercito?


Nella foto il Re spagnolo con la divisa di Generale passa in rassegna le truppe prima di una parata militare

13 ottobre 2011

Gli azionisti di Intesa San Paolo


In rete circola la favola che dice Bankitalia è una società per azioni perché i suoi soci sono privati. Se i soci sono privati allora anche la Banca d'Italia è privata.
L'analogia è, anzitutto, priva di senso. Sarebbe come dire che se tre società a responsabilità limitata posseggono il capitale di una società per azioni, questa diventa una società a responsabilità limitata e perde lo status di società per azioni. Se i soci sono privati, ciò non modifica lo status di istituto di diritto pubblico sancito dalla legge e ribadito dalla Cassazione.

Poi chiediamoci: ma i soci sono privati?

Intesa San Paolo è uno dei due grandi possessori di quote di Bankitalia. La banca guidata da Corrado Passera in realtà è in gran parte controllata da soggetti pubblici. Basta fare una piccola ricerca per scoprire (vedi qui) che i principali azionisti sono le fondazioni bancarie, soggetti pubblici i cui vertici sono nominati dagli enti locali e da associazioni di categoria in rappresentanza del territorio in cui opera la fondazione.

Detto in parole semplici sono i sindaci, i presidenti di provincia e regione, la camera di commercio e altre istituzioni pubbliche a nominare i vertici delle fondazioni bancarie. E queste giocano un ruolo determinante nella scelta dei vertici aziendali e nella gestione degli equilibri tra soci.
Nel caso di Intesa San Paolo, il primo azionista è la Compagnia di San Paolo, vale a dire la fondazione che controllava l'Istituto Bancario San Paolo, confluito nel gruppo proprio come Cariplo, la cui fondazione è il secondo azionista, è confluita in Banca Intesa priva della fusione con l'istituto torinese.

E chi ha scelto Giovanni Bazoli, presidente del gruppo Intesa San Paolo?

La scelta risale agli anni '80. Dopo il fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, si costituì il Nuovo Banco Ambrosiano. A capo della banca l'allora ministro democristiano Beniamino Andreatta volle Bazoli.

Dunque Intesa San Paolo è e resta una società per azioni benchè i suoi azionisti siano soggetti controllati da soggetti pubblici.

Se si applicasse la regola bizzarra secondo la quale una società diventa privata se sono privati i suoi azionisti, allora dovremmo considerare Intesa San Paolo una banca pubblica e di conseguenza dovremmo dire che la Banca d'Italia non è privata ma pubblica.

11 ottobre 2011

La situazione è seria, anzi gravissima


Negli ultimi giorni sta succedendo qualcosa di molto grave, che meriterebbe molta più attenzione di quella che ottiene nei mass-media. Si sta per liquidare exia, una banca franco-belga-lussemburghese sull'orlo del fallimento.

S'è scoperto di recente che la banca ha comprato titoli greci e derivati investendo decine di miliardi, che il valore di tali titoli s'è fortemente ridotto negli ultimi mesi e che Dexia s'è dimenticata di svalutarli.

Se una banca compra un titolo che dà diritto, a fronte dell'esborso di 100 euro, di incassare 100 euro più gli interessi, e il titolo è scambiato a 95 deve svalutare il titolo, contabilizzando una perdita pari alla differenza tra il prezzo pagato (100) e il valore di mercato (95).

Le banche svalutano poco per volta i titoli che perdono valore oppure cedono il titolo, riportando una perdita.

Dexia invece s'è comportata come se i titoli valessero il prezzo pagato al momento dell'acquisto. Ha finto di vivere in un mondo senza crisi, s'è comportata come se il possesso di titoli greci o di derivati non comportasse alcuna perdita.

In questo modo Dexia ha superato senza problemi gli stress test, vale a dire le verifiche destinate a accertare la solvibilità delle banche. E questo è impressionante, perché si sono invocati gli stress test come strumento capace di discriminare le banche solide da quelle che richiedono un aumento di capitale.

Le banche che non hanno superato lo stress test hanno ricapitalizzato. Non è detto che serva o che sia così importante, ma almeno l'hanno fatto.

Dexia è stata ricapitalizzata qualche anno fa e ha superato lo stress test perchè i conti erano inattendibili.

Appena Dexia è entrata nel mirino dei mercati che, compreso il problema, hanno iniziato a cedere le azioni della banca, anche i correntisti hanno fatto la loro parte, ritirando in pochi giorni 300 milioni di risparmi dai conti correnti. La BCE è stata costretta a intervenire, annunciando di aver erogato 500 milioni...A chi? La BCE non l'ha detto, ma tutti hanno capito.

Insomma la situazione delle banche, complice il disastro della Grecia a opera soprattutto della cancelleria tedesca, è tutt'altro che semplice. Trichet lancia l'allarme (vedi qui) e parla di una crisi sistemica, che equivale a un allarme incendio in una raffineria piena di prodotti infiammabili.

Le banche americane hanno capito che le banche europee sono piene di titoli di paesi in difficoltà e non prestano più soldi alle banche europee o lo fanno a prezzi crescenti. C'è il rischio che questo metta in crisi alcune banche e che la crisi si estenda prima alle altre banche e poi all'economia.

Ci sono altre banche con conti inattendibili? Serve davvero ricapitalizzarle? C'è il rischio che la situazione di qualche banca sfugga di mano provocando un altro effetto Lehman Brothers?

10 ottobre 2011

Nobel a Sims e Sargent


Il Nobel per l'economia è stato assegnato a due americani, Christopher Sims e a Thomas Sargent, entrambi esperti in macroeconomia.

Quali sono i loro meriti?

Thomas Sargent «ha mostrato come la macroeconometria strutturale possa essere utilizzata per analizzare i cambiamenti permanenti nella politica economica» dice l'Accademia di Svezia, mentre Christopher Sims ha invece sviluppato un metodo che analizza come l'economia venga influenzata da mutamenti temporanei sulle politiche e in altri fattori, metodo utilizzato per analizzare gli impatti delle variazioni dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. In particolare Sims s'è distinto per aver posto a verifica le proprie teorie con strumenti econometrici sofisticati.

L'Accademia di Svezia sembra ancora una volta voler premiare studiosi le cui teorie sono utili per capire la crisi economica e per trovare soluzioni. Negli anni passati s'è premiato chi spiegava le imperfezioni del mercato, quest'anno chi studia le complesse relazioni tra variabili economiche.

Con buona pace di chi crede sia tutto molto elementare e che basterebbe cambiare qualcosa nella gestione delle moneta per risolvere ogni guaio.

09 ottobre 2011

La lettera scarlatta


Di recente il Corriere della Sera ha pubblicato il testo della temutissima lettera segreta scritta dal governatore uscente e da quello entrante della BCE, al nostro governicchio. Si parlò di commissariamento, una procedura che negli USA avviene per gli stati federati senza gli shock che di norma seguono ad un default o ad una situazione che sembri sfociare in quello. Ma là hanno altre norme, per cui esulerei troppo.
Il contenuto dovrebbe essere sembrato, almeno per i signoraggisti, in alcune parti, una bufala frutto del complotto demoplutobancario.
Analizziamola bene, tenendo a mente una cosa: Berlusconi finché ha potuto ha utilizzato la scusa della lettera scarlatta, quale scaricabarile per fare riforme (non sempre all'altezza della situazione, né delle richieste) che lui non avrebbe mai abbozzato vista la sua debolezza via via più evidente, sul piano della credibilità finanziaria. Ha spacciato per ineluttabili alcune riforme, tra cui la libertà di licenziamento, i cui effetti perversi sono oggetto di preoccupazione perfino della Confindustria, che si è affrettata a dichiarare che non si avvarrà di quella disposizione.
Posto che alcune delle proposte rappresentano effettivamente ingerenze, dettate dalla consapevolezza, un po' stizzita, che dai disastri che sta compiendo uno solo, rischia di saltare tutta la baracca, non voglio gettare il bimbo con l'acqua sporca.
In particolare, mi riferisco alla proposta di modifica del mercato del lavoro, in cui si dice

"c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi."

Questo punto, pensando ai signoraggisti, mi ha provocato una risata di gran gusto. Quello che invece non mi ha fatto ridere è la casuale mancanza di questo nel DL, poi convertito, a sottolineare che non si è trattato per nulla di un diktat, quanto più di una stizzita ammonizione verso lo stato che potrebbe far saltare la casa europea da solo, più di un'invasione dell'armata russa...
Altra parte importante è la seguente

"Le sfide principali sono l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro."

Niente di golpista direi... Per la serie la BCE strozza le imprese, perchè le tasse servono per ripagare un debito inestinguibile, allora perché perfino lui evidenzia come sia necessaria una revisione dei "sistemi regolatori e fiscali", in modo da renderli più adatti alla competitività delle imprese? Forse perché non è proprio quell'alieno avulso dal contesto che qualcuno pensa.

Tra le leggerezze che sono da prendere con le pinze, e che andrebbero tenute lì giusto come proposte generali, ci sono:

Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.

Che suona molto male ed è forse la formulazione più stizzita che sia contenuta nella lettera. Usano questi termini pesanti perché son consci di chi hanno davanti, ovvero un uomo ed un governo poco credibili.

Andrebbero messi sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.

Questo è uno di quelli che invece suona un po' come lesivo. Che vadano applicate riforme alla fiscalità generale, tenendo conto di quella regionale, è già stato detto. Però ribadirlo così, anche per la strutturazione amministrativa interna, offre punti di appoggio a chi parla di diktat.

Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l'uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione). C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.

Qui erano partiti bene, nel chiedere una PA più efficiente, un processo di feedback per l'erogazione di servizi, indicatori di performance (ci è arrivato anche Brunetta, anche se è più corretto dire che ci pensò già prima Bassanini) in pratica nulla di nuovo sotto al sole. Quel che appare anche qui lesivo, ad un occhio poco attento, è la parte sulla soppressione/fusione di certi enti. Sono ancora convinto che sia a Draghi sia a Trichet non importi molto delle province e dei piccoli Comuni. Quello che però possono stimare di per certo è che storicamente l'Italia, da Napoleone in avanti, ha avuto un massimo di una novantina di province e che solo nel trentennio 1974-2004 ha visto un bum (il trend di incremento è disponibile qui). Quando si parla di province e di autonomie locali, una via d'imperio non ha mai dimostrato efficienza o i risultati attesi. Possiamo benissimo confrontare che, storicamente, la numerosità delle province italiane si attestasse attorno a 95. Oggi ne abbiamo 109 (la Regione Valle d'Aosta viene conteggiata statisticamente come provincia, ma non esiste una provincia della Valle d'Aosta). Ce ne sono 14 in più, non si scappa molto da questo. Ecco perché anche questo contenuto va letto come manifestazione di una preoccupazione, per cui è sì forte, ma va letto sempre nei riguardi del contesto. Non ci sta dicendo, come qualcuno ha già iniziato a dire: passate le province alle Regioni che così risolvete i problemi (cosa che è da vedere... se passerà questa impostazione potrebbero davvero nascere le province che han chiesto esponenti leghisti con ben meno di 150.000 abitanti... vedi Vallecamonica).

In definitiva, direi che la lettera è un'autentica vergogna per il nostro paese... un po' come una nota in classe era una vergogna da far firmare ai genitori. Ci è stato detto cosa fare, perchè chi mandiamo al governo non è capace di provvedervi da solo.

Un ammonimento a far meglio, al più presto... pena la bocciatura, in tutti i sensi.

08 ottobre 2011

Il Nobel per l'economia lo paga...indovinate un pò


Chi paga il Nobel per l'economia che si assegnerà lunedì?

Alfred Nobel è diventato molto ricco grazie all'invenzione della dinamite, nell'ottocento. E' morto a Sanremo nel 1895 e ha istituito il premio che porta il suo nome. Nel suo testamento ha deciso che "il capitale, dai miei esecutori testamentari impiegato in sicuri investimenti, dovrà costituire un fondo i cui interessi si distribuiranno annualmente in forma di premio a coloro che, durante l'anno precedente, più abbiano contribuito al benessere dell'umanità".

Dal 1901 gli interessi si dividono in cinque parti e finiscono ai premiati in fisica, chimica, medicina, letteratura e pace.

Non c'è l'economia che non risponde ai criteri indicati da Nobel, perché non si può dire che una teoria economica per quanto interessante contribuisca al benessere dell'umanità. Il premio per l'economia è assegnato solo dal 1969, deciso e pagato dalla Banca di Svezia.

Dunque è il signoraggio, cioè l'introito principale di una banca centrale, a riempire le tasche del vincitore. E pensare che c'è chi avrebbe voluto far vincere un anziano ex professore per le sue strambe idee anti-banche centrali sul signoraggio....

PS Ecco un paio di nomi di persone che potrebbero vincere il premio 2011: Robert Shiller, Anne Krueger, Robert Barro.

07 ottobre 2011

Steve Jobs


Purtroppo la notizia temuta è arrivata. Steve Jobs è morto.

Non mancano i giudizi, le storie e gli aneddoti su Jobs che avrà avuto pregi e difetti come tanti leader di aziende famose americane, ma in una qualità superava tutti: ha capito cosa vuole chi compra un computer. Ha cioè capito che chi offre un prodotto o un servizio non deve costruire qualcosa per se stesso, ma per il cliente.

Ha capito che il prodotto dev'essere semplice, non deve avere istruzioni complicate, non deve sembrare destinato a un pubblico di esperti, non deve chiedere all'acquirente di ragionare come un ingegnere che sa tutto di computer, ma, al contrario, si deve immaginare che il cliente non sappia nulla, ragioni in modo semplice, voglia usare comodamente ciò che compra.

Mentre gli altri pensavano a costruire un'azienda solida, lui da Apple s'è fatto cacciare. Mentre gli altri puntavano a computer destinati alle scrivanie degli ufficili, Steve Jobs ha immaginato che i suoi computer entrassero in casa, occupassero il tempo libero e quindi fossero belli, semplici da usare, ricchi di contenuti per il tempo libero oltre che per il lavoro e lo studio.

Questa era la grandezza di Jobs, la ragione per cui il suo nome sarà per sempre associato al computer e per cui vale la pena ricordarlo. Sperando che altri imparino da lui e ci regalino prodotti fatti con la stessa mentalità, quella di chi compra e non quella di chi produce.

05 ottobre 2011

Marchionne e Marcegaglia


Dal 2012 il gruppo Fiat uscirà da Confindustria. Una decisione clamorosa, per il ruolo storicamente svolto in Confindustria dall'azienda torinese e dai suoi massimi rappresentanti.

La decisione non è stata presa bene dalla borsa, che ha bocciato i titoli della galassia Fiat, e da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, già alle prese con una dura polemica con il governo, accusato dagli industriali di non fare abbastanza per superare la crisi economica.
Chi ha ragione? Forse tutti e due.

Marchionne deve gestire una trasformazione epocale di Fiat. Ha preso in prestito molti miliardi di dollari per pagare Chrysler e deve, a mio avviso, garantire alle banche che restituirà i soldi. Per questo ha bisogno di tenere a bada i sindacati, la CGIL in particolare, e deve limitare quella parte dei diritti dei lavoratori che può danneggiare il gruppo automobilistico.

Negli USA gli accordi limitano il diritto di sciopero di Chrysler e cose analoghe vorrebbe fare in Italia, trovando però l'opposizione del sindacato che considera taluni diritti indisponibili.

Inoltre Marchionne è da tempo convinto che Confindustria fornisce agli associati servizi che un grande gruppo si procura da sè e da sempre gli imprenditori medio-piccoli hanno obiettivi, strategie, esigenze diverse da quelli delle grandi imprese.

Così se ne va, e dice che Emma Marcegaglia fa politica, visto l'accordo con i sindacati per ridurre gli effetti dell'articolo 8, introdotto dal governo proprio a favore della Fiat.

Emma Marcegaglia sa quanto sia pericolosa la scelta del governo. Il lavoro più flessibile non garantisce alle aziende di operare meglio, mentre è certo che rende più ostile il lavoratore. Che è anche un consumatore: se il lavoro diventa più incerto anche i consumi ne risentono, e questo non può che aggravare la crisi.

Così mentre Sergio Marchionne vuole contratti aziendali per imporre le proprie regole ai dipendenti Fiat, temendo altrimenti di perdere l'appoggio delle banche o di pagare un prezzo maggiore per finanziarsi, Emma Marcegaglia firma un accordo con i sindacati per ridurre al minimo gli effetti dell'articolo 8 e garantire alle imprese dipendenti meno nervosi.

Dunque hanno ragione entrambi. Marchionne ha esigenze, obiettivi e interlocutori diversi da quelli di un imprenditore medio-piccolo che tratta il dipendente come uno di famiglia e pensa, come Della Valle, che è meglio non aggiungere altra incertezza con norme che aumentano la flessibilità. Marchionne pensa ai mercati mondiali, marginalmente influenzati dalle scelte politiche italiane, che invece contano molto per chi vende e produce principalmente in Italia.

Si capiscono dunque le posizioni di entrambi, anche se non mancano gli errori: da una parte dichiarazioni non proprio felici dell'a.d. di Fiat,dall'altra molti piccoli imprenditori che oggi fischiano il governo che poco tempo fa lodavano.
Può, in queste circostanze, sopravvivere Confindustria annoverando tra i propri iscritti la grande multinazionale e la piccola industria con pochi dipendenti?

No, a meno di ripartire da un nuovo accordo tra imprenditori e sindacati che ridisegni le regole, mettendo insieme esigenze diverse, e sia flessibile quanto basta per adattarsi a contesti differenti.

Accordo difficile da raggiungere con un governo che soffia sul fuoco, vuol colpire da sempre i sindacati e oggi si schiera opportunisticamente con Marchionne e contro Emma Marcegaglia, colpevole di non cercare lo scontro a tutti i costi con i sindacati.

04 ottobre 2011

Le tasse di Papi

Le tasse di Papi, si potrebbe chiamarle.

Papi sappiamo chi è. E' quel signore maturo che pensa prevalentemente a .... vabbè lasciamo perdere, e a tempo perso, come dice lui, fa pure il capo del Governo Italiano.

Non se ne va e ci costa. Perchè la credibilità del governo che presiede è ai minimi termini. Così salgono gli spread e gli italiani pagano due volte.

Come privati pagano tassi più alti, come ha scritto William (vedi qui) e sotto forma di tagli e imposte, inevitabili se si vogliono mettere a posto i conti pubblici.

Non finisce qui. C'è anche un'altra Papi tax: i mancati introiti della vendita delle frequenze tv.

Le frequenze telefoniche vendute nei giorni scorsi hanno portato nelle casse del governo quasi 4 miliardi. E altri 3 potrebbero entrare in cassa se si vendessero le frequenze tv. Che invece non si vendono. Le tv di Papi hanno altri interessi e quindi le frequenze non si vendono. Si regalano e si perdono quasi 3 miliardi di incassi.

E' un orrore economico già visto tante volte. Nell'estate 1994 tutti chiedevano a Berlusconi di fare la finanziaria nel più breve tempo possibile. Lui ignorò le richieste e l'Italia pagò il conto con la svalutazione e il calo pesante della borsa. 60.000 miliardi bruciati in poche settimane da un governo che non voleva scontentare nessuno e aveva problemi con gli alleati.

Poi s'è fatto un bel pò di leggi ad personam anche per pagare meno imposte a cominciare dalla quotazione di Mediaset, che ha goduto di agevolazioni fiscali grazie a una interpretazione delle legge fornita dal proprio governo.

Infine, prima delle Papi taxes di quest'anno, di cui si è parlato all'inizio, ci sono infiniti provvedimenti per comprarsi gli elettori. Di alcuni non si sa più nulla. Qualcuno ricorda i 500 milioni che nel 2002 sono finiti nella Sicilia colpita dalla siccità?

03 ottobre 2011

Se l'euro salva l'operaio Fiat

Pare che Fiat abbia deciso di costruire il SUV con marchio Jeep a Torino. Una scelta sensata, molto più che costruire una minicar che le altre case automobilistiche fanno assemblare dalle loro fabbriche nell'est europeo, dove il lavoro costa poco.

Un SUV a Mirafiori dovrebbe fornire una boccata d'ossigeno agli operai della Fiat che da anni passano più tempo in cassa integrazione che alla catena di montaggio. Chi devono ringraziare? A mio avviso l'euro o meglio la crisi greca che indebolisce e forse indebolirà l'euro.

I dubbi sul SUV a Mirafiori arrivavano proprio dall'euro. Se la moneta europea sale diventa meno conveniente produrre in Europa e vendere negli USA, e si preferisce produrre direttamente negli USA. Di qui l'ipotesi di far rinunciare al SUV.
Perchè Marchionne invece conferma la scelta di produrre il SUV in Italia?

Le ragioni possono essere tante e una di queste è legata all'euro. La crisi in Europa si sta affrontando a colpi di euro. La BCE interviene creando moneta e questo suggerisce che l'euro sarà debole negli anni a venire, rendendo convenienti le produzioni europee e salvando i posti di lavoro degli operai italiani.

02 ottobre 2011

Un futuro per l'unione europea


Si, sono d'accordo con ciò che dice qui Soros.
Soros propone sostanzialmente un governo politico dell'economia in Europa, senza il quale l'Euro è destinato a fallire, sia per le debolezze intrinseche di alcuni paesi quali Italia, Spagna e Grecia, sia a causa dell'egoismo o della miopia di altri, quali la Germania.

Soros propone oltre a un ministero dell'economia europeo, anche un commissariamento europeo delle banche in difficoltà e la possibilità di finanziarsi a basso costo dei paesi ultra indebitati.

Io, anche se le difficoltà sono enormi, così come i tempi, concordo nel merito.

Anzi, rilancio:

1. Ministero economico europeo con armonizzazione delle politiche fiscali e chiusura definitiva dei rapporti dei paesi "paradisi fiscali". Tipo Montecarlo o le isole Cayman. Inoltre politiche fiscali come quelle irlandesi non andrebbero più tollerate.

2. Banche in difficoltà commissariate. Ricordiamoci che la politica francese e tedesca oggi nei confronti della Grecia dipende MOLTO dalle proprie banche. Le banche tedesche e francesi sono fortemente esposte verso la Grecia. Se fallisce la Grecia le banche che hanno titoli falliscono e i rispettivi governi dovranno o nazionalizzarle o prestargli soldi per non farle fallire. In ogni caso usare soldi pubblici. Quindi questo problema andrebbe affrontato a livello europeo, armonizzando i controlli a livello continentale e finalmente dividendo l'attività di trader delle banche da quella di investimento.

3. Finanziamento a basso costo dei paesi in difficoltà. Se lo spread sui nostri titoli di stato aumenta troppo, non saremo più in grado di ripagare il nostro debito. E qui implicitamente ritornano gli Eurobond. Questi sarebbero garantiti da tutta l'eurozona e in special modo dai paesi finanziariamente più solidi. Quindi il tasso di emissione sarebbe molto basso, di poco superiore al TUS. Non dimentichiamo che a quel punto dietro l'emissione di Eurobond starebbero tutta l'UE e la BCE. Questo permetterebbe a Italia e Grecia di finanziarsi a basso costo facilitando le politiche di rientro del debito.

In definitiva le alternative sono: una maggiore integrazione europea, nel rispetto delle differenze, ma anche nel rigoroso rispetto delle regole - falsificare il bilancio come la Gecia non è ammissibile - oppure prima o poi la disgregazione dell'UE e la caduta dell'Euro.

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