30 giugno 2010
Buone notizie sul fronte della BCE
Sta succedendo la stessa cosa, con qualche mese di ritardo, anche in Europa, come testimonia il fatto che la BCE ha erogato meno soldi del previsto (ecco la notizia).
Dopo un aumento considerevole della quantità di moneta emessa, per far fronte alle necessità di liquidità da parte delle banche, si assiste a un progressivo calo. Man mano che le banche ricevono soldi dalla clientela, a sua volta più propensa a prestare soldi alle banche se queste dimostrano la propria solidità, diminuisce l'esigenza di ricorrere alla banca centrale, prestatore di ultima istanza.
Non aspettatevi però roghi di banconote, con Trichet che imita il pirotecnico ministro Calderoli: la liquidità si crea e si distrugge con accrediti e addebiti bancari, non stampando montagne di banconote.
Tutto bene dunque? Crisi finita?
No, i problemi strutturali restano e sarà necessario molto tempo per risolverli. Lo dimostra la notizia di ieri: la fiducia del consumatore americano è in caduta libera.
Le banche non minacciano più di fallire, ma questo non significa fine della crisi. Vuol solo dire che il paziente, malato e debilitato, non rischia la febbre a 40. Ma resta in prognosi riservata.
27 giugno 2010
Debiti e intercettazioni

Si riapre il caso intercettazioni-Telecom. Una svolta che chiama in causa Marco Tronchetti Provera, numero uno di Pirelli e, per qualche anno, anche di Telecom.
I giudici capiscono (finalmente, è il caso di dire) che se Giuliano Tavaroli, capo della sicurezza Telecom, e Emanuele Cipriani, investigatore privato che lavorava per Telecom, hanno organizzato una rete di spionaggio illegale che ha lavorato e speso moltissimo, non potevano farlo per se stessi. Agivano nell'interesse di qualcuno, ovvero del leader dell'azienda, Tronchetti Provera, verso il quale si indirizzano adesso le indagini.
I magistrati fanno riferimento a motivazioni di vario genere per spiegare perchè avvenissero, le intercettazioni e le indagini illegali su persone di ogni genere, tra i quali c'era -ad esempio- un pensionato "colpevole" di aver minacciato, in una lettera a Tronchetti Provera, di far rumore all'assemblea degli azionisti.
Il pensionato voleva attirare l'attenzione perché la sua linea adsl non funzionava. In pochi giorni Telecom risolse il problema, mentre Tavaroli e altri indagavano su di lui. Si chiesero chi fosse e perchè minacciasse di disturare l'assemblea degli azionisti. Lo pagava qualcuno? Gli spioni di Telecom cercarono di scoprirlo indagando sul conto corrente del pensionato.
Non trovarono nulla, ma qualche anno dopo la storia del pensionato saltò fuori, raccontando uno scenario fatto di paure e illegalità e forse anche di ricatti.
Ma perché qualcuno in Telecom voleva queste informazioni? Cosa temeva?
Una ragione è chiara da anni: Telecom era un'azienda molto indebitata e chi la controllava aveva offerto alle banche le proprie azioni Telecom in garanzia.
C'era però una clausola: se il valore delle azioni fosse sceso al di sotto di un certo prezzo, le banche creditrici avrebbero potuto chiedere alla Pirelli, che controllava Telecom, di pagare la differenza tra il debito e il valore delle azioni.
Di qui il timore, forse il terrore, che qualcuno potesse spingere verso il basso le azioni per indurre Pirelli a vendere Telecom. Per questo anche una lettera di un pensionato era considerata una potenziale minaccia e si doveva indagare: chi era? cosa voleva davvero? forse qualcuno lo pagava?
Quando il valore delle azioni è sceso troppo e la garanzia rischiava di saltare, Tronchetti Provera ha venduto Telecom, come aveva fatto prima di lui, per le stesse ragioni, Roberto Colaninno. Nel frattempo ha condotto una serie di operazioni assai criticabili, sempre nel timore di perdere il controllo della società telefonica. Ma questa è un'altra storia.
25 giugno 2010
La contabilità (errata) del pallone

Prendiamo questo pezzo di articolo dal sito di Tuttosport: La cessione di Tiago... è arrivata alle fase conclusiva: sarebbe già stato trovato l’accordo ..sulla base di 5,5 milioni di euro. Per i bianconeri si tratterebbe di una minusvalenza (avevano pagato il portoghese 13,6 milioni nell’estate 2007)
Il lettore pensa: hanno comprato un giocatore pagandolo 13,6 milioni e lo rivendono per 5,5 milioni: 8,1 milioni di minusvalenza. Accipicchia!
Ma la giornalista dimentica gli ammortamenti. Se il giocatore aveva un contatto di 5 anni (il massimo, in Italia) dopo 3 anni i 3/5 del valore sono ammortizzati.
Quindi il valore residuo del giocatore è pari ai 2/5 del prezzo d'acquisto, ovvero 5,44 milioni. Se lo vendono per 5,5 c'è un piccolo guadagno, non certo una perdita (minusvalenza). Se invece il contratto era di 4 anni
24 giugno 2010
Più tasse per tutti, a destra

Chi pensa sia un bene diminuire le imposte è mosso da interesse (a chi non fa piacere pagare meno?) ma anche dalla convinzione che lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini significa lasciarli più liberi di scegliere quali servizi acquistare e a quale prezzo. Il mercato e la libera scelta, si suppone, fanno meglio dello Stato che costringe in ogni caso ad acquistare, attraverso le imposte, servizi non graditi.
Il taglio delle imposte è diventata per qualcuno (1) la panacea di tutti i mali, invocata quando l'economia rallenta e anche quando l'afta epizooitica colpisce gli allevamenti o quando è chiamato a dare un giudizio sui palinsesti televisivi.
I tagli in realtà hanno favorito soprattutto i più ricchi e, negli USA, hanno trasformato i surplus di bilancio lasciato nel 2000 da Clinton in pesanti deficit durante l'amministrazione Bush.
Al contrario l'aumento delle imposte voluto da Clinton non ha causato alcuna diminuzione delle entrate fiscali, come sostenuto a suo tempo dagli economisti conservatori, secondo i quali ne sarebbe derivato un rallentamento dell'economia e quindi un calo delle entrate fiscali, ma anzi ha consentito un surplus stimato in oltre 400 miliardi di dollari.
Così di fronte a deficit di bilancio eccessivi i paesi europei imboccano la strada dell'aumento delle imposte. I governi conservatori si rimangiano 40 anni di politiche anti-tasse e prima o poi fingeranno di non sapere chi fossero Margareth Thatcher o Ronald Reagan.
Eppure è dura a morire l'idea che un aumento delle imposte sia sempre deleterio per l'economia, come dimostra lo stesso articolo del Corriere, che riporta le parole di Arthur Laffer secondo il quale la scadenza dei benefici fiscali per i ricchi avrà l'effetto di far cadere gli USA nella recessione a partire dal 2012.
Laffer, che si riferisce ai tagli fiscali voluti da Bush ormai in scadenza, a causa dei quali il fisco perde diverse centinaia di miliardi di dollari ogni anno, è diventato famoso nei primi anni '80 per una strana curva che porta il suo nome (vedasi l'immagine all'inizio).
La leggenda narra che durante un pranzo con il candidato alla presidenza Ronald Reagan Laffer prese un tovagliolo di carta e disegnò, su assi cartesiani, una curva a campana. Spiegò che la curva mostrava l'andamento delle entrate fiscali al variare dell'aliquota media. Fino a un certo punto le entrate aumentavano proprio come la curva a campagna che sale, disse Laffer per poi diminuire se le aliquote continuano ad aumentare, perchè aliquote troppo alte scoraggiano l'attività economica.
Gli USA secondo lui erano collocati in un punto della parte destra della campana. Una diminuzione delle aliquote perciò avrebbe provocato un aumento delle entrate fiscali.
Reagan non aspettava di meglio: aveva davanti un economista che spiegava che diminuendo le aliquote, il fisco ne avrebbe tratto beneficio. Come dire: mangia di più e dimagrirai. Mise in pratica il suggerimento di Laffer e ... il deficit federale salì a livelli impressionanti. Una chiara prova che le idee di Laffer erano sbagliate. Ma l'ideologia prevalse e Laffer continuò ad avere un credito mai meritato.
Per anni gli economisti hanno cercato una conferma alle teorie di Laffer, scoprendo che non solo la teoria faceva acqua da tutte le parti, ma anche che, se fosse stata vera, non c'era alcuna prova che una diminuzione delle aliquote al tempo di Reagan avrebbe aumentato le entrate fiscali. Non c'era alcuna prova cioé che gli USA erano collocati sulla parte discendente della curva a campana.
Ce n'è abbastanza - e da molto tempo - per dire che Laffer è un economista poco credibile. E invece no: a furia di ripetere il mantra che le imposte è meglio diminuirle, si ripesca Laffer dal dimenticatoio e si ripropongono le sue idee (la previsione di una recessione innescata da troppe imposte) come se non ci fossero le prove che nel recente passato si sono dimostrate prive di fondamento.
Per fortuna la realtà prevale sempre sulla fantasia e sono i governi conservatori a spiegare ai loro elettori che è bene dimenticare il vecchio mantra.
Se ne accorgeranno anche Berlusconi e Tremonti che continuano a ripetere che non vogliono mettere le mani nelle tasche degli italiani, quasi che pagare imposte per avere servizi fosse un furto?
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(1) Si veda P.Krugman, La deriva americana, Laterza, pag. 115 e seguenti
23 giugno 2010
18 giugno 2010
La posta in gioco a Pomigliano
Lo stabilimento di Pomigliano d'Arco appartiene alla Fiat da un ventennio, da quando ha comprato l'Alfa Romeo, celebre casa automobilistica ceduta dall'IRI. A Pomigliano si mescolano inefficienze di ogni tipo, come assenze dal lavoro per i motivi pià svariati, ma anche furti, danneggiamenti volontari delle automobili, scioperi del venerdì o in occasione delle partite di calcio (si veda in proposito questo articolo).
Marchionne già due anni fa ha cercato di mettere le cose a posto, chiudendo lo stabilimento, rinnovando tutto, allontanando i lavoratori problematici e insegnando agli altri a lavorare in modo più efficiente.
Poi la crisi ha colpito la produzione di Alfa Romeo. La produzione è crollata ma Pomigliano, a differenza dello stabilimento di Termini Imerese, ha una sua logica: c'è l'indotto e si producono i componenti necessari ad assemblare un'automobile.
Nel settore auto tutto il sistema produttivo, la filiera come si usa dire oggi, è complesso e costoso. Le aziende automobilistiche cercano di produrre just in time: si eliminano le scorte. Chi produce gli pneumatici lo fa poche ore prima che siano montati sulle automobili.
Se qualcosa si inceppa, tutto il sistema produttivo si blocca, facendo aumentare i costi medi della singola automobile.
Per rendere competitivo lo stabilimento e l'intera filiera produttiva, si deve perciò sfruttare il più possibile gli impianti, portando in Italia la produzione della nuova Panda (in Polonia gli stabilimenti Fiat producono già la 500 e la Ford KA).
Per questo Fiat cerca di spingere i lavoratori ad accettare un accordo che riduce i diritti di sciopero e disincentiva le assenze ingiustificate dal lavoro: occorre che gli impianti non subiscano interruzioni e si usin il più possibile.
Il prezzo da pagare è la compressione di alcuni diritti fondamentali, come il diritto di sciopero. E' un diritto irrinunciabile e quindi è ragionevole che la Fiom rifiuti la proposta della Fiat, sottolineando il rischio di una involuzione nel campo dei diritti e delle regole.
Infatti alla finestra stanno Brunetta e Sacconi che non vedono l'ora di ridurre i diritti di tutti i lavoratori. Diritto del lavoro, stipendi pubblici e la Costituzione catto-comunista sono nel mirino del governo, cui farebbe piacere la sconfitta della Fiom-Cigl.
Come se ne esce?
Cercando di distinguere il diritto dal suo uso furbesco: se un lavoratore sciopera per difendere un diritto o per protestare contro chi fa una politica lesiva dei suoi interessi, fa cosa ben diversa da chi sciopera -guardacaso- in occasione della partita della nazionale di calcio.
Senza queste distinzioni, e la difesa dei diritti usati correttamente, la Fiom rischia un autogol clamoroso, che ricorderebbe la marcia dei quarantamila nell'autunno del 1980. Allora scesero in piazza i lavoratori Fiat che capivano che l'azienda non poteva fare a meno di ristrutturarsi, se voleva continuare a esistere. Il sindacato subì una sconfitta dura dalla quale si riprese dopo molti anni.
Oggi il rischio è lo stesso, aggravato dalla minaccia dei ministri di destra che cercano l'occasione per ridurre i diritti di tutti. La sola via d'uscita è accettare evitando di sostenere, magari involontariamente, i furbetti dello stabilimento di Pomigliano.
16 giugno 2010
Confutazione del pdf? Ma mi faccia il piacere

Qui l'autore torna a ripetere che qualcuno ritiene che la Banca Centrale vende le banconote, mentre come già detto le usa per acquistare titoli.
Infatti l'autore afferma che le banconote sono uno strumento per pagare, quindi la Banca Centrale crea dal nulla uno strumento per pagare con cui paga i titoli del debito.
I titoli di Stato vengono rimborsati alla loro scadenza, quindi anche se qualcuno preferisce dire che la banca "vende" le banconote (piuttosto che dire che "acquista" i titoli), è chiaro che se le fa pagare in un momento successivo.
Quindi l'autore, che non sembra essere un ignorante, quando afferma: "se la banca vendesse le banconote non aumenterebbe la quantità di monetatenta in circolazione", tenta solo di prenderci per i fondelli con dei giochi di parole.
15 giugno 2010
Illusioni da inflazione

Guardate questa banconota (cliccateci sopra per ingrandirla). E' dello Zimbabwe. Sono 25 miliardi di dollari dello Zimbabwe, un paese in cui si sono stampate banconote per pagare le spese statali. Chi l'ha scannerizzata l'ha ricevuta in regalo. Un souvenir quasi senza valore.
L'inflazione in Zimbabwe è talmente alta, perché si stampa moneta, che non riescono neppure a calcolarla. Per chi volesse saperne di più wikipedia riporta la storia recente della moneta del paese africano (vedi qui).
La situazione è così confusa che la banca centrale dello Zimbabwe ogni tanto cancella parecchi zeri dalle banconote, sostituendo le vecchie banconote, con il curioso effetto che qualche funzionario di frontiera troppo solerte, usando evidentemente un vecchio tasso di cambio, ha pensato che tre banconote valessero diversi milioni di euro, come riporta Repubblica.
Ma non basta: non rendendosi conto dell'evidente errore, il funzionario deve aver pensato che le banconote fossero false, come si può dedurre dalla breve nota, che annuncia che si sta verificando l'autenticità della banconota.
Scopriranno che valgono molto poco. Qualche euro, al massimo.
13 giugno 2010
Serve più libertà di impresa? O forse...

Io vorrei far notare che il tema delle liberalizzazioni è uno di quelli su cui l'ideologia la fa da padrona. L'economia in fin dei conti è una disciplina assai "pratica". Si possono elaborare tutte le teorie che vogliamo e possiamo invocarne l'applicazione, ma poi dobbiamo fare i conti con una realtà fatta di imprese, di consumatori, di aspettative, bilanci, scelte vere e concrete.
Quando si ignorano i dati e si sostiene una teoria a prescindere dalla realtà, l'ideologia prende il sopravvento sull'economia.
Appare per questo strano l'atteggiamento del governo che pensa a rendere più facile la creazione di imprese quando le imprese, quelle vere e vive da anni, rischiano di chiudere, devono fare i conti con una domanda che è diminuita anche più del 30% in poco più di un anno, hanno problemi di bilancio, di finanza, ecc.
La domanda è debole e il governo pensa all'offerta di beni e servizi. Un atteggiamento che dice chiaramente che tra l'economia e l'ideologia, Tremonti e Berlusconi preferiscono quest'ultima.
11 giugno 2010
Alla ricerca della crescita perduta

Ma cosa succederà in futuro?
Nelle scorse settimane è arrivata la decisione del governo di tagliare pesantemente la spesa pubblica per riequilibrare i conti pubblici, minacciati da un deficit troppo alto. Il governo ha deciso di colpire la spesa della pubblica amministrazione e di congelare o ridurre gli stipendi.
Ciò, secondo la Banca d'Italia, farà perdere al PIL italiano un 0,5%. Ovvero il PIL italiano non crescerà affatto. Se ne stanno rendendo conto anche i giovani industriali riuniti a Santa Margherita Ligure la cui presidente lamenta il rischio che il PIL non cresca affatto.
I consumi infatti sono fermi, anzi diminuiscono un po' (-0,1%) e gli investimenti diminuiscono dell'1,1%. Se l'economia cresce vuol dire che è trainata dalle esportazioni e dalla spesa pubblica.
Con i tagli del governo consumi e investimenti rischiano di deprimersi ancora di più, e questo nel momento in cui servirebbe un aumento del PIL per ridurre il rapporto debito/PIL.
Se il PIL non sale, è difficile che il rapporto debito/PIL migliori e che si riducano le sofferenze delle imprese o che diminuisca la disoccupazione.
Se la domanda interna non aumenta, ma forse diminuisce, cosa può far salire il PIL?
Restano le esportazioni, ma le prospettive non sono buone. Infatti anche i governi di Francia, Regno Unito e Germania stanno intervenendo per contenere i deficit allo stesso modo. La domanda di questi paesi crescerà di meno e ne risentiranno anche le importazioni dall'Italia, ovvero le nostre esportazioni.
Facile dunque prevedere che il nostro PIL, che deve crescere per far scendere il rapporto debito/PIL, rallenterà. Con un pò di fortuna sarà positivo a fine 2010, ma di poco.
09 giugno 2010
La confusione in Chiesa

No, non sto parlando della Chiesa, anche se Benedetto XVI ce l'ha messa tutta per confondere le idee in tema di finanza. Sto parlando di Giulietto Chiesa che in questo articolo spiega che siamo in mano a una elite di banchieri che piegano il mondo agli interessi del consumatore sovraindebitato americano.
Un articolo poco convincente, che non spiega perchè i mercati sono crollati. Se era interesse di qualcuno far pagare al resto del mondo il debito americano sarebbe stato interesse far funzionare bene le economie: se chi deve pagare se la passa male, si rischia che non paghi.
Un paio di passaggi in particolare dimostrano la debolezza dell'analisi di Chiesa.
Il primo dice che i mercati finanziari sono crollati per conto proprio. Il secondo osserva che Giappone e Argentina sono usciti bene dalla crisi nazionalizzando il debito statale.
Ora, non solo il Giappone deve ringraziare l'elevato risparmio interno che finanzia un debito pubblico elevatissimo, attorno al 200% del PIL. Ma come non ricordare che l'Argentina è fallita, che le conseguenze hanno colpito soprattutto i più poveri, i redditi bassi mentre i vantaggi da sempre in quel paese sono stati esclusiva dei ricchi che hanno contrastato con ogni mezzo, anche dopo il default, i tentativi di far pagare le imposte.
E come non ricordare che l'Argentina ha cercato di superare le contraddizioni economiche proprio con operazioni sulla moneta (la parità peso-dollaro) che, una volta diventate insostenibili, hanno provocato il disastro economico.
Le fughe di capitali hanno innescato la crisi economica iniziata nel 2008, replicando uno scenario già visto in Asia 10 anni prima. I mercati finanziari non sono "crollati in proprio", come spiega Chiesa (brutto modo per dire che non si sa il perchè sia successo), ma perchè chi aveva prestato soldi agli americani, vedendo rischi crescenti ha portato via precipitosamente i capitali, lasciando molte imprese senza la possibilità di finanziarsi
Lo testimonia la tabella che trovate qui. Si elencano decine di banche e imprese che hanno prima ricevuto dallo stato e poi restituito allo stato centinaia di miliardi di dollari. La ragione è semplice: a un certo punto i capitali sono fuggiti. Le imprese, non potendo più finanziarsi sui mercati, si sono rivolti ai governi, salvo restituire i soldi una volta che sono tornati disponibili i capitali sui mercati.
In Europa in questi mesi sta succedendo la stessa cosa. Sono sotto tiro gli stati. La Grecia non trova capitali sui mercati finanziari e deve chiederli agli altri partner europei.
Non occorrono dunque complicate teorie che coinvolgono banche centrali, banche private, elite misteriose e quant'altro per spiegare cosa succede, nè per trovare i colpevoli o esprimere dubbi sui piani per affrontare le crisi.
Basterebbe rispolverare Keynes o la Tobin tax o leggere Stiglitz per capire quali danni può provocare la liberalizzazione del mercato dei capitali e per capire dove trovare le spiegazioni e le soluzioni per quanto sta accadendo.
E neppure occorre tirare in ballo misteriose elite di banchieri per spiegare che da decenni prevale in quasi tutti i paesi occidentali una politica di destra, conservatrice, liberista che ha come fine principale, anche se spesso non lo si dice, la redistribuzione della ricchezza a favore dei più ricchi e a sfavore dei più poveri. Basterebbe leggere L'America in pugno di Susan George, Feltrinelli, per capirlo. Poi, se non basta, si può sempre inventare una nuova teoria, magari meno confusa di quella offerta da Giulietto Chiesa.
05 giugno 2010
Le frottole sul signoraggio 2.3
04 giugno 2010
PIL: l'Italia meglio di altri?
Dati positivi di cui andar fieri? Non proprio.
Le statistiche arrivano da Eurostat e quindi andiamo a cercare la fonte che troviamo qui.
A pagina 3 ci sono le statistiche e notiamo che la pagina è divisa in due. A sinistra la variazione del PIL rispetto al trimestre precedente e quindi la variazione del primo trimestre del 2010 (Q1) rispetto all'ultimo del 2009 (Q4), la variazione del quarto rispetto al terzo (Q3) e così via.
A destra invece la variazione del PIL di un trimestre rispetto allo stesso trimestre di un'anno prima.
Cosa dicono i dati?
Se confrontiamo il primo trimestre 2010 con l'ultimo del 2009, l'Italia fa meglio di Francia e Germani. Noi saliamo dello 0,5%, mentre la Francia dello 0,1% e la Germania dello 0,2%.
Se confrontiamo il primo trimestre 2010 con il primo trimestre 2009, noi italiani possiamo vantare solo un +0,6% contro l'1,2% della Francia e l'1,5% della Germania. Siamo messi peggio, anche se i giornali non paiono essersene accorti.
L'Italia in questo momento cresce più rapidamente, ma nell'ultimo anno Francia e Germania hanno fatto meglio.
Come si spiega tutto ciò?
Guardiamo la colonna di sinistra. La Francia e la Germania fanno registrare solo dati positivi, mentre in Italia il secondo e il quarto trimestre del 2009 sono stati peggiori dei precedenti.
Ciò significa che Germania e Francia, a partire dal secondo trimestre, hanno ripreso a salire senza mai tornare indietro. Segno che la politica economica e le scelte di imprese e sindacati stanno dando buoni risultati. Invece da noi il calo del PIL è terminato più tardi, nel secondo del 2009 (aprile-giugno), e solo nella seconda metà del 2009 è iniziata la ripresa, subito interrottasi nell'ultimo periodo dell'anno.
Insomma è in questo momento andiamo più forte degli altri, ma nell'ultimo anno abbiamo fatto peggio. Sembriamo meno capaci di reagire alle difficoltà e pare più probabile che in futuro la nostra economia possa tornare in recessione. Francia e Germania infatti nel 2009 hanno fatto registrare 3 trimestri positivi su 4 (rispetto al trimestre precedente). Noi solo uno, segno evidente di politiche economiche e di imprese meno capaci di reagire alle difficoltà dei mercato.
Famiglia Cristiana sulla manovra
"Stupisce l'assenza della dimensione familiare. I tagli incideranno in maniera indifferenziata sulle famiglie, quando invece dovrebbero essere commisurati al carico familiare. Ma se mandiamo all'aria la famiglia arriviamo al suicidio demografico".
E' quanto si legge in un editoriale che Famiglia Cristiana dedica alla manovra correttiva del Governo dal "devastante impatto sociale" e intitolato "Una meraviglia di manovra che colpisce le famiglie". Secondo il settimanale cattolico, "l'unico intoccabile tabu' rispettato dal Governo resta l'aumento delle tasse, in un Paese in cui, evasori totali a parte, pochissimi contribuenti denunciano piu' di 100.000 euro di reddito all'anno".
"La vicenda di questa manovra - prosegue l'editoriale - coincide con una campagna giornalistica sul tramonto del welfare state. Le pensioni, l'assistenza sanitaria pubblica, la diffusione dei servizi per l'infanzia e per le invalidita' di ogni genere, le tutele del lavoro fino alla difesa del posto fisso ormai mitico, sono oggi considerate da quella pubblicistica come sprechi da cancellare e tranquillamente accettate dai Governi come non piu' sostenibili, e affidate ideologicamente al mercato. Quello stesso mercato senza regole che ci ha regalato la pesante crisi. Mentre - conclude l'editoriale - e' rimasta solo la Chiesa a parlare di bene comune".Gli sprechi che non si tagliano

Ma cosa stavano facendo questi dipendenti pubblici? Preparavano la celebrazione del 196° anniversario della fondazione dell'Arma dei Carabinieri.
Non il 200°, no, il 196°, che è uguale al 195° e al 194° e al 197°.
Ogni anno si celebra la fondazione dei Carabinieri, della Polizia, della Guardia di Finanza, dei Vigili del Fuoco, delle varie armi delle forze armate e chi più ne ha più ne metta. Non importa se il 181° anniversario è solo routine e non c'è alcun significato particolare. Lo si celebra e basta.
Poi ci sono altre varie parate, come quella del 2 giugno. Un'assurdità, perchè il 2 giugno è il giorno del referendum che ha deciso la fine della monarchia e la trasformazione dell'Italia in una Repubblica.
Come celebrarlo? L'Italia non ha molte vittorie militari di cui andare orgogliosa, e così si fanno marciare migliaia di militari in un giorno che non c'entra con le forze armate.
Con tanto di prove, e gente a cavallo o in auto, con i fucili, gli sci, le jeep, i carri armati e, in cielo, le frecce tricolori, che costano, solo di carburante, una cifra incredibile.
Migliaia di ore di lavoro perse da chi dovrebbe difendere gli italiani da pericoli vari e invece diventa per qualche giorno, senza volerlo, un lavoratore dello spettacolo, impegnato a cantare l'inno o a suonare la tromba correndo.
Sarebbe un bel segnale abolire la celebrazione del 196° anniversario della fondazione dei Carabinieri, e anche dei successivi, saltando al 200°, per poi fissare le celebrazioni ogni 5 o, meglio ancora, 10 o 25 anni.
Se potessimo immaginare i Carabienieri impegnati a correre dietro ai delinquenti e non a fuggire dalla pioggia, i tagli, i sacrifici e le manovre avrebbero un altro sapore. Meno amaro.
02 giugno 2010
Le cretinate di MISTERO, oltre ogni demenza
