26 marzo 2017

Brexit - Auto

Cosa succederà con la Brexit, che per ora non c'è stata e inizierà concretamente tra un paio di anni?

La risposta è che nessuno lo sa, perchè tutto dipende dalle trattative tra la Gran Bretagna e l'Unione Europea su un gran numero di questioni.

Qualche indizio però è offerto dal settore atomobilistico.

In GB si producono automobili e lasciando perdere i casi di auto di nicchia, si tratta di impianti di proprietà di case automobilistiche straniera: ci sono impianti di case giapponesi come Toyota e Nissan, e di marchi britannici proprietà di stranieri come Vauxall di Opel, ora passata ai francesi di Peugeot e Mini, posseduta da BMW.

Il primo problema è dunque che i marchi stranieri potrebbero non avere buoni motivi per mantenere in GB produzioni diventate meno convenienti. Se la produzione dovesse diminuire, gli impianti causerebbero perdite, stimolando le case automobilistiche a trasferire le linee produttive in altri paesi.

Tante ragioni potrebbero spingere BMW o i giapponesi a chiudere gli impianti britannici.

I componenti montati sulle auto arrivano per oltre il 40% dall'estero, quindi potrebbero essere soggetti a dazi da parte della Gran Bretagna uscita dall'Unione Europea. Le auto prodotte in GB invece potrebbero essere soggette a dazi dell'Unione Europea, che importa l'80% circa della produzione di auto britannica.

L'UE potrebbe anche imporre dazi regolamentari, chiedendo che le automobili britanniche soddisfino taluni requisiti per poter circolare in Europa. Ultimo elemento il cambio: cosa accadrà al rapporto euro/sterlina nei prossimi anni? Se la sterlina di svalutasse ulteriormente, i componenti delle auto acquistati all'estero diventerebbero più cari mentre diminuirebbe il prezzo delle auto prodotte in GB, stimolando ancora di più l'UE a porre vincoli contro le importazioni di auto britanniche.

Ma chi può valutare con ragionevole certezza cosa succederà e quali saranno gli effetti sui prezzi delle auto made in GB?

Tutto ciò disegna un insieme di incertezze che peseranno sulle fabbriche di automobili e stanno già mettendo a rischio gli investimenti, tanto che il governo di Teresa May ha promesso a Nissan di compensare con soldi pubblici eventuali perdite derivanti da un investimento in corso e causate dalla Brexit.

19 marzo 2017

Pomigliano, FCA

Quado, nel gennaio del 2014, scrissi questo articolo http://www.econoliberal.it/2014/01/addio-punto.html, mi pareva chiaro che il futuro di Fiat in Italia era quello di costruire "automobili che possono offrire un maggior guadagno, un pò come fanno i produttori tedeschi".

Creare maggior valore era una strada obbligata per far vivere gli stabilimenti italiani, sopportando un costo del lavoro "occidentale" e i costi delle inefficienze del sistema economico italiano.

Però qualcosa non tornava: se Fiat puntava su auto che creano più valore, perchè ha deciso di produrre la Panda a Pomigliano d'Arco?

C'erano ragioni contingenti: la necessità di usare lo stabilimento di Pomigliano e la probabile indisponibilità dello stabilimento polacco di Tychy, impegnato in altre produzioni, tra cui la KA di Ford.


A tre anni di distanza è arrivata la notizia che la produzione della Panda tornerà, tra 2-3 anni, in Polonia. Lo stabilimento di Pomigliano d'Arco produrrà automobili più complesse, seguendo i cambiamenti oramai chiari da anni, che porta nell'est europeo le utilitarie su cui le case automobilistiche guadagnano poco, specie se la concorrenza costringe a abbassare i prezzi.

E' in atto un vero e proprio mutamento genetico di Fiat, diventata FCA. Non c'è stata solo l'acquisizione di Chrysler, cosa che permette la produzione in Italia di Jeep ma anche di Alfa Romeo e Maserati da esportare negli USA.

C'è la scelta di portare in Italia le auto di livello maggiore e la (quasi) rinuncia a produrre utilitarie. Certo ci sono la Panda, la 500, la Lancia Ypsilon, ma sono tutte auto costruite in Polonia. Manca per ora un progetto per sostituire la Grande Punto.

La Fiat che produceva auto per tutti a basso prezzo potrebbe sparire per sempre.


08 marzo 2017

Bitcoin

Avete mai sentito parlare di Bitcoin? Si tratta di una  moneta elettronica, creata nel 2009 non si sa da chi, probabilmente un informatico molto esperto. In pochi anni la moneta ha avuto un grande successo e il suo valore rispetto alle monete vere, l'euro o il dollari, è salito alle stelle.

Perchè e a chi serve Bitcoin?

I Bitcoin sono emessi in quantità limitate. E' un pò come se i suoi creatori fossero sostenitori di qualche teoria monetaria conservatrice. Sapendo che il valore sale se la moneta scarseggia si sono assicurati un buon guadagno se -come probabile- possiedono molti Bitcoin o se ottengono un guadagno legato all'uso degli stessi.

Per far salire il valore dei Bitcoin occorre una forte domanda.


I Bitcoin fanno gola a molti perchè permettono di trasferire denaro fuori dai canali tradizionali, senza il coinvolgimento di banche e altre istituzioni controllate dalle banche centrali, allo scopo di evadere le imposte e di trasferire capitali senza le necessarie autorizzazioni.

Ls conseguenza è che sta aumentando l'attenzione delle banche centrali verso il fenomeno, con inviti alle banche a vigilare e segnalare le operazioni sospette, ben sapendo cosa possono nascondere.

Il valore pare dipendere anche dalla speculazione: il valore della moneta elettronica varia molto e questo spinge gli acquisti di chi spera di rivendere i bitcoin a un prezzo maggiore.

Oltre alle opportunità per speculatori, evasori e esportatori di capitali, i Bitcoin offrono anche rischi. Non è una moneta, non ha regole, può essere messa fuori legge e forse potrebbe anche sparire, vittima di chi l'ha creata e la gestisce, o essere sostituita da una moneta simile ma più sicura.

01 marzo 2017

Ronald Trump

Donald J. Trump ha parlato per la prima volta al Congresso assumendo toni moderati per la prima volta dall'elezione, e ha spiegato i suoi propositi.

Colpiscono i 1000 miliardi di opere pubbliche, l'aumento della spesa militare e la promessa di un forte calo delle imposte. Tre punti di un programma che ricorda, almeno per quanto riguarda spesa militare e imposte, le scelte di Ronald Reagan, che fece salire il debito perchè -come spiega il Sole 24 Ore- con Reagan "diminuivano solo le tasse, non le spese".

Analogo effetto sul debito avrà la scelta di Trump di finanziare un enorme piano di opere pubbliche. Gli USA da decenni spendono poco per costruire, rinnovare e migliorare strade, porti, aeroporti, ferrovie, ecc.

Già in passato l'idea di investire molto in infrastrutture "tradizionali" era stata proposta, ma in un contesto diverso: come modo di affrontare la crisi e la disoccupazione salita a ritmi velocissimi tra il 2008 e il 2010.

Oggi invece lo scenario è differente. Gli USA non hanno elevati tassi di disoccupazione, non c'è una recessione in corso. Le opere pubbliche faranno bene all'economia americana, creeranno posti di lavoro tra gli elettori di Trump ma faranno pure aumentare inflazione e debito pubblico, spinto, quest'ultimo pure dalla scelta di diminuire le imposte.

Negli anni 80 la FED guidata da Paul Volcker reagì con aumenti dei tassi all'aumento del debito pubblico provocato dai tagli alle imposte e aumenti della spesa soprattutto militare di Reagan. Succederà lo stesso nell'era Trump?


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