29 settembre 2018

Strana esultanza per il deficit

Nelle pagine social di molti sostenitori dei Movimento 5 Stelle circola l'immagine che vedete. Si rimprovera ai mass media di non aver attaccato i governi precedenti, anzi un partito, per i deficit passati.

E' un modo per allontanare l'attenzione da una scelta del governo che i mercati non hanno gradito. Il governo ha spiegato infatti che il debito pubblico nei prossimi 3 anni salirà di circa 100 miliardi più del previsto e il deficit resterà al 2,4% del PIL, interrompendo il percorso virtuoso che si può capire facilmente leggendo i dati nell'immagine. 

I mercati hanno reagito male alla notizia che l'Italia rinnega gli accordi precedenti e hanno venduto i titoli di stato italiani e le azioni, facendo salire lo spread a 269 (40 punti in più). E' una bocciatura più grave di quella dei tg, dei giornali o dei social, perchè uno spread che sale significa maggiore spesa per interessi. 40 punti ovvero uno 0,4% in più, con un debito di oltre 2300 miliardi vogliono dire oltre 9 miliardi di spesa per interessi, cifra che peggiora se teniamo presente che 2 marzo ovvero l'ultimo giorno di campagna elettorale, lo spread era 140, praticamente la metà dell'attuale.

L'ha detto Draghi qualche settimana fa: i politici italiani al governo hanno fatto danno e la misura oggettiva è la risalita dello spread e il calo della borsa, fattori che causano una maggior spesa per interessi dello Stato ma anche di famiglie e imprese.

Ministri competenti e prudenti avrebbero aspettato a festeggiare e eviterebbero di accusare altri partiti di aver fatto deficit minori.

28 settembre 2018

A pensar male....

A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca, diceva perfidamente Giulio Andreotti.

Oggi per la terza volta in pochi mesi lo spread corre verso quota 300 mentre la borsa ha toccato qualche ora fa un preoccupante - 4,6%, con le azioni delle due principali banche italiane che perdono oltre l'8% e una perdita di valore dei titoli posseduti dallo Stato di oltre 1 miliardo.

Colpa dell'aggiornamento di un documento economico che stabilisce un deficit del 2,4% l'anno per i prossimi 3 anni, rinnegando gli accordi presi in precedenza con l'UE sul deficit.

I mercati l'hanno presa male, malissimo, come era già successo a maggio quando parevano fallire i tentativi di fare un governo e poi a agosto, di fronte a affermazioni dei ministri desiderosi di soddisfare gli elettori sforando i limiti al deficit.

La nascita del governo e affermazioni tranquillizzanti hanno poi spinto verso il basso lo spread e verso l'alto i valori in borsa. Almeno fino a ieri, quando è parso chiaro che avrebbero prevalso le spinte per soddisfare le richieste dei partiti di governo, a scapito del deficit.

A questo punto è chiaro a tutti cosa si aspettano i mercati e come reagiscono. E' chiaro che le affermazioni di Di Maio che s'è detto sicuro di convincere i mercati sono parole al vento, è evidente che alzare il deficit vuol dire alzare lo spread e quindi la spesa per interessi, peggiorando ulteriormente i conti pubblici.

Meno chiaro è la ragione di scelte dall'esito scontato. Una ipotesi che si può fare è che si vogliono illudere gli elettori, magari con tanto di festa sotto il balcone di Palazzo Chigi, per poi spiegare che se certe promesse non si possono mantenere dipende da altri.

Ma viene anche il sospetto che dietro ci sia una regia: qualcuno potrebbe dirigere il gioco delle dichiarazioni, rassicuranti e allarmanti per i mercati, per realizzare grandi guadagni sui mercati finanziari.

A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca, come diceva Andreotti.


16 settembre 2018

Lehman, un ricordo personale

I 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers mi spingono a raccontare un episodio accaduto diversi anni prima. Dovevo sostenere un esame e nel libro di testo un paragrafo afferma che, se si privatizzano le banche, è bene che si pongano limiti al possesso di quote di azioni di banche da parte di imprese industriali.

Non capendo il motivo decido di chiederlo al professore, autore del libro di testo. La spiegazione è che se la banca è indipendente, può spingere l'impresa a fare scelte anche drastiche per ridurre e eliminare le perdite, mentre se una impresa (grande) controlla una banca può persistere nell'errore che genera perdite perchè si fa finanziare dalla sua banca.

In caso di fallimento dell'impresa, la banca subisce perdite, e magari fallisce. Ma le banche si prestano soldi tra loro, così il fallimento di una banca può coinvolgere altre banche che a loro volta potrebbero fallire o, nella migliore delle ipotesi, potrebbero subire perdite e di conseguenza ridurre il credito a famiglie e imprese.
La crisi di una impresa può quindi per provocare danni molto più grandi se la banca è posseduta da una impresa. Di qui la necessità di limiti al possesso di azioni di banche da parte delle imprese.

Di questa spiegazione mi sono ricordato la sera del 14 settembre 2008, alla notizia che Lehman Brothers non sarebbe stata salvata. Mi era chiaro che il fallimento avrebbe coinvolto altre banche, molto meno che la paura del fallimento avrebbe creato una sfiducia generalizzata con conseguente fuga di capitali, vera causa della crisi come ricorda in questi giorni Ben Bernanke, ex numero uno della FED.

La maggiore consapevolezza delle dinamiche della crisi dovrebbe mettere in allarme chiunque, conoscendo un pò di economia, continua a sostenere tesi assurde come l'uscita dall'euro e spingerli a bollare come pericolosa fantasia tale ipotesi.

12 settembre 2018

Lehman, 10 anni fa

10 anni fa, lunedì 15 settembre, falliva Lehman Brothers e iniziava la crisi più pesante dopo quella degli anni '20 dello scorso secolo.

Come si è arrivati al fallimento?

La crisi dei mutui subpime è iniziata oltre un anno prima, quando hanno iniziato a scendere i valori degli immobili negli USA. Una bolla immobiliare teneva in piedi un sistema squilibrato, fatto di consumi esagerati rispetto ai salari modesti, colpa delle politiche economiche conservatrici che hanno stimolato comportamenti predatori.

I consumatori impoveriti compravano case ricevendo credito garantito dalla crescita dei valori immobiliari, concesso da banche che si finanziavano emettendo titoli complicatissimi.

Quando la bolla immobiliare è scoppiata, sono crollati i valori di quei titoli complessi e, di fronte al rischio che le banche -soprattutto alcune- perdessero enormi somme, i depositati hanno iniziato a chiudere i conti e cercare di salvare il salvabile.

Il fallimento di Lehman è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: se fino a quel momento molti erano spaventati e temevano perdite, da quel giorno è stato il terrore a prevalere e solo ingenti interventi delle banche centrali e degli stati hanno permesso al sistema di non crollare con effetti ancora più drammatici.

Sarebbero bastate somme tutto sommato modeste per salvare Lehman, ma la ricerca di una soluzione di mercato lo ha impedito. Eppure nessuno ha imparato la lezione e in 10 anni abbiamo visto il dramma della Grecia, gli interventi per aiutare o salvare paesi come Portogallo o l'Irlanda, i provvedimenti per tamponare la crisi dello spread in Italia, le infinite inutili polemiche sulle banche salvate o aiutate.

Nel frattempo non dappertutto l'economia ha recuperato il terreno perso e, dove è successo, in molti hanno pagato un prezzo molto caro per la gioia di partiti nazionalisti, xenofobi, egoisti che paiono la brutta copia di chi guidava malissimo l'economia nei primi anni 2000.

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