Per i liberisti i problemi di finanza pubblica si risolvono solo con tagli alla spesa, che permettono di ridurre l'imposizione fiscale, strada maestra, a loro avviso, per far funzionare meglio l'economia.
Si possono immaginare, nel mondo reale, tagli alle spese rilevanti, portando la pressione fiscale ad esempio al 33%, livello considerato "giusto" dal liberista (quando se ne ricorda) Berlusconi?
Facciamo un pò di chiarezza sulla spesa dello Stato, partendo da
questo documento dell'UPI, l'unione delle province italiane.
La
spesa pubblica complessiva è risultata pari, nel 2010, a 807 miliardi di euro, vale a dire il 52% circa del PIL che ammonta a circa 1550 miliardi di euro.
Stato spendaccione? Non proprio, perchè la spesa previdenziale, vale a dire
le pensioni, assorbe 298 miliardi, vale a dire poco più del
19% del PIL.
Dei restanti 509 miliardi, poi, 72 servono a pagare gli interessi sul debito.
Scuola, sanità, giustizia, forze armate, politici, porti e strade, ecc.
costano ai cittadini 437 miliardi, pari al 28% del PIL.
Di questi,
114 miliardi finanziano la sanità, ovvero sono trasferiti alle regioni che li spendono per pagare la sanità. Altri 140 finiscono agli enti locali così divisi: 56 alle Regioni, 73 ai Comuni e 12 alle Province.
Il governo gestisce direttamente 182 miliardi, meno del 12% del PIL, con cui si finanziano la scuola, le forze armate, la giustizia, gli organi costituzionali, i ministeri, le politiche industriali e energetiche e così via.
Ora
immaginiamo di voler abbassare la pressione fiscale al 33%. Lo stato dovrebbe spendere circa 510 miliardi, 300 in meno di quelli spesi nel 2010.
300 miliardi equivalgono alla somma spesa in pensioni, oppure alla somma spesa per sanità, scuola, giustizia, per far funzionare tutti i ministeri, pagare tutti i politici, le forze dell'ordine, le forze armate, i musei, e tutte le altre spese gestite dal governo.
Dunque la ricetta liberista è illusoria. Anche solo una riduzione del 5% della pressione fiscale, dal 43% circa attuale al 38%, realizzato solo con i tagli richiederebbe risparmi di circa 75-80 miliardi, che equivalgono a circa il 70% della spesa sanitaria o al 25% della spesa pensionistica. Tagli impossibili.
Inutile poi illudersi che si possano risolvere i problemi di finanza pubblica individuando una sola voce di spesa e di spreco da tagliare.
Un taglio limitato, del 2% del PIL allo scopo di realizzare il pareggio di bilancio significa tagliare oltre 30 miliardi, quasi 3 volte la spesa delle province, quasi il doppio della spesa militare che ammonta a 18,3 miliardi, oppure oltre la metà della spesa per l'istruzione (
si veda qui la composizione delle diverse voci della spesa pubblica).
Ecco allora
spiegati i tagli lineari di Tremonti, i tanti provvedimenti di riduzione della spesa e di aumento delle entrate che fanno storcere il naso ai politici che temono di perdere consenso.
Infine i dati veri spingono a chiedersi: se in Italia la pressione fiscale è attorno al 42-43% del PIL (ed è superiore in altri paesi europei dove ci si avvicina al 50% del PIL) e non è facile ridurre le spese,
come immaginare a uno stato con una pressione fiscale molto più bassa?
C'è il trucco: basta usare come punto di riferimento un paese, come gli USA,
in cui almeno in parte pensioni e sanità (ma anche altri servizi) sono pagate da fondi privati.
I liberisti confrontano mele (un paese con pensioni e sanità pubblica) e pere (un paese con pensioni e sanità in buona parte private) concludendo che la spesa pubblica è eccessiva e illudendo che si possa ridurre.
Se sanità e pensioni non fossero gestite dallo stato, lo stato spenderebbe la metà ma non garantirebbe maggiori benefici al cittadino, mentre sarebbero certi i vantaggi per le assicurazioni chiamate a gestire un business pari a 4 volte il fatturato di una multinazionale come l'ENI, ovvero oltre 400 miliardi di euro l'anno. E forse è proprio questo l'obiettivo dei liberisti: spingere fuori dal settore pubblico un pezzo di spesa pubblica, la cui gestione garantirebbe a qualche privato rilevanti profitti.