30 gennaio 2012
Fuori di testa
Io sto bene, dunque la crisi non c'è.... secondo il geniale Oliviero Toscani
http://www.corriere.it/inchieste/reportime/
29 gennaio 2012
Hildebrand
Dopo il caso di Dominique Strauss Kahn (vedi qui) e dopo la condanna dell'ex governatore della Banca d'Italia Fazio, un altro scandalo scuote il mondo della superfinanza. Questa volta sconvolge la banca centrale svizzera, il cui numero uno, Philipp Hildebrand s'è dimesso lo scorso 9 gennaio.
E' successo che la moglie del governatore Hildebrand ha fatto un'operazione speculativa di tipo valutario: ha comprato e rivenduto 512.000 dollari, che si sono rivalutati rispetto al franco svizzero in seguito alla decisione della banca centrale di intervenire per evitare una continua rivalutazione del franco.
Sta succedendo infatti che i capitali, alla ricerca di un porto sicuro, prendono la strada della Svizzera. Il franco si rivaluta mettendo in difficoltà le imprese, spiazzate dalla concorrenza di beni strnaieri. Hildebrand ha così deciso di abbandonare il tasso di cambio flessibile e di applicare un tasso di cambio fisso. Questa operazione ha favorito la moglie, facendole guadagnare 70.000 franchi.
Quando la stampa si occupa della vicenda, Hildebrand prima resiste alle richieste di dimissione e poi cede, benché appoggiato dal governo svizzero e nonostante la vicenda sia assai sospetta.
Infatti pare che le dimissioni di Hildebrand abbiano una regia: è stato il miliardario populista Blocher, leader del partito di destra UDC, che difende il segreto bancario svizzero, a gestire l'operazione mediatica. Ottiene da un informatico i documenti bancari e li passa a un quotidiano zurighese, che li pubblica senza curarsi del modo in cui sono stati ottenuti e senza controllarne la veridicità (la banca riscontra diverse anomalie negli estratti conto pubblicati).
Insomma un complotto o quasi, come nel caso di Dominique Strauss Kahn, con una regia politica di stampo conservatore.
27 gennaio 2012
Se la credibilità affonda
Due settimane fa la Costa Concordia è semiaffondata all'isola del Giglio a causa di una manovra azzardata del comandante Schettino che poi, al telefono con la capitaneria di porto, ha offerto il peggio di sè, rifiutandosi di fatto di risalire sulla nave a coordinare i soccorsi e offrendo giustificazioni che hanno fatto la gioia dei comici.
Come credere a un comandante che dice di essere scivolato in una scialuppa di salvataggio e per questo di aver abbandonato suo malgrado la nave?
Nonostante tutto il mondo abbia sentito e letto quanto basta per sperare che il comandante della Costa Concordia cambi mestiere, al sindacato dei capitani di lungo corso tutto ciò non basta neppure per una sospensione.
Non sappiamo cosa è successo davvero, si getta fango sulla categoria, forse Costa Crociere non doveva sospenderlo... sono state le allucinanti dichiarazioni di Antonino Nobile presidente dell'Uslac (vedi qui).
Questa è l'Italia che usa le regole in modo spregiudicato e poi si lamenta se arriva un Monti a cercare di ripristinare, con molti dolori e poche gioie, la credibilità perduta. Speriamo che questa Italia affondi insieme alla Concordia.
26 gennaio 2012
La Germania del pallone
Michel Platini, presidente UEFA, nei giorni scorsi è tornato a parlare di fair play finanziario nel calcio europeo.
L'UEFA ha fatto i conti scoprendo che le squadre dei principali campionati europei mettono insieme un deficit complessivo di oltre 1,5 miliardi di euro. Una situazione insostenibile, specie perché i soldi distorcono la competizione: sovente chi più spende va avanti nelle competizioni europee e incassa di più.
L'UEFA perciò interviene chiedendo, tra mille resistenze, ai club di applicare le stesse regole economico-finanziarie, regole che limitino i debiti e le perdite finanziate da presidenti ricchi alla ricerca di popolarità, invitando gli stessi club a far crescere le entrate con il merchandising e gli stadi di proprietà.
Se le regole sul fair play finanziario dell'UEFA si applicassero subito molte società prestigiose sarebbero nei guai: i due Manchester, Real Madrid e Barcellona, Chelsea, Paris St.Germain, Milan, Inter e forse la Juve (che dalla sua ha lo stadio di proprietà) non avrebbero i numeri per giocare le coppe europee.
E mentre Ernesto Paolillo, amministratore dell'Inter, spiega che occorre comprare giovani e vendere i giocatori che guadagnano di più, come successo la scorsa estate con la cessione di Eto'o, Karl Heinz Rumenigge, dirigente del Bayern Monaco, invita la UEFA a definire regole certe e severe da subito, temendo che i presidenti spedaccioni approfittino finchè possono dell'assenza di regole.
Anche l'Europa del pallone, insomma, somiglia all'Europa economica. Una sola nazione ha i conti a posto e chiede che gli altri, che vivono al di sopra delle proprie possibilità, si adeguino.
25 gennaio 2012
Lo sapevate che...?
Lo sapevate che c'è la possibilità di consigliare il Ministero per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione su come rendere più semplici e applicabili le norme?
In questa pagina internet http://www.magellanopa.it/semplificare/ si trovano i moduli per lasciare un consiglio on line, ovviamente, e dare il proprio contributo per rendere più semplice la burocrazia italiana.
23 gennaio 2012
Ridurre il debito pubblico
Uno dei grandi problemi economici italiani è, come sappiamo, il debito pubblico. Come ridurre il debito pubblico (un obbligo, come ha scritto qui William) nei prossimi anni?
Un aiuto inaspettato potrebbe arrivare dallo spread. Cerchiamo di capire perchè.
Supponiamo che lo stato un anno fa abbia emesso un titolo decennale che rende il 4%. Chi l'ha sottoscritto ha versato 100 euro e incassa ogni anno il 4%. Oggi, però, il mercato chiede un tasso più elevato (supponiamo il 6%) e questo implica, per chi vuole acquistare un titolo a lunga scadenza, che l'alternativa sia tra un titolo che rende il 6% e costa 100 e un titolo che rende il 4% e costa...meno di 100.
Per accettare un rendimento inferiore, chi investe deve pagare di meno il titolo che rende di meno.
Così succede che i titoli emessi in passato, dal cui valore dipende il famigerato spread, valgano 70, 80, 90 centesimi per ogni euro investito.
Se lo Stato comprasse titoli con un valore nominale di 100 euro (cioè titoli che alla scadenza danno diritto a incassare 100 euro) pagandoli il prezzo di mercato, supponiamo 80 euro, taglierebbe il debito pubblico di 20 euro, visto che alla scadenza lo Stato incasserebbe da se stesso 100 euro per un titolo pagato 80.
Lo spread, come detto, è d'aiuto: più alto è lo spread, minore è il valore dei titoli e maggiore, per chi li acquista, il guadagno in conto capitale.
Una soluzione semplice che nasconde un problema difficile: dove prendere i soldi per comprare il debito esistente?
Secondo Massimo Mucchetti (vedi qui) il governo ha un piano: cedere alla Cassa Depositi e Prestiti aziende pubbliche e patrimonio immobiliare in cambio di soldi che userebbe per comprare titoli del debito pubblico. A sua volta la Cassa DDPP si indebiterebbe, ma a condizioni migliori, visto che il suo rating è migliore del rating dello Stato.
Succederà? E soprattutto funzionerà?
21 gennaio 2012
Qualcosa sulle liberalizzazioni
Dopo aver varato a dicembre una serie impressionante di imposte e qualche taglio per rimettere in sesto i conti pubblici, il governo Monti ha varato la fase due, quella delle liberalizzazioni, che come uno tsunami hanno travolto tutto e tutti, dai taxisti ai farmacisti passando per banche e gas.
Sul piano economico si tratta di una svolta che promette, secondo Monti, di far salire il PIL, l'occupazione e le retribuzioni, ma anche una necessità, visto che la crescita non può essere alimentata dalla spesa pubblica.
Si devono perciò aprire i mercati nei due modi previsti dagli economisti: riducendo o eliminando le barriere all'entrata e riducendo le rendite.
Le barriere all'entrata sono tutti quegli ostacoli, di natura regolamentare o economica, che rendono difficile entrare in un mercato e garantiscono una rendita, vale a dire un guadagno superiore a quello conseguibile in un mercato più aperto e concorrenziale.
Si capiscono così le resistenze di chi teme non solo di fare i conti con un reddito inferiore, ma anche di affrontare più elevati rischi d'impresa.
Ma aumentare la concorrenza non significa trasferire incassi e reddito da chi già opera su un mercato ai nuovi entrati, effetto in ogni caso non trascurabile per noi liberal se serve a distribuire meglio il reddito, ridurre le differenze e creare occupazione.
Significa anche che chi opera su un mercato deve cercare nuove strade per produrre rreddito. La sopravvivenza dell'impresa richiede di abbassare i prezzi, aumentare le merci vendute o i servizi offerti alla clientela e per questo gli economisti credono che liberalizzare faccia bene all'economia: chi compra paga di meno i prodotti esistenti e ne acquista una maggiore quantità, oltre a essere stimolato a acquistare nuovi beni e servizi.
Non sappiamo quali saranno, in concreto, la portata delle liberalizzazioni volute dal governo Monti, ma è lecito sperare se le liberalizzazioni funzioneranno diminuirà la tendenza a immaginare che i figli debbano svolgere il lavoro dei padri.
E' un vizio molto diffuso che forse spiega molti dei ritardi italiani. Chi, svolgendo un certo mestiere, pensa di spingere i figli a svolgere lo stesso mestiere, sarà ancora più propenso a respingere la concorrenza e i cambiamenti, mentre i figli, magari spinti controvoglia a seguire le orme dei genitori, sono meno stimolati a studiare, a innovare o a competere.
Dunque se anche le liberalizzazioni di Monti non produrranno gli effetti desiderati in termini di crescita del PIL, dell'occupazione o di reddito, almeno dovrebbero rimescolare un pò le carte sul piano sociale, rendendo meno probabile che il figlio dell'avvocato sia pure lui avvocato o che il figlio dell'operaio rinunci a priori a seguire le sue passioni, ben sapendo che, a causa di un'economia chiusa, difficilmente potrà trasformarle in un mestiere redditizio.
19 gennaio 2012
Congruo e coerente?
Cosa sono e come funzionano gli studi di settore?
Gli studi di settore sono un metodo di accertamento sintetico che permette di ricostruire il reddito di un soggetto partendo dai dati che il soggetto stesso fornisce.
L'accertamento è "sintetico" in contrapposizione agli accertamenti "analitici", cioè quando si prendono tutte le fatture, una per una, insieme alla documentazione bancaria e si ricostruisce tutto,
Lo studio di settore viene quindi compilato in sede di dichiarazione dei redditi dai contribuenti (leggi dal commercialista in collaborazione con il contribuente) ed è composto dalle seguenti sezioni (prendiamo ad esempio quello dei meccanici, il modello UG31U):
Frontespizio
Quadro A - Personale: qui bisogna specificare i dipendenti e tutti i loro dati, ad es. le ore lavorate
Quadro B - Dati della sede: dimensioni, posizionamento geografico, Kw. consumati.
Quadro D - Tipologia di veicoli riparati, modalità organizzativa (officina indipendente, in franchising, ecc...), specializzazioni, attività collaterali, tipologia della clientela, servizi esterni, elementi specifici e servizi offerti (es. auto di cortesia).
Quadro E - Attrezzatura: qui bisogna dire che tipi e quante attrezzature ci sono. Sono riportati decine di attrezzature.
Quadro F - I dati contabili del reddito e dell'IVA
Quadro X - Le altre informazioni: apprendisti, rimaneze, ecc.
Quadro Z - Dati complementari: intermediario, ecc.
La raccolta dei dati dura un mese. Considerate che ad esempio per gli edili bisogna specificare il prezzo a mq. di tinteggiatura, i costi orari delle lavorazioni e simili. La compilazione e il calcolo prendono qualche ora.
Fatto ciò, il programma fornito dall'agenzia delle entrate (il Ge.Ri.Co. = gestione ricavi compensi) calcola tramite un'equazione ed espone il proprio risultato in base a tre parametri:
Congruità: in base ai dati inseriti il programma calcola se i ricavi inseriti sono adeguati. Se lo sono tutto ok, altrimenti propone un adeguamento al risultato dello studio. Farò un esempio poi di questo caso.
Coerenza: valuta il ricarico e altri indici.
Normalità: valuta se i dati inseriti sono normali o anormali.
Quindi un contribuente congruo, coerente e normale è un contribuente per il quale tutto è a posto. Se non è normale o coerente potrebbe essere controllato perché ha "taroccato " i dati degli studi di settore.
Veniamo ora al caso di non congruità.
Se ho guadagnato 20.000 euro di reddito annuo (il nostro meccanico) fatturando 100.000 euro, se Gerico calcola che non sono coerente, allora mi propone l'adeguamento al suo calcolo, poniamo 120.000 euro.
In pratica il mio reddito aumenterà di 20.000 Euro portandolo a 40.000 con conseguente aumento di IRE, IRAP e IVA.
Spiegato il funzionamento alcune considerazioni.
Detto in termini semplici, il programma dice che se ho un'officina al centro di Milano, di 200 mq. con 3 dipendenti, ecc. ecc., non posso guadagnare solo 20.000 Euro l'anno, quindi presume che io abbia evaso e mi aumenta il reddito fino a un livello congruo.
E' ovvio che per quanto gli studi di settore siano raffinati, non potranno mai essere personalizzati al singolo caso. Il problema è che fino ad ora sono stati usati in maniera massiccia e indiscriminata.
Poniamo che l'anno sia andato male e il nostro meccanico abbia veramente guadagnato solo 20.000 euro. E' onesto e sceglie di non adeguarsi ai calcoli di Gerico, utilizzando la frase che ho sentito centinaia di volte nel mio studio: "ma se non ho guadagnato, perché devo pagare le tasse?"
Bene, non si adegua e dopo 2 anni arriva un avviso di accertamento che in base ai calcoli di gerico gli rettifica i ricavi a 120.000 euro e il reddito a 40.000.
Dopo la sfuriata di prassi dal commercialista, cosa fare?
Il primo passo è andare a parlare con l'agenzia delle entrate. In genere si ottiene una riduzione, se si hanno dei motivi veramente validi (cavallette, alluvioni, furti, meteoriti sull'officina, esplosioni di centrali nucleari e simili) di circa il 10-30% dell'aumento. Se si accetta si paga (si chiama "adesione") e si chiude, altrimenti bisogna proporre un ricorso tributario davanti la commissione provinciale.
E qui cominciano i guai: in caso di ricorso si perde l'agevolazione delle sanzioni agevolate (si, arrivano anche le multe con l'accertamento), e il processo costa.
Indipendentemente dal merito, cioè se il nostro meccanico è onesto o ha rubato, affrontare un processo è lungo e costoso, e anche penoso se si è onesti. Inoltre bisogna in ogni caso versare 1/3 della cifra all'inizio del processo in I° grado (2/3 in II°), cifra che ci verrà restituita in caso di vittoria.
Temo di essere stato un poco lungo, ma l'argomento era molto ampio.
Se ci sono domande cercherò di rispondere in merito.
Gli studi di settore sono un metodo di accertamento sintetico che permette di ricostruire il reddito di un soggetto partendo dai dati che il soggetto stesso fornisce.
L'accertamento è "sintetico" in contrapposizione agli accertamenti "analitici", cioè quando si prendono tutte le fatture, una per una, insieme alla documentazione bancaria e si ricostruisce tutto,
Lo studio di settore viene quindi compilato in sede di dichiarazione dei redditi dai contribuenti (leggi dal commercialista in collaborazione con il contribuente) ed è composto dalle seguenti sezioni (prendiamo ad esempio quello dei meccanici, il modello UG31U):
Frontespizio
Quadro A - Personale: qui bisogna specificare i dipendenti e tutti i loro dati, ad es. le ore lavorate
Quadro B - Dati della sede: dimensioni, posizionamento geografico, Kw. consumati.
Quadro D - Tipologia di veicoli riparati, modalità organizzativa (officina indipendente, in franchising, ecc...), specializzazioni, attività collaterali, tipologia della clientela, servizi esterni, elementi specifici e servizi offerti (es. auto di cortesia).
Quadro E - Attrezzatura: qui bisogna dire che tipi e quante attrezzature ci sono. Sono riportati decine di attrezzature.
Quadro F - I dati contabili del reddito e dell'IVA
Quadro X - Le altre informazioni: apprendisti, rimaneze, ecc.
Quadro Z - Dati complementari: intermediario, ecc.
La raccolta dei dati dura un mese. Considerate che ad esempio per gli edili bisogna specificare il prezzo a mq. di tinteggiatura, i costi orari delle lavorazioni e simili. La compilazione e il calcolo prendono qualche ora.
Fatto ciò, il programma fornito dall'agenzia delle entrate (il Ge.Ri.Co. = gestione ricavi compensi) calcola tramite un'equazione ed espone il proprio risultato in base a tre parametri:
Congruità: in base ai dati inseriti il programma calcola se i ricavi inseriti sono adeguati. Se lo sono tutto ok, altrimenti propone un adeguamento al risultato dello studio. Farò un esempio poi di questo caso.
Coerenza: valuta il ricarico e altri indici.
Normalità: valuta se i dati inseriti sono normali o anormali.
Quindi un contribuente congruo, coerente e normale è un contribuente per il quale tutto è a posto. Se non è normale o coerente potrebbe essere controllato perché ha "taroccato " i dati degli studi di settore.
Veniamo ora al caso di non congruità.
Se ho guadagnato 20.000 euro di reddito annuo (il nostro meccanico) fatturando 100.000 euro, se Gerico calcola che non sono coerente, allora mi propone l'adeguamento al suo calcolo, poniamo 120.000 euro.
In pratica il mio reddito aumenterà di 20.000 Euro portandolo a 40.000 con conseguente aumento di IRE, IRAP e IVA.
Spiegato il funzionamento alcune considerazioni.
Detto in termini semplici, il programma dice che se ho un'officina al centro di Milano, di 200 mq. con 3 dipendenti, ecc. ecc., non posso guadagnare solo 20.000 Euro l'anno, quindi presume che io abbia evaso e mi aumenta il reddito fino a un livello congruo.
E' ovvio che per quanto gli studi di settore siano raffinati, non potranno mai essere personalizzati al singolo caso. Il problema è che fino ad ora sono stati usati in maniera massiccia e indiscriminata.
Poniamo che l'anno sia andato male e il nostro meccanico abbia veramente guadagnato solo 20.000 euro. E' onesto e sceglie di non adeguarsi ai calcoli di Gerico, utilizzando la frase che ho sentito centinaia di volte nel mio studio: "ma se non ho guadagnato, perché devo pagare le tasse?"
Bene, non si adegua e dopo 2 anni arriva un avviso di accertamento che in base ai calcoli di gerico gli rettifica i ricavi a 120.000 euro e il reddito a 40.000.
Dopo la sfuriata di prassi dal commercialista, cosa fare?
Il primo passo è andare a parlare con l'agenzia delle entrate. In genere si ottiene una riduzione, se si hanno dei motivi veramente validi (cavallette, alluvioni, furti, meteoriti sull'officina, esplosioni di centrali nucleari e simili) di circa il 10-30% dell'aumento. Se si accetta si paga (si chiama "adesione") e si chiude, altrimenti bisogna proporre un ricorso tributario davanti la commissione provinciale.
E qui cominciano i guai: in caso di ricorso si perde l'agevolazione delle sanzioni agevolate (si, arrivano anche le multe con l'accertamento), e il processo costa.
Indipendentemente dal merito, cioè se il nostro meccanico è onesto o ha rubato, affrontare un processo è lungo e costoso, e anche penoso se si è onesti. Inoltre bisogna in ogni caso versare 1/3 della cifra all'inizio del processo in I° grado (2/3 in II°), cifra che ci verrà restituita in caso di vittoria.
Temo di essere stato un poco lungo, ma l'argomento era molto ampio.
Se ci sono domande cercherò di rispondere in merito.
Quanto paga Romney?
L'inizio delle primarie tra i repubblicani sta facendo emergere la figura di Mitt Romney, ex governatore del Massachussets, fortemente appoggiato da Wall Street.
Come sempre in questi casi, si passa al setaccio la vita dei candidati, per scoprire eventuali lati oscuri, ombre capaci di pregiudicare la candidatura alla carica politica più importante al mondo.
Così molti si sono chiesti: quante imposte paga Romney?
Benché incalzato dai mass media e dagli avversari, tra i quali lo staff di Obama che gli ricorda che la tradizione dei candidati di rendere pubblici i propri dati fiscali risale al 1968 e che a inaugurarla fu il padre di Romney, il candidato repubblicano non lo vuole dire.
Qualche ammissione però l'ha fatta: ha un patrimonio notevole, compreso tra i 190 e i 250 milioni di dollari e vive di rendita. Su cui paga il 15%, l'aliquota prevista per le rendite finanziarie, mentre il lavoratore americano, secondo il Giornale (vedi qui) arriva a versare anche il 35% del proprio stipendio.
E' facile immaginare cosa succederebbe se Romney vincesse le elezioni: l'1% di straricchi americani festeggerebbe. Per 4 anni sarebbero certi di pagare molto meno di un lavoratore qualsiasi che fatica a arrivare a fine mese.
Come sempre in questi casi, si passa al setaccio la vita dei candidati, per scoprire eventuali lati oscuri, ombre capaci di pregiudicare la candidatura alla carica politica più importante al mondo.
Così molti si sono chiesti: quante imposte paga Romney?
Benché incalzato dai mass media e dagli avversari, tra i quali lo staff di Obama che gli ricorda che la tradizione dei candidati di rendere pubblici i propri dati fiscali risale al 1968 e che a inaugurarla fu il padre di Romney, il candidato repubblicano non lo vuole dire.
Qualche ammissione però l'ha fatta: ha un patrimonio notevole, compreso tra i 190 e i 250 milioni di dollari e vive di rendita. Su cui paga il 15%, l'aliquota prevista per le rendite finanziarie, mentre il lavoratore americano, secondo il Giornale (vedi qui) arriva a versare anche il 35% del proprio stipendio.
E' facile immaginare cosa succederebbe se Romney vincesse le elezioni: l'1% di straricchi americani festeggerebbe. Per 4 anni sarebbero certi di pagare molto meno di un lavoratore qualsiasi che fatica a arrivare a fine mese.
16 gennaio 2012
Beato chi capisce
Dopo il downgrade di venerdì di mezza Europa, o forse più, sono arrivate molte critiche a Standard & Poor's.
Conflitti di interessi, metodi oscuri nel calcolo del rating, regole criticabili che spingono i fondi a detenere solo o prevalentemente titoli affidabili. Facciamone a meno, dicono alcuni.
Tra questi Mario Draghi, che tuttavia oggi pomeriggio ha spiegato (vedi qui) che "Siamo in una situazione gravissima...Jean-Claude Trichet ... a ottobre ha detto che questa crisi aveva raggiunto dimensioni sistemica. Da allora è peggiorata, e non dobbiamo assolutamente nasconderlo".
Possiamo dunque prendercela con Standard & Poor's salvo spiegare che la situazione è gravissima, forse peggiore di quella rappresentata dagli americani?
Chi ci capisce è bravo...
15 gennaio 2012
La barca affonda?
Cosa succederà alla riapertura dei mercati dopo il doppio downgrade di Standard & Poor ?
Difficile dirlo. Perché la bocciatura dell'Italia non significa solo un giudizio negativo che tocca l'orgoglio nazionale, ma comporta conseguenze potenzialmente molto pericolose.
I regolamenti della CONSOB stabiliscono limiti al possesso di obbligazioni da parte di fondi, sicav ecc in relazione al grado di rischiosità dei titoli. Più sono inaffidabili, meno i vari soggetti che gestiscono il risparmio possono detenerne.
Dunque il doppio downgrade dei titoli di stato significa che in molti dovranno liberarsi dei nostri titoli, facendo salire ancora di più lo spread e forse provocando un aumento dei tassi richiesti alla prossima asta da chi presta soldi al nostro Stato.
Un pericolo, che giustifica prese di posizione politiche e forse provocherà altre conseguenze. La Consob potrebbe intervenire per sospendere le regole attuali o modificarle e la BCE potrebbe decidere di intervenire pesantemente nel mercato secondario dei titoli di Stato, sparando le cartucce risparmiate nelle ultime 2-3 settimane.
In caso contrario si rischia davvero molto: i tassi potrebbero salire vanificando il lavoro del governo e deprimendo ulteriormente l'economia.
Ma può anche darsi che il mercato non risenta molto del downgrade, come successo venerdì. Potremmo scoprire che il downgrade di S&P era previsto e prevedibile, che è considerato temporaneo o anche che, paradossalmente, il downgrade rafforza Monti e le sue politiche, perché dice ai politici che non ci sono alternative.
Difficile dirlo. Perché la bocciatura dell'Italia non significa solo un giudizio negativo che tocca l'orgoglio nazionale, ma comporta conseguenze potenzialmente molto pericolose.
I regolamenti della CONSOB stabiliscono limiti al possesso di obbligazioni da parte di fondi, sicav ecc in relazione al grado di rischiosità dei titoli. Più sono inaffidabili, meno i vari soggetti che gestiscono il risparmio possono detenerne.
Dunque il doppio downgrade dei titoli di stato significa che in molti dovranno liberarsi dei nostri titoli, facendo salire ancora di più lo spread e forse provocando un aumento dei tassi richiesti alla prossima asta da chi presta soldi al nostro Stato.
Un pericolo, che giustifica prese di posizione politiche e forse provocherà altre conseguenze. La Consob potrebbe intervenire per sospendere le regole attuali o modificarle e la BCE potrebbe decidere di intervenire pesantemente nel mercato secondario dei titoli di Stato, sparando le cartucce risparmiate nelle ultime 2-3 settimane.
In caso contrario si rischia davvero molto: i tassi potrebbero salire vanificando il lavoro del governo e deprimendo ulteriormente l'economia.
Ma può anche darsi che il mercato non risenta molto del downgrade, come successo venerdì. Potremmo scoprire che il downgrade di S&P era previsto e prevedibile, che è considerato temporaneo o anche che, paradossalmente, il downgrade rafforza Monti e le sue politiche, perché dice ai politici che non ci sono alternative.
14 gennaio 2012
Mario Deaglio
Su La Stampa di oggi, l'economista Mario Deaglio, marito del ministro Fornero, racconta del tassista bolognese che, intervistato da un giornalista di Report, ha spiegato che lui evade tutto il possibile, almeno il 40% del reddito effettivo o forse anche il 60-70%.
Un atteggiamento che non lascia dubbi sull'esistenza di un'evasione diffusa e superiore alle aspettative e spinge Deaglio a scrivere: "nella posizione del tassista probabilmente si trova gran parte dell'artigianato e del piccolo commercio, all'incirca 3-4 milioni di lavoratori: sui loro redditi effettivi governi di ogni colore hanno, pressochè da sempre, chiuso bonariamente un occhio".
L'economista torinese aggiunge poi che la loro è un'"evasione difesiva", messa in atto per sostenere un tenore di vita che sentono sfuggire tra le mani. Subito dopo però osserva: "l'Italia non può andare avanti così: siamo davanti a una questione aritmetica prima che a una questione etica" perchè il debito pubblico è un problema e se non cambia meccanismi sociali come quelli legati all'evasione difensiva, l'Italia non troverà più chi le presti, a un tasso di interesse accettabile, le risorse finanziarie che le servono per far quadrare i conti".
Insomma, occorre affrontare di petto i guai italiani, a cominciare dall'evasione realizzando "una revisione realistica delle loro dichiarazioni dei redditi".
Non si può che essere d'accordo con quanto scrive Deaglio. Che tuttavia nel libro "Liberista? Liberale" del 1996 (ed. Donzelli) sembrava avere un'opinione diversa.
Ricordando una crisi simile all'attuale, nei primi anni '90, Deaglio osserva (pagina 90): "il mondo politico commise l'errore di ritenere valida un'immagine stereotipata del lavoro autonomo e in particolare del commerciante, come evasore tout court...istituì quindi la minimum tax, dal sapore..punitivo..Il governo mostrava di non credere che esistesse un rilevante numero di piccoli commercianti con redditi netti inferiori a un milione e mezzo al mese. Sbagliava e sbagliava duramente".
A sbagliarsi erano invece l'economista torinese e, soprattutto, chi per troppo tempo ha strizzato l'occhio agli evasori, evitando di chieder loro un atteggiamento un pò più responsabile e di pagare di più.
11 gennaio 2012
Liberismo italo-spagnolo: Una Storia di Fallimenti e Bugie
Tanto in Italia come in Spagna secondo me la crisi non ha fatto altro che decretare il fallimento delle politiche liberiste.
Infatti l'Italia fino a poco tempo fa era governata da personaggi che non potevano sentir parlare d'imposte senza soffrire attacchi d'orticaria su tutto il corpo.
Finchè ha potuto Tremonti è andato avanti solamente a suon di tagli lineari, quando poi la situazione era disperata i vari aumenti d'IVA, accise sulla benzina, mini-contributo di solidarietà...Non erano certo sufficienti.
Risultato: fallimento del governo con dimissioni di Berlusconi.
Finchè ha potuto Tremonti è andato avanti solamente a suon di tagli lineari, quando poi la situazione era disperata i vari aumenti d'IVA, accise sulla benzina, mini-contributo di solidarietà...Non erano certo sufficienti.
Risultato: fallimento del governo con dimissioni di Berlusconi.
La Spagna attualmente è governata da un partito che dall'inizio della crisi ad oggi, non ha fatto altro che protestare contro tutte le manovre della Salgado (Maria Elena Salgado era la ministro dell'economia spagnola).
Le accuse della destra s'aggrappavano all'aumento della pressione fiscale (di solito incrementata gravando sui redditi più alti, eccezion fatta per l'aumento dell'IVA che comunque in Spagna rimane tra i più bassi d'Europa..18%).
D'altro canto veniva contestata però anche da "sinistra" per via dei tagli, (alcuni oggettivamente criticabili).Le accuse della destra s'aggrappavano all'aumento della pressione fiscale (di solito incrementata gravando sui redditi più alti, eccezion fatta per l'aumento dell'IVA che comunque in Spagna rimane tra i più bassi d'Europa..18%).
Non solo. Oltre alle proteste riguardanti le ultime manovre contro gli aumenti d'imposte, c'è da dire l'attuale maggioranza ha strutturato l'intera campagna elettorale sul dibattito della pressione fiscale.
Alternando rassicurazioni come "non aumenteremo le imposte" a promesse utopiche che sostenevano che le avrebbero tagliate.
Un'altra delle preoccupazioni del Partido Popular poi era anche quella di chiarire ai propri elettori che avrebbero sì imposto austerità e pareggio di bilancio, ma non a scapito dello Stato-Sociale.
Quello, tranquillizzava il buon Mariano, non lo avrebbero toccato (in compenso parlano di chiudere centinaia di enti pubblici di vario tipo...).
Come ha debuttato il nuovo governo azzurro (il colore della destra spagnola, tra l'altro ripreso dai franchisti)?
Con aumenti di IRPF (irpef in Italia), ed IBI (Impuesto Bienes Inmuebles, corrispondente all'ex-ICI ormai diventata IMU in Italia) per tutte le fasce di reddito.
E con ridimensionamento della LAPAD, la Ley de Dependencia del 2006, pietra angolare della legislatura di Zapatero, che aveva rappresentato un salto di qualità notevole dello Stato Sociale spagnolo, (sarebbe molto lunga da spiegare, ma diciamo che per esempio riconosce tutta una serie di prestazioni dei servizi sociali come esigibili, come un diritto soggettivo, impossibili da tagliare o da negare per le amministrazioni pubbliche).
Ma come? Capisco benissimo la situazione, che di colpo la Spagna è passata dal 6% che era stato previsto, all'8% di deficit. Capisco l'emergenza.
Allora però non avrebbero dovuto mentire fino ad ora.
Perchè tutte le promesse fatte fino al giorno prima di non toccare imposte e Stato Sociale che senso avevano se poi si rinnegano anche solo per recuperare 9 miliardi (cifra irrisoria rispetto a quanto dovrà recuperare la Spagna ed in breve tempo), come possono venire rinnegate così già al debutto?
E tutti quei discorsi, triti e ritriti durante tutto l'ultimo governo del PSOE, che le imposte fanno solo deprimere ancora di più l'economia senza risolvere niente ecc ecc?
Possiamo dire quindi a tutti i milioni di elettori che hanno votato Rajoy che ormai è ufficiale: sono stati presi in giro.
Insomma, a quanto pare le ricette liberiste sono così fallimentari che i loro più fanatici sostenitori non le riescono ad applicare nemmeno quando dominano il parlamento con una maggioranza assoluta monocolore.
La fine di un'era?
10 gennaio 2012
Ci scusi Prof. può rispiegare?
Mario Monti, come accennato su questo blog, aveva ed ha di fronte a sé un incarico titanico: dal risanamento dei conti pubblici alla lotta all'evasione, fino, in ultimo, a far sentire di nuovo la voce di uno dei membri fondatori dell'Unione Europea, quale è il nostro.
I drammi che già affliggono il nostro paese sembrerebbero lasciare ben poco tempo per pensare ad altro, e difatti si è sempre proceduto in questo modo: prima gli affari nostri, e poi, se va bene, anche quelli europei. Va da sé che le immagini degli ultimi giorni andrebbero scolpite nella memoria collettiva, mi riferisco a quelle in cui finalmente un rappresentante presentabile ha iniziato a spezzare la diarchia deleteria francocrucca.
L'egoismo conservatore a cui ci avevano abituato i due incalliti politicanti da strapazzo, Sarkozy e Merkel, si dovranno ora scontrare con un capo di governo della terza economia dell'eurozona, membro fondatore e con prestigio personale e politico (europeo), da farli meritatamente sfigurare. Il richiamo ad una maggiore apertura da parte dei tedeschi è diventata una battaglia italiana, finalmente.
L'intervento su cui Monti si dovrà spendere maggiormente riguarda la fase di riscrittura dei Trattati istitutivi, tasto delicatissimo, come si può presupporre.
In particolare, quello che (finalmente, si, non mi stanco di enfatizzarlo) Italia e Francia dovranno far passare alla signorina Rottermaier, prende il nome di "relevant factors", o circostanze attenuanti inerenti il sistema di calcolo del debito pubblico e del relativo rapporto, parametro questo che non si discute, presente già da Maastricht.
L'egoismo conservatore a cui ci avevano abituato i due incalliti politicanti da strapazzo, Sarkozy e Merkel, si dovranno ora scontrare con un capo di governo della terza economia dell'eurozona, membro fondatore e con prestigio personale e politico (europeo), da farli meritatamente sfigurare. Il richiamo ad una maggiore apertura da parte dei tedeschi è diventata una battaglia italiana, finalmente.
L'intervento su cui Monti si dovrà spendere maggiormente riguarda la fase di riscrittura dei Trattati istitutivi, tasto delicatissimo, come si può presupporre.
In particolare, quello che (finalmente, si, non mi stanco di enfatizzarlo) Italia e Francia dovranno far passare alla signorina Rottermaier, prende il nome di "relevant factors", o circostanze attenuanti inerenti il sistema di calcolo del debito pubblico e del relativo rapporto, parametro questo che non si discute, presente già da Maastricht.
Come si può leggere qui, le «attenuanti», che non erano state inserite nella prima bozza del Trattato intergovernativo, sono spuntate nell'ultimo draft del documento: ora l’articolo 4 del Trattato, che dispone la «regola del debito », prevede un riferimento esplicito al regolamento 1177/2011 in base al quale devono essere considerate le attenuanti nel calcolo delle procedure di rientro dal debito.
I “relevant factors” ci vedono in vantaggio: si va dalla sostenibilità del sistema pensionistico alla ricchezza privata. Di conseguenza, secondo le prime valutazioni di ambienti governativi, la traduzione in cifre delle «attenuanti» ridurrebbe la base di partenza del nostro debito di 30 punti percentuali, dal temibile 120 per cento del Pil al virtuale 90 per cento.
I “relevant factors” ci vedono in vantaggio: si va dalla sostenibilità del sistema pensionistico alla ricchezza privata. Di conseguenza, secondo le prime valutazioni di ambienti governativi, la traduzione in cifre delle «attenuanti» ridurrebbe la base di partenza del nostro debito di 30 punti percentuali, dal temibile 120 per cento del Pil al virtuale 90 per cento.
A ciò va aggiunta la pressione italiana per inserire nel Trattato l’impegno alla crescita, la creazione di posti di lavoro e l’allargamento del mercato interno (criteri non dissimili da quelli perseguiti da un governo federale, come potrebbe essere quello USA, e competenze in più per la BCE, in analogia con la FED), è incappato nello stop di Germania e Paesi del Nord. Fortunatamente l’idea che senza crescita non si va da nessuna parte è ben radicata nel governo. Va detto inoltre che è già arrivato un no, sullo scorporo della spesa per investimenti dal deficit-Pil, cosa che dovrebbe essere fatta senza dubbi e ripensamenti.
Quello che aspetta Monti è un lavoro molto delicato e difficile, tanto da spingerlo ad andare a Bruxelles per tastare personalmente il terreno, circa il lavoro da portare avanti riguardo al trattato. Se il nuovo trattato conterrà dispozioni più stringenti per la elaborazione dei bilanci degli stati (vede questione sulle landbank tedesche, i cui debiti non rientrano nel debito pubblico nonostante siano pubbliche ed abbiano garanzia federale ---> AAA come rating, e da parte nostra la CassaDDPP), avremo tutto da guadagnarci; qualcun altro, tipo UK, potrebbero invece rivelarsi peggio di quanto non siano già ora.
C'è da sperare che riesca nel suo intento. Personalmente spero che ci riesca; considero positivo il fatto che il cambio che abbiam avuto al governo possa innescare risultati soddisfacenti a livello europeo, dove, è un dato di fatto, la latitanza del nostro paese si è fatta sentire progressivamente di più in questi anni.
08 gennaio 2012
Spread, Bund e BTP
Da qualche mese parole come spread, bund, BTP e tassi di interesse sul debito sono diventate parole molto frequenti nel parlare comune. Ma cosa c'è dietro tutte queste sigle?
Con un esempio, che spero di rendere comprensibile a tutti, cercherò di chiarire il meccanismo della formazione dei tassi.
Dovrò operare delle semplificazioni per chiarezza e semplicità. chi è interessato ad una puntuale e rigorosa, sebbene complessa, esposizione dell'argomento può approfondire sul sito del ministero del tesoro.
Quindi, per semplicità supporremo la vendita di un titolo annuale (per evitare i calcoli degli interessi composti) del valore di 1.000 Euro, dove il tesoro di vari stati europei offre un interesse del 2% (cioè 20 Euro).
Partiamo dalle origini: il fabbisogno dello stato. In termini semplici il fabbisogno dello stato sono i soldi che servono allo stato per far fronte a tutte le spese. Cioè per pagare stipendi pubblici, pensioni, ecc. ecc. tutto.
Se allo stato non bastano i soldi in entrata, cioè le tasse o gli altri introiti, deve chiedere in prestito soldi ad altri soggetti, pubblici (altri stati ad esempio) o privati (banche o semplici cittadini) e per farlo emette titoli di stato che poi rimborsa alla scadenza pagando un interesse. Lo stato quindi emette BOT, BTP, CTZ e CCT, rimborsando alla scadenza il capitale, l'interesse in tempi variabili (ogni 6 mesi o annualmente).
Nel nostro esempio supponiamo che capitale ed interessi siano rimborsati tutti insieme alla fine dell'anno.
Poniamo ora che la Germania emetta il titolo (bund). Per acquistarlo si forma un'asta a cui partecipano solo soggetti abilitati (in genere banche). Il titolo viene aggiudicato alla pari, a 1000.
Cioè un titolo del valore nominale di 1000 viene venduto a 1000, la Germania incassa 1000. Dopo un anno la Germania rimborsa il bund, pagando valore nominale e interessi. Cioè paga 1000 + 10 = 1010.
La Germania ha incassato 1000, pagato 1010, la differenza è 10. Il quoziente tra la differenza e il valore incassato è pari a 10/1000 = 0,1. Cioè l'1%.
In termini tecnici il tasso di interesse pagato dalla Germania è pari all'1%, pari a 100 punti base: un punto base è uguale allo 0,01%. 100 punti base = 1%.
Poi passiamo alla Francia. I titoli francesi vengono ritenuti meno affidabili dei tedeschi, quindi nessuno li vuole alla pari, quindi vengono venduti non a 1000, ma a 998.
Quindi la Francia incassa 998. Alla scadenza però dovrà pagare sempre 1000 + 10 di interessi.
1010 - 998 = 12. 12/998 = 1,20%.
Il tasso di interesse francese sui titoli sarà dello 1,20% e lo spread (cioè il differenziale) con i bund tedeschi è pari a 20 punti base (cioè lo 0,20%).
Passiamo ora alla Spagna. I suoi titoli sono venduti a 980, quindi di nuovo al rimborso sarà 1010 - 980 = 30. 30/980 = 3,06%. Lo spread è salito a 206.
Qui si evidenzia inoltre un altro problema: lo stato incassa meno del previsto. Se rapportiamo tutto alle cifre reali, cioè a miliardi di euro, il risultato sarà che lo stato dovrà emettere altri "bonos" (titoli spagnoli) per finanziarsi.
Veniamo infine all'Italia. L'Italia vende titoli del valore nominale di 1000 a 950. Quindi incassa 950 e rimborsa 1010, con una differenza di 60, 60/950 = 6,32%. Lo spread è a 5,32%, cioè è volato a 532 (per usare una forma molto giornalistica di effetto).
E' chiaro quindi che in questi termini la situazione non è sostenibile a lungo: i rimborsi diverrebbero insostenibili. Va però considerata anche un'altra cosa: lo spread che sentiamo giornalmente sui telegiornali sui BTP a 10 anni, in realtà è solo virtuale. E' cioè lo spread calcolato sugli scambi sul mercato secondario, perchè i titoli di stato una volta comprati dallo stato si possono poi vendere a qualunque valore (alla pari, sotto o pure sopra la pari).
Lo spread che conta è quello del giorno dell'emissione, ma se il tesoro non emette BTP, ma punta su bot triennali, il cui rendimento è molto più basso, lo spread che tanto ci assilla potrebbe rimanere solo virtuale.
06 gennaio 2012
Le origini fasciste della sovranità monetaria
Perché il tema del signoraggio piace tanto all'estrema destra?
Forse perché non è altro che una vecchia idea fascista, come suggerisce un articolo del La Stampa del 24 maggio 1973. Quel giorno il quotidiano torinese ha pubblicato a pagina 2 un articolo, intitolato "In un giornale i progetti per un governo fascista".
Nell'articolo si racconta di una rivista dell'estrema destra, Rivolta del popolo, che descrive una riunione di 7 anni prima di Raggruppamento italico, una piccola associazione di estrema destra guidata da Alberto De Stefani, ministro fascista tra il 1922 e il 1925 e fedelissimo di Mussolini.
Oltre all'ex ministro fascista fanno parte di Raggruppamento italico due onorevoli, Gorgini e Gonella e tre reggenti: G.Auriti, A. Milani e P. Sella di Monteluce.
Il gruppo di reggenza di Raggruppamento Italico -si spiega nella rivista- ha deliberato di rivendicare..."l'intangibilità della sovranità nazionale, vulnerata dalla cessazione della sovranità monetaria", ma anche "l'illegittimità delle clausole del trattato di pace" e di "additare alla nazione i responsabili di ogni rinuncia di sovranità come traditori del mandato politico o burocratico e come complici dello straniero per le punizioni conseguenti alle leggi di guerra che dovranno essere ripristinate".
Dunque la sovranità monetaria era parte di un programma fascita a metà degli anni '60, come osserva il giornalista: "leggendo attentamente questi documenti si ritrova tutto il programma del fascismo: un'economia tipicamente italiana , un nazionalismo acceso, l'introduzione dei programmi speciali di ben triste memoria".
E conclude: "A prima vista potrebbero sembrare farneticazioni. Alcuni nomi che vi compaiono, però, lasciano non solo sorpresi ma sgomenti" (De Stefani e il missino Giuseppe Gonella).
46 anni dopo poco è cambiato. C'è ancora chi rivendica ancora la sovranità monetaria e sogna di spazzare via i traditori. Riciclando vecchie idee di un passato vergognoso.
05 gennaio 2012
Tra populismo e realtà.
La scorsa primavera il risultato del Movimento 5 Stelle in Emilia Romagna ha fatto scalpore. Il partito di Grillo ha ottenuto più voti dell'IDV, quasi il doppio dell'UDC. Due gli eletti in consiglio regionale, Favia e Defranceschi.
Tra i cavalli di battaglia del M5S c'è il taglio dei finanziamenti ai giornali, contro cui Grillo ha organizzato una delle sue grandi riunioni di piazza, il VDay.
L'idea, un po' populista, di risolvere i problemi solo col taglio dei costi deve fare i conti con la realtà, fatta di persone in carne e ossa che rischiano il lavoro.
Così Defranceschi ha chiesto alla Regione di difendere i lavoratori dell'Unità di Bologna, attirandosi le critiche dei duri e puri del movimento, primo fra tutti il comico genovese, che ha spiegato a Defranceschi che deve cambiare idea o andarsene.
De Franceschi, come spiega Repubblica (vedi qui), a sua volta ha attaccato il collega del comune, Bugiani, sul tema della gestione dei soldi a cui rinunciano i consiglieri regionali. Il disaccordo riguarda l'interpretazione del principio enunciato da Grillo, i soldi siano gestiti dagli eletti.
Insomma, è facile enunciare principi eleganti. Difficile applicarli. Tra il dire e il fare c'è di mezzo la realtà e chi la interpreta sovente ha le idee confuse.
Tra i cavalli di battaglia del M5S c'è il taglio dei finanziamenti ai giornali, contro cui Grillo ha organizzato una delle sue grandi riunioni di piazza, il VDay.
L'idea, un po' populista, di risolvere i problemi solo col taglio dei costi deve fare i conti con la realtà, fatta di persone in carne e ossa che rischiano il lavoro.
Così Defranceschi ha chiesto alla Regione di difendere i lavoratori dell'Unità di Bologna, attirandosi le critiche dei duri e puri del movimento, primo fra tutti il comico genovese, che ha spiegato a Defranceschi che deve cambiare idea o andarsene.
De Franceschi, come spiega Repubblica (vedi qui), a sua volta ha attaccato il collega del comune, Bugiani, sul tema della gestione dei soldi a cui rinunciano i consiglieri regionali. Il disaccordo riguarda l'interpretazione del principio enunciato da Grillo, i soldi siano gestiti dagli eletti.
Insomma, è facile enunciare principi eleganti. Difficile applicarli. Tra il dire e il fare c'è di mezzo la realtà e chi la interpreta sovente ha le idee confuse.
04 gennaio 2012
Il crollo di Unicredit e i libici
Perché il valore delle azioni Unicredit oggi è sceso di oltre il 14%, dopo che s'è riunito il consiglio di amministrazione per decidere le modalità dell'aumento di capitale, previsto da mesi?
Facciamo un passo indietro. Il titolo Unicredit valeva, qualche mese fa, tra 65 centesimi e poco più di un euro, dopo aver raggiunto, alcuni anni fa, un valore superiore ai 6 euro. In pratica ha perso in pochi anni tra il 75% e il 90% del valore, anche se il prezzo delle azioni di qualche anno fa era esagerato.
Nell'ultima parte del 2011 l'annuncio di perdite elevate, in seguito alla svalutazione di alcune partecipate, e la necessità di aumentare il capitale ha spinto il titolo fino a circa 65 centesimi.
Il 27 dicembre poi c'è stato il raggruppamento delle azioni: si sono sostituite 10 azioni vecchie con 1 nuova. Il prezzo di conseguenza s'è decuplicato: da 69 centesimi circa a 6,9. Ma il valore delle azioni Unicredit non è rimasto fermo: è sceso prima a circa 6,3 euro e oggi a 5,41 euro l'una, con un impressionante -14%.
La ragione è presto detta: si chiede a chi possiede un'azione di comprarne altre 2 al prezzo di 1,943 euro ciascuna. Chi non ha intenzione di sottoscrivere l'aumento di capitale, fa meglio a vendere le proprie azioni. Per questo motivo il prezzo è crollato di oltre il 14% in un solo giorno.
Gli azionisti che contano, invece, come le fondazioni bancarie, hanno deciso di aderire all'aumento del capitale. Nei comunicati di Unicredit non c'è traccia dei libici, che possiedono una quota rilevante della banca. Le azioni non sottoscritte saranno acquistate da un consorzio di una ventina di banche internazionali che forse ridisegneranno gli equilibri del potere nella banca italiana, a scapito di chi, piccoli azionisti compresi, non è intenzionato a sottoscrivere l'aumento di capitale e non ha ancora ceduto le proprie azioni.
03 gennaio 2012
Equitalia: un po' di chiarezza
Scrivo questo post nell'intento di fare un po' di chiarezza sul ruolo di Equitalia, la ormai famigerata agenzia statale di riscossione.
Innanzitutto Equitalia è una società pubblica, posseduta dallo Stato, per il 51% dall'Agenzia delle Entrate e per il 49% dall'INPS.
Il suo compito è incassare le somme accertate a titolo definitivo da Agenzia delle entrate e INPS istituzionalmente, poi di incassare anche le somme accertate da comuni, regioni, province, Camere di commercio ecc. ecc.
In sostanza è il braccio armato dello stato per l'incasso. Con una novità: dal 1/1/2012 Equitalia non agirà più per i comuni, quindi niente più Equitalia per IMU, TARSU, TOSAP e altre multe comunali.
Per capire il malcontento dei contribuenti devo però partire da molto più indietro, quindi perdonate il discorso lungo, ma per capire fino in fondo bisogna conoscere le cause del malcontento.
Partiamo dal caso fisiologico, poi passerò a quello patologico.
Quando un'azienda va male, comincia a non pagare e ad accumulare debiti. Orbene, per un imprenditore non tutti i debiti sono uguali, ma hanno una priorità ben precisa:
1. Stipendi dei dipendenti
2. Utenze
3. Fornitori
4. Contributi dei dipendenti
5. Tasse
6. Banche
Ovviamente non considero nemmeno la remunerazione dell'imprenditore. Quindi oltre le banche con le quali l'indebitamento è cronico e istituzionale, le tasse sono l'ultima priorità. Partiamo da un esempio (reale) ed esaminiamo il caso (molti altri esempi veri, qui):
I miei clienti non mi pagano (pubblici o privati), di conseguenza non riesco ad avere i soldi per pagare tutto: poniamo che non pago il saldo dell'IVA della dichiarazione dei redditi anno 2010 di Euro 15.000. Il saldo è dovuto entro il 16 Luglio 2011, ma senza soldi non lo pago. Nel corso del 2012, l'Agenzia delle Entrate (l'ente impositore) mi invia un preavviso telematico dicendomi che non ho pagato il saldo IVA, quindi devo pagare l'imposta dovuta più una sanzione del 10%, più gli interessi legali, in totale circa 16.875 Euro.
Poniamo che non ho ancora i soldi, ma sottolineo che a questo punto è già possibile rateizzare l'importo fino a 72 rate. A questo punto, dopo circa 6 mesi l'Agenzia delle Entrate mi invia un avviso di accertamento (si chiama così...) dove le sanzioni sono passate al 30% e sono passati circa 2 anni, quindi la cifra sarà lievitata a 20.250 euro. Se non pago, la pratica passa a Equitalia. Dopo circa altri 6 mesi arriva la cartella esattoriale su cui è calcolato l'aggio di Equitalia del 10%.
Bisogna considerare, a torto o a ragione, che i dipendenti di Equitalia sono pagati con questo aggio e la cifra lieviterà fino a circa 22.500 Euro, considerato aggio e interessi.
Se non pago dopo 6 mesi la cartella diventa esecutiva e Equitalia può attivarsi con tutti i mezzi che ha a disposizione per recuperare la cifra.
Quindi potrà iscrivere ipoteca sull'abitazione dell'imprenditore, effettuare il blocco amministrativo delle autovetture, pignorare stipendi (fino al 20%), pignorare conti correnti, compensare con imposte a credito, pignorare azioni o quote sociali (raro).
Quindi voi potete immmaginare la situazione di un imprenditore (onesto) che si vede spogliato di tutto a causa di clienti morosi, ancor più se il suo cliente è lo stesso stato. Purtroppo non si possono compensare le cartelle con i crediti verso lo stato.
Inoltre vanno considerati altri fattori:
1. se l'avviso di accertamento è sbagliato o contestabile, bisogna ricorrere in commissione tributaria, ma ciò costa e comunque se il giudice non concede la sospensione dell'esecutività della cartella il procedimento descritto sopra va avanti, anche se magari alla fine si vince in giudizio!
2. Equitalia riceve avvisi da una moltitudine di Enti, ma si limita a riscuotere, quindi è completamente ignorante nel merito: se arriva una cartella pazza, andare da Equitalia a discutere è completamente inutile: bisogna andare dall'Ente che l'ha emessa. Magari l'ente non risponde e Equitalia procede. Se si tratta di cifre piccole, tipo 100 Euro alla fine conviene pagare e lasciare perdere!!!!!!
3. Equitalia spesso invia cartelle a tutti gli obbligati in solido, con il risultato che spesso incassa più volte, guardandosi bene però dal restituire alcunchè!
4. Se un soggetto ha una moltitudine di sanzioni da molti enti diversi: multe, camera di commercio, contributi, tasse, vengono generati una moltitudine di avvisi, ma poi Equitalia li incasella nelle proprie cartelle secondo criteri temporali propri, quindi quando si paga non si sa nemmeno cosa si paga. Cioè non posso pagare solo i contributi sospesi. O meglio, si potrebbe, ma bisogna andare in causa con tempi biblici. Inoltre la comprensione è decisamente ardua: perchè Equitalia non entra nel merito e gli enti non sanno come Equitalia incasella le cartelle!!!
5. Il problema delle iscrizioni di ipoteche "facili" è stato ultimamente corretto e il limite minimo è stato portato a 8000 Euro elevato a 20.000 per la prima casa. Però esistono problemi concreti di notifica: a molti è stata iscritta ipoteca senza che ne sapessero niente, solo perché magari la raccomandata è stata firmata dal portiere.
In definitiva, come ho scritto, Equitalia è una pistola carica, pronta a sparare però solo sui più deboli: se io intesto la mia ricchezza mobile e immobile a una società di capitali (tanto per fare un esempio facile), dove sono socio al 40% e mio figlio detiene il 60%, delle cartelle di Equitalia potrò farne tranquillamente un falò, anche perchè anche se mi dovesse pignorare la quota, l'amministratore (io) avrò cura di vendere tutto e far sparire tutto cedendo a una fiduciaria estera.
Questo che ho appena fatto è un esempio di caso patologico. Potrei farne anche altri dimostrando come Equitalia sia poi impotente contro le intestazioni fittizie o i capitali all'estero, ma temo che rischierei di scadere in una squallida lista di trucchi e trucchetti, anche se indubbiamente efficaci. A questo punto si è arrivati perchè il rapporto tra accertato e riscosso era circa del 10%, in pratica le multe irrogate non le pagava quasi nessuno. adesso qualcuno le paga, ma non tutti i contribuenti sono uguali!
Forte con i deboli e debole con i forti.
02 gennaio 2012
Tagli alla difesa, finalmente?
Il tema degli sprechi militari ha raggiunto giornali (per es. il messaggeroo vedi qui) e tv nazionali (tg de La7).
Repubblica (vedi qui) racconta di 180 mila dipendenti del ministero della difesa, che spende oltre 24 miliardi l'anno per stipendi e armi.
Il ministro della difesa pensa a un piano che taglierebbe nel tempo dai 50 ai 90 mila uomini, ma per ora non vuole rinunciare all'acquisto di 131 aerei prodotti dalla Lockheed. La spesa prevista è di 15 miliardi, ma Repubblica spiega che il costo salirà a 200 milioni per ogni velivolo (e quindi 26 miliardi in totale) perchè l'aereo è pieno di difetti e occorre spendere molto per correggerli.
Una parte del lavoro si farà anche in Italia, ma sono briciole: 600 posti di lavoro a Cameri (in provincia di Novara) in ossequio agli interessi politici della Lega. Davvero pochi, se si pensa che una commessa da 600 milioni da spendersi in tre anni per costruire blindati significa 2000 posti di lavoro.
Tagliamo finalmente la spesa militare? Molti politici storcono il naso, ma se una mega-commessa è costosissima e crea pochi posti di lavoro, c'è da sperare che sia la volta buona. Dopo lo tsunami di imposte che ha colpito gli italiani, servirebbe un taglio significativo delle spese inutili.
Di sicuro non è positivo che il ministro della Difesa sia un ammiraglio che ha firmato importanti accordi internazionali, mentre è confortante che altri paesi stiano rinunciando all'acquisto degli stessi aerei, come racconta Altraeconomia (vedi qui) secondo cui non sono previste penali tali da rendere sconveniente l'uscita dal programma di acquisto.
Repubblica (vedi qui) racconta di 180 mila dipendenti del ministero della difesa, che spende oltre 24 miliardi l'anno per stipendi e armi.
Il ministro della difesa pensa a un piano che taglierebbe nel tempo dai 50 ai 90 mila uomini, ma per ora non vuole rinunciare all'acquisto di 131 aerei prodotti dalla Lockheed. La spesa prevista è di 15 miliardi, ma Repubblica spiega che il costo salirà a 200 milioni per ogni velivolo (e quindi 26 miliardi in totale) perchè l'aereo è pieno di difetti e occorre spendere molto per correggerli.
Una parte del lavoro si farà anche in Italia, ma sono briciole: 600 posti di lavoro a Cameri (in provincia di Novara) in ossequio agli interessi politici della Lega. Davvero pochi, se si pensa che una commessa da 600 milioni da spendersi in tre anni per costruire blindati significa 2000 posti di lavoro.
Tagliamo finalmente la spesa militare? Molti politici storcono il naso, ma se una mega-commessa è costosissima e crea pochi posti di lavoro, c'è da sperare che sia la volta buona. Dopo lo tsunami di imposte che ha colpito gli italiani, servirebbe un taglio significativo delle spese inutili.
Di sicuro non è positivo che il ministro della Difesa sia un ammiraglio che ha firmato importanti accordi internazionali, mentre è confortante che altri paesi stiano rinunciando all'acquisto degli stessi aerei, come racconta Altraeconomia (vedi qui) secondo cui non sono previste penali tali da rendere sconveniente l'uscita dal programma di acquisto.
01 gennaio 2012
2012: cosa ci attende?
Il 2012 è l'anno della fine del mondo, secondo i Maya. Ma per chi pensa che si siano sbagliati, è l'anno di Monti e dei sacrifici. IMU, imposte varie, un pò di tagli... Come andrà a finire?
Si possono disegnare due scenari, uno pessimista e uno ottimista.
Lo scenario pessimista è da tragedia greca: gli italiani, travolti dalle imposte, diminuiranno fortemente i consumi e l'Italia finirà in una pesante recessione. Il PIL scenderà almeno del 2% e i conti pubblici saranno peggiori del previsto.
I mercati finanziari non gradiranno e chiederanno alti tassi di interesse per finanziare il nostro debito pubblico. Il peggioramento dei conti pubblici richiederà ulteriori sacrifici, come l'aumento dell'IVA, che deprimeranno i consumi e quindi il PIL. Si renderanno necessari ulteriori sacrifici, come in Grecia, senza apparenti vie d'uscita.
Lo scenario ottimista dice che dopo 3-6 mesi recessivi, l'economia migliorerà, i conti pubblici andranno bene, il PIL risalirà, i tassi scenderanno e non serviranno altri interventi sui conti pubblici.
La verità, forse, sta nel mezzo: a mio parere dobbiamo aspettarci un inizio d'anno difficile, con consumi e PIL in calo, ma, se si verificano alcune condizioni, i conti pubblici e il PIL potrebbero andare meglio del previsto.
Quali condizioni?
Serve collocare, in primo luogo, titoli di stato a tassi contenuti. E' possibile, come suggeriscono i collocamenti dei giorni scorsi, e in questo caso i conti pubblici tirerebbero il fiato. Se succederà, gran parte del merito sarà della BCE intervenuta per rendere liquide le banche.
Un altro beneficio per i conti pubblici potrebbe arrivare dalle misure anti-evasione: il governo non ha previsto per il 2012 alcun maggiore introito fiscale dovuto alla lotta evasione e quindi potrebbe esserci una sorpresa positiva per le casse dello Stato.
Altre risorse potranno arrivare dai tagli a talune spese, come quelle per la difesa, rinviati per mancanza di tempo.
Infine c'è la partita europea. In Francia sono previste elezioni e una sconfitta di Sarkozy potrebbe essere utile a cambiare le sfortunate politiche economiche europee, con effetti positivi sui tassi di interesse.
Monti deve fare i conti con la scelta avventata di Berlusconi, che, alla ricerca di un pò di credibilità, ha promesso di pareggiare i conti nel 2013. Obiettivo non necessario e troppo ambizioso. E' possibile accordarsi per una disciplina di bilancio meno ferrea, riducendo di conseguenza i sacrifici richiesti agli italiani.
Insomma il 2012 promette imposte, sacrifici e recessione, ma è anche possibile che alla fine sia meno peggio di quel che sembra: se le entrate saliranno più del previsto e si riuscirà a tagliare qualche spesa inutile, i sacrifici saranno attenuati e la recessione sarà meno severa.
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