Negli ultimi giorni mi hanno incuriosito una puntata delle Iene e una notizia.
La trasmissione le Iene s'è occupata imprenditori italiani interessati a trasferire le loro aziende in crisi in Svizzera, nel cantone di Vaud, che offre servizi efficienti, poca burocrazia e basse imposte e organizza incontri per stimolare gli stranieri a trasferirsi da loro.
Non è una novità. La Svizzera ha sempre accolto chi portava soldi in banca e competenze nelle imprese. Già nel medioevo accoglieva artigiani di mezza Europa che davano fastidio ed erano perseguitati con la scusa di praticare una variante religiosa diversa.
Ma oggi pare una contraddizione: perchè un territorio cerca imprese se è molto più competitivo, come suggeriva il programma di Italia1?
Per rispondere alla domanda passiamo alla notizia: un'azienda di Ascona, nel canton Ticino, ha aumentato gli stipendi ai dipendenti, ma solo agli svizzeri. Non agli italiani che ogni giorno attraversano il confine.
Il franco svizzero sta guadagnando valore rispetto all'euro e quindi gli italiani, secondo l'impresa ticinese, hanno già avuto un aumento di stipendio, calcolato in euro.
Il franco svizzero è considerato una valuta sicura, da comprare nei momenti difficili. Gli acquisti di franchi, che fanno salire il valore del franco rispetto alle altre monete, mettono però in crisi le esportazioni delle aziende svizzere e rendono più convenienti le importazioni dall'estero.
Se la Svizzera è più efficiente, se c'è meno burocrazia, se ci sono meno imposte da pagare e se i cantoni possono offrire condizioni vantaggiose a chi investe, è anche vero che tutto ciò attira capitali e che la rivaluazione del franco svizzero mette in difficoltà le imprese.
Il paese ideale non c'è. Ciò che determina il successo di un territorio può anche provocare difficoltà e si sbaglia chi pensa che l'erba del vicino sia sempre più verde.
28 febbraio 2011
25 febbraio 2011
Il derby degli utili
Moratti e Berlusconi sono imprenditori di aziende medio-grandi e presidenti delle due squadre di calcio milanesi, in lotta per lo scudetto.
Ma mentre nel calcio li dividono pochi punti e poche posizioni, nel calcolo degli utili incassati dalle loro aziende la differenza è notevole e tutta a favore di Berlusconi che incassa 118 milioni di euro in utili a cui si aggiungono somme comprese tra i 5 e i 12 milioni per ciascuno dei figli come racconta repubblica.it (vedi qui)
Al contrario la Saras dei Moratti per il secondo anno consecutivo chiude con perdite di qualche milione, nonostante la ripresa del fatturato che, con un balzo di oltre il 60%, supera gli 8 miliardi di euro. Ciò nonostante, i profitti non ci sono e difficilmente arriveranno i dividendi. Il derby dei profitti lo vince Berlusconi, quello calcistico chissà.
Ma mentre nel calcio li dividono pochi punti e poche posizioni, nel calcolo degli utili incassati dalle loro aziende la differenza è notevole e tutta a favore di Berlusconi che incassa 118 milioni di euro in utili a cui si aggiungono somme comprese tra i 5 e i 12 milioni per ciascuno dei figli come racconta repubblica.it (vedi qui)
Al contrario la Saras dei Moratti per il secondo anno consecutivo chiude con perdite di qualche milione, nonostante la ripresa del fatturato che, con un balzo di oltre il 60%, supera gli 8 miliardi di euro. Ciò nonostante, i profitti non ci sono e difficilmente arriveranno i dividendi. Il derby dei profitti lo vince Berlusconi, quello calcistico chissà.
Mediaset: ascolti in calo, pubblicità più cara
Da qualche tempo in buona parte d'Italia la tv si guarda solo se si dispone di un decoder. E' la novità della tv digitale, che interessa ormai quasi tutto il nord oltre a Sardegna, Lazio e Campania.
Ci sono più canali e cambiano i gusti degli italiani. Ci rimette di più Mediaset, i cui ascolti diminuiscono, soprattutto per gli effetti deludenti di Rete4 e Italia1, mentre la Rai si difende bene, con Rai3 che supera negli ascolti Rai2.
Di fronte a questi dati gli inserzionisti, che spendono milioni per pubblicizzare i biscotti o un nuovo televisore, si aspettano una diminuzione delle tariffe pubblicitarie. E invece Mediaset riesce ad aumentarle.
Come fa? Semplice: vende pacchetti pubblicitari. Non il singolo passaggio (uno spot alle 20.30, un altro alle 22) ma interi pacchetti che comprendono passaggi pubblicitari su diversi canali.
Vuoi uno spot alle 21.20, quando finisce Striscia la Notizia e inizia il film? E' un'orario molto interessante, ci sono molti spettatori. Bene, se vuoi quello spot devi comprare pubblicità anche su Iris o su Mediaset Extra.
Così le tariffe aumentano perchè il pacchetto di spot costa più della somma dei singoli spot.
Fino a qualche mese fa c'era una regola dell'autorità garante delle telecomunicazioni, che vietava a una sola concessionaria di pubblicità di vendere pubblicità su diverse tv. Mediaset doveva vendere tramite aziende diverse la pubblicità sui canali storici (Canale5, Rete4 e Italia1) e sulle nuove tv come Iris.
Adesso la norma è decaduta e Calabrò non l'ha rinnovata. Così arrivano i pacchetti: Mediaset controlla tramite Publitalia il 60% del mercato e ne approfitta... che strano.
Ci sono più canali e cambiano i gusti degli italiani. Ci rimette di più Mediaset, i cui ascolti diminuiscono, soprattutto per gli effetti deludenti di Rete4 e Italia1, mentre la Rai si difende bene, con Rai3 che supera negli ascolti Rai2.
Di fronte a questi dati gli inserzionisti, che spendono milioni per pubblicizzare i biscotti o un nuovo televisore, si aspettano una diminuzione delle tariffe pubblicitarie. E invece Mediaset riesce ad aumentarle.
Come fa? Semplice: vende pacchetti pubblicitari. Non il singolo passaggio (uno spot alle 20.30, un altro alle 22) ma interi pacchetti che comprendono passaggi pubblicitari su diversi canali.
Vuoi uno spot alle 21.20, quando finisce Striscia la Notizia e inizia il film? E' un'orario molto interessante, ci sono molti spettatori. Bene, se vuoi quello spot devi comprare pubblicità anche su Iris o su Mediaset Extra.
Così le tariffe aumentano perchè il pacchetto di spot costa più della somma dei singoli spot.
Fino a qualche mese fa c'era una regola dell'autorità garante delle telecomunicazioni, che vietava a una sola concessionaria di pubblicità di vendere pubblicità su diverse tv. Mediaset doveva vendere tramite aziende diverse la pubblicità sui canali storici (Canale5, Rete4 e Italia1) e sulle nuove tv come Iris.
Adesso la norma è decaduta e Calabrò non l'ha rinnovata. Così arrivano i pacchetti: Mediaset controlla tramite Publitalia il 60% del mercato e ne approfitta... che strano.
24 febbraio 2011
I dividendi delle imprese (quasi) di Stato
Nei prossimi mesi le imprese distribuiranno i dividendi relativi al 2010.
Se si guarda i dividendi dello scorso maggio si scoprono cose interessanti.
Ho preso in considerazione alcuni dei principali titoli italiani, andando a cercare dividendo e prezzo e calcolando a quanto ammonta il dividendo rispetto al prezzo del 20 maggio, qualche giorno prima dello stacco del dividendo: i risultati sono interessanti.
I titoli più importanti tra quelli quotati in borsa sono quelli bancari.
In campo bancario, mentre il Monte dei Paschi di Siena non ha distribuito utili, Unicredit ha distribuito 3 centesimi per azione. Ogni azione valeva 1,72 e quindi il dividendo è pari al 1,75% del valore dell'azione. Più generosa Intesa-SanPaolo: 8 centesimi di utile, il 3,8% dei 2,12 euro di valore dell'azione.
Se si passa a imprese private che producono beni materiali, le percentuali diminuiscono.
Italcementi invece ha distributo solo 12 centesimi che fanno l'1,74% dei 6,9 euro di valore.
Fiat rende il 2%: 17 centesimi con un titolo a 8,41.
I 31 centesimi di Ansaldo corrispondono al 2,4% del valore dell'azione.
Più interessanti le imprese che hanno conti aperti con i propri azionisti, ansiosi di incassare. Telecom, Atlantia (autostrade) e Parmalat hanno distribuito un 5% abbondante.
Ma la vera sorpresa deve ancora arrivare. Le aziende più generose sono quelle che hanno il settore pubblico tra gli azionisti.
A2A (creata unendo due municipalizzate lombarde) ha distribuito 7 centesimi che, rispetto a un titolo che valeva 1,15 euro, fa un bel 6,1%.
Eni il 6,4% (1 euro di dividendo, con un'azione che valeva 15,56) e Enel il 7% (0,25 euro di dividendo, con l'azione che valeva 3,56), Snam il 5,8% (0,20 di dividendo e un'azione da 3,45 euro) e Finmeccanica il 4,5% (41 centesimi di dividendo e 9,20 euro l'azione).
Due cose sembrano certe.
La prima è che le aziende con azionisti pubblici offrono dividendi più generosi, perchè lavorano in settori meno concorrenziali e perché l'azionista pubblico ha bisogno di soldi.
La seconda è che i rendimenti sono superiori ai titoli più sicuri. E ci vuol poco, visto cosa offrono i BOT...
Se si guarda i dividendi dello scorso maggio si scoprono cose interessanti.
Ho preso in considerazione alcuni dei principali titoli italiani, andando a cercare dividendo e prezzo e calcolando a quanto ammonta il dividendo rispetto al prezzo del 20 maggio, qualche giorno prima dello stacco del dividendo: i risultati sono interessanti.
I titoli più importanti tra quelli quotati in borsa sono quelli bancari.
In campo bancario, mentre il Monte dei Paschi di Siena non ha distribuito utili, Unicredit ha distribuito 3 centesimi per azione. Ogni azione valeva 1,72 e quindi il dividendo è pari al 1,75% del valore dell'azione. Più generosa Intesa-SanPaolo: 8 centesimi di utile, il 3,8% dei 2,12 euro di valore dell'azione.
Se si passa a imprese private che producono beni materiali, le percentuali diminuiscono.
Italcementi invece ha distributo solo 12 centesimi che fanno l'1,74% dei 6,9 euro di valore.
Fiat rende il 2%: 17 centesimi con un titolo a 8,41.
I 31 centesimi di Ansaldo corrispondono al 2,4% del valore dell'azione.
Più interessanti le imprese che hanno conti aperti con i propri azionisti, ansiosi di incassare. Telecom, Atlantia (autostrade) e Parmalat hanno distribuito un 5% abbondante.
Ma la vera sorpresa deve ancora arrivare. Le aziende più generose sono quelle che hanno il settore pubblico tra gli azionisti.
A2A (creata unendo due municipalizzate lombarde) ha distribuito 7 centesimi che, rispetto a un titolo che valeva 1,15 euro, fa un bel 6,1%.
Eni il 6,4% (1 euro di dividendo, con un'azione che valeva 15,56) e Enel il 7% (0,25 euro di dividendo, con l'azione che valeva 3,56), Snam il 5,8% (0,20 di dividendo e un'azione da 3,45 euro) e Finmeccanica il 4,5% (41 centesimi di dividendo e 9,20 euro l'azione).
Due cose sembrano certe.
La prima è che le aziende con azionisti pubblici offrono dividendi più generosi, perchè lavorano in settori meno concorrenziali e perché l'azionista pubblico ha bisogno di soldi.
La seconda è che i rendimenti sono superiori ai titoli più sicuri. E ci vuol poco, visto cosa offrono i BOT...
22 febbraio 2011
Lo strano principio della sussidiarietà
Da quando Comunione e Liberazione è diventato un movimento politico-religioso con tanti sostenitori, specie nella Lombardia guidata da Formigoni, una delle parole d'ordine è sussidiarietà.
L'idea è che lo Stato deve fare un passo indietro, affidando i servizi pubblici in primo luogo ai privati, per gestirli direttamente solo quando il settore privato non è disponibile. Un argomento a favore delle sussidiarietà è la maggiore efficienza del settore privato. Lo Stato, si pensa, è meno efficiente e più clientelare dei privati, decide lentamente, non è flessibile.
La sussidiarietà è stata applaudita da molti, anche a sinistra, che forse non hanno compreso che, in sostanza, significa appaltare ai privati servizi pagati dallo Stato.
Una casa di riposo (o un ospedale) privata tuttavia può discriminare i lavoratori, preferendo chi è in linea con le convinzioni (religiose, politiche o sessuali) del proprietario, mentre il settore pubblico usa lo strumento dei concorsi e inoltre può usare i profitti per sostenere alcune forze politiche, che restituiscono il favore aumentando le tariffe pagate dalla Regione alla casa di riposo.
E poi è vero che i privati sono più efficienti?
In questi giorni si sta scoprendo lo scandalo del Pio Albergo Triulzio e del Policlinico di Milano. Il Policlinico è presieduto da Giancarlo Cesana, importante dirigente di Comunione e Liberazione, spesso impegnato a divulgare il principio della sussidiarietà.
Un paradiso di efficienza? No, il patrimonio immobiliare del Policlinico è spesso affittato a vip, uomini politici, amici e un quarto degli immobili risulta sfitto o assegnato a inquilini che non pagano.
Oltre un miliardo di patrimonio rende appena 11 milioni, cioè un misero 1%.
L'inefficienza è garantita. Che dire poi dell'ultima puntata di Presadiretta, che ha parlato dei tagli ai servizi sociali in Lazio e Campania, dove il privato ottiene soldi a volontà per curare solo con gli psicofarmaci i malati psichici, mentre dove resta il servizio pubblico i malati guariscono?
Questa è la sussidiarietà tanto sbandierata da Comunione e Liberazione: un misto di interessi personal e furbetti. A spese della collettività.
L'idea è che lo Stato deve fare un passo indietro, affidando i servizi pubblici in primo luogo ai privati, per gestirli direttamente solo quando il settore privato non è disponibile. Un argomento a favore delle sussidiarietà è la maggiore efficienza del settore privato. Lo Stato, si pensa, è meno efficiente e più clientelare dei privati, decide lentamente, non è flessibile.
La sussidiarietà è stata applaudita da molti, anche a sinistra, che forse non hanno compreso che, in sostanza, significa appaltare ai privati servizi pagati dallo Stato.
Una casa di riposo (o un ospedale) privata tuttavia può discriminare i lavoratori, preferendo chi è in linea con le convinzioni (religiose, politiche o sessuali) del proprietario, mentre il settore pubblico usa lo strumento dei concorsi e inoltre può usare i profitti per sostenere alcune forze politiche, che restituiscono il favore aumentando le tariffe pagate dalla Regione alla casa di riposo.
E poi è vero che i privati sono più efficienti?
In questi giorni si sta scoprendo lo scandalo del Pio Albergo Triulzio e del Policlinico di Milano. Il Policlinico è presieduto da Giancarlo Cesana, importante dirigente di Comunione e Liberazione, spesso impegnato a divulgare il principio della sussidiarietà.
Un paradiso di efficienza? No, il patrimonio immobiliare del Policlinico è spesso affittato a vip, uomini politici, amici e un quarto degli immobili risulta sfitto o assegnato a inquilini che non pagano.
Oltre un miliardo di patrimonio rende appena 11 milioni, cioè un misero 1%.
L'inefficienza è garantita. Che dire poi dell'ultima puntata di Presadiretta, che ha parlato dei tagli ai servizi sociali in Lazio e Campania, dove il privato ottiene soldi a volontà per curare solo con gli psicofarmaci i malati psichici, mentre dove resta il servizio pubblico i malati guariscono?
Questa è la sussidiarietà tanto sbandierata da Comunione e Liberazione: un misto di interessi personal e furbetti. A spese della collettività.
20 febbraio 2011
L'incredibile spesa militare USA
Gli ultimi cablogrammi dell'ambasciata USA sull'Italia, svelati da wikileaks e riportati da Espresso e Repubblica, raccontano di americani che considerano Berlusconi un clown al quale, però, dare una mano in nome degli interessi militari.
In cambio del sostegno, Berlusconi ha offerto agli USA la possibilità di fare quel che vogliono con le basi americane sul territorio italiano e l'invio di soldati in Afghanistan. Più di quanti richiesti dagli americani.
E' una scelta politica che, se anche non credessimo alle informazioni di wikileaks, è confermata dai dati.
Tra il 2011 e il 2013 quasi tutte le voci del bilancio statale subiranno tagli (ne avevo scritto qui), a cominciare dall'istruzione e dai soldi per lavoratori e imprese. Si salvano in pochi e tra questi il solo aumento consistente è quello del ministero della difesa (difesa... si fa per dire, visto che nessuno ci attacca e i nostri soldati usano le armi a migliaia di km dall'Italia).
Al netto della spesa per interessi, nel 2011 lo stato italiano spenderà il 5,27% del proprio budget nella difesa e la somma aumenterà. La percentuale scende al 4,11% se si considerano gli interessi, vale a dire la somma complessivamente spesa dallo stato.
Il governo federale USA (vedi qui) spende il per i veterani il 3,26% dell'intero budget, mentre la difesa assorbe il 19,27% del budget.
In totale gli americani spendono in difesa oltre il 22% del loro bilancio federale, 5 volte la somma spesa in Italia in rapporto alle spese totali e l'equivalente di quanto lo stato americano spende -tra mille polemiche dei conservatori- per la sanità.
Qualcosa scricchiola...
A gennaio ho segnalato che gli indici di borsa iniziano a sembrare esageratamente alti, spinti all'insù da qualcosa di irrazionale (vedi qui) oltre i livelli compatibili con un'economia in sofferenza.
Nel frattempo non è successo nulla, salvo qualche scossa di piccole dimensioni. Qualche seduta di borsa negativa, ma nulla più. Sia pur lentamente gli indici borsistici hanno continuato a salire come se l'economia andasse bene e la crisi fosse definitivamente superata.
Temo non sia così. Il Baltic Dry Index (vedi qui) non offre segnali incoraggianti.
Il baltic dry index è un indicatore del valore dei noli marittimi per trasportare le merci asciutte. Non considerano beni come il petrolio, per intenderci, ma materie prime e beni manifatturieri che viaggiano soprattutto tra Cina e USA.
Il baltic index è crollato rapidamente quando è scoppiata la crisi e sta scendendo velocemente da diversi mesi a questa parte.
Si spediscono meno merci, diminuisce la domanda di trasporti e il costo dei trasporti diminuisce. Secondo gli esperti questo significa che gli USA esportano di meno verso la Cina, e che prima o poi si sentiranno gli effetti sull'economia americana, destinata a un rallentamento.
Ma se le cose stanno così, perchè gli indici di borsa continuano a salire?
Perchè le borse rispondono a una logica differente, dove prevale a volte quella che Shiller ha chiamato euforia irrazionale. Le notizie provenienti dal mondo dell'economia negli ultimi tempi sono tutte positive. PIL, disoccupazione, cassa integrazione, deficit... tutto sembra volgere al bello, le notizie negative sembrano non esistere, e ci si convince che
Ma il sospetto (spero di sbagliare) è che la tempesta arriverà. Qualcuno sta convincendo il risparmiatore poco esperto che è ora di puntare sulle azioni, perchè negli ultimi due anni hanno offerto ottimi rendimenti. Il risparmiatore si fida del consulente finanziario e compra. A questo punto arriveranno le notizie negative, oggi nascoste e gli indici scenderanno. Perchè quando compra il risparmiatore meno esperto vuol dire che i compratori stanno finendo e perchè qualcuno si spaventerà e venderà le azioni ai primi segnali di una borsa in calo.
Nel frattempo non è successo nulla, salvo qualche scossa di piccole dimensioni. Qualche seduta di borsa negativa, ma nulla più. Sia pur lentamente gli indici borsistici hanno continuato a salire come se l'economia andasse bene e la crisi fosse definitivamente superata.
Temo non sia così. Il Baltic Dry Index (vedi qui) non offre segnali incoraggianti.
Il baltic dry index è un indicatore del valore dei noli marittimi per trasportare le merci asciutte. Non considerano beni come il petrolio, per intenderci, ma materie prime e beni manifatturieri che viaggiano soprattutto tra Cina e USA.
Il baltic index è crollato rapidamente quando è scoppiata la crisi e sta scendendo velocemente da diversi mesi a questa parte.
Si spediscono meno merci, diminuisce la domanda di trasporti e il costo dei trasporti diminuisce. Secondo gli esperti questo significa che gli USA esportano di meno verso la Cina, e che prima o poi si sentiranno gli effetti sull'economia americana, destinata a un rallentamento.
Ma se le cose stanno così, perchè gli indici di borsa continuano a salire?
Perchè le borse rispondono a una logica differente, dove prevale a volte quella che Shiller ha chiamato euforia irrazionale. Le notizie provenienti dal mondo dell'economia negli ultimi tempi sono tutte positive. PIL, disoccupazione, cassa integrazione, deficit... tutto sembra volgere al bello, le notizie negative sembrano non esistere, e ci si convince che
Ma il sospetto (spero di sbagliare) è che la tempesta arriverà. Qualcuno sta convincendo il risparmiatore poco esperto che è ora di puntare sulle azioni, perchè negli ultimi due anni hanno offerto ottimi rendimenti. Il risparmiatore si fida del consulente finanziario e compra. A questo punto arriveranno le notizie negative, oggi nascoste e gli indici scenderanno. Perchè quando compra il risparmiatore meno esperto vuol dire che i compratori stanno finendo e perchè qualcuno si spaventerà e venderà le azioni ai primi segnali di una borsa in calo.
18 febbraio 2011
Il banchiere centrale e la crisi dell'economia globale
Prima di Natale avevo consigliato un paio di libri (vedi qui) dedicati alla crisi economica scoppiata nel 2008. Uno di questi è intitolato Il crollo - Too big to fail, di Andrew Sorkin, edito da DeAgostini.
Un volume di oltre 500 pagine scritto da un giornalista che ha trascorso mesi a ricostruire le vicende che hanno portato al fallimento di Lehman Brothers e al crollo dell'economia mondiale.
Ecco, in sintesi, cosa è successo nel 2008 secondo la ricostruzione di Sorkin.
Le banche d'affari indipendenti, tra cui Lehman Brothers e Bear Sterns, dopo anni di prestiti a chiunque sono piene di titoli complicati, per i quali la restituzione del capitale e il pagamento degli interessi dipende dal pagamento dei mutui da parte di chi ha comprato casa.
Il calo del valore degli immobili rende difficile la valutazione del valore dei titoli e delle banche che li posseggono, e questo favorisce la fuga di capitali: chi ha un conto presso tali banche, preferisce ritirare i soldi. Altri speculano al ribasso sui titoli delle banche d'affari. Scommettono sulle difficoltà di tali banche, il valore delle azioni diminuisce e altri interpretano la diminuzione come un segnale inequivocabile che gli affari, per quelle banche, vanno male. Così a loro volta ritirano i capitali versati, condannando tali banche, se la situazione non cambia, al fallimento.
I governatori delle banche centrali, Ben Bernanke della FED, e Tim Geithner numero uno della banca centrale di New York e il ministro del Tesoro Henry Paulson sanno bene cosa sta succedendo.
Ma pensano che il mercato si possa autoregolare e che sia meglio influenzarlo il meno possibile. Così nell'estate 2008 si danno da fare perchè Lehman, come era successo a marzo con Bear Sterns, sia ceduta a una banca commerciale con minori problemi di liquidità, grazie alla presenza di correntisti meno propensi, rispetto a un gestore di hedge funds, a portar via i soldi al primo segnale di pericolo.
Pensano che l'acquisto di Lehman tranquillizzerà i mercati e che, di conseguenza, le altre banche d'affari (Merrill Lynck, Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley) potranno raccogliere capitali come sempre.
La tradizione sostiene il loro piano: di fronte a una crisi drammatica, il famoso JP Morgan aveva riunito i banchieri più importanti in America e li aveva costretti a trovare una soluzione per salvare le banche in difficoltà. Il fallimento di una banca avrebbe trascinato con sè anche le altre e così i banchieri avevano escogitato un salvataggio.
Ci sono però due problemi che riescono a sottovalutare.
Il primo è l'oggettiva difficoltà di dare un valore a una banca piena di titoli non quotati e molto complessi. Il valore dei titoli dipende da troppi elementi aleatori.
Se il valore di un titolo dipende da migliaia di mutui concessi in giro per l'America, la valutazione è assai aleatoria. Gli acquirenti di case in un sobborgo di Chicago pagheranno il mutuo? e se non pagano quanto si riuscirà a incassare e dunque a quanto ammonteranno le perdite di un certo titolo?
I titoli hanno un valore incerto e così le banche che li possiedono.
Il secondo è il conflitto di interessi potenziale. Per dare un valore a una banca occorrono esperti capaci di valutarne il bilancio. Ma chi può farlo (banche e gli studi di avvocati e commercialisti) può anche usare i dati raccolti in modo scorretto, ai danni della banca analizzata o a favore di un proprio cliente pronto a approfittare dell'occasione per comprare la banca (in tutto o in parte) a prezzi scontati: chi vende perciò teme di fornire troppe informazioni. Ma senza informazioni è difficile dare un valore alla banca.
E' quel che succede con Lehman Brothers. Non si riesce a stabilire un valore. Troppo complessa la valutazione di una marea di mutui. Alla fine Lehman Brothers fallisce, anzi è costretta dal governo e dai due governatori a dichiarare fallimento.
All'improvviso le regole dell'economia di mercato sono state accantonate dal governo, che ha tirato fuori un programma preparato da un funzionario del Tesoro e lo ha imposto a tutti.
Le banche d'affari sono state costrette a prendere a prestito decine di miliardi di dollari, nella speranza che ciò mettesse fine alle incertezze e alle fughe di capitali dalle banche d'affari, costrette a trasformarsi in banche commerciali o a vendersi ad una banca commerciale.
Forse la speranza è stata mal riposta, visto i crolli delle principali economie europee e americane, ma di certo il piano ha funzionato: le banche d'affari del 2008 non esistono più e nessuna di loro è fallita.
Un volume di oltre 500 pagine scritto da un giornalista che ha trascorso mesi a ricostruire le vicende che hanno portato al fallimento di Lehman Brothers e al crollo dell'economia mondiale.
Ecco, in sintesi, cosa è successo nel 2008 secondo la ricostruzione di Sorkin.
Le banche d'affari indipendenti, tra cui Lehman Brothers e Bear Sterns, dopo anni di prestiti a chiunque sono piene di titoli complicati, per i quali la restituzione del capitale e il pagamento degli interessi dipende dal pagamento dei mutui da parte di chi ha comprato casa.
Il calo del valore degli immobili rende difficile la valutazione del valore dei titoli e delle banche che li posseggono, e questo favorisce la fuga di capitali: chi ha un conto presso tali banche, preferisce ritirare i soldi. Altri speculano al ribasso sui titoli delle banche d'affari. Scommettono sulle difficoltà di tali banche, il valore delle azioni diminuisce e altri interpretano la diminuzione come un segnale inequivocabile che gli affari, per quelle banche, vanno male. Così a loro volta ritirano i capitali versati, condannando tali banche, se la situazione non cambia, al fallimento.
I governatori delle banche centrali, Ben Bernanke della FED, e Tim Geithner numero uno della banca centrale di New York e il ministro del Tesoro Henry Paulson sanno bene cosa sta succedendo.
Ma pensano che il mercato si possa autoregolare e che sia meglio influenzarlo il meno possibile. Così nell'estate 2008 si danno da fare perchè Lehman, come era successo a marzo con Bear Sterns, sia ceduta a una banca commerciale con minori problemi di liquidità, grazie alla presenza di correntisti meno propensi, rispetto a un gestore di hedge funds, a portar via i soldi al primo segnale di pericolo.
Pensano che l'acquisto di Lehman tranquillizzerà i mercati e che, di conseguenza, le altre banche d'affari (Merrill Lynck, Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley) potranno raccogliere capitali come sempre.
La tradizione sostiene il loro piano: di fronte a una crisi drammatica, il famoso JP Morgan aveva riunito i banchieri più importanti in America e li aveva costretti a trovare una soluzione per salvare le banche in difficoltà. Il fallimento di una banca avrebbe trascinato con sè anche le altre e così i banchieri avevano escogitato un salvataggio.
Ci sono però due problemi che riescono a sottovalutare.
Il primo è l'oggettiva difficoltà di dare un valore a una banca piena di titoli non quotati e molto complessi. Il valore dei titoli dipende da troppi elementi aleatori.
Se il valore di un titolo dipende da migliaia di mutui concessi in giro per l'America, la valutazione è assai aleatoria. Gli acquirenti di case in un sobborgo di Chicago pagheranno il mutuo? e se non pagano quanto si riuscirà a incassare e dunque a quanto ammonteranno le perdite di un certo titolo?
I titoli hanno un valore incerto e così le banche che li possiedono.
Il secondo è il conflitto di interessi potenziale. Per dare un valore a una banca occorrono esperti capaci di valutarne il bilancio. Ma chi può farlo (banche e gli studi di avvocati e commercialisti) può anche usare i dati raccolti in modo scorretto, ai danni della banca analizzata o a favore di un proprio cliente pronto a approfittare dell'occasione per comprare la banca (in tutto o in parte) a prezzi scontati: chi vende perciò teme di fornire troppe informazioni. Ma senza informazioni è difficile dare un valore alla banca.
E' quel che succede con Lehman Brothers. Non si riesce a stabilire un valore. Troppo complessa la valutazione di una marea di mutui. Alla fine Lehman Brothers fallisce, anzi è costretta dal governo e dai due governatori a dichiarare fallimento.
All'improvviso le regole dell'economia di mercato sono state accantonate dal governo, che ha tirato fuori un programma preparato da un funzionario del Tesoro e lo ha imposto a tutti.
Le banche d'affari sono state costrette a prendere a prestito decine di miliardi di dollari, nella speranza che ciò mettesse fine alle incertezze e alle fughe di capitali dalle banche d'affari, costrette a trasformarsi in banche commerciali o a vendersi ad una banca commerciale.
Forse la speranza è stata mal riposta, visto i crolli delle principali economie europee e americane, ma di certo il piano ha funzionato: le banche d'affari del 2008 non esistono più e nessuna di loro è fallita.
16 febbraio 2011
Perché Moratti vende azioni Pirelli?
Racconta Giorgio Meletti ne Il paese dei Moratti (Chiarelettere 2010, vedi qui) che quando i magistrati hanno chiesto a Massimo Moratti informazioni sulla quotazione in borsa della sua SARAS, lui ha spiegato di non capire molto di finanza.
E come non credergli, visto che è riuscito a spendere circa 1300 milioni di euro da quando è presidente e proprietario dell'Inter?
L'ultimo regalo che s'è fatto si chiama Pazzini. Una quindicina di milioni più un giocatore.
Qualche giorno dopo i siti che si occupano di sport raccontavano il successivo trasferimento in casa Inter: Kharja sarebbe arrivato dal Genoa, ma solo se si fosse perfezionato il passaggio di Muntari a una squadra inglese.
Una stranezza, almeno all'apparenza. Per un si spende molto, per l'altro si attende il trasferimento di Muntari evidentemente per non aggravare i conti della società.
Ma poi si scopre (vedi qui) che nel frattempo Moratti ha venduto un gran numero di azioni Pirelli incassando circa 16 milioni. Una cifra vicina a quella spesa per comprare Pazzini dalla Sampdoria.
Forse i soldi in casa Moratti stanno finendo? O forse deve far cassa perchè le banche non gli offrono ulteriore credito? O forse Moratti sa di finanza e vende le azioni Pirelli mentre valgono tanto?
PS Se qualcuno si chiedesse perchè ho scelto la foto che vedete, la risposta è semplice: come definire uno che spende 1300 milioni di euro per mantenere una squadra di calcio e farsi pure fregare da Moggi?
E come non credergli, visto che è riuscito a spendere circa 1300 milioni di euro da quando è presidente e proprietario dell'Inter?
L'ultimo regalo che s'è fatto si chiama Pazzini. Una quindicina di milioni più un giocatore.
Qualche giorno dopo i siti che si occupano di sport raccontavano il successivo trasferimento in casa Inter: Kharja sarebbe arrivato dal Genoa, ma solo se si fosse perfezionato il passaggio di Muntari a una squadra inglese.
Una stranezza, almeno all'apparenza. Per un si spende molto, per l'altro si attende il trasferimento di Muntari evidentemente per non aggravare i conti della società.
Ma poi si scopre (vedi qui) che nel frattempo Moratti ha venduto un gran numero di azioni Pirelli incassando circa 16 milioni. Una cifra vicina a quella spesa per comprare Pazzini dalla Sampdoria.
Forse i soldi in casa Moratti stanno finendo? O forse deve far cassa perchè le banche non gli offrono ulteriore credito? O forse Moratti sa di finanza e vende le azioni Pirelli mentre valgono tanto?
PS Se qualcuno si chiedesse perchè ho scelto la foto che vedete, la risposta è semplice: come definire uno che spende 1300 milioni di euro per mantenere una squadra di calcio e farsi pure fregare da Moggi?
15 febbraio 2011
Perchè non si investe in Italia
Alla Camera, rispondendo alle domande sui programmi di Fiat, Sergio Marchionne ha spiegato che le scelte in Italia dipendono dalle condizioni che Fiat troverà: solo se le condizioni sono le migliori la sede resterà a Torino.
Raffaele Lombardo invece è il presidente della Sicilia eletto dopo la condanna di Totò Cuffaro, oggi in carcere, che da presidente siciliano passava informazioni sulle inchieste penali ad un prestanome dei mafiosi che gestiva alcune cliniche private.
Quando Marchionne chiese di investire a Termini Imerese, Cuffaro rispose positivamente ma poi non fece nulla.
Così lo stabilimento Fiat in Sicilia, creato decenni fa anche con i soldi della Cassa del Mezzogiorno, per assemblare automobili, sta per chiudere.
Produrre auto a Termini Imerese costa troppo. Bisogna portarvi i pezzi prodotti in altri stabilimenti del centro-sud Italia e le auto, assemblate, devono essere trasportate fino a Catania, dove salgono sulle navi dirette verso nord. I maggiori costi si sarebbero potuti evitare con nuovi investimenti in Sicilia, ma l'operazione non è andata in porto.
Oggi il governo, sia pure in ritardo, ha messo mano ai progetti per il futuro dello stabilimento siciliano e, come spiega questo articolo di repubblica.it, Marchionne s'è detto a collaborare purchè tutti i dipendenti Fiat siano assunti da chi subentrerà a Termini Imerese e Lombardo gli ha consigliato di non farsi più vedere in Sicilia.
Il governatore non è nuovo a queste prese di posizione. Qualche mese fa se la prese con IKEA, il colosso svedese che aprirà un suo negozio a Catania. Ikea ha valutato gli operai di un'azienda in crisi e ha deciso di assumerne solo una parte.
Per Lombardo (come spiega questo articolo) i vertici di IKEA "conservano l'atteggiamento tipico dei gruppi stranieri che vengono in Sicilia per farsi i loro porci comodi".
Insomma, che sia Ikea che apre un negozio o Fiat che chiede si riassumere i propri lavoratori, Lombardo non è mai contento e mostra una certa ostilità verso chi vuole fare impresa in Sicilia.
Come si può, con persone del genere, pensare che qualcuno investa in Sicilia? Non possiamo certo stupirci che gli investitori girino alla larga dalla Sicilia e più in generale dall'Italia, dove molti politici agiscono mossi da interessi propri in contrasto con quelli delle imprese.
Raffaele Lombardo invece è il presidente della Sicilia eletto dopo la condanna di Totò Cuffaro, oggi in carcere, che da presidente siciliano passava informazioni sulle inchieste penali ad un prestanome dei mafiosi che gestiva alcune cliniche private.
Quando Marchionne chiese di investire a Termini Imerese, Cuffaro rispose positivamente ma poi non fece nulla.
Così lo stabilimento Fiat in Sicilia, creato decenni fa anche con i soldi della Cassa del Mezzogiorno, per assemblare automobili, sta per chiudere.
Produrre auto a Termini Imerese costa troppo. Bisogna portarvi i pezzi prodotti in altri stabilimenti del centro-sud Italia e le auto, assemblate, devono essere trasportate fino a Catania, dove salgono sulle navi dirette verso nord. I maggiori costi si sarebbero potuti evitare con nuovi investimenti in Sicilia, ma l'operazione non è andata in porto.
Oggi il governo, sia pure in ritardo, ha messo mano ai progetti per il futuro dello stabilimento siciliano e, come spiega questo articolo di repubblica.it, Marchionne s'è detto a collaborare purchè tutti i dipendenti Fiat siano assunti da chi subentrerà a Termini Imerese e Lombardo gli ha consigliato di non farsi più vedere in Sicilia.
Il governatore non è nuovo a queste prese di posizione. Qualche mese fa se la prese con IKEA, il colosso svedese che aprirà un suo negozio a Catania. Ikea ha valutato gli operai di un'azienda in crisi e ha deciso di assumerne solo una parte.
Per Lombardo (come spiega questo articolo) i vertici di IKEA "conservano l'atteggiamento tipico dei gruppi stranieri che vengono in Sicilia per farsi i loro porci comodi".
Insomma, che sia Ikea che apre un negozio o Fiat che chiede si riassumere i propri lavoratori, Lombardo non è mai contento e mostra una certa ostilità verso chi vuole fare impresa in Sicilia.
Come si può, con persone del genere, pensare che qualcuno investa in Sicilia? Non possiamo certo stupirci che gli investitori girino alla larga dalla Sicilia e più in generale dall'Italia, dove molti politici agiscono mossi da interessi propri in contrasto con quelli delle imprese.
14 febbraio 2011
L'Italia è una repubblica fondata sul gioco...
Ormai non ci resta che aggrapparci al gioco d'azzardo per sperare di riassestare il bilancio dello stato!
Come leggo da "La Repubblica" ormai siamo veramente alla frutta!
Come diceva il mio professore di Matematica finanziaria, professor Ottaviani, in qualunque gioco di sorte l'unico che ci guadagna è il banco. E il banco ormai è lo stato. Il calcolo delle probabilità non mente e qui si può trovare una breve rassegna dei giochi più diffusi.
C'è da dire che il ruolo dello stato come collettore di tasse - diciamo volontarie - è un po' troppo importante per non gettare dubbi!
Ultimamente vedo un'alluvione di pubblicità televisiva sui giochi d'azzardo accompagnata da un'ipocrita scritta: "gioca responsabilmente".
Non ho mai visto né sentito nulla di più falso!
A livello della pubblicità delle sigarette e dell'alcool!
Ma come?!? Lo stato promuove, finanzia, incassa e d'altra parte ti dice di giocare responsabilmente?
La verità è che lo stato sta allungando le sue mani su tutti i giochi, on line, macchinette e qualunque gioco dove girano soldi, in modo da incassare il più possibile.
Gli incassi si quantificano già in miliardi di Euro!
E allora invece di combattere l'evasione perché non concentrarsi sui giochi? Facile, economico e il contribuente è ben felice di pagare!
12 febbraio 2011
La meritocrazia fallimentare della Gelmini
Il ministro Gelmini, i cui meriti scolastici sono quantomeno dubbi (laureata in legge, è andata a 1000 km da casa per sostenere un più facile esame da avvocato e non ha mai accolto l'invito di Bersani a mostrare i propri voti), vuole di introdurre la meritocrazia nella scuola.
Come? Con complesse valutazioni del lavoro svolto e un premio in denaro ai professori meritevoli. Una quattordicesima mensilità.
Detta così pare una buona cosa, ma i dubbi e i problemi sono tanti.
Come decidere se è più bravo un professore di filosofia o uno di matematica? E' migliore il professore severo o il professore generoso (in voti)? E' più bravo un professore che segue fedelmente il programma o quello che esce dal seminato ma entusiasma gli studenti? E come valutare la chiarezza nell'esposizione di un argomento? E' credibile che un preside dia i voti ai suoi docenti o che gli stessi professori si giudichino?
Quando poi alcuni venissero premiati, come cambierebbe il loro rapporto con gli altri docenti? Chi non è premiato potrebbe risentirsi e qualcuno potrebbe cambiare comportamento, peggiorando la qualità del servizio reso, allo scopo di ottenere il premio.
I dubbi sulla valutazione del merito sono, quindi, legittimi e solo 35 scuole su oltre 1400 candidate alla sperimentazione hanno accettato di partecipare alla valutazione proposta dalla Gelmini (vedi qui).
In più la Gelmini e Brunetta (altro ministro i cui meriti sono quantomeno dubbi come dimostra questo articolo) sono riusciti a proporre un incentivo economico ma non hanno stanziato un euro. I soldi dovrebbero arrivare dalle stesse scuole, che già soffrono una cronica scarsità di fondi. E' naturale, quindi, che molte dicano di no a criteri che offrono poche certezze, salvo quella di uno scarso merito di chi propone certi metodi di valutazione.
Come? Con complesse valutazioni del lavoro svolto e un premio in denaro ai professori meritevoli. Una quattordicesima mensilità.
Detta così pare una buona cosa, ma i dubbi e i problemi sono tanti.
Come decidere se è più bravo un professore di filosofia o uno di matematica? E' migliore il professore severo o il professore generoso (in voti)? E' più bravo un professore che segue fedelmente il programma o quello che esce dal seminato ma entusiasma gli studenti? E come valutare la chiarezza nell'esposizione di un argomento? E' credibile che un preside dia i voti ai suoi docenti o che gli stessi professori si giudichino?
Quando poi alcuni venissero premiati, come cambierebbe il loro rapporto con gli altri docenti? Chi non è premiato potrebbe risentirsi e qualcuno potrebbe cambiare comportamento, peggiorando la qualità del servizio reso, allo scopo di ottenere il premio.
I dubbi sulla valutazione del merito sono, quindi, legittimi e solo 35 scuole su oltre 1400 candidate alla sperimentazione hanno accettato di partecipare alla valutazione proposta dalla Gelmini (vedi qui).
In più la Gelmini e Brunetta (altro ministro i cui meriti sono quantomeno dubbi come dimostra questo articolo) sono riusciti a proporre un incentivo economico ma non hanno stanziato un euro. I soldi dovrebbero arrivare dalle stesse scuole, che già soffrono una cronica scarsità di fondi. E' naturale, quindi, che molte dicano di no a criteri che offrono poche certezze, salvo quella di uno scarso merito di chi propone certi metodi di valutazione.
08 febbraio 2011
Come evitare le truffe dei promotori finanziari disonesti
Se un cittadino vuole impiegare i suoi risparmi può recarsi in banca, ma può anche ricevere in casa un incaricato della banca, il promotore finanziario. In pratica si tratta di un signore a cui la banca ha dato l'incarico di collocare i prodottori finanziari: un fondo o i tradizionali BOT. Ha una particolarità: può andare a casa dei clienti e ricevere soldi che poi provvede a investire per conto dei clienti.
Il promotore deve aver superato un esame e essere iscritto a un albo, oltre ad aver ricevuto un incarico da un'istituzione autorizzata a raccogliere il risparmio e a collocare titoli.
Ogni tanto qualcuno truffa: incassa i soldi, promette rendimenti elevati e poi fugge con i soldi altrui (vedi ad esempio questo caso).
Come difendersi?
Prima di tutto si può diffidare delle promesse di rendimenti elevati. Le banche collocano titoli con rendimenti non troppo lontani dai rendimenti dei BOT. Se i BOT offrono il 2% è difficile che la banca vi prometta l'8%.
Poi si può controllare che il promotore abbia le carte in regola. L'albo è pubblico e qui si possono trovare dati sul promotore.
Ma, soprattutto, si deve ricordare una regola facilissima: il promotore finanziario deve accettare solo assegni o bonifici intestati alla banca per cui lavora.
Se vi chiede di lasciare in bianco il destinatario dell'assegno o se vi dice di intestarglielo perché provvederà poi lui a versarlo per conto vostro, sta commettendo un'irregolarità che porta prima alla sospensione e poi, se ripetuta, alla radiazione del promotore dall'albo.
Con l'assegno intestato alla banca invece i rischi diminuiscono. Il promotore non può fuggire facilmente con i vostri soldi. Ma chi sa di essere obbligato a intestare l'assegno a una banca?
06 febbraio 2011
La benzina sintetica
Se la notizia (vedi qui) sarà confermata, siamo di fronte a una rivoluzione: un'azienda inglese, Cella Energy, sembra aver scoperto il modo di creare un carburante derivato dall'idrogeno e utilizzabile con i motori attualmente in produzione a prezzi convenienti, attorno ai 30 centesimi al litro (1).
Una fonte di energia a prezzi convenienti, senza emissioni di CO2, derivata dall'idrogeno e utilizzabile con i motori attuali sarebbe davvero qualcosa di straordinario.
Prima di tutto si modificherebbero gli equilibri geo-politici in molte zone del mondo. La lotta per il controllo del petrolio ha provocato guerre e compromessi politici poco onorevoli, ma ha anche provocato effetti economici importanti: i soldi guadagnati dai produttori di petrolio hanno accentuato l'instabilità dei cambi e dei mercati finanziari.
Con una benzina artificiale derivata dall'idrogeno, agli europei e agli americani importerà meno di cosa succede in Iraq, Iran o in Venezuela e peseranno di meno le scelte della Cina, che ormai è un grande consumatore di petrolio. Non ci preoccuperemo più, inoltre, delle riserve petrolifere o del prezzo. Potremo anche lasciarlo sotto terra o verrà usato solo nei paesi poveri, che non riescono o non vogliono dotarsi della tecnologia per produrre benzina sintetica o nei paesi che attualmente producono petrolio.
Poi saranno forse spazzati via molti progetti, a volte illusori, per cambiare il mondo dei trasporti.
Anni fa sembrava certo il passaggio all'era dell'idrogeno. In un libro di grande successo, il futurologo Jeremy Rifkin ha ipotizzato grandi cambiamenti nell'economia grazie all'introduzione di motori mossi dall'idrogeno, che avrebbero potuto sostituire i motori tradizionali.
Ma si è rivelata, almeno finora, un'illusione. L'elevato costo dell'idrogeno e le difficoltà di creare una rete distributiva in condizioni di sicurezza, hanno reso impraticabile la via dell'idrogeno.
Così è tornata di moda l'auto elettrica, che ora può godere di una tecnologia migliore. Restano alcuni problemi: le auto elettriche sono costose, hanno poca autonomia e manca una rete di rifornimento. L'uso perciò è limitato e i modelli in vendita non incontrano il favore dei potenziali acquirenti.
In Italia si vendono meno di 200 auto elettriche all'anno, circa 1 ogni 10.000 auto. Praticamente nulla.
Il solo modo per passare a trasporti "elettrici" è puntare sulle ferrovie, costruendo nuove linee, più moderne e veloci.
Ma cosa succederà se si riuscirà a produrre un carburante sintetico che non genera CO2 e non deriva dal petrolio? Sarà ancora conveniente puntare sull'auto elettrica o sulle ferrovie? Serviranno nuove ferrovie o nuove strade percorse da TIR alimentati da motori tradizionali con carburanti non fossili?
---
(1) l'articolo parla di 1,50 dollari al gallone: tenuto conto del cambio euro/dollaro e che un gallone corrisponde a 3.79 litri, il costo è di circa 30 centesimi al litro
03 febbraio 2011
La tassa patrimoniale
Intanto che dal governo si elucubrano fantasie sul federalismo qualcuno prova ad evocare la spada di Damocle di una tassa patrimoniale.
Ma che cos’è una tassa patrimoniale?
Per rispondere bisogna fare un passo indietro e capire cosa viene tassato nel sistema italiano.
In Italia le imposte più grandi, cioè IVA, IRE, IRAP e IRES, tassano dei flussi: reddito, valore aggiunto o capacità di produzione.
Detto in parole povere se al 1.1.2010 avevo 100, poi nel corso dell’anno ho prodotto 50, verrà tassato solo la produzione di reddito di 50, (diciamo 25…), in modo che alla fine dell’anno avrò 100 + 25 = 125.
Ho quindi tassato un flusso, non il patrimonio.
La stessa cosa accadrà nel 2011 con il nuovo flusso di reddito. Si può fare un esempio con i soldi in banca: vengono tassati gli interessi attivi (al 27%), ma non i soldi sul conto che producono tali interessi.
Se invece decido di introdurre una tassa patrimoniale il governo tasserà i patrimoni. Quindi, ad esempio, se al 1.1.2010 avevo un conto in banca di 100.000 Euro, oppure, per generalizzare, dei beni mobili o immobili pari a tale cifra, verrà tassato il patrimonio.
E gli interessi una volta introdotta tale tassa?
Probabilmente, visto che il fine è racimolare soldi, nulla cambierà.
Quindi alla fine verranno tassati gli interessi e il patrimonio.
Ricordo che nel nostro ordinamento esistono già tasse patrimoniali: l’ICI è una patrimoniale sulla casa. L’IMU sulle seconde case sarà una patrimoniale.
Ma quali saranno gli effetti di un’introduzione di una patrimoniale?
Le tasse patrimoniali, per loro natura, si prestano molto bene a tassare i beni immobili, in quanto impossibili da spostare, quindi terreni o case, provocando comunque effetti discorsivi sugli affitti e sull’inflazione: infatti gli affitti saliranno tanto più è alta la patrimoniale, tramutandosi alla fine in inflazione netta.
Discorso diverso quando si tenta di tassare i beni mobili. Appena ci si inoltra si incontrano delle difficoltà formidabili.
Non presenterebbe alcuna difficoltà tassare i conti correnti, magari con una tassa sulla giacenza media. Impopolare, ma possibile.
Tecnicamente è possibile tassare tutti gli investimenti fatti in Italia, infatti basterebbe imporre all’intermediario finanziario di fungere da sostituto d’imposta. Ma per investimenti finanziari si intende dal fondo pensione al BOT al derivato.
Se si introduce una patrimoniale sui titoli chi li comprerebbe più? Chi comprerebbe titoli di stato sapendo che sarebbero gravati da una patrimoniale? Quindi lo stato dovrebbe offrire tassi più alti per venderli, quindi pagare interessi più alti, interessi che neutralizzerebbero gli introiti della patrimoniale. Ad eccezione del caso di titoli comprati all’estero. Ma come sappiamo oltre la metà dei titoli italiani sono di proprietà degli italiani stessi.
Effetti peggiori ci sarebbero su ogni tipo di investimento: nessuno investirebbe più in Italia, volendo investire ci si dovrebbe rivolgere a investitori stranieri.
Poi ci sono i patrimoni costituiti da quote societarie. Se io possiedo il 20% della Fiat, non ho soldi liquidi, ma la mia partecipazione vale moltissimo. Si, ma moltissimo quanto?
Quanto vale una quota di società? Se per le quotate il valore lo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo…) dare il mercato, per le altre, che sono il 99,99% del totale chi le valuta? Ricordo che si può fare una srl con capitale sociale di 10.000 € che fattura anche 100 milioni all’anno. E il valore di tale società NON è quello del capitale sociale, ma serve una perizia apposita che stabilisca il valore, in media ogni 3 mesi.
Infine veniamo a tutti gli altri beni mobili: le cose. Si, perché se possiedo un Van Gogh, non ho soldi liquidi, ma se lo vendo invece ne avrò moltissimi. E lo stesso se possiedo dei gioielli, auto di lusso, metalli preziosi. Pensate al caso se compro una tonnellata di rame! E’ un patrimonio.
Se possiedo un mix di tutte le cose sopra, allora diventa evidente la difficoltà di stabilire valore definitivo e perché si è sempre rinunciato, ad eccezione degli immobili, a tassare i patrimoni. Inoltre i più ricchi trasferirebbero istantaneamente i loro patrimoni all’estero o prenderebbero la residenza all’estero e allora la tassazione diverrebbe talmente difficile e impopolare da renderne impraticabile l’applicazione.
Qui su "La Stampa" sono ben stigmatizzati alcuni problemi e alcune proposte. Altri commenti interessanti qui.
01 febbraio 2011
Il federalismo può funzionare?
Sono stati pubblicati i dati relativi a due imposte pagate dalle imprese, l'IRAP, l'imposta regionale sulle attività produttive, che serve a pagare la sanità delle regioni, e l'IRES, l'imposta sui redditi delle società.
I dati sono sorprendenti.
Molti si lamentano perchè le grandi imprese ottengono aiuti. Forse è vero, ma è anche vero che lo 0,8% delle imprese paga il 52% dell'IRES. Ovvero le grandi imprese, poche, pagano oltre la metà di tutto quello che incassa lo stato mettendo un'imposta sui profitti delle imprese.
E le altre?
Il 60% delle imprese dichiara di aver conseguito utili nel 2008, il 35% ha invece registrato perdite. Impressionante la differenza territoriale: solo il 9% dei redditi dichiarati appartiene a società del sud (isole comprese).
Se il federalismo si finanzia con le imposte generate dalle persone e dalle imprese di un territorio, al sud non mancheranno i problemi. Infatti il 60% dell'IRAP pagata dalle imprese è incassata dalle regioni del nord e solo il 17% finisce nelle casse delle regioni del sud.
Lo stesso vale per l'IRE (ex IRPEF): i redditi medi al nord sono molto più elevati di quelli dei cittadini del sud. Spesso il reddito medio dichiarato in una regione del sud è la metà di quello dichiarato in una regione del nord. Questo vuol dire che le entrate pro-capite al nord sono 2-3 volte quelle del sud. Le regioni del sud se vogliono incassare come le regioni del nord devono applicare addizionali ben più alte.
Come si può, con questi dati, pensare che il federalismo possa funzionare?
Non basta certo il progetto di rendere omogenei i costi, su cui si basa un aspetto del federalismo. Se le entrate saranno molto diverse da regione a regione, il passaggio ai costi standard, vale a dire a costi uguali (o quasi) in tutta Italia, rischia di essere un palliativo. I conti non torneranno e il federalismo potrà funzionare solo se le regioni del nord saranno costrette a rinunciare a gran parte delle loro entrate, che finiranno al sud, vale a dire solo se il federalismo sarà poco più di un'illusione.
I dati sono sorprendenti.
Molti si lamentano perchè le grandi imprese ottengono aiuti. Forse è vero, ma è anche vero che lo 0,8% delle imprese paga il 52% dell'IRES. Ovvero le grandi imprese, poche, pagano oltre la metà di tutto quello che incassa lo stato mettendo un'imposta sui profitti delle imprese.
E le altre?
Il 60% delle imprese dichiara di aver conseguito utili nel 2008, il 35% ha invece registrato perdite. Impressionante la differenza territoriale: solo il 9% dei redditi dichiarati appartiene a società del sud (isole comprese).
Se il federalismo si finanzia con le imposte generate dalle persone e dalle imprese di un territorio, al sud non mancheranno i problemi. Infatti il 60% dell'IRAP pagata dalle imprese è incassata dalle regioni del nord e solo il 17% finisce nelle casse delle regioni del sud.
Lo stesso vale per l'IRE (ex IRPEF): i redditi medi al nord sono molto più elevati di quelli dei cittadini del sud. Spesso il reddito medio dichiarato in una regione del sud è la metà di quello dichiarato in una regione del nord. Questo vuol dire che le entrate pro-capite al nord sono 2-3 volte quelle del sud. Le regioni del sud se vogliono incassare come le regioni del nord devono applicare addizionali ben più alte.
Come si può, con questi dati, pensare che il federalismo possa funzionare?
Non basta certo il progetto di rendere omogenei i costi, su cui si basa un aspetto del federalismo. Se le entrate saranno molto diverse da regione a regione, il passaggio ai costi standard, vale a dire a costi uguali (o quasi) in tutta Italia, rischia di essere un palliativo. I conti non torneranno e il federalismo potrà funzionare solo se le regioni del nord saranno costrette a rinunciare a gran parte delle loro entrate, che finiranno al sud, vale a dire solo se il federalismo sarà poco più di un'illusione.
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