31 ottobre 2019

Fiat - Peugeot

Se Volkswagen investe 9 miliardi per modelli elettrici, FCA (ma anche Peugeot) deve trovare un partner. Si potrebbe sintetizzare così l'accordo che sta prendendo piede tra FCA e Peugeot.

L'auto si trova di fronte a (almeno) due grandi sfide, il mercato globale e l'elettrico.

Che il mercato stia diventando globale lo si è capito ormai da tempo, almeno dai primi anni '90, quando si sono aperti i mercati europei alle auto giapponesi (e viceversa). Per produrre auto con prezzi competitivi, ovvero auto per tutti, servono economie di scala e i giapponesi hanno dimostrato di essere maestri in questo.

Servivano quindi grandi numeri, modelli prodotti in milioni di pezzi, piattaforme comuni per ridurre i costi di progettazione, ingegnerizzazione, ecc. vale a dire tutti i costi che si sostengono ancora prima di vendere un solo veicolo.

Ciò vale a maggior ragione con la sfida elettrica. La necessità di produrre auto elettriche riduce la possibilità di usare pezzi già progettati e testati sui nuovi modelli.

Si deve ricominciare da capo e, come succede con le nuove tecnologie, c'è il rischio che un prodotto fatto male o una tecnologia che non ha successo si trasformino in un costo e quindi in perdite, che possono essere enormi in un settore come quello dell'auto.

Ma c'è anche il rischio che, non adottando una tecnologia, ci si trovi fuori mercato, come successo a Nokia, anni fa leader nella telefonia mobile e oggi marchio quasi sparito perchè non è entrare nel mercato degli smartphone al momento giusto.

Dunque servono grandi numeri e grandi investimenti. FCA e Peugeot non potevano restare sole senza grandi rischi di insuccesso e hanno deciso di unirsi.

Infine c'è la globalizzazione dei mercati di vendita. FCA farà entrare Peugeot nel mercato americano e i francesi faranno entrare gli italiani nel mercato asiatico. Anche in questo caso condividendo le strutture commerciali oltre a quelle produttive, limitando gli investimenti in concessionarie e impianti dove non sono attualmente presenti.

26 ottobre 2019

Perchè il cavalier Brambilla....

Perchè non si investe nonostante la grande liquidità?

Ecco la risposta che dà Mario Deaglio, economista in pensione, sulle pagine de La Stampa. Risposta che rispecchia quanto avrete forse letto su questo blog:


23 ottobre 2019

10 ottobre 2019

C'è del marcio a Berlino

Siamo abituati a pensare alla Germania come alla nazione di produzioni industriali importanti, dalle auto agli elettrodomestici passando per l'industria pesante, ma la Germania è anche un importante "produttore" di servizi finanziari.

E finanza vuol dire spesso segretezza e riciclaggio, come spiega questo articolo di Valori: https://valori.it/riciclaggio-di-denaro-quanto-e-opaco-il-cielo-sopra-berlino/?fbclid=IwAR1DuoUZSFdvubCljHkUM_uNohiwgX_caWQ4ibD0KkNYBusC_YmMYI4VLT8

Regole opache, favorite dal federalismo e magari da qualche interesse rendono difficile la lotta contro il riciclaggio nella più grande economia europea che, come ricorderete ospita anche molti capitali fuggiti dalla Grecia (e dal suo fisco).

Non deve stupire l'opacità, tipica di chi ha nelle proprie banche molti soldi stranieri, e neanche la presenza di questi: chi ha capitali li investe in economie solide, che offrono buoni rendimenti e garanzie legislative. Un male comune a molte economie. Non a caso nella classifica dell'opacità troviamo gli USA, la Svizzera e altri paesi piccoli e grandi che fanno affari sull'impiego di denaro proveniente dall'estero.

05 ottobre 2019

Abbassare il debito?

La finanziaria 2020 sarà probabilmente la finanziaria delle promesse mancate. O forse delle promesse assenti.

Tutti vorrebbero fare, ridurre le imposte, alzare gli investimenti ma nessuno vuol rinunciare a nulla, e quindi alla fine le risorse disponibili saranno poche, pochissime e si farà poco o nulla.

La ragione di tutto ciò si chiama Matteo Salvini, abilissimo da marzo 2018 in poi a sfruttare ogni occasione per farsi propaganda. Se un politico riesce a trasformare in dramma ogni euro tolto a qualcuno o ogni euro in più di imposte, chi sta al governo sarà restio a cambiare, per non dare argomenti all'opposizione abile a farsi propaganda.

Tra le tante critiche poco sensate ce n'è una che dice che il governo non fa nulla per abbassare il debito, ridurre la spesa e aumentare gli investimenti. L'ho sentita dire da un giornalista che dirige un quotidiano economico. Un'affermazione che va capita e spiegata.

Si può abbassare il debito? 

Se per debito intendiamo i 2300 miliardi di debito pubblico la risposta è no, a meno di fare in modo che il deficit pubblico cioè la differenza tra entrate e spese di un anno sia positiva. In quel caso, se -supponiamo- nel 2020 lo stato spende meno di quello che incassa, il surplus servirà a ridurre l'enorme massa di 2300 miliardi di debito.

Altro discorso è parlare di rapporto debito/PIL. In questo caso il rapporto può diminuire se il PIL cresce più velocemente del debito. Cosa possibile ma improbabile visto che ormai da tempo il PIL sta crescendo a ritmi lentissimi, quando cresce.

Per cui attenzione: quando si parla di debito in calo si intende, probabilmente, il rapporto debito/PIL. Altrimenti si sta dicendo qualcosa che non ha molto senso e meriterebbe una spiegazione.

Si può ridurre la spesa e aumentare gli investimenti? 

In questo caso dobbiamo chiederci di chi sono gli investimenti. Se sono investimenti pubblici, facendo parte della spesa pubblica, invocare una minor spesa e maggiori investimenti è abbastanza contraddittorio. Per cui servirebbe spiegare quale spesa si vuol tagliare in misura maggiore dell'incremento dell'investimento pubblico che si ritiene indispensabile.

Se si parla di investimenti privati, resta da capire come stimolarli in un'economia ferma. Gli investimenti privati dipendono in gran parte dall'andamento del PIL. Si investe se si pensa di vendere più di prima, ma in una economia ferma questo non succede tanto facilmente. Se gli investimenti privati invece sono stimolati dallo Stato, è evidente che serve una maggiore spesa pubblica o ci si deve accontentare di incassare meno imposte: in ogni caso i conti pubblici peggiorano.

Di sicuro non esiste un modo per ottenere questi obiettivi senza fare scelte dolorose, che, come detto all'inizio, nessuno pare intenzionato a fare per non dare argomenti a Salvini e scontentare i propri elettori.

03 ottobre 2019

Le scommesse di Borghi

Qualche settimana fa s'è scoperto che Claudio Borghi, una delle "menti" economiche del partito di Salvini ha investito in BTP ottenendo rilevanti guadagni, calcolati dal Sole 24 Ore nel 25% dela somma investita. Un guadagno importante, soprattutto perchè si è trattato di un investimento in titoli di stato, di fatto privo di rischio.

In 14 mesi del governo giallo-verde lo spread è salito e sceso diverse volte, raggiungendo e superando in più occasioni quota 300. Un limite preoccupante ma non troppo, per diverse ragioni.

La prima ragione è che uno Stato molto indebitato non si può permettere di pagare tassi elevati sui titoli di stato. Se una dichiarazione politica lo spinge in alto, si spera che altri si muovano per ottenere il risultato opposto, perchè non conviene a nessuno trovarsi al governo con tassi e quindi spese alte.

La seconda è che oggi, a differenza di qualche anno fa, la BCE interviene per tenere bassi i tassi, condizione indispensabile (ma non sufficiente) per sperare che l'economia migliori.

Quindi era molto probabile che le fiammate dello spread fossero temporanee, vale a dire che lo spread salisse oltre quota 300 per poi scendere verso livelli più ragionevoli.

Ciò rendeva non troppo rischioso l'investimento in titoli di stato. Chi li avesse comprati con uno spread alto, non solo aveva una bassissima probabilità di restare con un pugno di mosche in mano, perchè tale è la probabilità di fallimento dello Stato Italiano, ma aveva anche buone probabilità di rivendere di lì a poche settimane gli stessi titoli ottenendo un guadagno.

I titoli di stato sono infatti quotati. Il loro prezzo varia in funzione di acquisti e vendite. Un aumento dello spread significa che le vendite di titoli (decennali) prevalgono sugli acquisti e quindi che il loro prezzo scende. Il contrario succede quando lo spread scende: il prezzo dei titoli sale.

Se si acquista qualcosa quando il prezzo è basso (e lo spread è alto) e si vende quando il prezzo è salito (e lo spread è sceso) si ottiene un guadagno. Molto più generoso del tasso pagato dal titolo.

Ora Borghi ha fatto proprio questo, comprando i titoli quando lo spread era alto e vendendoli in seguito, quando il governo giallo-rosso è entrato in crisi e lo spread è diminuito rapidamente.

Tutto ciò pone alcune questioni serie.

Può un esponente politico di un importante partito di governo speculare sullo spread che i suoi colleghi (o capi) di partito possono influenzare con dichiarazioni o atti politici?

Che garanzie hanno i cittadini e i risparmiatori che tali dichiarazioni non siano studiate per muovere lo spread e quindi i prezzi dei titoli di stato?

Che serietà ha un politico che si schiera contro l'euro ma al tempo stesso fa scelte di investimento che sono convenienti se le sue idee economiche non si realizzano?

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