19 giugno 2019

Il dominio della finanza, secondo Conte (Giuseppe)

Nel giorno della maturità, i principali esponenti del governo italiano si riuniscono per rispondere alla lettera dell'UE sul debito eccessivo.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha spiegato il senso della lettera: non è accettabile il dominio della finanza, perchè non permette la crescita.

E' una affermazione che lascia perplessi per vari motivi.

Il primo è che si sposta l'attenzione. Non si parla del debito eccessivo, che è l'oggetto del contendere, ma della finanza. Vale a dire di chi presta soldi e non di chi ne prende in prestito troppi. Un pò come se una persona dicesse al dietologo che non gli interessa parlare del proprio peso eccessivo ma di quel che vende il negozio sotto casa che vende cibi troppo buoni.

Dobbiamo anzi dovrebbe, il governo occuparsi del debito, pensando che l'UE difficilmente si lascerà ingannare.

La seconda questione riguarda l'idea del dominio della finanza. Affermazione che ricorda le bufale sui Rothschild che avrebbero e userebbero un grande potere. Bufala che nasce dal fatto che i banchieri hanno raccolto enormi somme di denaro usato per finanziare il debito pubblico, proprio come i Medici (e tante altre famiglie italiane del passato), ricordati invece per le opere d'arte.

Chi presta i propri capitali lo fa pensando ai propri interessi. Se domina (qualunque sia il significato di questo concetto) lo fa perchè il debito è enorme. Quindi anche questa volta il problema è il debito, non il dominio del creditore.

Terzo punto: il dominio non permetterebbe la crescita. Quella crescita che il governo sta promettendo, da un anno a questa parte cioè da quando è nato, ma di cui non si vede alcuna traccia. E non c'è neanche traccia di autocritica o almeno di una valutazione delle scelte fatte finora. Scelte celebrate come se dovessero far svoltare l'Italia, ma nella realtà capaci di deprimere l'economia, facendo fuggire capitali e investimenti.

Se il governo Conte vuole essere credibile non può certo spostare l'attenzione ma concentrarsi sulle proprie scelte che non stanno facendo bene all'economia e far salire troppo il debito, che pur alto sarebbe più facile da gestire se il PIL crescesse. Crescita che è auspicabile ma non si ottiene spendendo troppi soldi e male.

10 giugno 2019

Di Maio, Whirpool, Renault e Alitalia

La fusione tra FCA e Renault fallisce, per colpa soprattutto delle ingerenze del governo francese, azionista con il 15% della casa automobilista transalpina, e il superministro (controlla 3 ministeri) Di Maio ci spiega che i francesi hanno fermato un'operazione di mercato.

L'operazione di mercato, come la definisce il ministro, è una fusione che avrebbe potuto avere un forte impatto sulla realtà industriale delle due aziende, in particolar modo in Francia, con la chiusura di stabilimenti e cambiamenti tra i fornitori, anch'essi potenzialmente soggetti a chiusure di impianti.

E' logico quindi che un governo non veda di buon occhio una fusione che potrebbe provocare licenziamenti e proteste in una nazione sconvolta da mesi dalle proteste dei gilet gialli.

Lo stesso ministro però non liquida come operazione di mercato l'annunciata chiusura dello stabilimento campano di Whirpool, che -se valgono le regole di mercato- ha diritto di rioganizzare le proprie attività come avrebbero fatto FCA e Renault.

La sola differenza, oltre alla nazione in cui sono presenti le fabbriche coinvolte, è che nessuno sta comprando Whirpool. Per il resto siamo di fronte a possibili riorganizzazioni che possono causare perdite di posti di lavoro.

Proprio come nel caso Alitalia che il governo italiano non affronta e non trova soluzione perchè gli eventuali acquirenti della compagnia aerea vorrebbero licenziare migliaia di dipendenti. Scelta che Di Maio non vede di buon occhio proprio come il governo francese non vede di buon occhio il rischio che Renault licenzi gli operai.

08 giugno 2019

Le plusvalenze nel calcio

Il calciomercato è aperto e ne approfitto per (ri) spiegare come si generano plusvalenze quando una società di calcio vende un calciatore.

Quando una società di calcio acquista un calciatore, ovvero acquista il diritto a sfruttarne le prestazioni sportive, spende una certa cifra. Supponiamo che siano 40 milioni (somma spesa dalla Juventus quando ha comprato Dybala).

Nel bilancio della società si scrive che il giocatore vale 40 milioni. I bilanci però sono annuali, calcolano i costi e i ricavi di 12 mesi (nel calcio, di solito si parte il 1 luglio e si conclude il 30 giugno dell'anno successivo). Se per un giocatore si spendono 40 milioni e gioca 5 anni, il costo è 40:5 cioè 8 milioni. 

Il costo in gergo si chiama accantonamento al fondo ammortamento di un certo giocatore.

Dopo 1 anno il valore è 40 e si sono accantonati 8 milioni, il secondo anno il valore è 40 ma si sono accantonati 16 milioni, e così via.

Ora supponiamo che la società decida di vendere per 60 milioni il calciatore dopo 2 anni. Incassa 60 milioni, ne ha spesi 40 e ha accantonato 16 milioni. La plusvalenza è quindi 60-40+16= 36 milioni. Ovvero possiamo dire che dopo 2 anni il valore del calciatore è 24 milioni, pari al prezzo di acquisto, 40,  meno gli accantonamenti, 16 milioni. 36 milioni sono la plusvalenza.

E se con i 60 milioni di una vendita si compra un altro giocatore? Intanto i 36 milioni sono una plusvalenza cioè un ricavo straordinario. Un pò come aver firmato un contratto pubblicitario che dura solo 1 anno.

Se si acquista un calciatore da 60 milioni il costo annuo che diventa 60:5 (se il contratto è di 5 anni), ovvero 12 milioni. Che sono meno, nel nostro esempio, dei 36 milioni di plusvalenza. Con una plusvalenza di fatto si incassa una cifra rilevante subito e poi si pagano i costi in seguito, negli anni successivi.

Infine, cosa succede se il giocatore prolunga il contratto? 

In questo caso si calcola il valore e si ricalcola il costo proprio come s'è fatto in precedenza. Se dopo 2 anni il giocatore vale 24 milioni e si fa un nuovo contratto di 5 anni, il costo annuo passa da 8 milioni a 24:5 ovvero 4,8 milioni. 

06 giugno 2019

Calciomercato esteso

Gli appassionati di calcio forse sanno che quest'anno il calciomercato cioè le compravendite di calciatori, durerà tre mesi, dai primi giorni di giugno fino ai primi di settembre.

E' una scelta in controtendenza, rispetto a quello che s'è visto e detto negli anni scorsi, che nasconde una ragione economica e una tecnica.

Negli anni passati qualche operatore di mercato aveva chiesto di ridurre il periodo in cui sono possibili scambi. Tradizionalmente il "mercato" dei calciatori durava due mesi in estate, luglio e agosto (più qualche giorno di settembre), e uno in inverno, il mese di gennaio.

Chi chiedeva un periodo più breve voleva evitare trattative molto lunghe e, soprattutto, voleva impedire compravendite mentre il campionato era in corso per evitare possibili conflitti di interesse, ovvero giocatori che stanno trattando il passaggio da una squadra a un'altra contro la quale pootrebbero giocare mentre le trattative sono in corso.

Una riduzione per periodo degli scambi di calciatori creava altri problemi, possibili pressioni legate al fatto che se il mercato italiano chiude prima, restano possibili le vendite a squadre straniere mentre non sono possibili gli acquisti nè da squadre italiane nè da squadre straniere.

E' dunque meglio che il mercato chiuda lo stesso giorno dei mercati dei calciatori di altre nazioni. Ma perchè estenderlo anche a giugno?

La ragione è legata al bilancio che per quasi tutte le società calcistiche chiude il 30 giugno. La possibilità di vendere i giocatori a giugno permetterà alle società in difficoltà di raggranellare qualche soldo, utile per sistemare i bilanci e anche di risparmiare sugli ingaggi: se la trattativa si fa e si chiude a giugno, dal 1 luglio o magari anche prima il giocatore è pagato dalla società acquirente e il venditore risparmia un pò di soldi.

E' una ipotesi azzardata, la mia? Mi sa di no: la vendita della Fiorentina a un imprenditore italo-americano e altre trattative (Genoa e Sampdoria) in corso suggeriscono che i conti delle squadre non sono floridi.


01 giugno 2019

Minibot

Cosa pensare dei minibot di cui ieri s'è occupato il Parlamento, approvando una mozione che prevede la possibilità per il governo di pagare i crediti della pubblica amministrazione appunto coi minibot?

Le differenze tra un bot e un minibot paiono essere due: gli importi molto limitati per permettere di pagare somme modeste dovute dalla PA alle imprese e la volontarietà dei pagamenti. Se l'impresa accetta, si paga in minibot, altrimenti l'impresa aspetta il pagamento tradizionale con un bonifico bancario. 

Se l'impresa è libera di accettare (o rifiutare) il pagamento, diventa difficile classificare il minibot come moneta. E' un bot vero e proprio, e come tale verrebbe percepito dai mercati finanziari, che calcolerebbero un nuovo debito pubblico (quello attuale più i minibot) con tutte le conseguenze del caso sulla credibilità dell'Italia. 

Un'Italia con un debito pubblico cresciuto di 50-60 miliardi preoccuperebbe i mercati. E a poco servirebbero le teorie di politici (e magari di qualche economista) che potrebbero inventarsi buoni motivi per affermare il contrario. Minore fiducia e tassi in su, cioè maggiore spesa per lo Stato senza alcun beneficio per i cittadini.

I minibot servirebbero però a annullare il debito verso le imprese e a rilanciare l'economia. Vero ma solo in parte. Intanto perchè sarebbero "mini" proprio perchè servirebbero a pagare solo importi modesti a piccole imprese, e quindi non è detto che il beneficio macroeconomico sarebbe consistente. 

Poi occorre valutare l'effetto del pagamento in minibot. Se questi sono trasformabili in denaro contante, come qualunque titolo di stato che può essere venduto in qualsiasi momento, e senza perdite l'impresa accetterà. Altrimenti preferirà aspettare il pagamento del debito.

Se il minibot può essere rivenduto incassando il valore del credito o qualcosa in meno, l'impresa accetterà, se la perdita è modesta. Ma questo significa che sono veri e propri bot. Inondare l'economia di questi minibot significa far crescere il debito pubblico e far salire lo spread se questi titoli dovessero finire sul mercato.

Se invece il minibot non può essere venduto, spread e tassi non aumenteranno ma per l'impresa il credito resta immutato e non c'è alcun vantaggio per l'economia, perchè non c'è una vera immissione di liquidità.

L'impresa potrebbe usare i minibot per pagare i crediti verso lo Stato? Si, ma sarebbe molto più semplice compensare crediti e debiti della pubblica amministrazione, evitando l'emissione di titoli che di fatto lanciano un segnale negativo a chi presta i soldi allo Stato. 

Lo Stato costringe già i propri fornitori a prestargli soldi. Vuole il pagamento di imposte e contributi mentre ritarda i propri pagamenti. Un vero e proprio prestito forzoso anche se non ha questa forma. Quando una impresa pagasse usando minibot lo stato non incasserebbe soldi veri e quindi sarebbe costretto a emettere bot (veri) per coprire il mancato incasso. A quel punto tanto vale finanziarsi emettendo bot (veri) e usare i soldi per pagare i fornitori che a loro volta pagano imposte e contributi con soldi veri.

Insomma l'ipotesi minibot non è per nulla convincente. Qualche politico potrà spiegare che il debito miracolosamente non aumenterà o che ci saranno solo vantaggi am è difficile crederci. La realtà economica prevarrà sulle illusioni e questa si rivelerà una pessima idea o soltanto un modo diverso per presentare una vecchia cosa: il pagamento tramite l'emissione di debito pubblico.

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