29 dicembre 2010

Perchè si accetta la moneta?

Tratto dall'ultima versione di Frottole e illusioni sul tema del signoraggio.

Se non possiamo fare riferimento all'oro o ad altri metalli preziosi perché accettiamo di usare l'euro?

La moneta è, anzitutto, uno strumento di pagamento. Serve ad acquistare un litro di latte (bene) o un biglietto per l'autobus (servizio), a pagare gli stipendi o a comprare casa.

Perché l'accettiamo quando ci pagano? Perché sappiamo di poterli spendere in quanto siamo certi che altri li accetteranno.

Ciascuno di noi è “disposto ad accettare moneta solo se si aspetta che anche gli altri individui facciano altrettanto”. Occorre fiducia nell'uso della moneta e non importa com'è fatta la moneta: “La caratteristica dell'accettabilità non è determinata da proprietà fisiche della moneta, ma è una proprietà che la moneta acquisisce come risultato dell'interazione strategica degli individui e delle loro congetture” (1).

La fiducia richiede istituzioni e regole che garantiscano “fiducia nel suo potere d'acquisto futuro, nella persistenza della convenzione in virtù della quale il passaggio di mano di moneta esaurisce l'atto di pagamento” (2).

Una delle regole impone di accettare la moneta legale usata in uno stato: ieri la lira e oggi l'euro.

E' bene precisare che l'accettazione va intesa a senso unico: posso accettare una moneta, ma non posso rifiutarla. Se potessi rifiutare l'euro, anche chi mi paga lo rifiuterebbe: non vorrebbe una moneta che non può spendere. Il rifiuto di pochi potrebbe scatenare una serie di rifiuti a catena fino a rendere inutilizzabile una moneta.

La libertà di rifiutare una moneta rischierebbe di uccidere una moneta senza aprire la strada all'uso di un'altra moneta, che potrebbe essere rifiutata.

Un sistema con più monete sarebbe inefficiente: imprese e consumatori dovrebbero possedere le diverse monete, subendo perdite reali (mancati interessi) o potenziali (perdita di una moneta rispetto all'altra).

Inoltre in un sistema con più monete, una moneta potrebbe scomparire, lasciando chi la possiede con un mucchio di carta straccia in mano. Ciò accadrebbe se chi usa una moneta si convincesse che essa è destinata a svalutarsi rispetto all'altra (o alle altre). La conseguenza sarebbe il rifiuto di usare la moneta in questione, fino a trasformarla in carta straccia.

Per evitare confusione e costi evitabili, si preferisce, oggi, usare una sola moneta, e si obbligano i cittadini ad accettarla.

Se l'accettazione, come detto, va intesa a senso unico, sbaglia chi scrive che il valore di una moneta dipende dall'accettazione. Se non c'è unanimità, la moneta alternativa avrebbe valore solo tra chi decide di accettarla. Per gli altri il valore dipende dalla possibilità di convertile la moneta alternativa nella moneta preferita.

Il valore in euro di una moneta alternativa (MA) per chi non l'accettasse dipenderebbe dal numero di euro che si ricevono in cambio di una unità di MA.

Se si diffondesse il timore di una futura svaluazione della MA rispetto all'euro o di difficoltà nel convertire la MA in euro, chi, in un primo momento, ha deciso di accettare la MA la rifiuterebbe e chi continuasse ad accettare la MA rischierebbe di trovarsi con una moneta priva di alcun valore (espresso in euro).

Chi, in un primo momento, ha accettato una moneta avrebbe, in altri termini, interesse a rifiutarla, preferendo l'euro alla MA. Ma tale preferenza causerebbe il crollo del valore della moneta alternativa.

La moneta accettabile (o no) sarebbe solo una palla al piede per l'economia. Aumenterebbe i costi e le incertezze di imprese e consumatori.

Ma c'è l'oro! potrebbe esclamare qualcuno. Ma perché si accetta l'oro nei pagamenti? Perchè ha valore, potrebbe dire un sostenitore dell'oro.

Già, ma cosa significa che l'oro ha valore?

Nei secoli passati i grandi mercanti (e solo loro) usavano l'oro perché era accettato ovunque come mezzo di pagamento. Chi partiva per la Cina o l'India sapeva che avrebbe potuto usare l'oro. Era accettato praticamente ovunque, vale a dire funzionava come una moneta. Ma nessuno ci obbliga a accettare l'oro, se non lo vogliamo.

Dunque non c'è alcuna differenza tra l'oro e una moneta cartacea: se possiamo rifiutare una banconota da 10 euro perché non ho certezze sul fatto che altri l'accetteranno, possiamo rifiutare l'oro per lo stesso motivo.

Ancorare la moneta all'oro non la rende più accettabile e non garantisce alla moneta un maggior valore. In compenso rende più caro l'uso di uno strumento di pagamento, perchè richiede il possesso di un oggetto costoso, l'oro.

Chi non è convinto di ciò descrive l'euro come carta straccia, perché non ancorato all'oro. Se fosse vero, costui dovrebbe accettare un banale scambio: carta straccia (una banconota da 50 euro) in cambio di altra carta (un foglio bianco di peso e dimensioni maggiori).

Accetterà? Naturalmente no. L'euro non è carta straccia e chi lo afferma non è disposto a scambiare la sua carta (banconota) con la vostra carta (un foglio qualsiasi). Il valore non dipende dall'oro e la mancanza di una riserva d'oro non trasforma la banconota in carta straccia.

In conclusione c'è una sola ragione che ci spinge ad accettare una moneta: la certezza certezza che altri l'accetteranno. Certezza che dipende anche dalla legge che, impedendo che qualcuno dica "no, grazie, non voglio l'euro", ci rassicura sul fatto di poter usare una moneta e ci dice che una banconota non è carta straccia.

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(1) Bagliano, Marotta, Economia monetaria, Il Mulino, pag. 31
(2) Giannini C., L'età delle banche centrali, Il Mulino, pag. 31


28 dicembre 2010

La via del Denaro (che mi entra in tasca)


Un ragazzo di nome Salvatore Tamburro, laureatosi all'Università degli Studi di Napoli “Parthenope” con una tesi dal contenuto da cui ha preso le distanze perfino il suo colpevole relatore, ha pubblicato un libro dal titolo "La via del Denaro", tramite uno strano editore. Trattasi in realtà proprio della sua tesi di laurea "La Banca d'Italia, il Signoraggio e il Nuovo Ordine Mondiale" che noi già abbiamo affrontato in passato con un post, chiedendoci come sia possibile che possa laurearsi un tipo scrivendo tali corbellerie (per esser gentili con gli aggettivi).

15 euro. Vicino casa mia con la stessa cifra c'è la possibilità di mangiare un'ottima pizza, più una birra, più un dolce, più caffè, più amaro.

Urupia (prima parte: premessa)


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Qualche anno fa, tramite un evento nella mia città, ho avuto la possibilità di conoscere Urupia, una comunità del Salento, autogestita da un gruppo di giovani, ragazzi e anziani. E' una comunità anarchica che vive con rigorosi precetti, in relazione con il proprio e personale terreno storico-ideologico.
Questa interessante comunità getta la possibilità di una breve riflessione.

La letteratura anarchica è sterminata, ma, iscritta nell'ampio scenario storico delle teorie politiche e morali, risulta comunque essere "recente", così come risulta difficile rintracciare qualche trattato anarchico come lo si intende in maniera odierna, prima del 1800. L'evoluzione della società e lo sgombero di alcune restrizioni nel senso morale (che afferiscono non solo all'aspetto religioso) va di pari passo all'allargamento degli orizzonti dell'immaginazione e alla presa delle redini di nuove possibilità di azione. Per cui non deve sorprenderci che molte delle elucubrazioni più balzane e "distanti" anni luce da noi, vedano vita proprio nella nostra società, ritenuta, talvolta proprio da chi auspica rivoluzioni, "non libera".

Parte del pensiero anarchico moderno può essere descritto brevemente ed in maniera rappresentativa dal pensiero di Colin Ward. Secondo Ward, l’anarchia è la più efficace forma d’organizzazione sociale, non una organizzazione ipotetica, ma una vivente realtà sociale". Una realtà che secondo lui è sempre esistita e che tuttora esiste solo come "prodromo", solo come "seme sotto la neve", perchè schiacciata dall’oppressione dello stato e del capitalismo.
Ward sostiene che "gli esseri umani sono collaborativi per natura e che le stesse strutture e istituzioni sociali esistenti, per capitaliste e individualiste che siano, si disintegrerebbero se non esistesse la forza aggregante del mutuo appoggio e della consociazione, pur tanto sottovalutati oggi. La società non si trasforma alla stregua dei salti climatici millenari, ma in ragione di una situazione prolungata di doppio potere nel corso della lotta tra tendenze autoritarie e tendenze libertarie, dove è del tutto improbabile la vittoria schiacciante e definitiva delle une o delle altre".

Quindi cooperazione, solo con questo tipo di azione l'uomo può salutare le oppressioni, che siano quelle capitalistiche, militaristiche, o semplicemente del "linguaggio".

Tornando ad Urupia, nella comunità all'inizio descritta non si usano automobili, solo biciclette. Questi mezzi non sono proprietà di nessuno, se si vuole usarli si deve specificare il motivo dell'utilizzo e il tempo.
I membri della comunità si chiamano "comunarde", per contrastare, anche a livello lessicale, l’onnipresente egemonia maschile presente in quella che si dice "inadeguata lingua italiana".
Tutti gli scambi non sono regolati dal denaro.
L'economia di caratterizza per l'assenza di ogni tipo di proprietà privata. Ogni lavoro così non è salariato e lo scambio avviene prevalentemente attraverso forme di baratto.
Per perseguire la parità sessuale, tutti orinano da seduti nelle toilettes (una testimonianza recita: "non si capisce per quale motivo, nel mondo reale, ai maschi sia concesso, dalla loro comoda posizione virile, in piedi, schizzare qua e là micro-gocce dei loro liquidi urinari, che qualcuno dovrà poi pulire. Questo qualcuno spesso non è l’autore degli schizzi, e spesso è di sesso diverso, quando non di razza, ceto e continente diversi").
Tutti i prodotti alimentari, pane, vino etc., sono auto-prodotti tramite agricoltura biologica.
Gli oggetti tecnologici si usano, ma solo se i membri ritengono che rispetti un'ottica "anti-consumistica".
Ogni proposta viene approvata solo se c'è il consenso di tutti i membri.

Seguiranno altri aspetti divertenti ed interessanti ed alcune osservazioni critiche sul progetto Urupia.

27 dicembre 2010

Federalismo fiscale ed equità

Stanno finalmente uscendo le prime stime dell'impatto del federalismo fiscale sui bilanci dei comuni.
I comuni saranno i primi a testare sulla loro pelle il passaggio dai trasferimenti basati sul criterio della spesa storica alle imposte proprie. Vediamo le differenze.

Come funzionava: criterio della spesa storica. Il comune spendeva X. L'anno successivo, considerata l'inflazione i rinnovi dei contratti dei dipendenti, ecc. ecc. la spesa e i trasferimenti aumentavano di una certa percentuale. Esempio: se si stimava un aumento del 3%, e la spesa era stata prima di 100, l'anno successivo la spesa (e i trasferimenti) saliva a 103. L'anno successivo si ripeteva prendendo come base 103 e così via.

Come funzionerà: al comune è assegnata un'imposta (l'IMU) il cui gettito verrà da imposta di registro e ipotecaria (si pagano quando si comprano e vendono case) + Irpef sui fabbricati o cedolare secca. In pratica ai comuni andrebbero le imposte sugli immobili. In questo calderone non si sa che fine farà l'ICI, probabilmente sarà accorpata all'interno dell'IMU, ma non è detto e nel prospetto non è compresa.

Questo è il prospetto fonte: uno studio fatto dal senatore Stradiotto del PD su dati 2010, prendendo i dati di imposte di registro e ipotecarie del 2010 e i trasferimenti statali sempre del 2010, studio effettuato solo sui comuni capoluogo di provincia. Quindi non coinvolge TUTTI i comuni italiani.

Come accennavo prima, è esclusa l'ICI.

E' evidente il risultato: partendo dall'ultima pagina (17), quindi scorrendo la classifica delle differenze dal basso, i comuni in fondo alla classifica sono quasi tutti del sud: Napoli, L'Aquila, Messina, Palermo, Cosenza, Potenza, Catania, Taranto, Foggia, Brindisi, Benevento, Catanzaro, Reggio Calabria, Salerno, Nuoro...
In cima alla classifica troviamo, a parte Olbia, quasi tutto il centro nord.

Nel documento da parte del senatore Stradiotto si perora un fondo perequativo per ammorbidire le differenze e l'impatto.

Innanzitutto a me fa impressione un dato che comunque lo si voglia leggere rimane oggettivo: i trasferimenti per abitante del 2010.
In fondo alla classifica troviamo Napoli che prende 669 € per abitante, ma poi anche Roma che ne prende 484, salendo troviamo Milano 385, Torino 402, Bologna 396.
Viene spontaneo chiedersi a cosa siano dovute queste differenze ma forse uno sguardo al futuro potrebbe essere più interessante.

Per come è congegnata l'IMU è evidente che è un'imposta che premia i passaggi di proprietà (le imposte di registro e ipotecarie si pagano sulla vendita di immobili e soprattutto sulla vendita di seconde case e immobili industriali e commerciali, perché la prima casa è praticamente esente) e gli alti valori catastali, perché la cedolare secca (o l'IRPEF) si pagano sulla rendita catastale o sugli affitti.
Nei grandi centri prevalgono le entrate da IRPEF e cedolare, nei centri turistici quelli da trasferimenti.

Questo meccanismo premierà quindi quei comuni che:
- hanno rendite catastali e affitti alti
- hanno molte seconde case
- hanno un fiorente mercato immobiliare

di converso penalizzerà i comuni che:
- hanno i valori e gli affitti delle case bassi
- poche seconde case e molte case residenziali
- poco movimento di immobili

Quindi non è un caso se in cima alla classifica ci siano quasi tutti i comuni del nord e qualche comune del centro o del sud fortemente turistico. I prezzi delle case e i valori di trasferimento sono altissimi e quindi di conseguenza lo sarà anche il gettito proveniente dagli immobili.
Da qui si apre uno scenario pericolosissimo per i possessori di immobili perché i comuni, non potendo incidere sulla compravendita di immobili, faranno di tutto per aumentare le rendite catastali spingendo di conseguenza in alto gli affitti, in modo da massimizzare il gettito nel lungo periodo.
Inoltre essendo valida l'equazione: + immobili = + gettito, è ovvio, come adesso ma più di adesso, che più un comune è edificato, più si incassa, quindi permettere la costruzione di seconde case, che sconterebbero imposte di registro e catastali altissime e alte rendite catastali (o affitti) sarebbe un ottimo affare.

Viceversa, un comune piccolo, magari in montagna o in collina, con solo prime case e poche vendite immobiliari, dove prenderà i soldi?

26 dicembre 2010

L'accordo di Mirafiori


Prima di Natale, Fiat e sindacati (Fiom esclusa) hanno raggiunto un accordo sulla joint venture tra Alfa Romeo e Chrysler per costruire una nuova auto comune.

Come giudicare l'accordo? Forse leggendolo, almeno per le parti più controverse. Il documento è presente qui: http://www.fiom.cgil.it/auto/fiat/mirafiori/10_12_23-mirafiori.pdf

L'accordo prevede una clausola di responsabilità impegnativa (pagina 3): o i sindacati mettono in pratica gli accordi, oppure l'azienda non ha doveri quanto riguarda i contributi sindacali e i permessi sindacali. Lo stesso vale se si cerca di fare in modo di rendere inapplicabili gli accordi.

In tema di pause, azienda e sindacati dicono che ha funzionato un sistema di lavoro applicato dal 2008. Per questo decidono di ridurre le pause, ma solo per chi lavora alla catena di monetaggio. Si riduce la durata di due delle tre pause che scendono da 15 a 10 minuti, in cambio di una trentina di euro in più al mese.

Un tema molto discusso riguarda il pagamento dei giorni di malattia, sottolineando che la Fiat non pagherà il primo giorno e, dopo una certa data, i primi 2 giorni. Tale clausola scatta solo a certe condizioni.

La prima dice che i mancato pagamento scatta se il tasso di assenteismo non scende sotto il 6% (prima metà del 2011) e, negli anni successivi, se non scende sotto il 3,5%. Ovviamente nel calcolo dell'assenteismo non si tiene conto di talune malattie croniche che richiedono cure costanti e quindi non possono garantire la presenza del lavoratore.

Poi il mancato pagamento scatta dopo la seconda "malattia" nell'arco di un anno ma solo prendendo in considerazione le malattie che avvengono prima o dopo le feste, le ferie o la pausa settimanale. E inoltre solo se la malattia è inferiore ai 5 giorni.

E questo fa pensare che ci sia, negli stabilimenti Fiat, un problema di assenteismo, camuffato da malattia. Si riducono i (veri) diritti dei lavoratori se si agisce per cercare di ridurre le finte malattie che hanno lo scopo di allungare le ferie o di permette il "ponte"?

A chi legge l'ardua risposta.

25 dicembre 2010

Iperinflazione della Germania, 1922 - 1923

Qualche giorno fa abbiamo segnalato il lato divulgativo della Banca d'Italia.
Di seguito un video tratto dal gioco Inflation island, dove si presenta il caso della Germania che vide una drammatica iperinflazione nel 1922. E', indirettamente, anche una risposta a molti sul rischio di stampare più moneta, anche in situazioni di debito, rispetto ai servizi e beni che una nazione produce e mette a disposizione.
Occasione nostra di inaugurare anche un piccolo canale youtube, e di augurare un Buon Natale a tutti.

21 dicembre 2010

Una giornata ordinaria


Questo fine settimana mi sono alzato presto, ho preparato in casa il caffè, tagliato il pane e preparato la colazione. Poi ho cambiato mio figlio e insieme siamo usciti a giocare.
Intanto mia moglie è andata a fare la spesa al mercato, poi ha preparato il pranzo.
Dopo pranzo sono uscito in bici per andare a fare un po’ di volontariato nella bottega del commercio equo e solidale e quando sono tornato io e mia moglie abbiamo pulito casa e falciato il prato.
La sera abbiamo preparato la cena e poi siamo andati a dormire dopo aver letto un libro.

In tutta questa giornata, stupenda, sono stato un pessimo consumatore.

Non ho sprecato benzina stando in coda per i laghi.
Non ho fatto shopping in un centro commerciale.
Non ho girovagato da un bar all’altro bevendo le miscele più improbabili.

Non ho fatto crescere il PIL!

Ho fatto un sacco di cose, ma il PIL non è cresciuto (quasi… concedetemi un sogno poetico…).

Eppure sto bene lo stesso!

Se avessi fatto crescere il PIL sarei stato meglio?

Se fossi stato in coda sulla strada dei laghi avrei sprecato benzina e il PIL sarebbe cresciuto.
Se avessi fatto shopping il PIL sarebbe cresciuto.
Se una baby sitter avesse tenuto mio figlio mentre io e mia moglie andavamo al cinema il PIL sarebbe cresciuto.
Se il mio volontariato non fosse stato tale il PIL sarebbe cresciuto.
Se avessi chiamato un giardiniere per falciare il prato o chiamato una società di catering per la spesa, il PIL sarebbe cresciuto.

Eppure tutte queste cose le ho fatte lo stesso e il PIL non si è mosso di un decimale.

E allora è così importante che il PIL cresca?

Mi ci ha fatto pensare una signora tedesca intervistata dalla Gabanelli su Report: “qui in Germania siamo abituati che il PIL cresca ogni anno, ma non stiamo certo meglio per questo!”.

E allora cosa serve che il PIL cresca se non stiamo meglio? A cosa serve la crescita se la ricchezza non viene distribuita?
Siamo ridotti a consumatori e come tali valiamo!
Se la ricchezza è di carta, che benefici porta ai cittadini?
Siamo contenti che la borsa salga e ci preoccupiamo se scende? Ma che benefici pratici porta questo alle nostre tasche se i movimenti sono generati solo da opzioni push e call (vendite e acquisti allo scoperto) e non rispecchiano il valore economico delle società azionarie?

E faccio anche una affermazione volutamente provocatoria che in Report non hanno avuto il coraggio di fare. Se tutte le donne volontariamente stessero a casa a badare a casa e bambini, il PIL non si muoverebbe di una virgola, perché si risparmierebbe su spesa, baby sitter, asili nido, riparazioni casalinghe, ecc. ecc.. Anzi, il PIL diminuirebbe perché tutte queste attività non sarebbero rilevate!
Ma in realtà staremmo peggio perché il PIL non è cresciuto?

Proprio non lo credo!

20 dicembre 2010

Il lato divulgativo di Bankitalia

Nel sito della Banca d'Italia sonon finalmente presenti contenuti meno seri. Giochi interattivi per capire come funziona la banca centrale e quali sono i suoi obiettivi.

Eccovi i link. Cliccateci sopra e divertitevi

http://www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/mat_didattico/economia.html
In questo gioco si deve regolare il tasso di interesse per mantenere bassa l'inflazione

http://www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/mat_didattico/inflation_island.html

19 dicembre 2010

Tommaso Padoa Schioppa


Sabato sera è morto Tommaso Padoa Schioppa, famoso per essere stato ministro durante il secondo governo Prodi, tra il 2006 e il 2008.

Figlio dell'amministratore delegato delle assicurazioni Generali, ha studiato alla Bocconi e poi al MIT di Boston, per poi svolgere diversi incarichi presso la Banca d'Italia, l'Unione Europea, la BCE, la Consob e altre importanti istituzioni economiche internazionali. E' stato uno dei più entusiasti sostenitori dell'euro, e avrebbe fatto parte del consiglio di amministrazione di Fiat Industrial, una delle due aziende in cui, da gennaio, sarà diviso il gruppo Fiat.

Difficile considerarlo un economista teorico, e difficile accostarlo a un governo di sinistra, viste le idee liberali e considerato che faceva parte da sempre di una elite molto lontana dal cittadino comune, dall'operaio un tempo iscritto al PCI e oggi sostenitore del PD o magari di Vendola.

Lo si è capito quando ha parlato dei bamboccioni, un vero autogol (ne avevo scritto qui) per un ministro di un governo di centro-sinistra in un'Italia in cui le difficoltà della vita quotidiana sono enormi.

Padoa Schioppa era l'esponente di una destra elitaria che fa capo a Bankitalia. Una destra che non ha nulla da spartire con la destra populista di Berlusconi, con quella di Fini o di Casini.

La destra di Bankitalia, vicina ai poteri forti internazionali, legata alla massoneria come alle grandi banche internazionali, è composta da economisti e tecnici forse poco fantasiosi, incapace di elaborare teorie economiche nuove e interessanti, ma dotati di competenza e serietà, una qualità rara in un'Italia in cui la cultura economica interessa a pochissimi e quasi tutti i politici (e non solo loro) sono incapaci di tenere sotto controllo i conti pubblici (e non solo).

Per questo Padoa Schioppa sarà ricordato per aver portato l'Italia nell'euro. Per questo ha fatto il ministro in un governo appoggiato da forze politiche alle quali probabilmente non era vicino e per questo è stato chiamato a svolgere compiti importanti, nella BCE o nei consigli di amministrazione di qualche società importante.

La credibilità è merce rara in Italia e lui ne aveva da spendere presso istituzioni, banche e fondi stranieri. Per questo l'Italia senza Padoa Schioppa è un paese più povero.

18 dicembre 2010

L'asino economico - Luca Casarini

Qualcuno ricorda Luca Casarini? Nel 2001 divenne famoso durante il G8 svoltosi a Genova.

Contro Bush, l'imperialismo, Berlusconi, a zona rossa, per i popoli e contro i divieti di ogni genere decisero di manifestare indossando tute bianche. Un simbolo, un marchio di fabbrica di uno dei leader della protesta a Genova. Un simbolo di una sinistra estrema, che citava Marx come se fosse morto il giorno prima.

Lui e Agnoletto, un medico con simpatie comuniste e un passato nei boy scoutm volevano impedire il G8, violare la zona rossa.

Che fine ha fatto quasi 10 anni dopo?

In questa intervista al Corriere racconta di aver aperto un'azienda individuale e di svolgere attività di consulenza.

Nulla di male. Se la rivoluzione non rende, viene da pensare, meglio fare un lavoro onesto.

Solo che Casarini ci rifila la sua filosofia economica degna del miglior signoraggista o del peggior asino economico, persino un pò leghista.

A suo dire le imposte "finiscono per il 90% in spese di guerra, in superstipendi di manager pubblici, in emolumenti di politici" e occorre combattere "affinché i soldi non finisca­no più a Roma per poi sparire nel nulla".

Questa volta il titolo di asino economico va a lui, passato con disinvoltura da Marx a un leghismo da bar di periferia.

16 dicembre 2010

Il signoraggio salva l'economia

Oggi la BCE ha deciso di aumentare il capitale sociale. 5 miliardi in più. Da quasi 6 a quasi 11 miliardi circa di euro. La nostra Banca d'Italia verserà quasi 700 milioni.

Da dove arrivano e a cosa servono tutti questi soldi?

I soldi arrivano dal cosiddetto signoraggio, i soldi guadagnati dalle banche centrali che operano scontando i titoli delle banche. E' un'attività redditizia e il reddito di solito finisce in gran parte nelle casse statali.

Questa volta invece sarà usato per finanziare la Banca Centrale Europea. A quale fine?

La crisi della finanza è stata scatenata dai cosiddetti titoli tossici, acquistati da molte banche. Di fronte al rischio di subire perdite, i possessori di capitali li hanno ritirati e non hanno rinnovato i prestiti e questo ha scatenato la crisi.

La soluzione offerta dalle banche centrali, FED e BCE in testa, è consistita nel rimpiazzare i capitali privati con capitali pubblici, resi disponibili dai governi e dalle banche centrali.

La BCE, in cambio di capitali freschi, ha acquisito titoli "tossici": per ogni 100 euro di valore del titolo, non è certo che incasserà 100 euro (più gli interessi). Probabilmente incasserà di meno. Le perdite saranno coperte da apposite riserve accantonate dalla BCE.

Le riserve accantonate non possono superare limiti calcolati in rapporto al capitale della BCE e per questo la BCE aumenta il capitale. Nei prossimi anni potrà accantonare ulteriori riserve con cui coprire le perdite derivanti dal possesso dei titoli "tossici".

In sintesi si usa il reddito delle banche centrali (signoraggio) per coprire le perdite derivanti dall'acquisto dei titoli tossici dando cos' alle banche la possibilità di limitare le perdite e di continuare a svolgere la propria attività senza ridurre troppo il credito concesso alla clientela.

Il signoraggio salva l'economia, evitando una crisi molto più pesante.

15 dicembre 2010

Cassa e competenza


Ogni volta che leggo certi dati rimango allibito! Eh si che faccio pure un mestiere dove i numeri dovrebbero essere più o meno certi!

E' di ieri l'ultimo bollettino della Banca d'Italia che segna un nuovo record del debito pubblico in Ottobre: 1867 mld di euro, più 63 miliardi rispetto settembre!

Il bollettino pubblicato, come indicato nelle note metodologiche (pag. 16), è redatto per cassa, ovvero considerando le entrate e le uscite dello Stato.

Invece il Ministero delle Finanze esegue i propri calcoli per competenza, ovvero considera le spese e le entrate di competenza dell'anno. Per capirci, se compro un camion oggi ma lo pago nel 2011, chi vende il trattore registra un ricavo nel 2010 (criterio della competenza) anche se incasserà i soldi (cassa) nel 2011.

Si tratta di due criteri che creano una serie di problemi infiniti e che spiegano la diversità delle previsioni: il ministero delle finanze prevede risultati in linea con il 2008, la Banca d'Italia invece no.

Tutti i bilanci delle imprese sono redatti per competenza: se vendo il camion nel 2010 i ricavi aumentano anche se non incasso i soldi nel 2010. Invece i bilanci degli enti localo e dello stato sono redatti per cassa.

Una contraddizione se si pensa che le imprese pagano le imposte per competenza. Se emetto una fattura e non incasso l'importo, l'impresa deve pagare comunque l'IVA e le imposte.

Per risolvere la contraddizione da molte parti si spinge per usare, nei pagamenti dell'IVA, lo stesso criterio dello stato: il criterio per cassa. Ma nessun commercialista sano di mente lo propone ai clienti, perché comporterebbe una doppia contabilità: una per competenza per redarre i bilanci e pagare le imposte dirette e un'altra per cassa per pagare l'IVA.

Per concludere io penso che qualunque contabilità sia buona se descrive bene lo stato delle cose.
A pagina 3 del bollettino della banca d'Italia si vede il confronto dell'andamento del debito pubblico negli anni 2008, 2009 e 2010.
In tutti i casi il massimo si è raggiunto in ottobre per poi scendere verso la fine dell'anno.
Quindi sia per il debito pubblico che per le entrate fiscali, i dati del ministero delle finanze che riportano dati migliori della Banca d'Italia (conteggiati per competenza), potrebbero essere forse migliori di quelli della Banca d'Italia.

Ma i conti si fanno alla fine ed è un fatto incontrovertibile che lo stock di debito pubblico sia aumentato! Quello che sarà il rapporto tra uno stock (debito) e un flusso (PIL) a fine anno, poi è tutta un'altra storia!

14 dicembre 2010

La fiducia

Perchè è tanto importante questo dannato conflitto di interessi? Forse perchè alcune mosse finanziarie si nascondono dietro le più ingenue azioni.
Appena è stata reiterata la fiducia al governo, Mediaset ha ottenuto un bel rialzo.

Un secondo dettaglio, di colore: Domenico Scilipoti, chi è?
Uno che ha preso le distanze da Antonio Di Pietro perchè voleva un ddl a favore dell'agopuntura, dell'omeopatia e della medicina alternativa.
Uno che ha votato la sfiducia al governo 32 volte.
Uno che non riesce a formulare una frase di senso compiuto.
Infine, un complottista puro con le strane idee sulla Banca D'Italia e sulla moneta che già conosciamo.

I segreti dell'INPS


Come avevo anticipato in un lungo articolo sulle pensioni i nodi dell'INPS cominciano a venire al pettine, come ben stigmatizzato in un articolo del Corriere della Sera che riprende dei dati INPS sull'evoluzione della spesa pensionistica dei prossimi 40 anni.

Chi andrà in pensione con il sistema contributivo, cioé quasi tutti noi, godranno di un non invidiabile rapporto di sostituzione massimo di circa il 55%. In media circa il 46%.
Ciò significa che la pensione sarà il 46% dell'ultimo stipendio. Posto che si lavori sempre e si riesca ad accumulare un sufficiente numero di anni di contribuzione e un'età.
Poi quanti anni e che età rimane un mistero ancora da sciogliere, visto che si parla già di aumentare l'età di pensionamento fino 70 anni!

Ma d'altronde se il sistema si deve autosostenere non può essere che così. Se la vita media aumenta il rapporto tra anni lavorati e anni in pensione non può variare. Non si può pretendere di lavorare 20 anni e poi stare in pensione 30 anni con una pensione decente.

Quello che fa veramente pensare è che certe categorie che versano poco (vedi le gestioni separate) rischiano di avere una pensione inferiore alla pensione minima dell'INPS. E allora che vantaggi avrebbero a versare l'INPS?

13 dicembre 2010

La cultura si mangia?


I tagli alla cultura hanno provocato molte reazioni. Qualcuno, per giustificare i tagli, ha spiegato che la cultura non si mangia. Altri hanno spiegato che un fim in meno significa decine di posti di lavoro in meno, sia pure temporanei, e che i tagli mettono in crisi interi settori economici con migliaia di posti di lavoro in pericolo.

Vorrei provare a fornire qualche idea per capire meglio come stanno le cose.

Anzitutto è bene ricordare il caso degli incentivi auto (vedi qui): se si incentiva un settore con aiuti pubblici e questo fa salire la domanda di un bene o di un servizio, gli introiti fiscali e previdenziali possono essere superiori agli incentivi. Alla fine il bilancio per lo stato è positivo: incassa più di quanto spende.

I soldi pubblici destinati alla cultura dovrebbero -quando possibile- essere erogati seguendo lo stesso principio. Potrebbe funzionare nel caso del cinema, in cui il prodotto (il film) è destinato al mercato (sale cinematografiche, dvd, gli schermi televisivi). Si dovrebbero usare gli incentivi per ridurre il rischio dell'imprenditore che investe in un film, obbligando lo stesso, se il film incassa più di quanto speso per produrlo, a restituire le somme ricevute oppure a produrre film senza attori ben pagati. E' curioso vedere le proteste contro i tagli capitanate da attori famosi, a volte usati dai produttori per farsi finanziare, con soldi pubblici, film che poi nessuno guarderà.

Diversa è la situazione dei musei. I soldi incassati dalla vendita dei biglietti spesso coprono solo una piccola parte delle spese per mantenere i musei. In questo caso il beneficio prodotto da un museo è indiretto: attira turisti, studiosi o scalaresche che spendono soldi nei bar, nei ristoranti, negli alberghi ecc.

E' molto difficile, a mio avviso, decidere a priori se i soldi pubblici sono ben spesi o no oppure se debbano essere aumentati o diminuiti perché è complicato misurare gli effetti della presenza di un museo sulle scelte dei potenziali "turisti" museali.

Di sicuro è assurdo che gli enti locali non possano beneficiare fiscalmente della presenza di un museo nel proprio territorio. Oggi infatti se un ente locale finanzia una mostra che attira migliaia di visitatori fa un favore ad albergatori, ristoratori, commercianti ecc senza aumentare (se non in minima parte attraverso le poche imposte realmente locali) le proprie entrate fiscali.

Il federalismo fiscale non c'è e il finanziamento di una mostra o di una fiera, non provocando un aumento delle entrate, assomiglia più a un regalo a qualcuno con lo scopo di conquistarne il consenso. Ciò favorisce sia gli sprechi di chi si fa bello portando nel suo paese il cantante famoso e ben pagato, sia i tagli indiscriminati di chi punta a ridurre gli sprechi.

E cosa dire dei tagli alle università? Anche in questo caso la spesa pubblica produce entrate che coprono parzialmente i costi e altre indirette (maggior spesa degli studenti, maggiore reddito di chi si laurea). Oltre a quanto scritto sopra a proposito del federalismo (una città con una buona università spende per aumentare i servizi ma non aumenta le proprie entrate fiscali: non a caso qualche leghista vorrebbe riservare i soldi pubblici agli studenti della propria regione) c'è da chiedersi: perchè negli altri paesi si diventa professori a 30 anni anzichè a 50?

Ma di questo parlerò in un'altra occasione

12 dicembre 2010

Il federalismo elettrico che costa caro

E' iniziata finalmente (vedi qui) la costruzione di un'opera che farà risparmiare 800 milioni l'anno a famiglie e imprese italiane: la posa di un cavo sottomarino per unire la Sicilia con la penisola.

L'opera è attesa da anni, bloccata dalla burocrazia. Ad esempio solo di recente il ministero dell'ambiente ha sollevato dubbi: un cavo aereo attraverso lo Stretto di Messina avrebbe creato problemi agli uccelli migratori.

Sembra una scusa, perchè ostacolare il cavo è molto conveniente.

Ogni giorno l'energia elettrica è comprata da chi la distribuisce al consumatore e venduta da chi la produce. Domanda e offerta di energia determinano il prezzo. Se aumenta la domanda in Lombardia, il prezzo sale, ma non troppo perchè si può acquistare l'energia prodotta in Veneto o all'estero. Le reti elettriche permettono di spostare energia elettrica, così da soddisfare i picchi di domanda senza far salire troppo il prezzo.

In Sicilia però questo meccanismo non funziona, perché manca un collegamento col resto d'Italia. La domanda siciliana può essere soddisfatta solo dai produttori locali. Se non si produce abbastanza energia elettrica, qualcuno resta senza. Blackout.

La conseguenza è che quando la domanda sale in Sicilia, il prezzo sale più di quanto salirebbe se la Sicilia fosse collegata al resto d'Italia. Inoltre la produzione è peggiore, più inquinante e le centrali sono più vecchie.

Il prezzo maggiore in Sicilia lo pagano tutti gli italiani perchè il prezzo finale dipende dalla media dei diversi prezzi praticati in giro per l'Italia. Il federalismo energetico siciliano quindi costa 800 milioni l'anno a famiglie e imprese. Un federalismo di fatto che solleva qualche sospetto: chi produce energia in Sicilia ha certamente interesse a lasciare isolata la Sicilia, con l'effetto di far salire in prezzo dell'energia in tutta Italia, magari con qualche aiutino politico. 800 milioni incassati in più dai produttori siciliani possono far gola a tanti.

11 dicembre 2010

Lo spot che non funziona


Prendi una donna avvenente e ammiccante e mettila a fare uno spot pubblicitario, anzi una serie di spot pubblicitari. Tormentoni che senti appena accendi la tv, che martellano milioni di persone per mesi interi per convincerle a sottoscrivere un contratto di telefonia mobile.

Sembra un meccanismo banale dall'esito certo: la campagna pubblicitaria avrà successo.

E invece no. Come riporta il Corriere gli spot con Belen non funzionano. La TIM non ottiene i risultati sperati e pare attribuisca la colpa a Belen Rodriguez, la show girl argentina nota per i suoi amori burrascosi e qualche comportamento sopra le righe ispirato forse dal suo amato.

Stanno pensando di cambiare gli spot rinunciando a Belen, che forse le famiglie non considerano un modello a cui dovrebbero ispirarsi i figli.

E' una buona notizia, segno che l'Italia non è solo il paese impazzito di cui avevo scritto, ma soprattutto è il segno inequivocabile che la pubblicità per quanto martellante e seducente non sempre funziona.

Una montagna di spot su tutte le tv, in radio, sui giornali e internet può anche rivelarsi un flop, se si scontra con gusti e valori diversi del pubblico.

09 dicembre 2010

Libri per Natale (o forse no)



Due consigli per i regali natalizi o meglio due libri sulla crisi senza troppe teorie economiche con cui confrontarsi.


Il primo è La crisi non è finita di Nouriel Roubini e del giornalista Mihm, Feltrinelli e si occupa della crisi. Spiega come le crisi finanziarie siano un aspetto importante dell'economia moderna, una ruota dell'ingranaggio destinato prima o poi a incepparsi. Si capisce che il mondo è stato sull'orlo del baratro e grazie soprattutto alla FED si è evitato un disastro molto peggiore di quello visto.

Il secondo invece è Crollo - Too big to fail del giornalista newyorkese Sorkin, edizioni De Agostini.

Ricostruisce le vicende che hanno portato al fallimento di Lehman Brother, al salvataggio di AIG e alla fine dell'indipendenza di altre banche d'affari, raccontando gli incontri e gli sconti dei personaggi coinvolti, a cominciare dal numero uno di Lehman Brothers, Dick Fuld.

Si scoprono molti retroscena, a cominciare dal fatto che i guai delle banche e il possibile crollo erano cose note e previste, ma che le diffusissime convinzioni liberiste hanno impedito di spegnere l'incendio prima che facesse danni e vittime.

Letture interessanti. Libri da regalare a Natale. O forse no. A Natale è meglio divertirsi e rilassarsi.

08 dicembre 2010

I compromessi (con ricatto) di Obama


La vittoria repubblicana nelle elezioni di novembre costa cara alla sinistra e ai conti pubblici americani.

I repubblicani hanno messo sotto ricatto Obama. La disoccupazione negli USA è vicina al 10% della forza lavoro e per non lasciare milioni di persone senza un dollaro, Obama ha douto accettare i diktat repubblicani. Per mantenere i sussidi di disoccupazione per altri 13 mesi ha dovuto accettare il rinnovo dei tagli alle imposte ai ricchi.

La misura, introdotta da Bush, pesa per oltre 100 miliardi di dollari sul bilancio statale. Più di 100 miliardi a favore di chi ha un reddito dai 250.000 dollari in su. La misura, in scadenza a fine anno, sarà rinnovata. Tagli confermati anche per chi guadagna qualche milione di dollari l'anno.

In compenso chi guadagna 50.000 dollari potrà godersi 1000 dollari in più in busta paga, grazie alla riduzione dei contributi sociali a carico del lavoratore. Un atto che sa tanto di populismo, col fine ben preciso di accontentare il lavoratore "medio" e conquistarne il consenso, evitando che si scandalizzi dei regali ai milionari, e per indebolire Obama che fa tremare i liberisti repubblicani, capaci solo di desiderare tagli alle imposte.

06 dicembre 2010

Gli Yes Men ed il libero mercato

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Gli Yes Men sono due attivisti che prendono in giro, in modo singolare, tutte le multinazionali che più disprezzano. Solitamente si camuffano da loro portavoce ed intervengono in convegni e congressi dove si fanno invitare tramite contatti e siti bufala creati appositamente per l'occasione.
I ragazzi di ComedySubs hanno tradotto il loro film The Yes Men Fix the World.

Il film, all'inizio, mostra una delle operazioni forse più riuscite del duo statunitense. La città di Bhopal, nel 1984, ha conosciuto uno dei più gravi incidenti chimici della storia. Uno stabilimento della Union Carbide esplose rilasciando 40 tonnellate di isocianato di metile. I danni furono ingenti (più di 5mila persone morte per quella causa, e 558mila persone con danni gravi, alcuni permanenti).

Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza. Ma, allo stato delle cose, il risarcimento che è stato devoluto alle vittime è risultato irrisorio (si parla di un obolo di 300 dollari per le vittime del massacro, e in alcuni casi non sono state coperte neanche le spese mediche).

Nel 2001, la Dow Chemical ha acquistato la Union Carbide per 10,3 miliardi di dollari. Alcuni speravano che con un nuovo assetto aziendale, potessero emergere cause, mea culpa e avere un adeguato risarcimento, ma la Dow Chemical dichiarò più volte che i risarcimenti erano pienamente sufficienti a compensare le responsabilità del disastro.

L'episodio è uno spunto per riflettere sui modi del capitalismo e delle leggi (esistenti o meno) che governano il cosiddetto mercato. Infatti gli Yes Men, con una delle loro operazioni, riescono addirittura a farsi invitare alla BBC per fare alcune dichiarazioni in quota Dow Chemical. Il risultato sembra essere di cattivo gusto nei confronti delle vittime, ma in realtà è uno scossone che si schiera dalla parte lesa da questa triste vicenda.

Il nome che risuona a ben vedere durante il film è quello di Milton Friedman. Giudicato come uno tra i più influenti economisti al mondo (ed oggi tramite alcuni fortunati libri anche aspramente criticato). Il suo pensiero, esposto nel suo famoso Capitalism and Freedom, è stato quello che felicità e prosperità economica possono verificarsi solo se il governo elimina quanti più controlli possibili, insieme a regole e leggi che imbrigliano l'individuo e non permettono la società economica di regolarsi autonomamente, come avviene in natura.
In sostanza si sta parlando di deregulation e di libero mercato. Una teoria ingegnosa, che però nasconde lati oscuri e altamente pericolosi (i liberisti più accesi in realtà non si rifanno ai Friedman ma agli austriaci, che predicavano egoismo e odio).

Pensate per un attimo se, tutto d'un tratto, il governo abolisse buona parte delle leggi che regolamentano il codice della strada. In un primo periodo probabilmente non si noterebbero differenze, perchè la nostra cultura individuale si basa anche sull'aderenza ad alcune leggi e restrizioni che col tempo fanno parte del nostro patrimonio educativo. Ma dopo un pò di tempo, non ci sorprenderà vedere strani incidenti per le strade e forti dissesti difficili da gestire. Una regola non è sempre limitazione della libertà personale (anche se su questa parola sono stati spesi fiumi di inchiostro, e qui non possiamo andare oltre). Una regola può salvaguardare la salute ed alcuni diritti che sono sanciti dalla costituzione o dalle leggi di una società.

Se alcune leggi economiche scavalcano alcuni diritti dei cittadini, come quello ad esempio di stare in buona salute, è giusto avallare queste leggi? E se alcune leggi proteggono questo diritto, è giusto eliminarle?
Se si esclude tutta la componente "umana" negli aspetti economici, allora siamo perfino legittimati a speculare sulle tragedie (è recente il caso italiano del terremoto in Abruzzo e le risate che gli imprenditori si son fatti appresa la notizia). Sono alcuni punti radicali ed portati al limite delle congetture, ma la teoria del libero mercato è l'unica che, purtroppo, può dare adito a questi nefasti risultati. (a volte il  "libero mercato" è solo l'etichetta, la faccia pulita con una copertura ideologica del principio per cui taluni guardano solo al loro interesse personale).


Un mercato senza restrizioni e senza controlli da parte del governo. Questo è ancora il verbo dei discepoli di Milton Friedman*, che accolgono con piacere e senza problemi i due burloni che vogliono intervistarli.
"Bhopal è un esempio interessante. Ma quella struttura ha creato opportunità innovative per la classe tecnocratica indiana emergente. ha creato valore aggiunto e tasse per la comunità, e circa 3mila persone sono morte. E' una tragedia, ma ci sono sempre rischi quando ci si spinge nel futuro". Questa è una delle dichiarazioni che si sente da un sostenitore del libero mercato.

Nel suo piccolo quindi, e con qualche sana risata, il film The Yes Men Fix the World (scaricabile qui) mostra qualche incongruenza e propone qualche domanda che qualcuno farebbe bene a porsi.


* Milton Friedman è stato un economista serio per un pò della sua vita, specie su temi di economia monetaria (fondamentale un'opera del 1963 con Anna Schwarz che ha modificato le idee delle banche centrali: se la crisi non ha avuto conseguenze molto più pesanti il merito è suo, e della Schwarz, che hanno convinto gli economisti che la crisi del 1929 è stata peggiorata dalle scelte delle banche centrali che non hanno aumentato la quantità di moneta in circolazione. Per questo i liberisti più ingenui lo snobbano preferendo gli austriaci) ma poi ha, per quasi 30 anni, fatto in pratica il lobbysta degli interessi delle imprese più grandi che vogliono fare quel che vogliono senza pagarne le conseguenze (vedi incidente di Bhopal).

04 dicembre 2010

Debito pubblico elevato: quali effetti per il risparmiatore?

Fino a due anni fa il debito pubblico italiano era superiore al debito di quasi tutti i paesi europei. Il rapporto debito pubblico/PIL in Italia superava il 100%, circa il doppio di paesi come Francia, Germania o il triplo della rampante Irlanda.
L'Italia doveva fare i conti con una maggiore spesa per interessi sul debito pubblico in rapporto al PIL. Un aumento dei tassi di interesse voleva dire aumentare i costi dello Stato senza aumentare i servizi, che anzi diminuivano per compensare l'aumento della spesa per interessi.

Negli ultimi due anni lo scenario macroeconomico è cambiato. Anche altri paesi europei oltre agli USA e al Giappone, registrano debiti pubblici che si avvicinano al valore del PIL.

Ma se USA, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e, naturalmente, Italia, hanno debiti elevati, vicini o superiori al proprio PIL, cosa ci aspetta?

A mio parere, ci aspettano molti anni di tassi di interesse bassi. Sta succedendo da anni in Giappone, dove il debito pubblico è molto elevato e gli interessi sono pari praticamente a zero ormai e sta succedendo anche in Europa.

Il crollo di fiducia seguito al fallimento di Lehman Brothers, nell'autunno del 2008, è stato affrontato con una garanzia pubblica dei pagamenti interbancari. I tassi sono scesi, a cominciare dall'euribor, per la gioia di chi paga un mutuo per acquistare la casa, ma non degli investitori.

In proposito il professor Beppe Scienza ha segnalato (vedi qui) l'emissione di un nuovo tipo di certificati di credito del tesoro, chiamati CCTeu, il cui rendimento dipende dall'euribor e non più dal rendimento dei BOT.

Come sostiene Scienza, eventuali problemi nel collocare i BOT fanno salire i rendimenti e con essi i tassi pagati dai CCT. Non aumenta invece l'euribor.

Così l'incertezza suggerisce di emettere CCTeu. I rendimenti dipendono dall'euribor, che il Ministero dell'Economia forse considera destinato a restare a lungo a livelli molto bassi.

E non può che essere così perchè oggi il debito pubblico è assai elevato anche nei paesi un tempo virtuosi. Un aumento dei tassi farebbe aumentare i costi dei paesi ricchi e metterebbe a rischio la solvibilità dei paesi più fragili, come i paesi dell'est europa. Uno scenario poco piacevole anche per i paesi ricchi, visto che dietro ai debiti ungheresi o ukraini ci sono le banche dell'Europa occidentale.


03 dicembre 2010

Dove investire i vostri soldi


Spesso i miei clienti mi chiedono consigli su dove investire i loro soldi e in genere io rispondo che se lo sapessi con sicurezza li investirei io senza dire niente a nessuno.
Ma in realtà la domanda sottintesa che mi fanno è invece questa: "Conosci qualche modo sicuro al 100% per far fruttare molto i miei soldi in tempi brevi?"
Quindi quando voglio essere poco diplomatico e ho un po' di tempo rispondo che mi hanno fatto una domanda impossibile.
Perché?
Perché, se esiste, un tale investimento è una truffa.
Ci sono tre fattori che contraddistinguono un investimento:
1. il tempo
2. la sicurezza
3. la redditività

Un investimento è preferibile quando ha un orizzonte temporale breve (1 anno) piuttosto che lungo (30 anni), quando rende il 20% annuo invece che l'1%, quando avete la sicurezza al 100% di riprendre il vostro capitale.

Un investimento "buono" in genere ha 2 dei fattori sopra "buoni" e uno "cattivo". Può essere cioé a breve termine e molto redditizio, ma rischioso, ad esempio un derivato (uno swap). Può essere redditizio e sicuro, ma a lungo termine (qui mi riesce difficile fare un esempio...). Può essere sicuro e a breve termine, ma poco redditizio (un "bund" tedesco annuale).

Ma sicuramente non può essere a breve termine, sicuro e redditizio. Primo perché lo comprerebbero tutti. E per tutti intendo le banche e i fondi, quindi sul mercato dei privati non ci arriverebbe nemmeno. Secondo perché in genere tali proposte sono delle truffe belle e buone, come i meccanismi piramidali.

Quindi alcuni consigli, forse scontati, ma non troppo.

1. Qualunque broker finanziario, banca, assicurazione, vi dirà che i propri prodotti sono i migliori, portandovi in genere le migliori performance degli ultimi mesi o anni. Pensandoci razionalmente è ovvio che non tutti possono essere i migliori. Informatevi invece in maniera indipendente. Ci sono molte fonti da cui informarsi: provate morningstar, ma molti giornali pubblicano rating e classifiche.

2. Pensate innanzitutto ai vostri orizzonti temporali. Quando vi serviranno i vostri soldi? Tra 1 anno? 2 anni? 5 anni? 10 anni? A seconda di quando non vi serviranno, muovetevi di conseguenza.

3. Ricordatevi che NULLA E' GRATIS. Chi ha tanti soldi ha i migliori consulenti che paga profumatamente. Poniamo che abbiate 100 milioni di Euro. Voi potreste andare da un qualunque consulente e dirgli: "senti, ecco 100 milioni. A fine anno ne voglio 110. Se ne guadagni di più, quello è il tuo compenso....". Rozzo, ma efficace. Quindi il consulente small business o privati di banche e assicurazioni, pensate che possa consigliarvi diversamente da gli altri 100 clienti che sono passati prima di voi?

4. Ricordatevi che qualunque cosa comprate, fondi, assicurazioni, quote, tutto, è prevista una provvigione per l'agente e tale provvigione la pagate indirettamente voi. In più dovete pagare anche la gestione del fondo, la custodia dei titoli. E i costi vanno a erodere i rendimenti netti (oltre alle tasse). Quindi fate bene i conti PRIMA.

5. Investire soldi, significa lavorarci di continuo seguendoli sempre. Non avete il tempo? Allora comprate BOT o CCT. Rendono poco, ma sono sicuri.

6. Avete dubbi? Sentite il vostro commercialista. Essi sono per natura malfidati e diffidano di tutto e tutti. Probabilmente vi daranno un consiglio ESAGERATAMENTE prudente. Anche perché se vi fanno perdere soldi, rischiano di perdere un cliente e di questi tempi non è proprio il caso....

Sbandata di Annozero

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.


Ieri la puntata di Annozero in onda su Raidue ha trattato, oltre che la riforma dell'università, anche le problematiche con la "nuova" Fiat di Marchionne, la situazione degli operai e le proteste in quota Fiom.
Poi, ad un certo punto della trasmissione, il giornalista di Annozero ha presentato un test fatto da quattroroute, dove si paragonano tre auto dello stesso segmento: la Mini Cooper S, l'Alfa Romeo MiTo e la Citroen DS3 (video sopra).

Anche se la prospettiva dei servizi mandati in onda sembravano evidentemente mettere in rilievo tutti i lati che sembrano deboli del progetto Marchionne (addirittura avanzando problemi sul fatto che Sergio Marchionne non sia ingegnere, come gli altri amministratori delegati di grandi aziende straniere di auto, ma laureato in filosofia) non credevo si potesse arrivare ad un certo livello di scorrettezza: il test presentato ha mostrato dei risultati assolutamente parziali senza fornire nessun dettaglio sulle motorizzazioni prese in esame, le condizioni e la metodologia del test svolto. Ci si è limitati ad estrapolare i dati che mettono in cattiva luce il prodotto italiano.

L'Alfa Mito è un modello prodotto e presentato nel 2008, ha un look e design sportivo, che prende le mosse dal famoso modello 8c competizione, inoltre ha introdotto, quantomeno nel panorama italiano, alcune innovazioni elettroniche (tra cui anche la scelta di intervento dell'ESP, ESP che tra pochi anni sarà obbligatorio, come deliberato dall'Unione Europea) ed infine ha ottenuto uno dei massimi risultati sui test più quotati per la sicurezza stradale (punteggio NCAP).

Alcuni piccoli appunti sulla prova in pista svolta da Quattroruote, ed alcuni dettagli trascurati da Annozero:

  • Le motorizzazzioni delle tre "piccole" erano: allestimento Camden con il nuovo propulsore 184 cv per Mini Cooper S, allestimento Quadrifoglio Verde 1.4 TB Multiair 170 cv per Alfa Romeo MiTo e 1.6 THP Sport Chic 155 cv per Citroen DS3. Si nota subito come la cilindrata non sia propriamente la stessa per tutte e tre.
  • Nella prove in pista è stato disattivato l'esp per Citroen e Mini Cooper, la Mito non ha la possibilità di disattivare in maniera completa l'assistenza elettronica (ha un sistema brevettato DNA Alfa in grado di selezionare tre diverse impostazioni). Questo dato è fondamentale, ed ognuno può valutare i lati positivi e negativi (legge sull'ESP, sicurezza stradale, possibilità di selezione dell'intervento elettronico etc.)
  • La votazione finale di Quattroruote è stata:
    85/100 MiTo
    83/100 DS3
    82/100 Mini
  • Quattroruote inoltre scrive: "MiTo e DS3 affrontano l'inossidabile Mini sulla nostra pista. Tra i cordoli vince l'anglo-tedesca, ma nella vita di tutti i giorni è meglio l'italiana".
  • Come ha scritto la rivista AlVoltante: "E poi, possibile che per voi la sfida si riduca a verificare quale delle tre vetture sia la più veloce in circuito? Tutte le altre qualità importanti per la valutazione di una vettura come affidabilità, comfort, stabilità, consumi, sicurezza eccetera, non le consideriamo? E infine, ritenete di aver contributo alla sicurezza stradale facendo passare in tv una gara fra tre piccole sportive (proprio quelle auto che, spesso, finiscono in mano ai giovani)?"
  • Il "vero" test di Annozero, che sarebbe quello col pilota di TopGear, che fine ha fatto? E a cosa è servito se poi hanno mostrato i dati (parziali) di QuattroRuote?
Con questi dati aggiuntivi, mi sembra un pò eccessivo attaccare la Fiat e le vetture dell'Alfa Romeo.
Per concludere, qui sotto un video che, lungi dal ribaltare risultati o fare il tifo, fa capire in definitiva che la sbandata sembra averla presa più Annozero che l'alfa Mito.




Aggiornamento: Ne parla in un articolo anche la rivista Al Volante.

Aggiornamento 2: Fiat chiede i danni ad "Annozero".

Aggiornamento 3: Rai e Formigli condannati a risarcire per danni.

(sugli incentivi si veda anche questo articolo)


02 dicembre 2010

Consolidare il debito pubblico?

Quando salgono le preoccupazioni per il debito pubblico, c'è sempre qualcuno che rispolvera una vecchia idea: consolidare il debito pubblico.

Cerchiamo di capire cosa significa e se è possibile.

Lo stato offre servizi che fa pagare con le imposte. Quando spende più soldi delle imposte che incassa, la differenza, chiamata deficit o disavanzo (il surplus o avanzo si verifica quando le entrate superano le uscite) si finanzia prendendo i soldi in prestito da qualcuno che li ha, cioè dal risparmiatore.

Se l'anno successivo c'è un altro deficit, lo stato si indebita ulteriormente. Il debito cresce alimentato dai deficit annuali arrivando, come nel caso italiano, a superare il valore del PIL.

Il debito consiste in titoli di stato (BOT e CCT per intenderci) che danno diritto a chi li possiede di incassare un interesse e, alla scadenza del titolo, il valore del titolo.

Se compro CCT con un valore nominale di 5000 euro, periodicamente incasso gli interessi. Alla scadenza incasso 5000 euro.

Se lo stato anno dopo anno è sempre in deficit, i 5000 euro me li restituisce solo indebitandosi ulteriormente: mi dà 5000 euro ma li chiede in prestito ad altri.

Il rischio è di non trovare sottoscrittori dei BOT e CCT o di trovarli solo promettendo interessi elevati, che fan salire i costi per lo stato e segnalano un basso merito di credito dello stato. In questo caso si rischia il fallimento dello stato, elegantemente definito default.

C'è poi il rischio che, specie quando i titoli sono in scadenza e devono essere rinnovati, qualcuno speculi contro i titoli di uno stato per guadagnarci e che la speculazione allontani i potenziali sottoscrittori, facendo salire i tassi da pagare.

Di fronte a questa prospettiva, qualche politico si domanda: perché non consolidare il debito pubblico? Lo ha fatto il solito liberista convinto che tutto ciò che sa di pubblico sia negativo, Benedetto Della Vedova (vedi qui).

Consolidare il debito pubblico significa dire a chi possiede titoli: ve li tenete per sempre o comunque a lungo perchè lo stato non intende (almeno a breve) restituire il capitale quando i titoli scadono. Vi pagheremo solo gli interessi.

Se una prospettiva simile diventasse realtà, per molti anni uno stato non potrebbe più collocare titoli sul mercato: nessuno presterebbe soldi a chi non li restituisce. Nessuno vorrebbe CCT che non danno diritto alla restituzione del capitale e nessuno, per questo motivo, presterebbe soldi a uno stato che consolida il debito pubblico.

Perciò il consolidamento è possibile solo in due casi: se la situazione è disperata (meglio il consolidamento del fallimento o se il bilancio dello stato è in pareggio o in avanzo, così da non dover chiedere soldi al mercato.

Ma se uno stato ha un bilancio a posto, paga regolarmente gli interessi e rinnova il debito. Non ha bisogno di consolidare il debito.

In questo caso, il debito pubblico è come se fosse già consolidato. Se il debito è rinnovato senza difficoltà, si verifica una situazione simile a quella di uno stato che non restituisce il debito, ma dove i creditori possono, quando vogliono, cedere ad altri i CCT.

Dunque l'idea di consolidare il debito pubblico non ha senso. E neppure l'idea di vendere il patrimonio dello stato, per gli stessi motivi elencati sopra.
Se c'è un deficit, magari elevato, e si vendono beni di proprietà pubblica, il debito non cala o, se va bene, diminuisce temporaneamente.

Se invece il bilancio è in avanzo, è molto bassa la probabilità che lo stato non trovi investitori disposti a sottoscrivere BOT e CCT e quindi si può fare a meno di vendere (o meglio svendere) i beni dello stato.

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