28 gennaio 2016

Psicosi o realtà?

La preoccupazione per quanto successo ai clienti di Banca Etruria e altre banche, ha spinto un mio conoscente ad andare presso la filiale di una importante e grande banca italiana per chiedere informazioni a proposito di obbligazioni emesse da un'altra banca, che la banca grande e importante di cui è correntista ha collocato alcuni anni fa.

Il mio conoscente è persona con una bassa conoscenza dell'argomento. Ha comprato le obbligazioni perchè avevano un buon rendimento, compreso tra il 4 e il 6%. Nessun rischio all'apparenza, salvo quello che la banca emittente fallisca.

L'impiegato della grande banca spiega che il rendimento nei prossimi due anni sarà pari a zero, o almeno così capisce il mio conoscente, che si preoccupa e consulta altre persone. La sensazione è che lo vogliano indurre a vendere il titolo. Perchè?

La prima ipotesi è che il mio conoscente non abbia capito molto. Potrebbe aver confuso l'informazione sul rendimento, compreso tra il 4 e il 6% in funzione dell'euribor, e l'euribor, destinato in futuro a restare vicino allo zero.

La seconda è che per fargli sottoscrivere i titoli, la banca abbia truccato le carte, attribuendo un profilo di rischio al cliente diverso dal vero. Così se si presenta l'occasione si cerca di spingerlo a vendere i titoli. Nessuna perdita, nessun rischio di rivalsa e pubblicità negativa.

La terza, più complessa, è che la banca emittente preferisca ritirare le obbligazioni perchè hanno un costo, per la banca, molto alto rispetto ai tassi oggi in vigore.

Le notizie preoccupanti sulle banche e la nuova normativa sul fallimento bancario possono aiutarle paradossalmente a ricomprarsi obbligazioni emesse tempo fa e costose rispetto ai tassi attuali.



21 gennaio 2016

Saliscendi delle azioni: facciamo qualche conto.

In questi giorni, parlando delle azioni del Monte dei Paschi di Siena che era sceso per diverse sedute consecutive, mi è stato detto: ha perso il 100%! Se fosse vero, il valore sarebbe sceso a zero. Ovviamente non è così, ma vediamo di fare qualche conto anche per capire come è andato il titolo MPS nei primi 4 giorni della settimana.

Nei primi tre giorni, il titolo MPS ha perso rispettivamente il 15%, il 14% e il 22%. Oggi è risalito del 43%.

Vien voglia di fare una banale somma: 15+14+22 uguale 51, ma sarebbe sbagliato. Vediamo perchè.

Supponiamo che un'azione valesse 100 euro. Il primo giorno perde il 15%, cioè 15 euro, passando da 100 a 85 euro. Il secondo giorno perde il 14% ... di 85 euro. Che fa (arrotondando) 12 euro.

Quindi l'azione passa da 85 a 73 euro. E a questo punto perde un altro 22% di 73 euro, ovvero 16 euro. L'azione dunque alla fine del terzo giorno scende da 73 a 57 euro.

Infine il quarto giorno recupera il 43% di 57, ovvero 24,50 euro circa, passando d 57 a 81.50 euro.

Se sommassimo le percentuali di diminuzione e quello di aumento dovremmo dire che il titolo ha perso in 4 giorni l'8%, risultante di 3 perdite (15, 14 e 22%) e un guadagno del 43: 51-43 fa 8% in questo caso di perdita.

Ma c'è un errore. Ogni giorno la base su cui si calcola la percentuale di guadagno o perdita cambia. Per cui alla fine scopriamo che si è passati da 100 a 81.5 euro, con una perdita del 18.5%, ben superiore all'apparente 8% ottenuto sommando guadagni e perdite in percentuale.

20 gennaio 2016

Petrolio in Iran ?

L'Iran è uno dei paesi con le più grandi riserve petrolifere mondiali. Riserve congelate da anni a causa delle sanzioni contro il paese sciita, che però ha trovato da qualche mese un accordo sul nucleare: controlli e limiti all'attività di arricchimento dell'uranio in cambio di minori sanzioni.

Significa forse che il petrolio iraniano affluirà abbondamente sui mercati?

Non proprio secondo Descalzi, amministratore delegato di ENI, che stima in 150 miliardi di dollari la somma che bisognerebbe investire per rendere moderno il sistema di estrazione del petrolio in Iran.

Una somma enorme che in questo momento non conviene investire, perchè il prezzo del petrolio è precipitato a livelli che non si vedevano da anni. Tolti i costi di estrazione, il guadagno è insufficiente a garantire il recupero dell'investimento in tempi ragionevoli.

Potremmo dire che l'Iran rischia di essere vittima del proprio sforzo di rendersi credibile: la fine delle sanzioni fa precipitare il prezzo del petrolio rendendo sconvenienti gli investimenti e l'Iran potrà investire solo i propri fondi, peraltro cospicui, sbloccati con la fine delle sanzioni.

Ma si potrebbe interpretare la situazione anche in altro modo, ipotizzando che la decisione dellArabia Saudita di non diminuire la produzione avesse come fine quello di abbassare il prezzo al punto non solo di mettere fuori gioco il petrolio americano, estratto con costose tecniche di frantumazione delle rocce in cui è intrappolato, ma anche di colpire l'odiato Iran, perchè il basso prezzo del petrolio disincentiva gli investimenti.

14 gennaio 2016

Petrolio a 30 $

Dall'inizio dell'anno le borse mondiali hanno perso una parte del loro valore. Colpa principalmente del calo del petrolio, ma anche del rallentamento dell'economia cinese, che influendo sulla domanda di petrolio, ne fa scendere il prezzo.

A noi italiani memori delle crisi petrolifere degli anni '70, il calo del petrolio pare una buona notizia. Ma forse non è così.

La prima ragione è che il calo del prezzo del petrolio significa per i paesi occidentali un calo delle esportazioni di beni di lusso e di tecnologia verso i paesi produttori. Con il prezzo basso infatti non è conveniente investire nel settore petrolifero e i consumatori dei paesi produttori diventano clienti meno generosi per le imprese europee e americane.

La seconda ragione è di carattere finanziario: c'è il rischio che i debiti contratti dalle aziende del settore petrolifero e dagli stati produttori di petrolio diventino meno affidabili, con la conseguenza che le banche diminuiranno i crediti concessi, provocando una recessione nel settore petrolifero e in diversi paesi produttori.

Inoltre c'è il rischio, per chi -come USA e Gran Bretagna- gestisce le immense risorse dei fondi sovrani dei paesi petroliferi, che tali fondi vengano liquidati o che i soldi vengano usati per coprire i buchi di bilancio causati dal calo del petrolio.

Infine c'è il pericolo che qualche paese produttore in difficoltà economica scelga di fare politiche estreme, provocando guerre, aumentando le rivalità e le tensioni tra paesi, il tutto allo scopo di far salire il prezzo del petrolio o di indurre Europa e Stati Uniti a concedere aiuti.

Insomma il petrolio a basso prezzo ci fa piacere alla pompa di benzina e al momento di pagare il riscaldamento, ma per il resto ci dovrebbe preoccupare, come tutti gli squilibri in economia.

01 gennaio 2016

Previsioni sbagliate per il 2015

Fare previsioni in economia è facile come azzeccare un terno al lotto, soprattutto se si tratta di scenari macroeconomici, ovvero se si cerca di indovinare come andranno il PIL, le esportazioni, e così via.
Per questo motivo è meglio essere prudenti ed indicare il trend: meglio dire che l'economia andrà un pò meglio (o un pò peggio). Se invece si vogliono fare previsioni più precise, è meglio precisare le ipotesi sottostanti: se cambiano anche la previsione salta e si evitano le brutte figure.


Lo sa bene un economista come Romano Prodi che un anno fa prevedeva una crescita dello 0,5% per il PIL del 2015, specificando che i risultati dipendevano a suo avviso dal prezzo del petrolio, dall'andamento dell'export verso la Russia e da altri fattori.

Di tutt'altro avviso era invece, un anno fa, il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo. Che nel discorso di fine anno manifestò ironicamente il suo pessimismo: " Guardate che il 2014 ce lo ricorderemo, forse sarà leggermente meglio del 2015! Ho un sottile ottimismo".

Per fortuna l'economia non è peggiorata e il 2015 si chiuderà con un aumento del PIL probabilmente dello 0,7-0,8%, il calo della disoccupazione e conti pubblici in ordine.

Dato, quello dei conti pubblici, che deluderà chi prevedeva il mancato rispetto del rapporto deficit/PIL, con conseguente necessità di ulteriori imposte o tagli alla spesa. E' il caso di Alberto Bagnai che un anno fa prevedeva lo sforamento del rapporto deficit/PIL e criticava le scelte di un governo che a suo dire non alimentava la domanda. Previsione che si scontra con l'ultimo bollettino €-coin della Banca d'Italia che invece sottolinea come il miglioramento dell'economia dipenda dai consumi oltre che da cambiamenti nel mercato del lavoro e dal recupero dell'attività industriale.

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