31 maggio 2018

Il piano B di Savona - 2

4. L'uscita dall'euro comporterebbe complicati problemi legali: i debiti euro di banche, imprese, risparmiatori e dello Stato andrebbero pagati nella nuova moneta? La svalutazione della nuova lira spinge a rispondere di no, il creditore vorrebbe indietro euro e gli effetti negativi per l'economia in caso di ricorso ai tribunali sarebbero elevati: i creditori non rinnoverebbero i prestiti e gli effetti negativi si sentirebbero sulla produzione, i consumi, i rapporti tra contribuente e Stato.

5. E' difficile ristrutturare il debito in misura rilevante senza ripercussioni. La BCE non potrebbe accettare di non incassare per intero i soldi dovuti dall'Italia quando i titoli pubblici scadono. Anzitutto perchè anche altri paesi di cui la BCE ha comprato i titoli vorrebbero uno sconto e poi perchè le perdite sarebbero a carico di tutti i paesi soci, tramite le loro banche centrali, della BCE e, naturalmente, questi paesi non accetterebbero.
Poi anche ammesso di convincere stranieri titolari di titoli del debito pubblico italiano a rinunciare a parte dei propri soldi, una volta concesso lo sconto, banche e risparmiatori stranieri diserterebbero le aste dei titoli pubblici italiani, delle obbligazioni emesse dalle imprese, delle azioni di aziende italiane. O, come minimo, chiederebbero tassi di interesse elevati per prestarci soldi. Soldi di cui l'Italia avrebbe bisogno perché il fine di un taglio del debito è la possibilità di fare in futuro un maggiore deficit ovvero più debiti per dare impulso all'economia.

6. L'insieme di fughe di capitali di italiani, svalutazioni e ostilità di investitori stranieri, avrebbe effetti negativi anche per le banche, ridotte come lo Stato a veder evaporare i capitali stranieri e a pagare di più i soldi, con conseguenze negative per la concessione di credito e quindi per lo sviluppo economico.

7. Tutto ciò perchè lo si farebbe? Come detto, la prima ragione è per permettere allo Stato di avere un deficit maggiore. Ma questo vuol dire anche che in pochi anni il debito tornerebbe ai livelli precedenti, a meno che le scelte di spesa siano azzeccate e inducano maggiore crescita. La seconda ragione è rendere più competitive le imprese attraverso la svalutazione. I prodotti italiani all'estero costerebbero di meno e quelli stranieri di più.
Sappiamo però che se un paese di un'area economica bene integrata svaluta la propria moneta, anche altri paesi possono decidere di svalutare la loro moneta e l'effetto finale non è detto sia positivo per chi ha svalutato per primo. Nel nostro caso potremmo assistere a una fuoriuscita dall'euro con relativa svalutazione di altri paesi o semplicemente alla svalutazione di monete diverse dall'euro di paesi europei.
L'effetto positivo della svalutazione è in ogni caso limitato da altri fattori: i prodotti italiani si fanno spesso con componenti provenienti da paesi stranieri, e quindi il calo del prezzo del prodotto italiano potrebbe essere modesto. Inoltre i fornitori stranieri, viste le incertezze sulla moneta, potrebbero imporre al cliente italiano condizioni meno favorevoli e quindi più onerose. Maggiori costi che ridurrebbero il beneficio di una svalutazione.

8. Infine se il piano è svalutare di un 15-25% la nuova lira, possiamo dire che questo è un obiettivo tutt'altro che certo. Una moneta come la nuova lira sarebbe più facilmente oggetto di speculazioni e di oscillazioni. Non ci sarebbe una BCE a difendere la moneta ma solo una Banca d'Italia con molti meno soldi, come ai tempi dell'uscita dallo SME. Anche in questo caso, le incertezze post uscita dall'euro spingono a credere che l'idea del piano B di Savona sia davvero pessima e che gente sensata eviterebbe questo progetto.

Il precedente articolo: Il piano B di Savona - 1

29 maggio 2018

Il piano B di Savona - 1

Il mancato ministro Paolo Savona, silurato dal Presidente Mattarella in nome della difesa del risparmio, tutelato dall'articolo 47 della Costituzione, aveva un piano per uscire dall'euro.

Si tratterebbe di stampare 8 miliardi di nascosto, decidere di notte di uscire dall'euro, per riaprire i mercati il lunedì mattina con una moneta svalutata del 15-25%, controlli sui capitali per limitare fughe di capitali, una riduzione del debito pubblico grazie a accordi con i creditori internazionali.

Un piano pieno di problematicità che cerco di elencare (sperando di non dimenticarne qualcuna).

1. Le banconote sono falsificabili e stampare banconote difficili da falsificare richiede un lungo lavoro di preparazione e, soprattutto, tecnologie che pochi al mondo possiedono. Le aziende che stampano banconote lavorano a stretto contatto con i governi che sono i loro clienti. Difficile che si possa fare una moneta diversa senza che nessuno ne sappia nulla. In più si deve trasportare negli sportelli bancari, nelle filiali della Banca d'Italia, negli uffici postali. Qualcuno verrebbe a saperlo, a meno di rischiare di riaprire negozi, banche e imprese senza una moneta legale, cosa che provocherebbe effetti economici pesanti.

2. Per creare una moneta serve una legge o un decreto. In ogni caso il Presidente della Repubblica, contrario all'abbandono dell'euro, dovrebbe firmare. Per cui è difficile possa succedere.

3. La segretezza dell'operazione potrebbe essere superflua: basterebbe il sospetto di un abbandono dell'euro per provocare fughe di capitali. La gente sposterebbe i soldi all'estero, acquisterebbe monete più solide (magari sotto forma di fondi di investimento che solitamente hanno sede in luoghi come il Lussemburgo) per poi presentarsi il giorno dopo e ottenere molte lire in più. Con lo stesso fine, altri farebbero la coda in banca per ritirare euro da tenere in vista dell'uscita.

1 - continua

25 maggio 2018

Calenda sullo spread

Ottima sintesi di Calenda (dopo 3 minuti circa dall'inizio dell'intervista) sulla vera questione che pone uno spread in aumento:

http://www.la7.it/piazzapulita/video/carlo-calenda-a-piazzapulita-24-05-2018-242537

20 maggio 2018

Argentina, si piange sempre

Due anni e mezzo fa gli argentini hanno eletto Mauricio Macrì presidente.

Di origini italiane, a capo dell'impero economico di famiglia, Macrì ha vinto promettendo una rivoluzione economica di stampo liberista fatta di tagli alla spesa assistenziale, apertura dei mercati, in particolare dei capitali, licenziamento di dipendenti pubblici, soprattutto se assunti con criteri politici dai precedenti governi, e stimoli agli investimenti stranieri.

Una ricetta che non sta dando i risultati attesi. I mali tradizionali dell'economia argentina, ovvero inflazione, svalutazione, conti pubblici in profondo rosso si sono ripresentati.

Il taglio dei contributi pubblici ha stimolato l'inflazione, che l'istituto di statistica non ha neppure saputo misurare negli anni scorsi al punto che nessuno credeva ai dati ufficiali. Il peso è crollato, complice un mercato della valuta di modeste dimensioni (l'acquisto o la vendita di modeste quantità di pesos possono causare forti oscillazioni del il cambio in un paese che di fatto usa e ragioni in dollari)  spingendo la banca centrale argentina a alzare i tassi al 40% anche per contrastare la (solita) fuga di capitali dal paese.

La scarsa credibilità dell'economia argentina ha fatto sì che gli investimenti sperati non siano avvenuti, nonostante il programma liberista. Anzi non appena sono cresciuti i tassi americani i potenziali investitori hanno preferito i titoli di stato americani al rischio di investire nel pesos argentino.

Così l'ultimo collocamento di titoli di stato è riuscito solo grazie all'intervento della banca centrale e ad una telefonata di Macrì a Trump perchè convinca qualche fondo americano a acquistare un pò di bond argentini.

Insomma niente di nuovo sotto il sole argentino. La ricetta economica liberista non ha cambiato nulla. Il ripresentarsi dei vecchi mali dell'economia ci ricorda che una moneta sovrana in una economia debole può solo illudere di risolvere i problemi in modo semplicistico.

03 maggio 2018

Un film sullo scoppio della bolla

La sera del 1° maggio Paramount Channel ha trasmesso La grande scommessa, film sullo scoppio della bolla immobiliare negli USA

Si ispira a una storia vera. Michael Burry, gestore dell'hedge fund Scion Capital che come pochi altri gestori di fondi, capisce che c'è una bolla immobiliare: i prezzi degli immobili salgono mentre gli stipendi degli americani restano fermi. Indaga e scopre che ci sono segnali preoccupanti, come il crescente numero di americani che non riescono a pagare i mutui, e comprende che se i tassi aumenteranno il numero di insolvenze crescerà. Anzi ne è certo perchè molti mutui prevedono tassi crescenti nel tempo.

Così decide di investire in derivati che garantiscono enormi guadagni in caso di crollo del mercato. In pratica una scommessa sul crollo del settore immobiliare e delle obbligazioni emesse a fronte dei mutui per l'acquisto di case. Numerosi informazioni suggeriscono infatti che le obbligazioni sono piene di mutui giudicati in modo troppo ottimistico. Le insolvenze saranno molte di più del previsto, complici le agenzie di rating e le commissioni pagate dai finanziatori ai venditori di mutui, che così hanno interesse a mentire sulla solvibiità dei clienti.

La scommessa su un crollo appare vincente ma ci sono alcuni ostacoli.

Il primo è che i clienti dei fondi pensano che la scommessa porterà perdite pesanti se -come tutti sostengono- il mercato immobiliare è destinato a non crollare.

Il secondo è che mancano i derivati per scommettere sul crollo. Ma le banche, pensando che la scommessa sia perdente, non esitano a creare tali strumenti.

Il terzo è morale. Mentre i protagonisti del film raccolgono informazioni che confermano le loro ipotesi, si rendono conto che il crollo su cui puntano significa un dramma per milioni di famiglie che perderanno casa e lavoro e vuol dire recessione mondiale.

Insomma, se vi capita, guardate La grande scommessa, uno dei pochi film a tema economico con un insolito Brad Pitt (nella foto).

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