30 luglio 2013

Carlo Felice

Vi ricordate la storia dei licenziamenti all'Ospedale San Raffaele? (vedi qui)
L'azienda in crisi aveva proposto tagli agli stipendi in cambio del mantenimento dei posti di lavoro. I dipendenti avevano respinto l'accordo, salvo cambiare idea di fronte alle prime lettere di licenziamento.


In questi giorni sta succedendo la stessa cosa con il Teatro Carlo Felice di Genova. Il teatro da tempo è in crisi proprio come il Maggio Fiorentino e altri teatri italiani.

Il sindacato Marco Doria, presidente della Fondazione che controlla il teatro, ha spiegato su facebook (Marco Doria x Genova): "Il Carlo Felice riceve dallo stato circa 11 milioni di euro. Ne arrivano poi 1 dalla regione Liguria, 1 da Iren e 2,3 dal comune di Genova. Circa 3 milioni si ricavano dagli incassi. Le entrate complessivamente raggiungono i 19 milioni, 14 dei quali sono contributi pubblici. I costi ammontano a 22-23 milioni di euro. Lo squilibrio è insostenibile. Per questo l’amministrazione del teatro ha stipulato - dopo due mesi di trattative - un accordo con le organizzazioni sindacali che prevede, per raggiungere un necessario equilibrio dei conti, il ricorso ad ammortizzatori sociali per tutelare i posti di lavoro e salvare il Teatro".

Ma i lavoratori (80 dei 132 presenti all'assemblea, su un totale di 273 dipendenti) hanno deciso di rinviare il referendum a settembre suscitando le ire di Doria, che ritiene che i lavoratori siano convinti che gli enti locali copriranno il deficit del Teatro.

Così scatta la decisione di mettere in mobilità 48 lavoratori, proprio com'era successo al San Raffaele.


Arriverà dunque il referendum (che assomiglia tanto a quello di Marchionne: o si accetta l'accordo o molti perderanno il posto) e una decisione che, c'è scommettere, sarà la stessa dell'ospedale milanese: nessun licenziamento, in cambio di tagli.
 

E ancora una volta dovremo chiederci il perché di scelte così miopi.

29 luglio 2013

Il nullatenente

I membri del governo hanno l'obbligo di dichiarare i loro redditi, i patrimoni, loro e dei famigliari.

Tutti hanno pubblicato i dati, ma c'è una sorpresa. Si chiama Letta, Enrico Letta, il presidente del Consiglio.

Ha dichiarato il proprio reddito nel 2012, circa 128 mila euro. E il proprio patrimonio: zero. Non solo non possiede neanche un'auto, una casa, un terreno, ma neppure 100 euro investiti in titoli di qualunque tipo. Niente azioni, fondi comuni....niente.

Com'è possibile? Elusione? Furbizia?

I parenti, la moglie, il fratello Vincenzo e i genitori del Presidente del Consiglio hanno preferito non dichiarare nulla, appellandosi alla privacy. Forse loro custodiscono il patrimonio di Letta? O come lui sono nullatenenti?

28 luglio 2013

La politica industriale di...Diesel

Only the brave è una società di Renzo Rosso, famoso per il marchio Diesel, che in questi giorni ha siglato un accordo con BNL per finanziare i propri fornitori, alle prese con la crisi e con il credit crunch, vale a dire con un credito concesso con il contagocce e a tassi elevati.

Molti fornitori hanno spiegato a Diesel che per loro continuare a lavorare è difficile. Rischiano di chiudere. Se succedesse ne risentirebbero i clienti, come Diesel, che hanno investito tempo e denaro per sviluppare rapporti di fornitura complessi. Da essi dipende la qualità del prodotto che finisce nei negozi.

I rapporti con i fornitori sono quindi un capitale per entrambe le imprese coinvolte in un rapporto di fornitura. Non hanno interesse a sprecare tale capitale, perchè sanno che ricominciare un rapporto tra cliente e fornitore richiede tempo, soldi e impegno.

Per questo Otb di Renzo Rosso interviene con un accordo per finanziare a tassi ragionevoli i propri fornitori. E' un modo di fare politica industriale. Uno dei tanti.

E ci dice (o meglio: ribadisce) che in Italia manca una politica industriale, semplicemente perchè in moltissimi non vogliono una politica industriale, illudendosi che un sistema economico in cui le imprese più deboli chiudono i battenti sia più sano. L'intervento di Rosso ci dice che si sbagliano.

26 luglio 2013

Fassina ha ragione!



Udite udite, popolo sovrano di contribuenti: "il viceministro all'economia Stefano Fassina, PD, ha recentemente affermato che esiste un'evasione di sopravvivenza!"

E ha anche scatenato un putiferio di critiche a sinistra!

E perché mai? Perché la verità non si può dire pubblicamente? Che pagare le tasse sia giusto e doveroso in relazione alla propria capacità contributiva (come recita l'art. 53 della Costituzione) è giusto, ma se dovete scegliere se mangiare o pagare le tasse, cosa scegliete?

Solo chi non ha mai pagato le tasse può affermare il contrario! E per pagare non intendo trattenere sullo stipendio, ma proprio bonificare dal proprio conto, e vi assicuro che non è la stessa cosa.

Vogliamo fare una prova e dare ai dipendenti tutto lo stipendio in mano per vedere se pagano prima tutti i contributi e le tasse e poi mangiano? Io personalmente ho visto ben pochi dipendenti che hanno aperto la partita IVA che non volessero tornare indietro!

Perché la sinistra italiana deve indignarsi davanti a certe affermazioni e la Camusso addirittura bollarle come un errore politico! Forse a sinistra devono votare solo dipendenti e pensionati?

Forse bisognerebbe che qualcuno si ricordasse che se non ci fossero imprenditori non ci sarebbero dipendenti, né sindacati, né tasse.

Fassina ha detto, a seconda di come si guarda l'affermazione, se da destra o da sinistra, un'ovvietà o una bestialità, e questa è la prova che nonostante siano passati secoli da Marx, l'unione sovietica, Smith e la Thatcher, ancora si continua a ragionare con le categorie sociali del dopo guerra!

Che per una volta abbia ragione Beppe Grillo?!?!?

Disuguaglianz, problema globale

Nell'incontro con il Papa, a Rio, la presidente brasiliana Dilma Rousseff "ha proposto a papa Francesco un'alleanza per combattere le disuguaglianza", riporta l'agenzia AGI.

Tre giorni dopo il Papa visitando una favela ha chiesto di non essere insensibili alle diseguaglianze sociali. In mezzo Obama in un discorso in Illinois ha indicato nella riduzione delle diseguaglianze la priorità della sua presidenza.

Insomma, il mondo ha un problema. La concentrazione delle ricchezze in poche mani a scapito di molti impoveriti dall'operare dei mercati sta diventando un problema globale, che non può essere ignorato da nessuno e in particolare da parte di chi, come gli economisti, di questi temi dovrebbero essere molto esperti.

A meno che non desiderino mantenere vive e anzi ampliare le diseguaglianze.


24 luglio 2013

Deliri in salsa grillina

Nel blog di Beppe Grillo un post intitolato Il diavolo veste Merkel spiegava che il debito pubblico dipenderebbe da un eccesso di spesa per interessi, a causa della separazione, nel 1981, tra Banca d'Italia e Tesoro e che dall'eccesso di debito possiamo uscire, con benefici per l'economia, soltanto riducendo il debito.

E questo secondo il blog di Grillo potrebbe avvenire in due modi: con un accordo per ridurre il debito oppure ritornando alla lira.

Questa è una visione che proprio non sta in piedi.

La separazione tra la Banca d'Italia e il Tesoro risale al 1981. Prima la Banca d'Italia aveva l'obbligo di acquistare i titoli di stato non collocati. Lo Stato poteva agire come un cuoco che prepara cibo che non piace a nessuno, ma non se ne preoccupa perchè mal che vada può portare il cibo alla mensa dei poveri, che ringrazieranno per il pasto gratuito.

Detto in termini economici, se tornassimo indietro al 1980 lo Stato potrebbe agire irresponsabilmente. Potrebbe essere insolvente, sicuro che tanto c'è la Banca d'Italia pronta a intervenire.

Tale scenario non è rassicurante. Anzi. Spaventerebbe il mercato, che chiederebbe tassi di interesse superiori per sottoscrivere i titoli di stato, consepevole anche del rischio che il ritorno al passato faccia aumentare il tasso di inflazione.

Un tasso di interesse più elevato non avrebbe alcun effetto positivo, come anche l'ipotesi di ritorno alla lira. L'effetto sarebbe lo stesso: un tasso di interesse più alto richiesto dagli investitori per far fronte al rischio di periodiche svalutazioni.

Se la lira si svalutasse rispetto ad un'altra moneta -argomenta il blog di Grillo- di fatto il debito pubblico diminuirebbe come se si facesse un accordo con i possessori stranieri di titoli di stato italiani.

Ma con quali conseguenze? Gli investitori stranieri hanno in mano circa il 35% del debito italiano, ovvero 700 miliardi. Una svalutazione che portasse a un taglio del 20% lascerebbe un debito comunque enorme e si pagherebbe sotto forma, anche in questo caso, di un aumento dei tassi. Perchè i capitali fuggirebbero, spaventati dalle perdite subite. E non fuggirebbero solo i capitali stranieri, ma anche quelli italiani, perchè in caso di svalutazione vera o possibile chi possiede titoli a rischio ha sempre interesse a venderli e spostare i soldi su titoli più sicuri.

Il ritorno alla lira o una riduzione del debito dunque avrebbero un effetto poco positivo sulla spesa per interessi, aggravando i problemi della finanza pubblica.

Ma perchè la svalutazione del 1992 a opera del governo Amato ha avuto effetti positivi? Non come credi il blog di Grillo a causa di un calo del debito, che non è mai diminuito, ma a causa dell'aumento del PIL, trainato dalla rivoluzione di internet.

E' impressionante come il blog di Grillo, che si ispira alle tesi di Bagnai e altri economisti non proprio eccezionali, dimentichino l'economia reale fatta di imprese, domanda, offerta e altre cose che influenzano il PIL e entrate fiscali.







23 luglio 2013

Due lezioni di Detroit

Nei giorni scorsi Detroit, la città dell'auto per antonomasia ha dichiarato bancarotta.

Era una città di circa 2 milioni di abitanti, molti dei quali impegnati nell'auto e oggi è una città ben al di sotto del milione, piena di sobborghi abbandonati.

Mentre le fabbriche chiudevano e la gente se ne andava, le casse comunali erano sempre più vuote. Al punto che il commissario nominato per rimettere in sesto le finanze di Detroit s'è arresto, offrendoci due lezioni, almeno.

La prima è che un sistema di imposte di tipo federalista è molto rischioso. Se le entrate di una città o di una regione dipendono dalle imposte locali, c'è il rischio che le imprese se ne vadano dai luoghi dove si paga di più per trasferirsi dove le imposte sono più basse.

Lo spostamento di imprese non fa che migliorare le entrate degli enti locali che praticano aliquote più basse, e pertanto potranno continuare a farlo o addirittura diminuire ulteriormente le aliquote, mentre peggiorano i conti degli enti locali con aliquote più elevate che, se non possono diminuire velocemente le spese, dovranno aumentare le imposte, incentivando le fughe di imprese alla ricerca di aliquote più convenienti.

La seconda lezione invece è che quando entra in crisi un settore economico che in passato ha attirato centinaia di migliaia di persone, le città di devono trasformare, devono reinventarsi. E per farlo hanno bisogno anche di soldi.

Ma se la crisi economica fa crollare le entrate di una città, come può questa città ristrutturare interi quartieri o trovare i soldi per incentivare gli investimenti di altre imprese?

Reinventarsi non è facile e a volte le città come Detroit hanno un solo modo per ripartire: dichiarare fallimento. Fallimento che è prima di tutto, però, il fallimento di un sistema politico e amministrativo.

20 luglio 2013

La Paura Spagnola di...Monti!

Il caso Barcenas di cui parlavo alcuni mesi fa, (sostanzialmente un inchiesta secondo la quale il Partido Popular avrebbe incassato fondi neri), continua a far tremare  il partito di maggioranza spagnolo ed ha tenere in fibrillazione l'intera politica del Paese.

Oggi più che mai, visto che sembra risultare coinvolto lo stesso Presidente Rajoy, anch'esso accusato d'aver messo le mani sul "tesoro" del partito nascosto allo Stato, e che le spiegazioni che diede inizialmente (senza permettere domande ai giornalisti), appaiono ormai chiaramente insufficienti, (ed a tratti palesemente false: affermò di non ricordare l'ultima volta che aveva sentito Barcenas, mentre adesso secondo gli inquirenti pare gli avesse inviato un sms lui stesso pochissimi giorni prima).

Il tutto mentre la situazione economica della Spagna continua a preoccupare sempre di più.

La popolazione e tutti i partiti d'opposizione chiedono a gran voce le dimissioni del presidente per aver attuato misure completamente contrarie a quelle promesse in campagna elettorale, per star aggravando la crisi economica del Paese e infine...per lo scandalo Barcenas.

Ultimamente, (io premetto che non ci credo), secondo alcune fonti, le dimissioni di Rajoy non sarebbero un'ipotesi utopistica.

Ma mi ha lasciato sorpreso la preoccupazione che ho notato sia chiaccherando della situazione con amici miei spagnoli, sia per esempio leggendo gli indignados qua e là su internet, per il eventuale arrivo di un "Monti spagnolo".

Frasi come "i tecnici in Italia hanno combinato solo disastri", "l'Europa ed i mercati ci metteranno un tecnico che ci massacrerà come Monti in Italia", sembrano essere all'ordine del giorno, non leggendo sui giornali ma parlando con la gente sull'eventualità di dimissioni di Rajoy, si teme il fantasma del professore bocconiano in versione spagnola.

Insomma, non una bella fama, se davvero Mario Monti ha detto tempo fa "visto la stima di cui godo all'estero verrebbe voglia di non tornare più in Italia", gli consiglierei di evitare la Spagna...

E tutti i torti non ce li hanno.

Domanda personale: se tutto questo si avverasse (e non credo), ci saranno complottisti che diranno che lo scandalo Barcenas è stato creato ad arte per abbattere il "buon governatore democratico e legittimo Rajoy" e sostituirlo con un "uomo delle banche"? In Italia ci sarebbe stato senz'altro.

19 luglio 2013

Slow Food

Qualche giorno fa Doc3, rubrica di Rai 3, ha mandato in onda un ottimo documentario su Slow Food (vedi qui) e il suo fondatore, Carlin Petrini.

E' una storia di amicizia e di un geniale personaggio, Carlin Petrini, che ha dedicato la sua vita e il suo lavoro alla valorizzazione del cibo, del lavoro contadino, delle tradizioni agricole di tutto il mondo.

E ha pure offerto qualche lezione economica. Dopo 37 minuti troverete la testimonianza di un piccolo allevatore che spiega: un tempo quelli come noi, che vendono un capo di bestiame ogni tanto, dovevano piegarsi alle condizioni economiche dell'acquirente. Ora con Slow Food ci siamo messi insieme e ci pagano di più perché tutti insieme vendiamo i nostri bovini.

Bella lezione, specie per chi loda la piccola impresa e esalta l'individualismo: mettersi insieme e superare l'individualismo conviene. Ce lo insegna Carlin Petrini, che ha fondato l'associazione per la promozione dell'agricoltura più famosa al mondo: Slow Food.

18 luglio 2013

La paghetta degli ex presidenti

Qualche tempo fa mi ero chiesto: come mai in molti sono ansiosi di fare i ministri nonostante ciò comporti l'abbandono di posti prestigiosi e la perdita di qualche guadagno?(vedi qui)

Diventando ministro, avevo sostenuto, ci si fa conoscere e si partecipa a un'infinità di convegni e altri incontri che assicurano ingenti guadagni.

L'attività di conferenziere rende bene soprattutto negli USA. Gli ex presidenti, usciti dalla Casa Bianca, firmano ricchi contratti con agenzie che organizzano conferenze e versano ai più richiesti anche 250.000 dollari per parlare per un'ora.

Chi se la passa meglio è Bill Clinton, presidente dal 1992 al 2000, che ha guadagnato oltre 100 milioni di dollari. Ma anche gli altri ex capi di governo non se la passano male, guadagnando grazie alle conferenze ma anche con altri incarichi molto ben retribuiti da banche o multinazionali alla ricerca di nomi famosi a cui affidare qualche compito delicato.

Tra i più richiesti c'è anche un italiano, Mario Monti, che incassa dai 20 ai 100.000 euro per parlare soprattutto a gruppi conservatori, desiderosi di sentirsi dire che cosa devono fare gli italiani per rimettere a posto i conti.

Senza turbare gli interessi conservatori, naturalmente, e con il sospetto che le idee di Monti non siano, per così dire, solo farina del suo sacco, ma tesi riprese dagli ambienti conservatori che Monti rappresenta e che lo pagano profumatamente.

17 luglio 2013

Il più ricco, per pochi minuti


A causa di un errore, un cinquantenne americano per qualche minuto è diventato l'uomo più ricco del mondo.

Sul suo conto PayPal sono finiti 92 quadrilioni ovvero 92 milioni di miliardi di miliardi di dollari. Poi, naturalmente, l'errore è stato corretto e l'enorme somma è sparita.

O forse... Forse i signoraggisti troverebbero una spiegazione: hanno sbagliato a far transitare da un conto a un altro l'importo del signoraggio?

11 luglio 2013

Evasione e riscossione


Campeggia oggi su tutti i giornali l'enorme cifra che si è accumulata nella lotta all'evasione fiscale.

Vorrei però sollevare alcuni rilievi:

1. Nei titoli si parla di somme risultanti dalla lotta all'evasione fiscale (più di 500 mld. di € in 13 anni accumulati). Ora, se la stessa relazione consegnata alla commissione economia e finanze riconosce che circa 100 mld. sono crediti di fallimenti, di che evasione fiscale stiamo parlando?
Se fallisco la cosa più comune che succede è che non pago le tasse - tra l'altro i contributi e le imposte hanno un privilegio molto alto, quindi sono tra i primi che sono pagati - ma queste somme non sono evase!
Evasione è se io nascondo imponibile al fisco, ma se dichiaro tutto e magari non incasso, allora fallisco e non riesco a pagare più nulla, comprese le tasse!
Ma questa non è evasione, bensì somme irrecuperabili!

2. Chi bazzica le cancellerie fallimentari o equitalia sa benissimo che certe somme sono di fatto irrecuperabili, queste somme sono a capo di soggetti incapienti, sia persone fisiche che giuridiche, che non hanno intestato nulla.
Facciamo un esempio: se faccio debiti (di ogni tipo, non unicamente fiscali) e non ho nulla intestato, non mi possono fare nulla, a meno che non evada l'IVA per più di 50.000 € l'anno (diventa penale, ma ci sono sentenze di cassazione ondivaghe), quindi di tutte le cartelle di equitalia farò un bel mucchio e poi le brucerò.
Lo stesso vale per le persone giuridiche (le srl, tipicamente): una volta che la società non ha più nulla lo sventurato amministratore, liquidatore o simili, non può fare più nulla, a meno che i soci non ricapitalizzino, ma si tratta di una cosa abbastanza rara se le cifre sono ingenti.

Quindi, la gran parte di quella cifra è semplicemente il frutto di tasse non pagate e di fatto ormai non più incassabili. Di fatto grandissima parte del recupero dell'evasione fiscale di cui si vanta l'agenzia delle entrate è semplicemente il risultato del miglioramento delle procedure di controllo che abbinano dichiarazioni e versamenti (i cosidetti preavvisi telematici) che i contribuenti pagano spontaneamente. Ma ancora una volta non si tratta di evasione fiscale!

Il recupero dell'evasione fiscale vera e propria è quando l'agenzia delle entrate o la guardia di finanza recupera imponibile con accertamenti mirati, ma attenzione, anche in questo caso la percentuale tra imponibile accertato e recuperato, non supera di norma il 20%!

09 luglio 2013

Don Diego e RCS

Da qualche tempo Diego Della Valle, padrone di Tod's e della Fiorentina mi pare un prete dell'oratorio, di quelli che guarda i ragazzini che bisticciano con l'atteggiamento di chine ha viste tante e sa che dopo la lite ricominceranno a giocare.

Ogni tanto si presenta in tv e spiega, da Santoro o a Ballarò, cosa pensa si debba fare per rimettere in sesto l'Italia, usando sempre l'atteggiamento di chi ha avuto successo e vorrebbe che le sue parole fossero prese in considerazione da chi conta e anche dai cittadini comuni, desiderosi di essere rassicurati.

Tra i suoi bersagli preferiti ci sono John Elkann e Sergio Marchionne, rei a sua dire di non investire molti milioni o forse miliardi di euro per rilanciare la Fiat a colpi di auto. Auto che, occorre dirlo, nessuno compra in Italia e in mezza Europa, chiunque sia il produttore e qualunque sia la qualità del prodotto.

Dopo aver attaccato i vertici Fiat sull'auto, da qualche tempo Della Valle si è concentrato su un altro tema: il controllo del gruppo Rizzoli.

Gruppo che è il salotto buono della finanza italiana, visto che la proprietà di RCS è da anni divisa tra gli eredi Agnelli, Della Valle, banche, assicurazioni e altri imprenditori danarosi.

Ma da qualche tempo RCS va male, tanto da richiedere un aumento di capitale di olte 400 milioni. Alcuni hanno deciso di non sottoscriverlo, altri invece hanno deciso di far crescere la propria quota nel gruppo editoriale. Tra questi Fiat, che punta a diventare il primo azionista con oltre il 20% delle azioni.

Perchè lo fa? Forse perchè è un buon affare, capace di regalare centinaia di milioni. O forse perchè è sempre meglio controllare un gruppo editoriale, per una questione di immagine e per fare e ricevere favori?

Non lo sappiamo, mentre è certo che l'assalto a RCS da parte di Fiat ha fatto arrabbiare Della Valle che vorrebbe, come ha scritto oggi in una lettera aperta al Presidente Napolitano, che gli azionisti si ritirassero per consentire a RCS di restare autonoma e di rilanciarsi senza vincoli che non siano la ricerca degli equilibri economici.

È la tesi che Della Valle ripete da tempo, col suo non gradevole atteggiamento da parroco. Ed è una tesi che solleva un paio di domande: se Della Valle vuole che RCS sia autonoma da azionisti hce potrebbero condizionrla, perchè lui, che rappresenta un gruppo industriale di tutto rispetto, è entrato nell'azionariato del gruppo editoriale milanese? E se il gruppo dev'essere autonomo, chi dovrebbe sottoscrivere l'aumento di capitale? Forse azionisti che poi non conterebbero nulla e magari dovrebbero dirsi contenti di perdere i loro soldi?

Per fortuna il Presidente ha risposto che in questi casi occorre lasciar fare il mercato: chi ha più azioni  deciderà cosa fare, secondo i suoi convincimenti e non secondo quelli di qualche politico o di chi, pur non essendo politico, vorrebbe condizionare un gruppo editoriale forte di un atteggiamento da parroco alle prese con qualche ragazzini presuntuoao e di un pò di azioni.




08 luglio 2013

L'autogol dei tagli all'università

La crisi morde e, come sappiamo, lo Stato cerca di tagliare le spese, ma non sempre lo fa razionalmente. A volte i tagli hanno effetti perversi.

È il caso dei tagli all'istruzione. Gli italiani,a causa della crisi, stanno frequntando di meno le università,  che sono diventate più costose dopo i tagli di qualche anno fa della signora Gelmini.

Si sta tornando a un modello di università elitaria, con pochi iscritti, molti dei quali accedono ai corsi soslo perchè se lo possono permettere o perchè si possono permettere i costi dei corsi di preparazione ai test d'ingresso.

Una visione elitaria che è condivisa, purtroppo, non solo da pessimi esponenti di destra, ma anche da persone all'apparenza più intelligenti, come Umberto Eco o lex ministro Fornero, e che rischia di regalarci un'Italia peggiore.

Una prima ragione è che l'istruzione non fa (quasi) mai male, aiuta le persone a essere cittadini migliori, a capire meglio i problemi e a decidere liberamente, senza delegare le decisioni a qualche uomo dei miracoli.

Una seconda ragione è di carattere economico: chi ha una istruzione migliore tende a guadagnare di più.  E in periodo di crisi occupazionale grave, ciò può voler dire avere più possibilità di emigrare e trovare un buon lavoro all'estero.

Senza una buona istruzione molti italiani giovani potrebbero rinunciare a emigrare, preferendo il poco di cui dispongono a casa proprio al poco che avrebbero all'estero

Una terza ragione è che più aumenta il numero di chi possiede un'istruzione elevata, minore è il numero di chi è meno istruito e maggiore è la possibilità che questi ultimi abbiano un buon reddito. Reddito che dipende dal numero di coloro che hanno un basso livello di istruzione.

Se più italiani si devono accontentare di un diploma perchè non possono iscriversi all'università, si dovranno anche accontentare di un reddito inferiore.

Dunque i tagli all'università (e la relativa visione elitaria) sono un boomerang che avrà effetti molto negativi in un paese già in gran difficoltà economica e culturale

02 luglio 2013

La strana economia di Sergio Rizzo

Intervistato da una radio, Sergio Rizzo, giornalista del Corriere diventato famoso per gli articoli e i libri sugli sprechi, s'è meravigliato per il rinvio dell'aumento dell'IVA.

Ha spiegato che in fin dei conti l'aumento dell'IVA non sarebbe tanto grave perchè in fin dei conti si può non acquistare una nuova cucina o una nuova automobile e quindi, lasciava intendere, se il prezzo di un bene aumenta, si può rinunciarvi.

Ora, a parte che se gli italiani comprano meno cucine o automobili il PIL cala, la crisi peggiora e calano anche le entrate fiscali, rendendo controproducente l'aumento dell'IVA sia per i conti pubblici che per l'andamento dell'economia, forse Rizzo non sa che gli italiani non comprano solo oggetti a cui possono rinunciare, se il prezzo aumenta. 

Oltre ai beni di prima necessità che pagano un'IVA ridotta, comprano anche un'infinità di altri beni per i quali l'IVA salirebbe al 22%, con effetti probabilmente non proprio positivi sul PIL che, se va bene, nel 2013 diminuirà "solo" del 1,5%. Per questo si cerca di evitare l'aumento dell'IVA: è meglio non far scendere ancora il PIL di un'economia in forte difficoltà.

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