23 luglio 2013

Due lezioni di Detroit

Nei giorni scorsi Detroit, la città dell'auto per antonomasia ha dichiarato bancarotta.

Era una città di circa 2 milioni di abitanti, molti dei quali impegnati nell'auto e oggi è una città ben al di sotto del milione, piena di sobborghi abbandonati.

Mentre le fabbriche chiudevano e la gente se ne andava, le casse comunali erano sempre più vuote. Al punto che il commissario nominato per rimettere in sesto le finanze di Detroit s'è arresto, offrendoci due lezioni, almeno.

La prima è che un sistema di imposte di tipo federalista è molto rischioso. Se le entrate di una città o di una regione dipendono dalle imposte locali, c'è il rischio che le imprese se ne vadano dai luoghi dove si paga di più per trasferirsi dove le imposte sono più basse.

Lo spostamento di imprese non fa che migliorare le entrate degli enti locali che praticano aliquote più basse, e pertanto potranno continuare a farlo o addirittura diminuire ulteriormente le aliquote, mentre peggiorano i conti degli enti locali con aliquote più elevate che, se non possono diminuire velocemente le spese, dovranno aumentare le imposte, incentivando le fughe di imprese alla ricerca di aliquote più convenienti.

La seconda lezione invece è che quando entra in crisi un settore economico che in passato ha attirato centinaia di migliaia di persone, le città di devono trasformare, devono reinventarsi. E per farlo hanno bisogno anche di soldi.

Ma se la crisi economica fa crollare le entrate di una città, come può questa città ristrutturare interi quartieri o trovare i soldi per incentivare gli investimenti di altre imprese?

Reinventarsi non è facile e a volte le città come Detroit hanno un solo modo per ripartire: dichiarare fallimento. Fallimento che è prima di tutto, però, il fallimento di un sistema politico e amministrativo.

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