30 novembre 2010

Citazioni divertenti: Enrico Cuccia


"Lei ha bisogno di molti auguri, dottor Gallo, perché io non ho mai visto una banca fallita sopravvivere a se stessa"

Enrico Cuccia, 1982

Il dottor Domenico Gallo era impegnato a rimettere in piedi una banca milanese presieduta da un professore bresciano, Giovanni Bazoli.

La banca era il Nuovo Banco Ambrosiano che dopo varie fusioni e acquisizioni ora si chiama Intesa San Paolo, sempre presieduta da Giovanni Bazoli.

29 novembre 2010

Aiuti ai ricchi in un paese impazzito

Qualche anno fa Romano Prodi, presidente del consiglio, disse che l'Italia era un paese impazzito.

Venne criticato e qualche tempo dopo, finita l'esperienza governativa, un suo collaboratore spiegò in un libro che a Prodi l'Italia ricordava la maionese preparata in casa, come si faceva un tempo, che impazzisce quando i vari ingredienti non ne vogliono sapere di amalgamarsi.

E' l'immagine che mi è tornata in mente in questi giorni, leggendo alcune notizie economiche. Manca una logica e sembra che chi vive in questo paese provi solo a farsi i fatti suoi, incurante di quel che succede attorno.

Mentre Gheddafi vuol convincere gli europei a versargli 5 miliardi di euro con la minaccia di lasciar passare gli africani diretti in Europa, il Corriere appoggia una raccolta di fondi a favore di una bambina che vorrebbe soltanto andare a scuola, ma una scuola non ce l'ha, complici 19 sgomberi della sua famiglia rom.

Un rom povero e affamato si metterà in coda alla Caritas per un pranzo decente. Rischiando di trovarsi a mangiare un risotto ai tartufi. Già, accade anche questo in un paese impazzito. La Caritas di Roma ha servito risotto al tartufo ai poveri.

Il tartufo arriva da un imprenditore piemontese che se n'è aggiudicati due in un'asta ad Alba. Uno lo ha regalato a uno degli italiani più ricchi (forse non se lo poteva permettere?), Michele Ferrero. L'altro al Papa.

100.000 euro spesi. 50.000 euro per ogni tartufo.

Quello destinato al Papa è stato portato alla mensa dei poveri della Caritas. Spero come segno di disapprovazione.

Chissà se qualche vescovo avrà ringraziato, in nome del pontefice. E chissà se qualcuno gli avrà spiegato che poteva usare gli stessi soldi per assumere un paio di dipendenti in più o per acquistare qualche tonnellata di cibo da regalare alla mensa della Caritas, invece che per qualche etto di un tubero odoroso.

Anche in tempo di crisi, evidentemente, i soldi in qualche tasca sono troppi, come testimonia il sequestro di 1 miliardi di euro, tra contanti e beni alla Menarini, sotto inchiesta per aver partecipato allo sport preferito degli italiani.

No, non il calcio, dove comunque Menarini è entrato tramite il Bologna, perché a chi possiede una squadra di calcio si perdona tutto o quasi. Lo sport preferito dagli italiani è l'evasione fiscale.

I soldi abbondano e infatti Bondi ha speso 400 mila euro per pagare il viaggio in Italia, al festival del cinema di Venezia di un'attrice bulgara, che pare piaccia molto a Berlusconi, e ad una delegazione di accompagnatori dell'attrice.

Non è la prima volta che Bondi si dimostra generoso. Con i parenti, ad esempio come racconta Il fatto quotidiano. Oggi l'attrice bulgara, ieri il figlio della compagna assunto al ministero, qualche tempo fa un quadro da 400.000 euro acquistato per 1,2 milioni (vedi qui).

Il tutto mentre i tagli alla cultura sono all'ordine del giorno e i dipendenti del teatro Carlo Felice di Genova finiscono in cassa integrazione (ne avevo scritto qui).

Perchè i soldi ci sono (forse) ma solo per gli amici ricchi. Che un governo di destra cerca di aiutare, se non riescono ad aiutarsi da soli, con l'evasione fiscale o con regali costosissimi.

26 novembre 2010

Le strane analogie SME - Alitalia

La notizia è questa: l'ex presidente della Rai e della Corte Costituzionale, Antonio Baldassarre, è sotto inchiesta per aggiotaggio.

Nell'autunno 2007 era a capo di una cordata che ha partecipato al bando di gara per comprare Alitalia. I documenti che la cordata ha presentato a sostegno della propria offerta erano falsi e la banca a cui si appoggiavano, la svizzera UBS, l'ha comunicato a Baldassarre.

Invece di ritirare la cordata, l'ex presidente della Corte Costituzionale ha mantenuto in piedi l'offerta.

"Tali illecite condotte -dicono i magistrati- intervenivano in una fase nella quale si stavano decidendo le sorti di Alitalia ed erano idonee a condizionare tempi e modalità di svolgimento della programmata operazione di cessione delle azioni detenute dal ministero dell'Economia".

La vicenda ricorda un fatto analogo di molti anni fa. Romano Prodi, presidente dell'IRI, aveva deciso di vendere le aziende alimentari del colosso pubblico, la SME. Cercò un compratore e ricevette solo l'offerta di Carlo De Benedetti che puntava a creare un polo alimentare.

Al momento di firmare il contratto arrivò il veto del presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, nemico giurato di De Benedetti.

Prodi e De Benedetti avevano firmato un accordo e l'imprenditore poteva chiedere i danni all'IRI. Così il ministro della partecipazioni statali, su sollecitazione di Craxi, decise che si doveva fare una vera e propria gara.

Come per miracolo si materializzò un'altra cordata, che si disse interessata a comprare la SME. Quanto bastava per rallentare la compravendita e far perdere la pazienza all'ingegnere torinese.

Chi faceva parte della cordata alternativa? Ferrero, Barilla e un imprenditore televisivo che qualche anno dopo, durante un processo, difese la bontà dell'operazione, spiegando che l'obiettivo era di impedire che la SME finisse in mano all'odiato Debenedetti.

Chi era l'uomo che si vantava di aver bloccato una banale operazione di mercato in nome di un interesse politico? Lo stesso che rappresentava Baldassarre da presidente della RAI e lo stesso che ha deciso cosa fare di Alitalia, dopo che la gara per privatizzarla -complice anche la mossa scorretta di Baldassarre- è fallita.

Insomma, a distanza di tanti anni sembra che lo schema si ripeta. Oggi come allora qualcuno cerca di condizionare una privatizzazione, forse in nome di interessi politici. E almeno un attore sulla scena è sempre lo stesso, pronto a stravolgere libere operazioni di mercato in nome degli interessi di qualche amico.

25 novembre 2010

L'asino economico sul Tg3


Ieri sera a tarda ora una rubrica del Tg3 ha intervistato un avvocato d'affari milanese sulla crisi irlandese. L'avvocato De Nicola è il presidente della Adam Smith Society, una delle piccole lobby ultraliberiste italiane.

Secondo De Nicola i guai irlandesi derivano da un eccesso di capitali prestati, e ciò a causa dei tassi di interesse bassi praticati dalla BCE in passato. Con tassi più elevati tutto ciò si sarebbe evitato.

Una teoria degna del peggior asino economico, per almeno quattro motivi.

E' bene ricordare, in primo luogo, che i tassi applicati dalla BCE sono stati a lungo criticati perchè troppo alti. Gli economisti che vedevano l'Europa crescere poco rispetto agli USA. Tassi più alti avrebbero ridotto o annullato la scarsa crescita europea. E questo a quale scopo? Per impedire che le banche irlandesi prestassero troppo denaro?

Il tasso applicato dalla BCE è il frutto di un compromesso che tiene conto delle diverse velocità delle economie appartenenti all'area euro e dei settori economici influenzati. Immaginare che fosse regolato solo per affrontare un solo problema è un'ingenuità.

Poi è assai curioso l'atteggiamento di questo (ultra)liberista. Di solito i liberisti dicono che è bene non interferire nel libero esercizio dell'attività di impresa. Alcune lobbies ultraliberiste sostengono addirittura che si potrebbe fare a meno delle banche centrali. Per cui, anche dal suo punto di vista, sostenere che la BCE avrebbe dovuto alzare i tassi è cosa senza senso.

Le banche raccolgono soldi e li prestano. Se ne raccolgono e ne prestano tanti i tassi scendono. Curioso che l'ultraliberista De Nicola auspichi -a posteriori- l'esatto contrario.

Infine si deve ricordare ciò che scrive Nouriel Roubini nel suo ultimo libro: la FED a un certo punto aumenta i tassi di interesse, perchè l'economia si sta surriscaldando. La manovra non ha effetti perchè chi cerca capitali ne trova in abbondanza in giro per il mondo a tassi più bassi.

Anche per questo le teorie dell'avvocato d'affari milanese sono insensate.

22 novembre 2010

Oggi l'Irlanda e domani?

Ci risiamo. Qualche mese fa è stata salvata la Grecia che aveva decine di miliardi di euro in scadenza e nessuno disposto a sottoscrivere i titoli di stato a tassi di interesse ragionevoli. Adesso tocca all'Irlanda, ma la speculazione internazionale sta già cambiando obiettivo, puntando il Portogallo.

Cosa sta succedendo?

Succede che l'Europa è una e l'euro è la sua moneta, ma gli stati sono molto diversi. Alcuni hanno un deficit accettabile, una tradizionale solidità dei conti pubblici e capacità di produrre ricchezza. Altri invece producono poca ricchezza e deficit di elevate dimensioni, dimostrando poca volontà di mettere a posto i conti. Alcuni puntano su basse imposte, altri, come la Svezia, tassano e molto i loro cittadini.

Così chi possiede capitali abbandona i titoli considerati a rischio.

Il deficit sale alle stelle in Irlanda? Chi possiede titoli di stato irlandesi li vende. Il loro valore diminuisce e il rendimento sale, lanciando un messaggio all'Irlanda. Si dice -implicitamente- agli irlandesi che potranno avere capitali ma a patto di pagare interessi più alti, perché maggiore è il rischio di insolvenza dell'Irlanda.

Gli interessi troppo alti rischiano di rendere insolvente il debitore e si riflettono sui tassi pagati dagli altri debitori. Non è una strada percorribile.

La speculazione oggi contro i titoli irlandesi (ieri quelli greci) è stata affrontata con prestiti degli stati e delle istituzioni internazionali. La Germania può indebitarsi a tassi più bassi, prende a prestito capitali e li presta alla Grecia o all'Irlanda. E lo stesso fanno la Gran Bretagna, la Francia o l'Italia.

Non si tratta di grandi cifre, dice Roberto Ruozi, ma esistono problemi politici rilevanti: la decisione di prestare i soldi spetta agli stati che sono soggetti a pressione dei propri cittadini, poco felici di fare sacrifici per salvare una banca o uno stato straniero, che magari, come nel caso irlandese, ha fatto un pò il furbo con imposte basse allo scopo di attirare capitali e imprese.

Si nazionalizzano le banche irlandesi che hanno perso decine di miliardi di euro di raccolta in pochi mesi, ma con i soldi tedeschi, britannici, italiani e francesi. Ovvio che qualcuno storca il naso e magari cerchi di spingere, con argomenti populistici, i propri elettori a opporsi al salvataggio.

Così accade che la signora Merkl fa capire che le banche non avranno vita facile e magari qualcuna fallirà: una dichiarazione degna del peggior Berlusconi, irresponsabile, che getta benzina sul fuoco della speculazione. Se un politico importante agita l'ipotesi che una banca rischia di fallire, i capitali l'abbandoneranno, causando una crisi ancora più profonda. Se prima occorrevano 10 miliardi per salvare la banca, dopo ne occorreranno 15 perchè altri capitali saranno fuggiti dalla banca a rischio.

Non resta che sposare l'atteggiamento di ottimi economisti come Krugman o Stiglitz: la speculazione e la crisi va affrontata con le medicine più efficaci, con interventi pesanti, senza che i governi europei discutano per settimane sull'opportunità di sborsare una somma che gli USA hanno stanziato in pochi giorni per salvare AIG.

Occorrono autorità europee capaci di intervenire rapidamente, con mezzi illimitati, soffocando la speculazione, come succede con la FED che si permette di stanziare 600 miliardi di dollari in un solo colpo senza chiedere niente a nessuno, dopo aver comprato asset per almeno 2000 miliardi di dollari negli ultimi due anni.

In caso contrario, se continueremo a spegnere uno per uno gli incendi con la pompa da giardino, continueremo a lungo ad affrontare -male- incendi che

Erik Cantona capopopolo sfida le banche



La rivoluzione con le pantofole di Erik Cantona a quanto pare non si è esaurita con le sue dichiarazioni. Adesso ne parla anche il Corriere con questo articolo. Le sue asserzioni, infatti, hanno innescato un coro che supera i soliti quattro gatti che portano avanti teorie balzane contro il complotto del signoraggio bancario.

Nella video intervista Cantona affermava che "È inutile che tre milioni di persone manifestino per strada sventolando la loro bandierina, non serve a niente. Il sistema è costruito sulle banche. E come si distruggono le banche? Riprendendoci il nostro denaro. Se tre, 10 milioni di persone ritirassero i soldi dal conto, le cose cambierebbero".

Ma su Econoliberal abbiamo già fornito una risposta in merito, su cosa potrebbe avvenire nel caso una moltitudine di persone intraprendesse questo genere di (sciocche) azioni.

Le affascinanti dichiarazioni del calciatore hanno, così, dato vita ad un piccolo movimento chiamato Bankrun. E' stato creato anche un evento facebook con circa 12mila partecipanti nominali. Insomma, una piccola onda che fa leva sull'attuale stato di cose che porta ad una più o meno ragionevole indignazione.
Ma il rigore e la caratura della strana protesta ce li possiamo immaginare, andando nella sezione "Dream" del sito succitato, per capire che si auspicano le risapute leggende metropolitane sulla creazione di energia pulita ed infinita per tutti ed altri conosciuti dogmi della fenomenologia complottista.


Aggiornamento: C'era da aspettarsela, l'adesione all'iniziativa da parte di gruppi dell'estrema destra.

Aggiornamento 2: Ne parla anche Il Sole24Ore.

20 novembre 2010

Ma quante tasse paghiamo?


L'articolo sulla stampa italiana è transitato veloce come un fulmine e anche parecchio inosservato.
Da uno studi commissionato dalla banca mondiale in collaborazione con la PricewaterhouseCoopers (PwC) sulle tasse pagate nel mondo l'Italia risulta il fanalino di coda in Europa e negli ultimi posti per pressione fiscale nel mondo.
Il rapporto completo (in inglese) è scaricabile gratuitamente da qui.

Andando a vedere il rapporto nel dettaglio a pagina 31 troviamo la classifica dei paesi europei in cui l'Italia occupa l'ultimo posto con una pressione fiscale pari al 68,6%. Bisogna fare una considerazione: a questa cifra si arriva sommando le imposte sul reddito, i contributi (INPS, INAIL, ecc.) e le altre imposte. L'Italia è ultima seguita da Francia e Belgio. Ai primi posti troviamo Lussemburgo (21,1%), Cipro e Irlanda.

Prescindendo dalle consuete considerazioni sull'evasione fiscale, il risultato è che la differenza tra quanto un dipendente costa e quanto prende è semplicemente abnorme. In termini pratici, con un esempio, un dipendente che per 14 mensilità prende 1.100 Euro al mese, al datore di lavoro costa 24.000 Euro l'anno!

E a tale carico di costi non corrisponde quasi mai un adeguato livello di servizi.

Perché un'azienda dovrebbe assumere in Italia? Con questa situazione i conflitti tra lavoratori e imprenditori sono scontati!

E perché continuare a tenere una imposta come l'IRAP che penalizza fortemente il lavoro?

Pongo infine a tutti i lettori questo quesito.
Se vi offrissero di dirigere un'impresa con 100.000 Euro di utile all'anno, sapendo che per produrlo bisogna fatturare circa 1,5 milioni di Euro l'anno, e che una volta pagate le tasse, puliti, vi rimarrebbero in tasca solo 32.000 Euro l'anno (cioé circa 2.700 Euro al mese), accettereste il posto?

Personalmente io avrei molti dubbi....

19 novembre 2010

Gli sprechi di Bondi e Pompei


Dopo il crollo della domus dei gladiatori a Pompei si è discusso a lungo dei tagli alla cultura. La domus è crollata per lavori fatti 50 anni fa e oggi mancano i soldi per intervenire?

E' assai probabile, ma è anche vero che i soldi si sprecano, nel ministero dell'inefffavile ministro berlusconiano, come Econoliberal (vedi qui) aveva raccontato quasi 7 mesi fa: 1,2 milioni per un quadro valutato al massimo 400 mila euro.

Come ha detto Philippe Daverio ieri sera ad Annozero, è meglio che i privati stiano fuori dalla cultura perché la spolpano. O spolpano le casse del ministero.

18 novembre 2010

Saviano e il sud

Come rilanciare il sud magari combattendo la mafia?

Un'idea, forse senza volerlo, l'ha lanciata Roberto Saviano durante la trasmissione Vieni via con me di lunedì scorso: costruire case e soprattutto case popolari.

Saviano infatti ha osservato che le organizzazioni criminali investono negli immobili. Un buon investimento, che garantisce diversi vantaggi.
Garantisce il riciclaggio del denaro sporco, proveniente da attività illecite, la creazione di fondi "neri" più o meno leciti perchè chi vende un immobile dichiara il prezzo indicato dal valore catastale e incassa di solito una somma superiore, una specie di nero legale, il controllo del territorio e posti di lavoro per amici e persone su cui esercitare un controllo e, infine, garantisce l'arruolamento di nuovi criminali.

In che modo? Tenendo alti i prezzi di case e affitti.

Chi ha difficoltà a trovare un posto di lavoro regolare e remunerato decorosamente è più soggetto alle sirene della mafia.

Il traffico di droga, i taglieggiamenti, la gestione della prostituzione o del gioco clandestino attraggono chi può aspirare solo a lavori irregolari, precari o mal pagati, e l'alternativa dell'illegalità è tanto più allettante quando più costa vivere.

Per questo la criminalità organizzata ha interesse a tenere alto il costo delle case. Si aumenta l'incentivo a procurarsi illegalmente i soldi necessari a pagare l'affitto o il mutuo e chi non trova un buon lavoro può essere arruolato più facilmente dalla criminalità organizzata.

Per questo motivo occorrerebbe, specie al sud, progettare qualche ponte in meno e finanziare qualche casa popolare in più, da assegnare a canoni bassi e, dove esiste la criminalità organizzata, evitando di affittarle a chi è compromesso con il crimine organizzato o commette reati . Ai vantaggi per l'economia di una qualsiasi opera pubblica, si aggiungerebbero i vantaggi sociali: gente meno soggetta alla criminalità, meno tentata di dare una mano magari per necessità, più motivata a restare lontana dalle tentazioni del mafioso.

Se ciò accadesse, sarebbe necessaria una piccola rivoluzione nel modo di considerare le case popolari. Non più ghetti dove vive la parte meno nobile della popolazione, lasciando a volte che chi vi abiti si autogoverni o si faccia governare dal criminale competente per territorio, ma parti di città in cui offrire servizi e a cui chiedere comportamenti costruttivi, da tenere sotto controllo per evitare che prevalga il virus mafioso.

17 novembre 2010

Balli irlandesi


Fino al 2007 l'Irlanda è stato il paese dell'Europa occidentale con un tasso di crescita invidiabile: 5, 6, 7% l'anno per molti anni di fila.

La ricetta irlandese era semplice: poche imposte e grande disponibilità verso le grandi imprese americane che hanno, complice la lingua, aperto nell'isola le loro filiali europee.

Le imprese erano ben contente di pagare poco il personale irlandese, di distribuire utili tassati in modo irrisorio e di investire nel paese che si godeva la crescita del PIL, la disoccupazione in calo e un benessere mai visto in uno stato storicamente tra i più poveri d'Europa.

L'Irlanda sembrava l'esempio concreto della validità delle teorie liberiste: pochi vincoli, poche imposte, libertà di impresa, tassi di crescita elevati a far dimenticare ogni problema ulteriore.

Con la crisi il giocattolo s'è rotto, è arrivata una pesante recessione, che ha fatto crollare le entrate fiscali. La crisi ha fatto scoppiare la locale bolla immobiliare: gli irlandesi hanno smesso di comprare case a qualsiasi prezzo e il calo dei prezzi ha fatto crollare le garanzie dei debiti.

Ma soprattutto i capitali sono fuggiti dalle banche irlandesi. I benefici fiscali si accompagnavano al trasferimento di capitali. Un'azienda portava in Irlanda un pò di soldi e la sede per godere delle basse aliquote fiscali. L'afflusso di capitali era una fortuna per gli irlandesi, che grazie ad essi potevano far crescere l'occupazione, le entrate fiscali e finanziare le loro imprese.

La fuga dei capitali dalle banche irlandesi ha spinto il governo a dare alle proprie banche i capitali necessari per sopravvivere.

Per questo il debito pubblico irlandese sta crescendo a ritmi spaventosamente alti: in 3-4 anni sta passando da meno del 30% del PIL a oltre il 100%, con un deficit per il 2010 superiore al 30% del PIL.

Insomma se qualcuno crede nella favola liberista per cui in un sistema di libero mercato e di libera circolazione di imprese e capitali si è più competitivi riducendo fino quasi a eliminarle le imposte, guardando all'Irlanda si dovrà ricredere.

14 novembre 2010

Quando si arrestava il governatore della Banca d'Italia - 2


Tempo fa ho dedicato un post (vedi qui) all'arresto del governatore della Banca d'Italia Baffi e allo spregiudicato ruolo di Andreotti.

Oggi il Sole 24 Ore (vedi qui) aggiorna la storia con l'opinione di uno dei protagonisti, che descrive un Andreotti mediatore tra gli interessi criminali di Rovelli, Sindona e Gelli, mandanti dell'arresto, e la necessità di non provocare un duro shock alla Banca d'Italia.

Bei tempi quelli in cui a prendersela con la Banca d'Italia erano deliquenti veri, non poveracci qualunque...

13 novembre 2010

Com'è cresciuta e come crescerà l'Italia


L'intervento di Draghi, di cui ha scritto William, pone una domanda: come è cresciuta l'economia italiana?

A grandi linee si possono individuare quattro periodi nella storia italiana del dopoguerra.

Il primo periodo inizia nel 1950 e dura fino alla metà degli anni '70. Finita la ricostruzione post-bellica, inizia un lungo periodo di profonda trasformazione dell'economia e della società italiana. Gli italiani lasciano le campagne e trovano lavoro in città, nelle fabbriche, in imprese che costruiscono strade, case, scuole, ospedali, mezzi di trasporto, mobili, elettrodomestici, producono energia e forniscono prodotti e servizi nuovi o riservati, prima della guerra, alle elite ricche.

Fiat, Montedison, Pirelli, Piaggio, Falck sono alcuni dei nomi delle grandi imprese del cosiddetto triangolo industriale o statali protagoniste di una crescita a tassi elevati, che ricordano quelli della Cina. A queste si aggiungono le imprese pubbliche (Eni e Enel, ad esempio) e le banche, quasi tutte pubbliche che cercano di esportare il modello di sviluppo basato su edilizia, meccanica, suderurgia, chimica, energia anche al Sud.

Nel corso degli anni '70, complici le crisi petrolifere, la crescita a tassi sostenuti si interrompe: ormai le case degli italiani sono piene di radio, frigoriferi, televisori, lavatrici e si sostituisce l'auto (o la lavatrice) solo perchè è vecchia o perchè il nuovo modello offre qualche novità.

Nella seconda metà degli anni '70 il ruolo di traino dell'economia passa nella cosiddetta terza Italia. Si scopre che non c'è solo il nord industriale contrapposto al sud agricolo. C'è anche un'Italia fatta di imprese medio-piccole che danno vita ai distretti industriali, piccole zone con una forte concentrazione di imprese specializzate nelle produzioni tradizionali, dai gioielli alla ceramica, dai mobili ai divani, dalla ceramica ai calzaturifici.

Queste imprese sono presenti nel nord-est, in parte del centro e del sud. Giocano un ruolo determinante soprattutto negli anni '80, durante la crisi delle varie Fiat e Montedison, che risentono del calo e dei cambiamenti della domanda interna e della concorrenza internazionale.

E veniamo alla terzo periodo: gli anni '90, gli anni dominati dalla tecnologia dell'informazione, che cambia il modo di lavorare delle imprese facendole diventare più efficienti e rende possibile l'offerta di nuovi prodotti e nuovi servizi da parte del mondo produttivo.

La sconfitta di Al Gore e lo scoppio della bolla della new economy negli USA aprono la quarta fase. Bush promette il ritorno alla vecchia economia fatta di edilizia, auto, chimica e siderurgia e in sia pur minima parte la promessa si è avverata, per effetto soprattutto di una domanda drogata dall'abbondante offerta di capitali.

Il primo decennio del 2000 verrà ricordato non solo per la grande recessione, ma anche, in Italia, come periodo di crescita modesta, perchè le nostre banche non hanno partecipato all'orgia del denaro facile raccolto e prestato a chiunque.

Siamo dunque passati da una crescita sostenuta dell'immediato dopoguerra ad un'economia ferma nel nuovo millennio. Cosa accadrà in futuro?

Lo scenario non è affatto positivo. L'Italia da troppi anni ha rinunciato ad affrontare i problemi dello sviluppo, rinunciando anche a nominare il ministro che si deve occupare dello sviluppo economico.

Nella speranza che prima o poi qualcuno si renda conto del problema e desideri affrontarlo prendendo il toro per le corna, lo scenario più probabile è che l'Italia possa proporre un mix di quanto visto in passato, con il rilancio delle imprese un tempo protagoniste (si pensi a Fiat), con gli investimenti ferroviari e autostradali, ma anche con la ripresa delle piccole e medie aziende che producono scarpe, gioielli o vestiti.

Lo scenario ottimistico è che a questo si aggiunga qualche settore capace di garantire più alti livelli di sviluppo, come sta succedendo nel campo delle energie pulite.

Lo scenario pessimistico, invece, proietta nel futuro l'Italia attuale con le sue difficoltà anche a nominare un ministro per lo sviluppo o le infinite liti che impediscono di costruire una ferrovia o di trovare un accordo su come lavorare in fabbrica.

10 novembre 2010

La concorrenza quasi impossibile (nelle ferrovie)


Qualche anno fa lo stato ha diviso le ferrovie in diverse aziende (vedi qui).

Una, RFI si occupa di binari e stazioni. Trenitalia invece si occupa di trasportare i passeggeri, divisi tra la divisione nazionale/internazionale e divisione regionale.

Le regioni dispongono di soldi con cui pagare parte dei servizi ferroviari locali. Pagano perchè le tariffe del trasporto locale restino basse e perché alcune corse sono poco frequentate.

Tutte le regioni hanno stipulato contratti di servizio con Trenitalia. Qualcuno ha provato a cambiare, ma non c'è riuscito. In Liguria erano interessate 5-6 aziende, ma solo Trenitalia ha accettato le condizioni proposte. In Lombardia si sono unite Trenitalia e le Ferrovie Nord, di proprietà regionale, eliminando ogni possibile competizione tra imprese.

In Piemonte la presidente Bresso ha pensato: dividiamo le corse finanziate dalla Regione in 3-4 gruppi da assegnare con altrettanti bandi di gara. Se almeno uno dei bandi lo vince un'azienda diversa da Trenitalia si possono quantomeno confrontare i diversi operatori, e incalzare i peggiori a migliorare. Il leghista Cota ha cancellato l'idea. Troppo allettante il voto dei ferrovieri preoccupati che qualcosa cambiasse.

Ma perchè ci sono società diverse per gestire binari e i passeggeri?

Per favorire la concorrenza. Chiunque dovrebbe poter usare i binari e offrire un servizio in concorrenza con Trenitalia.

Così c'è chi cerca di entrare nel mercato ferroviario. NTV cerca di entrare nel mercato dell'alta velocità, mentre Arenaways vorrebbe offrire il servizio tra Milano e Torino. C'è poi qualche treno tedesco che attraversa le alpi e si avventura sulla linee italiane.

Ma se si prova a chiedere informazioni alle stazioni italiane o si aspetta l'annuncio dell'arrivo del treno sul binario, si resterà delusi. Per le ferrovie i treni altrui non esistono. Ferrovie li ignora e li boicotta.

NTV e Arenaways lamentano difficoltà di ogni genere create dalle Ferrovie. Impegni e promesse non mantenute, difficoltà burocratiche, interpretazioni scorrette delle regole.

L'ultima trovata è questa: Arenaways può far viaggiare i propri treni tra Milano e Torino, ma non può fermarsi nelle stazioni intermedie, perchè le Ferrovie considerano inaccettabile la concorrenza con le tratte sovvenzionate dalle Regioni.

Se un passeggero da Novara vuol raggiungere Torino, secondo le Ferrovie dello Stato può solo scegliere Trenitalia perchè la tratta è sovvenzionata e la sovvenzione è calcolata considerando il biglietto incassato dal passeggero in partenza da Novara.

Una giustificazione senza senso, che tende inutile la separazione tra RFI e Trenitalia. Arenaways fa pagare di più e non riceve sovvenzioni. Vuole solo lavorare liberamente, e competere su servizi e efficienza.

Cosa dice la Regione Piemonte? Nulla.Cota non ama la concorrenza e non si preoccupa delle richieste di Arenaways. Le ignora.

Prima o poi qualche autorità terza cancellerà l'assurda pretesa di Ferrovie dello Stato di impedire la concorrenza, implicita nella divisione delle Ferrovie in società diverse.

Nel frattempo la concorrenza è solo una speranza, contro cui combattono in molti, a cominciare dai politici come Cota, presidente della Regione Piemonte.

Il peso del sommerso


Aggiornamento del peso dell'economia "nera" in Italia. Da uno studio condotta in tutta Europa da At Kearney per conto di Visa, l'Italia risulta la maglia nera di Europa.
Il sommerso in Europa vale circa 2200 miliardi di Euro.

L'Italia guida questa poco invidiabile graduatoria con ben 335 miliardi di Euro di sommerso, pari al 22,20% del PIL.

L'incidenza del nero, calata dal 2005 al 2008 di ben 3 punti percentuali, è risalita dal 2009 a oggi anche come risposta alla crisi economica.

Questo ultimo dato deve fare riflettere. E' giusto lavorare in "nero" se l'unica alternativa è il fallimento?

Detto in altri termini: se l'unica alternativa è mandare a casa un sacco di gente senza nessuna prospettiva di occupazione, ma questo è evitabile evadendo un po' di tasse, è lecito?

La risposta è ovviamente: "no, non è lecito!", dal punto di vista giuridico. Però, vedendo la realtà dei fatti, in certi casi qualche dubbio lo avrei.

Specialmente in quei casi in cui i fallimenti sono dovuti ai mancati incassi!

09 novembre 2010

Frottole e illusioni sul tema del signoraggio (v3.0)

Il saggio "Frottole e illusioni sul tema del signoraggio" arriva alla terza versione. Sono stati aggiunti alcuni articoli e fatti vari adattamenti.
Qui di seguito la versione sfogliabile, altrimenti c'è il solito link sulla destra:

08 novembre 2010

Sud, alberghi, B&B e turismo


Commentando questo post sul sud, Mauro ha lamentato la scarsità di alberghi al sud. Come si spiega? E soprattutto ne servirebbero di più?

L'investimento in un albergo richiede una domanda stabile dei servizi offerti da un albergo. Ci devono essere clienti che devono riempire l'albergo per un periodo dell'anno sufficiente a ripagare i costi di gestione e l'investmento nella struttura alberghiera. Non si apre un albergo se i clienti lo frequentano solo in alcuni periodi dell'anno.

Ciò spiega perché nei periodi in cui i turisti affollano le spiagge mancano i posti letto negli alberghi: l'eccesso di domanda in alcuni periodi, i picchi nella richiesta di posti letto non bastano a giustificare l'investimento in una struttura alberghiera.

E questo è ancor più vero al sud dove è più difficile intercettare il turista del fine settimana o il turista congressuale della parte più ricca d'Italia e dell'estero.

Servono davvero più alberghi alle zone d'Italia che vogliono incrementare il ruolo del turismo nella loro economia?

Forse no. I posti letto possono aumentare anche in altri modi. I bed and breakfast e gli agriturismi sono una valida alternativa, per molti aspetti migliore degli alberghi. Vediamo perchè.

I B&B spesso non richiedono investimenti rilevanti, che possono scoraggiare la creazione di alberghi o possono spingere l'impresa alberghiera a cercare di ottenere utili a tutti i costi.

Un bed and breakfast si può creare adattando appartamenti già esistenti con una spesa relativamente modesta e senza costruire nuove strutture. Ciò è apprezzabile specie in zone delicate dal punto di vista dell'ambiente o del paesaggio.

Inoltre una struttura come il B&B più facilmente usa le risorse del territorio rispetto ad un albergo perchè è più probabile che ospiti il turista che vuole conoscere la cucina e le tradizioni della zona in cui trascorre la vacanza e perchè il proprietario del B&B è più legato al territorio rispetto al manager di un albergo.

I soldi guadagnati da un albergo possono finire dall'altra parte del mondo, agli azionisti di un fondo americano, mentre i guadagni di un agriturismo più probabilmente sono reinvestiti nella stessa attività.

C'è poi un aspetto civico da considerare: una piccola struttura legata al territorio spinge chi la possiede a adottare e a richiedere comportamenti virtuosi a se stessi e a chi abita e gestisce un certo territorio.

Infine è meglio avere tante piccole strutture capaci di ospitare pochi turisti piuttosto che un solo albergo con decine o centinaia di stanze perchè la competizione aiuta a calmierare i prezzi.
Nelle zone più frequentate dai turisti c'è sempre il rischio di un comportamento opportunistico: si alzano i prezzi nei periodi di alta stagione o semplicemente si chiede al turista un prezzo elevato perché non ha alternative o perchè si pensa che non tornerà più.

La concorrenza offerta da strutture piccole e famigliari, può invece calmierare i prezzi e offrire una maggiore possibilità di scelta al turista che, se non gradisce un agriturismo, può sempre sceglierne un'altro nella stessa zona.

Sì, meglio pensare alla salute


Giovanni Sandi, uno dei paladini della verità e della lotta contro il signoraggio (che riscuote molto successo nelle urne) ha deciso che è meglio chiudere la bottega: Signoraggio.it si ferma.

Desidero finalmente non sprecare, ma passare il tempo che mi rimane da vivere dedicandolo a me stesso, curando più attentamente la mia salute, [..]

Gli altri domini di mia proprietà: www.signoraggio.net e www.signoraggio.org sono in vendita al miglior offerente, le offerte inviatele a questa mail: g.sandi@tiscali.it .

05 novembre 2010

600 miliardi di dollari (di nuova moneta)


La FED mercoledì ha deciso di acquistare nei prossimi mesi 600 miliardi di dollari, provocando la felicità dei mercati azionari.

Un'enorme quantità di moneta iniettata nell'economia, data alle banche che vendono i titoli del debito pubblico.

Le ragioni dell'intervento sono almeno tre.

La prima è che il debito pubblico americano è salito alle stelle per effetto sia di un enorme deficit di bilancio che dei soldi prestati a banche e imprese per evitarne il crollo. Un debito enorme vuol dire rischio di tassi di interesse in forte aumento, con conseguente aggravio dei costi per lo Stato americano e riduzione delle risorse disponibili per stimolare la domanda.

Se invece la FED compra titoli di stato, i tassi restano bassi e Obama ha più soldi da spendere per rilanciare l'economia.

La seconda ragione è che se i tassi dei bond americani restano bassi, diventa più conveniente investire in altre attività, cioè prestare soldi a banche, imprese e consumatori senza però che tassi troppo elevati aumentino i tassi di insolvenza e rendano sconveniente prestare capitali al settore privato.

Un aumento dei tassi negli USA poi si ripercuoterebbe negativamente nel resto del mondo, facendo salire i tassi ovunque vi sia un debito in dollari o in euro. Qualche paese rischierebbe di diventare insolvente trascinando con sè i creditori.

La terza ragione è che creare dollari significa provocare la svalutazione del dollaro e, in questo modo, rilanciare l'economia americana. Gli europei non saranno felici, ma avere un'economia americana più forte significa benefici anche per l'Europa e il resto del mondo, che dipende dai consumi degli americani.

Ovviamente non mancano le critiche e qualcuno rivede in azione il fantasma dell'inflazione (di cui avevo scritto quasi un anno fa, vedi qui). Io resto convinto che non ci sono pericoli di inflazione e che, anzi, una ripresa dell'inflazione sarebbe un ottimo segnale: il segnale di un'economia che cresce davvero a ritmi sostenuti.

Draghi e i mali dell'Italia


Il n. 1 di Bankitalia, candidato per la poltrona di presidente della BCE è passato per Ancona, all'università Politecnica delle Marche durante un convegno dedicato a Giorgio Fuà, esprimendo alcuni concetti interessanti che riassumo e commento di seguito.

L'economia italiana è in difficoltà a causa della bassa crescita. Bene dal 1996 al 2009 (fonte Wikipedia) il PIL italiano è cresciuto in media dello 0,84%. Beh, direi che questi dati sono noti. Forse la domanda da farsi è perché il PIL è cresciuto così poco negli ultimi anni?

L'occupazione irregolare rimane diffusa. Circa il 12% cioé lavora in nero. Benissimo, anche qui questi dati, resi noti dai sindacati, erano noti. Perché non chiedersi come fare emergere il nero?

Oppure perché non chiedersi come frenare l'aumento del debito pubblico?
Oppure come frenare i costi della politica?
O come frenare l'aumento della spesa pubblica?

Elencare i problemi è abbastanza semplice. Trovare le soluzioni un po' più difficile. E soprattutto doloroso. E' vero che non è il ruolo del governatore della Banca d'Italia, però forse da una figura istituzionale di tale calibro ci si aspetterebbe un po' di più che una lista di problemi da risolvere.

04 novembre 2010

Efficienza con truffa



Su corriere.it (vedi qui) c'è una bella storia che dà l'idea del paese in cui viviamo.

A Malpensa si misura il tempo necessario perchè i bagagli siano consegnati ai viaggiatori. Conta il tempo trascorso dall'atterraggio dell'aereo. Prima si consegnano i bagagli, più efficiente è il sistema di consegna.

Ebbene, un lettore del Corriere ha scoperto che i dipendenti SEA truffano i clienti e, probabilmente, anche la società aeroportuale.

Come fanno?

Infilano sul nastro trasportore una valigia preparata apposta per arrivare per prima, con largo anticipo, nella zona di consegna dei bagagli. La valigia non viene ritirata da nessuno, ovviamente, perchè non appartiene a nessun passeggero. Serve solo a far scattare il cronometro e a far apparire tempi di consegna più rapidi del vero.

L'efficienza manca, ma non la fantasia e la voglia di truffare la clientela.

03 novembre 2010

Fiat meno 40%


Cosa sta succedendo alla Fiat che a ottobre ha perso il 40% del mercato italiano dell'auto?

A mio avviso siamo entrati nella fase quattro della gestione Marchionne.

Marchionne è diventato amministratore di un'azienda mal messa, sovraindebitata e per nulla efficiente sul piano produttivo.

Un'azienda caotica e burocratica, che Marchionne ha cambiato iniziando dai problemi con il socio General Motors/Opel e dalla questione dei debiti verso le banche e del prestito convertendo. Questa è stata la fase uno: riportare la Fiat a occuparsi d'auto da sola, senza soci. Aver ottenuto una montagna di soldi da GM perchè se ne andassero ha creato la leggenda Marchionnne.

Poi s'è affrontata la fase due: costruire auto e venderne tante nei segmenti in cui tradizionalmente Fiat è forte.

Panda, 500, grande Punto hanno fatto il loro dovere, fugando i dubbi circa la capacità di Fiat di saper fare ancora auto. I conti sono migliorati, sono arrivati gli utili e i debiti sono diminuiti.

Quindi è arrivata la fase tre: fare auto redditizie facendo concorrenza nei settori occupati dai marchi tedeschi o francesi. Sono nate la MITO, la Delta e la Giulietta e s'è proceduto a ristrutturare lo stabilimento di Pomigliano d'Arco che costruiva le Alfa Romeo.
E' a questo punto che sono arrivati i problemi: la crisi prima e Chrysler poi. A questo punto Fiat ha rimesso nel cassetto i nuovi modelli.

La fusione con Chrysler infatti ha spostato l'attenzione dei vertici Fiat sull'altra sponda dell'Atlantico. Prima di pensare a nuovi modelli, forse poco utili in un momento di crisi, occorre rimettere in pedi Chrysler e pensare a integrarla con Fiat. Solo così si possono ridurre i costi, divisi tra 2 aziende e un gran numero di auto. Era già accaduto: la grande Punto è nata da un progetto comune con Opel, con conseguente diminuzione dei costi.

Così si farà con Chrysler: i nuovi modelli sarano costruiti con progetti e fornitori comuni alle due aziende.

La fase quattro dell'era Marchionne prevede dunque l'integrazione tra Chrysler e Fiat, che significa, in Italia, rinvio dei nuovi modelli e ristrutturazione degli impianti per prepararli al futuro lancio di nuovi modelli.

Il rinvio dei nuovi modelli, insieme alla crisi economica, è ciò che deprime il mercato italiano. I vecchi modelli sono meno attraenti, soprattutto senza incentivi governativi. Si produce di meno e anche questo non è casuale: serve a indurre lavoratori e sindacati a più miti consigli.

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