28 ottobre 2018

La manovra recessiva

Oliver Blanchard (ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale) e Jeromin Zettelmeyer, un economista che ha lavorato alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e per ministeri tedeschi, sul sito de La Voce sollevano parecchi dubbi sulla manovra del governo.

Il governo italiano s'è intestardito sul 2,4% mentre l'UE si aspettava un deficit più basso, l'1,6% destinato a scendere negli anni successivi. Uno 0,8% in più che promette una maggior crescita. Quando? Secondo i due economisti nell'ipotesi più ottimistica lo 0,8% in più potrebbe generare una maggior crescita del 1,2%, ovvero 150 euro di PIL in più per ogni 100 euro di maggior spesa.

Questa è l'ipotesi più ottimistica, che immagina un moltiplicatore pari a 1,5, mentre è più realistico immaginare un moltiplicatore più basso, pari a 1, che garantirebbe una crescita dello 0,8%, cioè 100 euro in più di PIL per ogni 100 euro di spesa in più.

Fin qui sembra tutto positivo: la maggior spesa genera un maggior PIL e si tratta solo di capire a quanto ammonta la crescita.

Però c'è lo spread. Da quando è in carica il governo Conte, lo spread è passato da circa 140 a oltre 300.

Con lo spread che aumenta, cresce la spesa per interessi cresce, la disponibilità di capitali diminuisce, aumenta la spesa per interessi di imprese e famiglie e c'è anche un effetto patrimoniale: il valore delle azioni scende e ciò allontana i capitali dall'Italia e induce una minore spesa da parte di chi subisce perdite in borsa, vale a dire i consumatori ma anche le imprese (le azioni possono essere usate come garanzia di crediti).

L'aumento dello spread -osservano Blanchard e Zettelmeyer- è poi considerato dal governo in modo assai strano: si lascia intendere che lo spread sia indipendente dalle scelte del governo, mentre è chiaro che lo spread cioè il prevalere delle vendite di titoli di stato (con conseguente aumento dello spread) o degli acquisti (con lo spread che diminuisce) dipende in buona misura dalle scelte del governo e dalle dichiarazione dei suoi ministri, come peraltro ha sottolineato Draghi qualche settimana fa.

Il maggior spread ha effetti negativi sul PIL per un importo stimato nello 0,8% del PIL ogni 100 punti di maggior spread. Spread che è salito di 160 punti, per cui l'effetto negativo è di quasi 1,3% del PIL.

Ricapitolando, un deficit del 2,4% del PIL invece del 1,6% provoca nella migliore delle ipotesi una maggior crescita del 1,2% e dello 0,8% nella peggiore ma più realistica, mentre l'aumento dello spread fa calare il PIL di quasi l'1,3%.

Quindi il 2,4% di deficit, salutato dai grillini come un successo politico senza precedenti, rischia di provocare un peggioramento del PIL compreso tra lo 0,1 e lo 0,5% del PIL.

Insomma lo 0,8% di maggior deficit voluto a tutti i costi e celebrato come una vittoria del popolo rischia di diventare un problema per l'economia italiana.
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Si ringrazia Francesco Cuccuini per la segnalazione


24 ottobre 2018

Quota 100

Negli scorsi anni uno dei cavalli di battaglia dei partiti che oggi governano è stato il contrasto alla legge Fornero. Legge che alzando in modo brusco l'età della pensione, ha creato problemi ai cosiddetti esodati (persone che son state spinte dalle aziende a dimettersi per andare in pensione) che all'improvviso si son trovati senza lavoro e senza pensione. E anche senza la possibilità di andarci in tempi brevi.

La Lega ha cavalcato quota 100 cioè la possibilità di andare in pensione quando la somma dell'età e degli anni di contributi pensionistici raggiunge o supera 100.

Alzare l'età pensionabile produce effetti molto positivi per i conti dell'INPS. Ogni anno di lavoro in più vuol dire un maggior incasso di contributi pensionistici e minore spesa per pensioni, quindi un vantaggio doppio per i conti. Quota 100 significa invece che l'INPS deve erogare una pensione e rinunciare a incassare contributi, di solito di importo inferiore alla pensione erogata.

Per cui "quota 100" crea un buco nei conti che il governo dovrebbe coprire. Se un lavoratore va in pensione 5 anni prima lo Stato dovrebbe versare i soldi dei mancati contributi versati e 5 anni di pensione.

Invece pare non andrà proprio così: chi andrà in pensione prima con quota 100 vedrà l'assegno tagliato. Cos ache fa pensare che i soldi per permettere quota 100 andranno a coprire solo il mancato incasso dell'INPS e non la maggiore spesa per l'erogazione delle pensioni.

Se l'assegno pensionistico diminuisce per chi userà quota 100?

E' probabile che il ricorso a quota 100 alla fine riguarderà solo chi ha un buon motivo per accontentarsi di un assegno più basso, come ad esempio i lavoratori vicini alla pensione che hanno perso il lavoro o si trovano in imprese in crisi destinate a chiudere. Meglio una pensione più bassa di nulla.

Gli altri, come i dipendenti pubblici invece diranno no a quota 100. Se accettassero ci sarebbe un problema in più per lo Stato: una parte dei lavoratori andrebbe sostituita e lo Stato dovrebbe erogare i trattamenti di fine rapporto, ulteriore esborso di decine di miliardi.

Non è detto infine che mandare a casa quasi mezzo milione di lavoratori in anticipo voglia dire assumerne altrettanti giovani. Ma questo è un altro discorso, che influisce però sui conti dell'INPS e dello Stato.


16 ottobre 2018

Gli italiani speculano sull'Italia?

I politici a corto di argomenti economici son soliti ricordare che gli italiani sono, nel loro complesso, ricchi, molto ricchi. In rapporto al PIL siamo più ricchi di alcuni paesi europei. Vien da dire grazie all'evasione che ha fatto crescere il debito pubblico, ma non è questo che mi interessa.

I dati sulla ricchezza vengono tirati in ballo quando si parla di debito pubblico: c'è molta ricchezza -suggeriscono i politici- che andrebbe considerata quando si parla appunto di debito. Si sottointende o si lascia credere che la ricchezza privata e il debito pubblico si compensino, quasi che fosse scontato che gli italiani debbano comprare i bot o come se la ricchezza dei privati fosse una specie di garanzia del debito pubblico.

Eppure debito pubblico e ricchezza privata son due cose diverse. La grande ricchezza privata non finanzia a qualsiasi condizione il grande debito pubblico. I privati comprano e vendono bot, cct, ecc.come qualunque altro investitore. Lo provano i dati di Bankitalia, ricordati oggi da Federico Fubini, il miglior giornalista economico del Corriere.

Fubini racconta che ad agosto le banche italiane hanno venduto titoli di stato italiani per circa 9 miliardi dopo averne comprati per quasi 30 a prezzi scontati, ovvero quando le incertezze politiche hanno fatto salire lo spread e scendere i prezzi.

Insomma le banche investono o disinvestono come tutti. Certo le banche italiane possono decidere di avere uno occhio di riguardo verso i titoli di stato italiani, ma non sono felici di subire perdite causate da scelte politiche che fanno salire lo spread. Se questo sale, le banche italiane possono decidere di vendere almeno in parte i titoli di stato, per ricomprarli successivamente, a un prezzo inferiore.

Le banche italiane quindi partecipano come le banche e i fondi stranieri al grande gioco della speculazione e, come altri soggetti, cercano di evitare le perdite.

E' bene quindi non credere troppo a chi contrappone al debito pubblico il grande risparmio degli italiani come se una sola mente potesse usare la ricchezza degli italiani per finanziare i debiti degli stessi (tramite lo Stato). Chi lo dice vi inganna o semplicemente immagina scenari che non è detto si possano verificare.


12 ottobre 2018

Tutta colpa della FED?

Le ultime due sedute della borsa americana hanno visto l'indice Dow Jones scendere del 5%, come il NASDAQ, l'indice dei titoli tecnologici, provocando l'ira del presidente americano Donald Trump.

Il calo si deve sicuramente alla presenza di titoli sopravvalutati. La borsa ha creduto in Trump, nelle promesse di meno imposte e più crescita e i valori sono cresciuti. E' quasi naturale che in questi casi arrivi prima o poi il momento di un calo, anche forte. Tra le cause scatenanti i rialzi dei tassi a opera della FED.

La banca centrale americana sta facendo risalire i tassi. L'economia americana va a gonfie vele. Cresce il PIL, le imprese investono, la disoccupazione è sotto il 4%, Trump ha tagliato le imposte facendo accelerare la crescita e causando un incremento del debito pubblico.
In altre parole, ci sono tutte le condizioni per un rialzo dei tassi, scongiurando il rischio di inflazione e di eccessiva crescita degli investimenti e soprattutto del debito.

A Trump che parla di una economia americana vittima delle scelte europee e asiatiche tutto ciò non piace e attacca la FED. Vorrebbe continuasse a tenere i tassi bassi perchè sa che i rialzi porteranno ad un incremento della spesa per interessi, con conseguente necessità di tagliare la spesa e/o aumentare le entrate.

Anche lui, come il governo italiano, pensa che in economia ci possano essere solo vantaggi dalla propria politica economica. Rischia di imparare a proprie spese che invece esistono anche gli svantaggi, segnalati e contrastati per fortuna dalla Banca Centrale americana.


06 ottobre 2018

L'anno che verrà - Il reddito di cittadinanza

Primo articolo di una serie che spero (per ragioni di tempo, la fattura elettronica incombe...) di riuscire a pubblicare prima della fine dell'anno sulle misure contenute nella finanziaria per il prossimo anno. In questi articoli cercherò di esaminare i provvedimenti facendo ogni sforzo per rimanere il più possibile obiettivo.

Primo articolo sul reddito di cittadinanza.

Trattando il reddito di cittadinanza non si può fare a meno di partire dalla filosofia del provvedimento, che, nelle intenzioni degli estensori sarebbe di combattere la povertà. Innanzitutto bisogna premettere che c'è già in Italia un provvedimento in questo senso: il REI (Reddito di inclusione), come spiegato qui sul sito dell'INPS. Si tratta di un provvedimento assolutamente minimale per poveri assoluti (quindi ben al di sotto della soglia di povertà relativa) per i quali sono previsti relativamente pochi fondi (circa 2 miliardi di Euro, comunque). Quindi una scelta logica sarebbe stata di potenziare il REI ampliandone gradualmente beneficiari e fondi. Il REI viene gestito non dai centri dell'impiego, ma dai servizi sociali dei comuni.

Il reddito di cittadinanza, invece, sarà gestito dai centri dell'impiego, ragguagliando il reddito dei richiedenti a 780 €/mese e in contropartita bisognerà eseguire lavori socialmente utili per i comuni di residenza e accettare le offerte di lavoro "congrue" e non troppo distanti dall'abitazione. Inoltre verrà erogato su bancomat e potrà essere speso solo per determinati beni, anche se attualmente non si sa né chi né come saranno fatti i controlli ex post.

Quindi il reddito di cittadinanza non si propone di essere semplicemente un sussidio, ma presuppone il reinserimento nel tessuto lavorativo del soggetto richiedente. E' interessante notare che, pure essendoci nella storia del nostro paese cassa integrazione per disoccupati (prima, poi sostituita dalla NASPI, ora pare resuscitata...) mai si è pensato a un tale sussidio universale e forse sarebbe bene chiedersi "perché?".

Iniziamo l'analisi.

In Italia la disoccupazione e la povertà non sono uniformemente distribuite, così come l'occupazione. Innanzitutto non è detto che tutti cerchino lavoro: se non lavoro e non lo sto cercando, non sono disoccupato, ma semplicemente "inoccupato", ecco una mappa tratta da "Repubblica"
. Poi, è interessante anche quella della disoccupazione:
e infine quest'altra interessante mappa sul lavoro "nero":
.

Dalla sovrapposizione di queste mappe si evince chiaramente che quello della disoccupazione in Italia non è un problema generalizzato, ma un problema enorme del mezzogiorno: si va dall'estremo di alcune province del nord in piena occupazione (anche oltre la piena occupazione) a province del sud con disoccupazione vicina al 30%, altissimo numero di inoccupati e altissima incidenza del lavoro nero.

La prima considerazione ovvia è che il reddito di cittadinanza è una misura essenzialmente per il sud d'Italia, dove sono evidenti i seguenti rischi:

1. Cosa impedirà a chi ora lavora "in nero" di percepire anche il sussidio? I richiedenti saranno concentrati nel sud d'Italia quindi come controllare? Quanti controllori serviranno? Ricordiamoci che le "manette" minacciate sono difficilmente attuabili: si pensa davvero di riuscire a fare centinaia di migliaia di controlli e mandare in galera (per 6 anni... ohibò... nemmeno per omicidio colposo...) migliaia e migliaia di persone?

2. I richiedenti dovrebbero ricevere 3 offerte dai centri dell'impiego compatibili con le proprie abilità, da ciò si desume che i centri dell'impiego agiranno su base provinciale (o regionale). Ma come potranno arrivare 3 offerte da regioni dove attualmente si arriva oltre il 20% di disoccupazione e non ci sono aziende che assumono (tecnicamente manca la domanda di lavoro). Se già ci fosse un unico centro per l'impiego nazionale allora forse le cose andrebbero un po' meglio, ma comunque si dovrebbe mettere un conto un consistente flusso di migrazione da sud verso nord.

3. Come riformare i centri per l'impiego perché offrano formazione e offerte di lavoro? E' evidente che il problema sarà massimo al sud, dove però non ci sono imprese che assumono. I centri per l'impiego rischiano di diventare dei centri per il sussidio.

4. Chi si prenderà la responsabilità di revocare il sussidio se il beneficiario non risulterà "degno" (magari ha comprato un pacchetto di sigarette: un acquisto "immorale") o un domani se non ci dovessero essere più risorse per finanziarlo? Che forza politica potrà eliminarlo una volta che una vasta platea di soggetti ci farà conto per campare?

5. Che lavori "socialmente utili" dovranno svolgere i beneficiari? Dalle intenzioni dovrebbero essere i comuni a organizzarli. Ma se i beneficiari fossero migliaia e migliaia, cosa gli si farà fare? E chi controllerà, organizzerà e verificherà tutto ciò? Magari serviranno altri dipendenti comunali per organizzare i lavori socialmente utili. Inoltre le aziende che svolgevano quei lavori, che fine faranno? Magari saranno costrette a chiudere e a licenziare i dipendenti e che fine faranno questi disoccupati? Ah, dimenticavo, chiederanno il reddito di cittadinanza... facile, no?

6. Cosa impedirà di tramutare tutti gli inoccupati in disoccupati, cioè di tramutare la quieta casalinga (ci perdonino per l'esempio...) in un'assatanata disoccupata richiedente il reddito di cittadinanza?

Ci sono esempi in giro per il mondo? Beh, ne riporto uno qui (dal sussidiario.net):

Link Interni

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