20 novembre 2019

ILVA

Cosa si può dire sulla vicenda dell'ex ILVA che tiene banco in questi giorni?

Cercando di riassumere una vicenda molto complessa, provo a fare due ipotesi. Nel prossimo post ci saranno invece considerazioni più generali su casi come ILVA.

Prima ipotesi: la vicenda dell'ex ILVA dipende da due nodi irrisolti, gli esuberi e lo scudo penale. L'acquirente di ILVA non vuole avere problemi legati a questioni ambientali ereditate dalla precedente proprietà, dei poco onesti Riva, e quindi chiede al governo di avere uno scudo penale senza il quale sarebbe un suicidio (economico e penale) gestire un'azienda che inquina provocando malattie spesso mortali.

Se si risolvesse questo problema ce ne sarebbe un secondo: gli esuberi. Problema grave in generale e in particolare al sud e a Taranto perchè quell'acciaieria è nata per creare occupazione in una zona d'Italia da cui si emigrava e si emigra ancora oggi per mancanza di opportunità lavorative.

Per risolvere il problema il governo deve, secondo questa ipotesi, rimettere lo scudo penale, superando l'ostilità di chi ha promesso a Taranto di chiudere l'ex ILVA e risolvere il problema dell'inquinamento, e accettare di mandare a casa qualche migliaio di persone, rinnegando lo scambio precedente: l'ex ILVA in cambio di occupazione.

Seconda ipotesi: si vuole chiudere definitivamente l'acciaieria di Taranto e aprire il mercato dell'acciaio italiano. I mercati dei beni prodotti dall'industria è spesso un mercato oligopolistico, cioè ci sono pochi produttori, e si richiedono grandi investimenti. Ciò genera barriere all'entrata: chi vuole entrare nella produzione di tali beni deve investire tanto ma non conviene farlo se il mercato è saturo. E spesso chi già opera su quel mercato abbassa i prezzi in modo da escludere eventuali concorrenti.

Ancelor Mittal potrebbe quindi essersi trovata a nella condizione di chi deve spendere tanto per avere l'acciaieria di Taranto mentre le incertezze giudiziarie e economiche potrebbero aver spinto la clientela a rivolgersi altrove. Così il gruppo franco-indiano si troverebbe a fare una scelta: tagliare i costi e continuare a produrre meno del previsto, oppure chiudere e soddisfare la domanda residua importando dall'estero.

La chiusura risolverebbe in un colpo solo il problema legale e permetterebbe di incrementare la produzione di altri stabilimenti, esteri, del gruppo, con indubbi benefici sui costi. Ma anche sui ricavi: in assenza di un grande produttore con prezzi concorrenziali, chi opera sul mercato dei prodotti siderurgici potrebbe alzare il prezzo e ne beneficerebbe pure Ancelor Mittal, che potrebbe vendere i propri prodotti, italiani o di importazione, a prezzi più alti.

09 novembre 2019

Il (sovranismo del) muro di Berlino

30 anni fa cadeva il muro di Berlino, creato quasi 30 anni prima per impedire che i tedeschi della DDR ovvero della parte della Germania liberata o meglio conquistata dai sovietici potessero passare in uno dei tre settori della città e della Germania sotto il controllo di americani, francesi e inglesi e, di fatto, libera.

La perestroika di Gorbacev aveva da anni segnato la fine dell'economia pianificata. Sparirono poco per volta gli aiuti dell'URSS ai paesi satelliti, e anche il controllo politico e militare di Mosca sui paesi dell'est Europa. La crisi economica e la voglia di libertà per mesi spinsero i tedeschi dell'est a fuggire passando dalla Cecoslovacchia, finchè anche i confini tra le due Germanie vennero aperti e il muro, simbolo della dittatura, venne abbattuto a picconate dalla folla.

La fine del muro segnò anche un importante cambiamento per l'economia del continente. La scelta della Germania unificata di investire ingenti capitali nell'ex DDR, ha voluto dire meno investimenti in altri paesi europei tra cui l'Italia. Il surplus tedesco finanziava le infrastrutture dell'est e non più il debito pubblico e le imprese italiane, con effetti evidenti nei primi anni 90.

In pochi anni siamo passati da una crescita sostenuta, registrata soprattutto nella seconda parte degli anni 80, a una recessione evidente soprattutto nel biennio 1991-92, con conseguente crisi dei conti pubblici, debito alle stelle e la crisi della lira nel 1992.

Ce ne dovremmo ricordare mentre celebriamo i 30 anni dal crollo del muro e di fatto anche dell'impero comunista.

A quel cambiamento i tedeschi reagirono dicendo prima la Germania, come si potrebbe dire oggi. Per una economia debole come quella italiana furono dolori, anni di crisi, di aziende che chiudevano, di manovre pesanti per rimettere in sesto i conti pubblici, di credibilità ai minimi termini sui mercati, di uscita della lira dallo SME con tanto di speculazioni ai nostri danni.


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