09 novembre 2019

Il (sovranismo del) muro di Berlino

30 anni fa cadeva il muro di Berlino, creato quasi 30 anni prima per impedire che i tedeschi della DDR ovvero della parte della Germania liberata o meglio conquistata dai sovietici potessero passare in uno dei tre settori della città e della Germania sotto il controllo di americani, francesi e inglesi e, di fatto, libera.

La perestroika di Gorbacev aveva da anni segnato la fine dell'economia pianificata. Sparirono poco per volta gli aiuti dell'URSS ai paesi satelliti, e anche il controllo politico e militare di Mosca sui paesi dell'est Europa. La crisi economica e la voglia di libertà per mesi spinsero i tedeschi dell'est a fuggire passando dalla Cecoslovacchia, finchè anche i confini tra le due Germanie vennero aperti e il muro, simbolo della dittatura, venne abbattuto a picconate dalla folla.

La fine del muro segnò anche un importante cambiamento per l'economia del continente. La scelta della Germania unificata di investire ingenti capitali nell'ex DDR, ha voluto dire meno investimenti in altri paesi europei tra cui l'Italia. Il surplus tedesco finanziava le infrastrutture dell'est e non più il debito pubblico e le imprese italiane, con effetti evidenti nei primi anni 90.

In pochi anni siamo passati da una crescita sostenuta, registrata soprattutto nella seconda parte degli anni 80, a una recessione evidente soprattutto nel biennio 1991-92, con conseguente crisi dei conti pubblici, debito alle stelle e la crisi della lira nel 1992.

Ce ne dovremmo ricordare mentre celebriamo i 30 anni dal crollo del muro e di fatto anche dell'impero comunista.

A quel cambiamento i tedeschi reagirono dicendo prima la Germania, come si potrebbe dire oggi. Per una economia debole come quella italiana furono dolori, anni di crisi, di aziende che chiudevano, di manovre pesanti per rimettere in sesto i conti pubblici, di credibilità ai minimi termini sui mercati, di uscita della lira dallo SME con tanto di speculazioni ai nostri danni.


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