25 febbraio 2015

Qualche buona notizia (dalla Germania) ?

Le trattative per il rinnovo contrattuale nel Baden Wuttemberg ha portato a un aumento del 3,4% dei salari dei lavoratori dell'industria tedesca. Un pò più dell'offerta industriale (2,2%) ma meno della richiesta del sindacato Ig Metal (5,5%).

E' una buona notizia? Sì e no. Sì perchè un aumento delle retribuzioni in Germania è necessaria per far funzionare meglio l'economia europea, no perchè sarebbe stato preferibile un aumento maggiore.

Un tempo si usava il tasso di cambio per ridare competitività alle economie più deboli. Il prezzo delle merci della Germania aumentava in Italia e il prezzo dei prodotti italiani esportati in Germania diminuiva, e ciò aiutava a riequilibrare gli scambi tra i due paesi.

Con l'euro la svalutazione della lira è solo un ricordo, ma è possibile che i costo in Germania aumentino più che in Italia. Anzi è necessario, se si vuole evitare che l'euro faccia danni. A meno che gli italiani imparino a fare come i tedeschi, cioè imparino di fare prodotti a più alto valore aggiunto...ma questa è un'altra storia.

Dunque è necessario che produrre in Germania diventi più costoso che in Italia (e negli altri paesi europei). Una strada possibile è far diminuire salari e stipendi italiani, un'altra è far aumentare salari e stipendi in Germania più che in Italia.

La prima possibilità, la diminuzione di salari e stipendi, è la più ardua, perchè i lavoratori difficilmente accettano una diminuzione delle proprie retribuzioni. Meno difficile è far salire salari e stipendi meno dei prezzi. La diminuzione in termini reali di salari e stipendi si realizza ugualmente ma è più difficile da percepire e più facile da far accettare a chi la subisce.

La seconda possibilità è che aumentino salari e stipendi tedeschi. Ed è quello che sta accadendo con il nuovo contratto firmato da Ig Metal.

E' un segnale che le grandezze economiche si muovono nella direzione giusta, in Europa, anche se la misura è insoddisfacente. Una politica di bassi incrementi salariali in Germania, anche se superiori agli incrementi in Italia (ma anche Spagna, Francia e in altri paesi europei), rischia di non rilanciare l'economia europea come sarebbe necessario.

24 febbraio 2015

Il mezzo fallimento di Tsipras

In attesa dei provvedimenti che la Grecia comunicherà all'UE in cambio degli aiuti, non mancano i mal di pancia nella coalizione Syriza, di cui il premier Tsipras è il leader.

L'idea un pò folle di Tsipras era di costringere l'Unione Europea a rinunciare all'austerità, permettendo alla Grecia di realizzare il piano del governo, che prevedeva tra l'altro la rinuncia alle privatizzazioni e una serie di interventi a favore dei greci più poveri.

Era difficile pensare che la Germania potesse accettare le richieste greche. Non c'era ragione per cui l'Unione Europea potesse rinunciare alle scelte del passato, aprendo la strada a richieste di altri paesi a cui l'Unione aveva chiesto sacrifici in cambio di prestiti.

E infatti la Germania non ha cambiato idea, costringendo il governo della Grecia a rivedere i propri piani. La linea europea è rimasta la stessa: soldi in cambio di interventi che garantiscano i risultati di bilancio prestabiliti.

I greci possono soltanto decidere come distribuire i sacrifici, e pare abbiano deciso di puntare su una patrimoniale, sulla rateizzazione delle imposte mai incassate, sulla lotta al contrabbando di benzina e sigarette.

Queste misure, se confermate, sono molto ambiziose ma lasciano molti dubbi sull'effettiva possibilità di metterle in pratica.

Per adesso le idee di Tsipras si stanno dimostrando perdenti: il porto del Pireo sarà privatizzato e l'austerità non ha subito lo stop previsto. Adesso Tsipras si gioca la carta di un cambiamento radicale nei sacrifici. Ce la farà? Le fughe dei capitali registrate negli ultimi giorni non aiutano a essere ottimisti.

21 febbraio 2015

Previsioni?

Il 2014 s'è chiuso con un calo del PIL dello 0,4%. Non c'è da essere felici. Casomai divertiti per le previsioni fatte poco più di un anno fa.

Moody's nell'ottobre 2013 aveva previsto un aumento fino a un massimo dell'1% (vedi qui) sottostimando inoltre il calo in corso in quell'anno. Dello stesso parere Standard & Poor's, mentre il governo Letta, tramite il ministro Saccomanni, era più ottimista, e prevedeva una crescita dell'1,1%.

Il Fondo Monetario Internazionale invece prevedeva un +0,7%, come l'ISTAT e come l'UE, mentre l'OCSE era più cauto prevedendo un aumento dello 0,6%, in aumento rispetto alla previsione di una aumento dello 0,4% del maggio 2013.

Insomma nessuno ha previsto il tasso di crescita del 2014 e tutti, salvo forse i più pessimisti, hanno previsto una crescita che non c'è stata.

Per  cui prendiamo con le molle qualunque previsione economica!




17 febbraio 2015

Ferrero

Ci eravamo occupati di Ferrero qualche anno fa, in occasione della morte del nipote del fondatore http://www.econoliberal.it/2011/04/come-la-nutella-ha-salvato-lagricoltura.html e ce ne occupiamo di nuovo adesso, perchè è morto Michele Ferrero, figlio del fondatore, capace di trasformare una piccola impresa in un colosso mondiale dei prodotti dolciari.

Ci sono due peculiarità della Ferrero che è bene ricordare.

La prima ce la ricorda Mario Calabresi su La Stampa. Calabresi è stato uno dei pochi giornalisti a poter intervistare Ferrero, persona molto schiva, che gli ha spiegato il suo "think different", per dirla con lo slogan di una famosa pubblicità di Apple.

Ferrero nel colloquo di alcuni anni fa spiegava di aver inventato prodotti, come la Nutella o i gli ovetti con la sorpresa, che erano innovativi perchè interpretavano in modo diverso il prodotto tradizionale. Tutti facevano un cioccolato duro, lui ha proposto un cioccolato molle, tanto molle da poterlo spalmare sul pane. Tutti producevano le uova di Pasqua, ma le vendevano solo per poche settimane. Così lui ha deciso di inventarsi ovetti che si potevano comprare tutto l'anno, con la sorpresa proprio come l'uovo pasquale.

L'altra peculiarità riguarda il tempo. Quando ha inventato i suoi prodotti, Ferrero ha pensato potessero non avere successo nell'immediato. Contava che i prodotti producessero utili nel lungo termine, perchè da questo dipendevano le sorti del gruppo.

E' una filosofia d'impresa molto tedesca e non è un caso se la Ferrero non è quotata in borsa: se fosse un'azienda quotata, l'azienda di Alba dovrebbe rispondere a un consiglio di amministrazione di cui farebbero parte rappresentanti di investitori che preferirebbero ottenere buoni risultati economici nel breve termine. La filosofia dei Ferrero è opposta e preferisce invece puntare sul lungo termine e per questo gira alla larga dalla borsa e dalla finanza.

11 febbraio 2015

Cos'è l'inflazione ereditata

Poi lo sanno ma esistono diverse misure di inflazione e anche un'inflazione ereditata. Cerchiamo di spiegare di cosa si tratta.
 
Gli incaricati dell'Istat periodicamente fanno visita a decine di migliaia di negozi sparsi in quasi tutta Italia e rilevano i prezzi di migliaia di prodotti (paniere).

Qundi procedono a calcolare un indice dei prezzi: fatto pari a 100 il valore del paniere in un dato momento, si calcola  l'indice in occasione delle successive rilevazioni. Ne consegue una serie di valori del tipo 100, 100.3, 101.2 e così via.

Quindi si possono ottenere tre misure dell'inflazione.

L'inflazione congiunturale misura la variazione dei prezzi tra un mese e il precedente, e serve a capire se l'inflazione ha subito nel breve periodo un'accelerazione o un rallentamento.

Poi c'è l'inflazione tendenziale: si calcola la variazione dell'indice tra un mese e lo stesso mese dell'anno precedente. Come nel caso dell'inflazione congiunturale, segnala l'andamento dell'inflazione e quindi le accelerate o le frenate dell'inflazione ma in un periodo più lungo.

Infine c'è tasso di inflazione annuale. Si prendono gli indici registrati nei diversi mesi un anno e si calcola la media poi si fa lo stesso con gli indici dell'anno successivo. Quindi si calcola la variazione dell'indice medio tra un anno e l'altro.

Per capirci immaginate che l'indice di gennaio 2013 fosse 100, 100.3 quello di febbraio ecc. Prenderemo i 12 valori e li sommiamo. Poi dividiamo il risultato per 12, ottenendo -supponiamo- come risultato102. Poi facciamo lo stesso per il 2014, ottenendo 103.2

Quindi calcoliamo la variazione del tasso medio: (103,2 - 102) : 102= 0,01176. I pressi sono saliti dell'1,176% in un anno.

Resta da spiegare l'inflazione ereditata. Facciamolo con un esempio.
Immaginate che l'indice dei prezzi sia 101 a gennaio, 102 a febbraio, 103 a marzo e così via fino a 112 a dicembre. L'indice medio è 106.5

L'anno successivo l'indice del mese di gennaio sarà presumibilmente vicino a 112. Supponiamo sia 112 e per tutti gli altri mesi il valore resti a 112. I prezzi restano stabili e l'indice medio dell'anno sarà 112, ma il tasso annuale di inflazione non è pari a zero. L'indice medio è passato da 106,5 a 112: questo implica un'inflazione di oltre il 5%, inflazione "ereditata" dall'anno precedente. Significa che se anche i prezzi restano fermi per tutto l'anno, il tasso di inflazione dell'anno è positivo, per effetto della variazione registrata nel corso dell'anno precedente.

Quindi l'inflazione ereditata è una sorta di ipoteca sul tasso di inflazione dell'anno successivo. Ipoteca rilevante quando l'obiettivo di un'economia è ridurre l'inflazione: maggiore infatti è l'inflazione ereditata, maggiore è il tasso di inflazione dell'anno (sempre nell'ipotesi che i prezzi tendano a salire).

08 febbraio 2015

Parma calcio

Iniziato da qualche settimana il girone di ritorno della Serie A è chiaro che c'è una squadra in forte crisi economica e di risultati: il Parma.

La squadra emiliana è ultima in campionato e non paga gli stipendi di tutti i dipendenti da luglio, vale a dire da quando i tribunali sportivi hanno deciso che non aveva i requisiti per iscriversi all'Europa League, non avendo pagato i contributi di alcuni giovani giocatori.

Incassato il verdetto, il presidente Ghirardi, appartenente a una famiglia di imprenditori bresciani, ha dichiarato di voler vendere la società, passata di mano a dicembre e poi di nuovo a gennaio. Nel frattempo niente soldi per nessuno, con la conseguenza che molti giocatori hanno fatto le valigie senza alcun vantaggio per la società, se non la possibilità di ridurre il monte stipendi.

L'opinione diffusa è che il Parma ha buone probabilità di fallire e addirittura di non finire il campionato.

Una situazione che si poteva prevedere.


Non sono infatti mancati i segnali di un bilancio molto sospetto. La stagione 2012-13 s'è chiusa con una perdita di 3 milioni, frutto però di due operazioni particolari: la vendita di marchio e altri diritti a società dello stesso proprietario, che ha portato una plusvalenza di una trentina di milioni, e un debito verso i giocatori non contabilizzati per oltre 3 milioni.


Ciò significa che il Parma in quell'anno ha perso oltre 35 milioni a fronte di un'ottantina di milioni di fatturato. Per farla semplice per ogni 2 euro incassati ne hanno spesi 3.

In quella stagione a mancare sono state le plusvalenze, diminuite da 53 a 22 milioni. Già, perchè il Parma negli ultimi anni ha comprato decine anzi centinaia di calciatori, nella speranza di rivenderli e coprire, con i guadagni ottenuti, parte dei costi della società.


E anche in questo caso c'era qualcosa di sospetto. La prima ragione è che una società che nel 2011-12 ha fatturato un centinaio di milioni metteva a bilancio più di 50 milioni di plusvalenze, rivelando nella migliore delle ipotesi (vale a dire che tutte le plusvalenze fossero reali e non il frutto di artifici contabili) una situazione squilibrata per un eccesso di plusvalenze rispetto al fatturato.


La seconda ragione è che tra le plusvalenze c'erano gli oltre 3 milioni per la vendita di tal Emiliano Storani all'Ascoli. Una somma esagerata per un giocatore che con l'Ascoli (poi fallito) non è mai entrato in campo. S'è trattato presumibilmente di una vendita che serviva solo a creare una plusvalenza.




Non sappiamo se il Parma fallirà, ma se succederà, con relative polemiche sulla regolarità del campionato, la colpa sarà delle autorità sportive, incapaci di vedere anomalie evidenti e di intervenire.

06 febbraio 2015

Braccio di ferro Grecia- Trojka?

Le elezioni in Grecia di fine gennaio ha portato la sinistra di Siriza al governo del paese. Tsipras e il ministro dell'economia Varoufakis a girare l'Europa alla ricerca, che per adesso pare senza successo, di una nuova strada per affrontare la crisi greca.

La Grecia alcuni anni fa ha mentito sui propri conti, dichiarando un debito e un deficit minori del vero. Da quel momento è diventato praticcamente impossibile per la Grecia collocare i propri titoli pubblici, cioè non ha potuto finanziarsi sul mercato.

I soldi per finanziare il deficit sono arrivati dalla Troika, cioè Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione Europea, che in cambio dei soldi necessari a non far fallire lo Stato e le banche ha imposto enormi sacrifici. Questi ultimi però si sono dimostrati sbagliati sia per le sofferenze che hanno prodotto sulla popolazione, sia perchè hanno fatto scendere di almeno un quarto il PIL, con la conseguenza che anche in presenza di un evidente miglioramento del deficit, il rapporto debito/PIL in Grecia è salito in modo rilevante.

E non poteva che essere così: se si licenzia un dipendente pubblico, c'è un risparmio ma anche un corrispondente calo del PIL. Questo potrebbe risalire se la diminuzione della spesa portasse a un taglio delle imposte e quindi a una maggiore spesa di chi ne beneficia.

Ma i greci sono evasori e il taglio della spesa non ha provocato alcun aumento dei consumi o degli investimenti, ma solo un calo del PIL sulla pelle dei greci.

Tsipras e il nuovo governo greco rifiutano la ricetta della Troika e lo fanno proprio mentre sta per scadere un programma di aiuti e dev'essere rinnovato. Vorrebbero un taglio del debito e un allungamento delle scadenze, cosa già avvenuta, peraltro con pochi benefici visto che a distanza di qualche anno il governo chiede altri interventi sul debito.

Cosa succederà?

Il governo greco vuole un rinnovo degli aiuti a condizioni migliori. Si può giocare la carta del fallimento, che provocherebbe forti danni all'economia di molti paesi europei, ma rischia, se vuole troppo, di trovarsi in grandi difficoltà politiche: cosa succederebbe se il piano di Tsipras fallisse? Sarebbe difficile anche per altri partiti europei proporre gli stessi valori e, soprattutto, andrebbero deluse le speranze dei greci di un futuro economico più sereno.

La Germania non può pretendere troppo perchè rischia di perdere i soldi prestati alla Grecia e la credibilità in Europa. Ad altri paesi potrebbe venir voglia di chiedere un taglio del debito sull'esempio greco.

D'altra parte la Germania non può neanche rinnegare la propria politica, che ritiene giusta (o almeno la pensano così gli elettori tedeschi che hanno votato per la signora Merkel).

C'è quindi da credere che Europa e Grecia troveranno un modo di risolvere la soluzione. Raggiungeranno un compromesso per allentare l'austerity senza mettere in pericolo i crediti del resto d'Europa.

Questo sarà sufficiente a garantire la fine delle sofferenze della popolazione greca? Io penso di no. La Grecia in crisi ha imposto sacrifici alle donne delle pulizie dei ministeri ma non ha modificato i privilegi di militari, polizia, e soprattutto degli armatori e chiesa, beneficiari di generosi sconti fiscali sanciti da una Costituzione che può essere modificata solo da chi possieda la maggioranza in due legislature successive.

C'è dunque un fronte europeo su cui deve combattere Tsipras ma anche uno interno. I malid ella Grecia non derivano solo dalle pessime politiche europee, ma anche da antichi privilegi voluti dagli stessi greci con una Costituzione nata appena un anno dopo la fine della dittatura.


04 febbraio 2015

Reverse charge per la grande distribuzione

La grande distribuzione cioè i supermercati sono in subbuglio perchè la legge di stabilità approvata a fine 2014 impone il sistema reverse charge al pagamento dell'IVA.

Con il sistema tradizionale un'azienda compra un bene a 100 euro più IVA (per fare le cose semplici supponiamo che l'iva sia del 20%), vale a dire versa 120 euro al fornitore e, dopo aver trasformato il bene, lo rivende supponiamo a 150 euro più IVA del 20%, cioè a 180 euro.

Ha preso un bene che costava 100 e l'ha rivenduto a 150. Ha quindi aggiunto valore per 50, su cui paga un'IVA del 20%. Il 20% di 50 è 10 euro, da pagare allo stato.

Detto in altro modo ha incassato 150 euro per il bene più 30 di IVA dopo aver speso 100 euro per il bene più 20 euro di IVA. I 30 euro sulla vendita sono un debito verso lo stato, mentre i 20 euro sugli acquisti sono un credito verso lo stato. Il saldo è 10 euro dovuti allo stato.

Quando noi andiamo al supermercato e acquistiamo qualcosa, paghiamo l'IVA, ma il supermercato versa allo stato solo la parte relativa all'incremento di valore generato dal supermercato. Se paghiamo un pacco di biscotti 2 euro più IVA e il supermercato l'ha pagato 1,20 più IVA, il supermercato versa allo stato soltanto l'IVA sul valore che ha creato, cioè su 80 centesimi.

Un'altra parte dell'IVA è pagata dal produttore di biscotti, che compra farina, uova, latte ecc. e li usa per produrre i biscotti. Un'altra parte ancora è pagata dalle aziende che forniscono il produttore di biscotti, un'altra ancora dai loro fornitori e così via.

Questo spezzettamento dell'IVA, pagata dalle varie aziende della catena produttiva, aiuta l'evasione dell'imposta e complica il lavoro dello Stato che dve controllare le dichiarazioni: più sono i soggetti da controllare, maggiore è il rischio che qualche passaggio sfugga e che qualcuno faccia il furbo.

Il principio del reverse charge cambia il sistema: il supermercato incassa l'IVA e lo versa, senza detrarre l'IVA sugli acquisti.

Con quali conseguenze?

Il supermercato incassa l'IVA dal cliente e poche settimane dopo deve versarla allo Stato, mentre con il regime tradizionale ne versa una parte allo Stato e una al fornitore. A quest'ultimo presumibilmente le fatture vengono pagate più tardi del debito verso lo Stato.

Quindi i supermercati finiscono, col reverse charge, per pagare prima una parte dell'IVA incassata, perdendo liquidità.

Il fornitore del supermercato invece si trova a ricevere le fatture con IVA dai propri fornitori, maturando quindi un credito verso lo Stato. Ma quando vende il prodotto finito al supermercato, la fattura è senza IVA. Quindi si troverà a avere ampi crediti verso lo Stato che recupererà dopo molto tempo.

Quindi a meno che lo Stato permetta ai fornitori della grande distribuzione di compensare il credito delle imprese con altri debiti, come ad esempio il debito previdenziale, i fornitori si troveranno a fare i conti con cospicui crediti e con la necessità di trovare altre fonti di finanziamento.

Ma anche i fornitori dei fornitori potranno subire le conseguenze del reverse charge: i loro clienti potrebbero ritardare il più possibile i pagamenti o chiedere sconti ai fornitori per rifarsi delle perdite nei rapporti con il fisco.

Insomma il reverse charge se semplifica la vita dello Stato che può ridurrre l'evasione, la complica a molte imprese.

Grazie William per la collaborazione.


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