30 dicembre 2013

Se Mario Monti non avesse fatto nulla...

Due anni fa di questi tempi s'era appena insediato il governo Monti. L'Italia era a pezzi, lo spread in estate era salito alle stelle, i titoli di stato venivano collocati a tassi crescenti. Berlusconi, ridicolizzato da Sarkozy e Merkel, per non perdere consenso aveva rinviato gli interventi necessari a rendere credibile l'Italia sui mercati internazionali e alla fine è stato travolto e s'è dovuto dimettere.

A inizio dicembre arriva la stangata del governo: riforma delle pensioni, anticipazione dell'IMU al 2012, aumento delle accise sui carburanti e via discorrendo.

Sacrifici che avevano un senso di fronte alle previsioni economiche del Tesoro: PIL in calo dello 0,4% nel 2012, in aumento dello 0,3% nel 2013.

Il rapporto deficit/Pil doveva essere all'1,6% nel 2012, allo 0,1% del 2013, mentre per il 2014 si prevedeva un avanzo di 2 decimi di punto (come spiegava il Sole 24 Ore).

"Senza manovra, il deficit si attesterebbe al 2,5% nel 2012, all'1,3% nel 2013 e all'1,1% nel 2014" spiegava il giornale di Confindustria.

Previsioni del tutto sbagliate. Il PIL è sceso del 2,5% nel 2012 e dell'1,8% nel 2013 e il deficit nel 2013 resta a fatica nel limite del 3% del PIL.

Dov'è l'errore? Nel non aver compreso che pesanti manovre finanziarie avrebbero depresso la domanda causando un pesante calo del PIL e di conseguenza delle entrate fiscali.

Monti non l'ha capito e non l'ha capito neppure Bruxelles con cui la manovra è stata concordata, col paradossale effetto che se Monti non avesse fatto nulla, limitandosi a controllare l'esistente, a intervenire solo in caso di necessità e a offrire credibilità all'Europa, i conti pubblici oggi sarebbero migliori e centinaia di migliaia di persone non avrebbero il lavoro perso nel 2012-13.





 

28 dicembre 2013

La scalata di Monte dei Paschi

Questa mattina a Siena s'è assistito a uno scontro durissimo tra i vertici di Monte dei Paschi di Siena e gli azionisti, rappresentati in particolare dalla Fondazione che detiene un terzo delle azioni della terza banca italiana.

La banca senese è malata da tempo. Ha acquistato Antonveneta strapagandola ed è alle prese, come tutte le banche, con i problemi di crediti difficili da incassare.

Serve un aumento di capitale, imposto dalle autorità bancarie europee, ma c'è un problema: il primo azionista, la Fondazione Monte Paschi, in passato ha elargito molti, forse troppi soldi alla comunità senese, invece di tenerne parte per le emergenze, come un aumento di capitale.

La proposta di aumentare subito, nel mese di gennaio, il capitale di Monte dei Paschi suona allora come una minaccia. Una specie di golpe degli amministratori della banca: se la Fondazione non la sottoscrivesse, la sua quota nella banca scenderebbe e -come ha spiegato la rappresentante della Fondazione intervenuta nell'assemblea- la stessa Fondazione rischierebbe di concludere la propria esistenza.

Il presidente Profumo e l'amministratoreViola hanno giustificato la loro proposta di un aumento a gennaio con la necessità di restituire allo Stato i soldi ricevuti in prestito: 3 miliardi di euro che costano 120 milioni l'anno di interessi.

Profumo chiede di mettersi nei panni del contribuente che vorrebbe indietro i suoi soldi e argomenta che se la situazione politica nei prossimi mesi cambiasse, per la banca sarebbe più difficile o meno conveniente finanziarsi.

Ma il progetto è stato bocciato dai soci, che invece hanno approvato il rinvio dell'aumento di capitale.

Perchè? Forse perché Profumo vuole agire in Monte Paschi senza vincoli politici e territoriali, magari per diventare il punto di riferimento di una banca con una miriade di piccoli azionisti e di qualche fondo amico, oppure per condurre qualche operazione internazionale che porterebbe Monte Paschi a diventare la filiale italiana di una banca straniera come successo alla Banca Nazionale del Lavoro, entrata a far parte di BNP-Paribas?

Lo vedremo, come vedremo qual è la strategia della Fondazione, oggi molto determinata nel respingere il "golpe" di Profumo e del consiglio di amministrazione della banca, per continuare a mantenere il controllo dell'istituto senese.


24 dicembre 2013

L'auto a idrogeno (e auguri di Natale)

Ve la ricordate l'auto a idrogeno? Qualche anno fa sembrava a portata di mano, anche grazie al libro di Rifkin, L'economia dell'idrogeno.

Poi è sparita, dimenticata secondo qualcuno perché sarebbe stato complicato e costoso creare una rete di distributori di idrogeno, che avrebbero dovuto affiancare prima e sostituire poi i normali distributori a benzina.

Toyota ha presentato al salone di Tokyo una nuova versione della sua auto a idrogeno e ci spiega una triste verità per chi sperava nell'auto a idrogeno: le celle a combustibile che trasformano l'idrogeno in energia elettrica, costano molto.

Nel 2015 si prevede che il loro costo scenderà a 50 mila euro, con un prezzo dell'auto di circa 73.000 euro. Nel 2020 il prezzo dell'auto dovrebbe scendere a 50 mila euro.

Nel frattempo, a tutti gli auguri di buon Natale!

23 dicembre 2013

Affitti

A Genova la catena di abbigliamento svedese H&M chiude. Colpa della crisi? Non proprio. Chiudono perché l'affitto dei locali è troppo alto e la società proprietaria dell'immobile non vuol sentir ragioni. Non vuole abbassare l'affitto e così a H&M non resta che chiudere.

L'assessore al commercio scrive una lettera alle associazioni di categoria: "o ci si rende conto che è necessario adeguare la richiesta al mercato, oppure si muore", proponendo accordi sotto la regia degli enti locali e magari qualche sconto all'IMU a favore di chi riduce i canoni di affitto.

E' un aspetto quasi paradossale della crisi quello dei negozi che chiudono per canoni d'affitto troppo elevati. Ma è anche la prova che le teorie liberiste falliscono fuori dalle aule universitarie.

Già, perchè se fate presente a un liberista che un prezzo (in questo caso i canoni d'affitto) è troppo alto, vi spiega che quando la domanda diminuisce, anche il prezzo cala, risolvendo ogni problema, perchè il mercato si autoregolamenta.

Teorie deboli, smentite dai fatti, che alla fine suggeriscono la necessità di un controllo e un intervento pubblico. Per evitare guai peggiori all'economia.



20 dicembre 2013

Il buono postale del 1938

Durante i lavori di ristrutturazione della casa di un'ultracentenaria signora savonese, è spuntato un buono postale del 1938, del valore nominale di 1000 lire.

Calcolati gli interessi, la signora avrebbe dovuto incassare la bellezza di 145.000 euro, ma alla fine s'è accontentata di 60.000 euro pur di evitare una lunga battaglia legale.

Investire 1000 lire e incassare 60.000 euro dopo 75 anni significa ottenere un rendimento vicino al 17% annuo. Oltre il 18% se avesse incassato 145.000 euro.
Un'enormità che si giustifica con l'inflazione.

Sono andato a cercare i coefficienti di rivalutazione, scoprendo che se il buono postale l'avesse protetta dall'inflazione avrebbe avuto diritto a oltre 800 mila euro. Mille lire del 1938 equivalgono infatti a oltre 1,6 miliardi di lire (800.000 euro) di oggi.

Ma 1000 lire investite dopo la guerra, nel 1947, equivalgono a 48.000 lire (poco più di 24 euro) odierne.

Insomma considerato il rendimento, la signora ha fatto un ottimo affare anche accettando la somma proposta dalle Poste. Ha avuto la fortuna di investire i soldi quando l'inflazione correva e le poste promettevano un elevato tasso di interesse.

Però se consideriamo l'inflazione, ha perso parte dei suoi soldi. Un titolo capace di difenderla dall'inflazione gli avrebbe reso oltre 800.000 euro.



19 dicembre 2013

La "droga" del Sole 24 Ore

La FED annuncia il mini tapering: da gennaio la banca centrale americana acquisterà una minore quantità di titoli di stato.

L'acquisto ha un obiettivo semplice: tenere bassi i tassi di interesse pagati dal governo americano sull'enorme debito pubblico del paese e i tassi in generale. I tassi bassi sono utili per la crescita economica, e in modo particolare per aiutare chi (stato, imprese, famiglie) ha troppi debiti e rischia di dover sacrificare consumi e investimenti per pagare debito e interessi.

Una logica semplice che però fa a pugni con antichi pregiudizi, come dimostra il sito del Sole 24 Ore di oggi  (nell'immagine) che parla esplicitamente di droga monetaria e sembra suggerire che la politica monetaria non abbia senso se modifica il libero funzionamento del mercato.

Mercato, tuttavia, che se lasciato a se stesso, garantirebbe solo sacrifici capaci di produrre meno crescita e milioni di disoccupati in più.

Se il Sole 24 Ore considera droga una scelta di politica monetaria, perché stupirci di chi parla di sovranità monetaria, signoraggio ecc.?


18 dicembre 2013

Liguria, una buona idea

La Regione Liguria sta organizzando una piccola rivoluzione nei trasporti che, se funzionerà, potrebbe portare qualche beneficio ai cittadini e qualche utile risparmio.

Nel 2015 scade il contratto tra la Regione e Trenitalia, che gestisce il trasporto locale. Il contratto si rinnova automaticamente salvo che uno dei due contraenti mandi la disdetta con almeno un anno di anticipo. Cosa che sta accadendo, perchè la Regione ha un obiettivo molto ambizioso: affidare a un solo soggetto la gestione di tutto il trasporto locale.

I vantaggi? Nei costi se questo vorrà dire mettere insieme le numerose aziende locali di trasporto, alcune delle quali in evidente crisi. Qualche settimana prima dello sciopero selvaggio che ha bloccato per 5 giorni Genova, gli enti locali hanno dovuto affrontare la vicenda di un'altra azienda di trasporto locale, che gestisce le corse degli autobus in provincia di Genova.

Perchè non fonderle? Si unificherebbero i centri di spesa, si potrebbe ottenere qualche risparmio da un'unica gestione dei mezzi, dei magazzini, degli appalti. E infine si potrebbero integrare gli orari, migliorando il servizio reso, evitando i disservizi inevitabilmente prodotti da imprese che, almeno in parte, fissano gli orari senza coordinarsi con gli altri.

16 dicembre 2013

La politica tedesca e l'unione bancaria

21 anni fa Giuliano Amato, presidente del consiglio, e Carlo Azeglio Ciampi, ministro economico, fecero la rivoluzione delle banche. Decisero di togliere i politici dalla gestione delle banche, fecero nascere le fondazioni bancarie a cui attribuirono le azioni di banche, trasformate in società e affidate a manager senza preoccupazioni politiche.

Il risultato è, oggi, un sistema bancario non privo di problemi, ma migliorato perché è diventato meno facile mescolare il normale business bancario con interessi "politici", che spingono le banche a finanziare attività non sempre redditizie.

Una riforma simile in Germania non c'è mai stata. Il sistema delle banche locali finanzia le imprese locali, finanzia la politica, compie spesso operazioni poco sicure, spingendo poi i governi regionali o il governo centrale a intervenire per coprire le perdite. Il debito tedesco è infatti cresciuto negli ultimi anni per colpa delle banche, che prima hanno investito in titoli a alto rischio, spesso tradendo il loro ruolo di banche locali, e poi sono state salvate con massicce iniezioni di soldi pubblici.

Una Germania molto italiana, con l'intreccio tra banche e politica, finanziamenti a imprese amiche, soldi alla politica e, dulcis in fundo, l'immobilismo in campo europeo.

La politica tedesca mette i bastoni tra le ruote all'unione bancaria europea, che imponendo a tutte le banche le stesse regole, gli stessi controllori e le stesse opportunità, contribuerebbe a ricostruire una fiducia nel sistema, crollata dopo il fallimento di Lehman Brothers.

14 dicembre 2013

Sorpresa: corsa agli acquisti dei titoli tossici

Ve li ricordate i titoli tossici, quelli che hanno innescato la crisi? Bene, le banche americane nelle scorse settimane hanno comprato questi titoli per circa 5 miliardi di euro dal governo olandese, che se li è trovati in tasca quando ha salvato ING dal fallimento.

Cerchiamo di capire perchè li comprano. Immaginate che una ipotetica banca abbia finanziato migliaia di mutui con i quali altrettanti americani hanno comprato la casa. Ci sono i mutui concessi a 100 famiglie di Los Angeles che hanno comprato altrettanti immobili costruiti in un quartiere della città, 500 famiglie che hanno comprato casa in una zona residenziale di Detroit, 1000 che hanno comprato casa in un condominio di Miami e così via.

La banca ha prestato complessivamente somme enormi e crea un'infinità di titoli il cui rendimento dipende da tutti i mutui concessi, vale a dire dai 100 concessi a Los Angeles, dai 500 di Detroit, dai 1000 di Miami e così via.

Se però i clienti incominciano a non pagare come valutare i titoli? Si deve calcolare qual è la percentuale di insolvenza dei mutuatari di ciascuna città e ipotizzare quanto si incasserà vendendo le case dei morosi nel momento in cui saranno vendute. A questi valori si aggiungono le spese per pignorare e vendere le case, che nessuno sa se, prima di finire sul mercato, richiederanno qualche altra spesa.

In pratica è impossibile dare con certezza un valore ai titoli. Ma si sa che se il mercato immobiliare è in crisi, il valore dei titoli è destinato a diminuire.

Di fronte al rischio di perdite e all'impossibilità di misurarle, gli investitori hanno semplicemente abbandonato al loro destino questi titoli, provocando la crisi del sistema finanziario e costringendo le autorità pubbliche a intervenire per evitare guai peggiori.

Ma oggi la situazione dell'economia è differente. La crisi almeno negli USA è alle spalle e comprare un pacchetto di mutui a un prezzo conveniente può riservare piacevoli sorprese. Per cui le stesse banche travolte dalla crisi dei mutui oggi comprano i titoli il cui rendimento dipende da quei mutui.

Lo fanno, almeno ufficialmente, per conto della clientela. Non per conto proprio perchè le regole non glielo consentirebbero.


12 dicembre 2013

Scuola e reddito

Qualche settimana fa i dati P.I.S.A. hanno mostrato le forti differenze territoriali nel livello di preparazione degli studenti italiani (vedi qui). I risultati premiano gli studenti del nord e in particolare quelli del triveneto, tra i migliori in Europa, mentre penalizzano gli studenti del sud, che hanno una preparazione in matematica inferiore alla media.

Come spiegare queste differenze territoriali?

Una ricerca sull'apprendimento aiuta a cercare una risposta. Lo studio dell'Università di Stanford spiega che un bambino nato in una famiglia benestante impara molte più parole di un bambino nato in una famiglia povera e che di conseguenze per il primo è molto più facile apprendere ciò che gli insegna la scuola.

Al sud il reddito è più basso, e questo vuol dire che, se lo studio è applicabile anche all'Italia, i bambini calabresi o siciliani partono svantaggiati, quando entrano a scuola, rispetto ai bambini lombardi o piemontesi. Ma non basta, perchè il gap se nascere in una famiglia più povera significa apprendere di meno, si può obiettare che poi i bambini vanno all'asilo.

E non c'è motivo per pensare che le maestre del nord siano mediamente più preparate delle loro colleghe del sud, per cui un bambino che impara di meno in una famiglia più povera dovrebbe avere l'opportunità di recuperare all'asilo.

Dovrebbe essere così, se solo i bambini italiani avessero la stessa opportunità di andare all'asilo. Purtroppo non è così: un bambino emiliano ha molte più probabilità di andare all'asilo di un bambino siciliano. Alcune regioni offrono molti più posti all'asilo di altre e le regioni del sud hanno ancora una volta il triste primato del minor numero di posti disponibili negli asili.

11 dicembre 2013

Forconi

Ieri mi è arrivato un messaggio: cosa ne pensi della protesta dei forconi?

C'è prima di tutto un aspetto politico. La protesta sta assumendo toni preoccupanti. Negozi chiusi sotto la spinta delle minacce non sono un bel segnale. Specie in una Italia dove non mancano i populisti, i politici che urlano al colpo di stato. I toni fascisti della protesta non promettono nulla di buono se non a chi cerca di approfittarne (sarà un caso che uno dei leader della protesta ha fatto il viaggio tra Genova e Torino a bordo di una Jaguar?).

Poi c'è un aspetto economico. L'Italia forse sta uscendo dalla recessione. I consumi sono diminuiti per due anni dal 2011 a oggi dopo un altro calo notevole tra la fine del 2008 e il 2009.

Possiamo continuare a far scendere i consumi? Certamente no. Anzi serve invertire la rotta, facendo crescere i consumi e con essi gli investimenti e le imposte intascate dallo Stato. Una protesta selvaggia non aiuta negozianti e consumatori, fa diminuire i consumi, spaventa gli investitori, riduce le entrate dello Stato che, visti i vincoli di deficit, non può che reagire con nuove imposte o tagli alle spese.

Sappiamo cosa sta succedendo da anni in Grecia. Lo Stato taglia la spesa pubblica e i cittadini tagliano i consumi e le imprese chiudono o riducono drasticamente gli stipendi. Le entrate fiscali diminuiscono e lo Stato non può fare altro che imporre altri tagli alla spesa o un aumento di imposte.

Occorre invece invertire la rotta facendo aumentare i consumi e le entrate fiscali e usare le maggiori entrate fiscali per ridurre l'imposizione fiscale o almeno per fare in modo che i soldi incassati e spesi dallo Stato siano spesi per far crescere l'economia.

I forconi non si rendono conto che si vogliono infilare in un circolo vizioso come in Grecia che penalizza proprio la parte di loro che ha maggiori difficoltà sul mercato del lavoro perchè priva di istruzione, di competenze, di qualità da spendere. Ma forse i veri obiettivi della protesta sono ben diversi da quelli di chi spiega che vorrebbe un lavoro e un reddito.


09 dicembre 2013

Tanto va la Merkel al...

La notizia non è buona, ma fa (quasi) piacere lo stesso: la produzione industriale tedesca è diminuita a ottobre per il secondo mese consecutivo. Gli economisti avevano previsto un aumento di oltre il 3% nell'anno e invece si viaggia verso un aumento dell'1%.

Molto meglio dell'Italia, certo, se si guarda all'ultimo anno, ma peggio se si considerano solo gli ultimi 2 mesi.

E' diminuito inoltre il surplus commerciale tedesco, da 18,3 miliardi a oltre 16,8 miliardi.

Insomma l'economia tedesca mostra qualche scricchiolio. Vedremo in futuro se è l'inizio di una recessione o solo una correzione in un percorso virtuoso. Ma una sia pur moderata recessione in Germania pare quasi inevitabile, per colpa delle politiche di austerità che hanno influenzato negativamente la domanda di beni e servizi.

Una Germania in recessione, non sarebbe una buona notizia per l'eurozona, che ha bisogno di una Germania con una domanda in crescita. Però dimostrerebbe, se mai ce ne fosse bisogno, che l'Europa a guida tedesca ha adottato politiche economiche suicide, tanto sbagliate da provocare la recessione anche nel paese economicamente più forte.




08 dicembre 2013

Rivoluzione quote Bankitalia

Una rivoluzione silenziosa sta per travolge l'assetto proprietario della Banca d'Italia. Oggi le quote valgono poco, 156 mila euro, e sono in mano a banche, assicurazioni e qualche ente pubblico.

Grazie alle fusioni tra banche, i principali detentori di quote sono Unicredit e Intesa San Paolo, gruppi cresciuti inglobando numerose banche. Nel bilancio di Bankitalia ci sono anche ricche riserve quasi inutili, visto che la politica monetaria è ormai in mano alla BCE. Il governo ha dunque pensato di prendere circa 7 miliardi e mezzo di euro da una riserva e di usarli per aumentare il capitale sociale.

Aumenterà il valore nominale delle quote possedute dai detentori delle quote della Banca, che saranno costrette a rivalutare le proprie quote, iscritte in bilancio, pagando un'imposta sul maggior valore.

Ciò avrà effetti positivi per le casse dello Stato e anche per le banche che detengono le quote. La BCE infatti sta per mettere sotto controllo i conti delle banche europee e imporrà alle banche con troppi crediti in sofferenza (vale a dire crediti concessi ai clienti e che la banca ha difficoltà a farsi restituire) rispetto ai crediti sicuri di intervenire, ad esempio con aumenti di capitale.

Il maggior valore delle quote aiuterà le banche a superare i controlli della BCE. Non solo: il decreto del governo prevede un limite al possesso delle quote. Non più del 5% per ogni detentore. Intesa San Paolo e Unicredit dovranno vendere parte delle loro quote, incassano miliardi di euro utili a rimettere in sesto i conti.

Infine c'è un dubbio. Oggi la Banca distribuisce ai detentori di quote il 6% del valore nominale delle quote più una parte delle riserve per un totale di circa 70 milioni. Il governo ha previsto che in futuro gli utili distribuiti potranno essere pari ad un massimo del 6% del capitale, il quale passa da 156.000 euro a circa 7,5 miliardi.

Se gli utili fossero il 6% del capitale, la somma distribuita in utili salirebbe da 70 a circa 450 milioni. A rimetterci sarebbe lo Stato, ma con qualche vantaggio indiretto. I milioni finirebbero alle banche, oggi in difficoltà, e magari a qualche ente pubblico come la Cassa depositi e prestiti, che potrebbero entrare tra i possessori di quote.


06 dicembre 2013

Le tre carte



In questi giorni stanno arrivando i saldi della Tares (chiamiamola così per semplicità) da parte dei comuni italiani, quindi ho pensato di scrivere di quello che è diventato il gioco delle tre carte tra stato ed enti locali. Il pollo da spennare che perde sempre è il contribuente italiano.

Quella messa in piedi dallo stato è stata una gigantesca opera di mistificazione in maniera da aumentare le tasse in maniera indiretta a favore dello stato centrale, scaricando le tensioni sulle amministrazioni periferiche.

Sono partito dallo studio di qualche bilancio comunale incrociando qualche tabella per cercare conferme a quello che in realtà stiamo provando tutti sulla nostra pelle!

Ogni bilancio comunale ha allegata una relazione corredata da comodi indici sintetici per i raffronti degli ultimi 5 anni. Il mio comune ha circa 30.000 abitanti, quindi è un esempio "medio" della città italiana, lasciando fuori le metropoli e i micro centri.

I dati da tenere bene sott'occhio sono i seguenti:

Trasferimenti dello stato per abitante: passano da 224 € del 2009 a 209 € nel 2010 a 25 € nel 2011 fino ad arrivare a soli 11 € nel 2012.
Parallelamente la pressione tributaria pro capite (entrate per abitante/n. abitanti) passa da 500 € del 2009 a 554 € nel 2010 per poi schizzare a 768 € nel 2011 fino a 856 € nel 2012

Quindi il gioco è stato evidente: taglio dei trasferimenti statali e autonomia impositiva degli enti locali, specie i comuni, permettendo loro di aumentare le imposte locali. Qui potete trovare le differenze nei trasferimenti dal 2010 al 2011 per ogni ente, l'anno più critico!

Ma a dire che le imposte sono aumentate lo certifica anche l'ISTAT, anche se Fassino (presidente dell'Anci) fa notare che comunque ai comuni il gettito non basterà comunque!

Ma quello che fa veramente rimanere basiti è il fatto che se sono stati tagliati i trasferimenti e permesso ai comuni di alzare le aliquote, che ne ha fatto lo stato dei soldi che non ha più trasferito ai comuni?

A rigor di logica dovrebbe averci tagliato le tasse! Se non trasferisco più soldi ai comuni e faccio riscuotere a loro, allora mi rimarranno più soldi in cassa. Purtroppo così non è stato, in quanto come possiamo vedere qui, gli scaglioni IRPEF sono rimasti bloccati!

Quindi di fatto si sono aumentate le tasse: L'IRPEF è rimasta bloccata, sono aumentate le tasse locali e sono stati azzerati i trasferimenti!

C'è un ultimo fattore da considerare, l'inflazione negli ultimi 5 anni è stata del 9% (vedi qui per i calcoli e le serie), anche se rispetto a certi periodi degli anni '80 non è molto, comunque comincia a farsi sentire il fenomeno del fiscal drag, in quanto gli scaglioni IRPEF sono fermi dal 2007, come visto sopra.

Il fiscal drag è semplicemente lo scivolamento verso scaglioni di reddito superiore dovuto all'inflazione: il salario aumenta per contrastare l'inflazione e a parità di reddito ci troviamo in uno scaglione più alto e ci troviamo a pagare più tasse!

05 dicembre 2013

Krugman e il downgrade della Francia

Da qualche tempo nel mondo finanziario si sostiene che il vero malato d'Europa non è la Grecia, non è l'Italia ma la Francia. Mancano le riforme, dicono le banche americane, ci sono problemi strutturali, a cominciare da quelli sul mercato del lavoro., le prospettive non sono incoraggianti, il debito cresce troppo velocemente.

Sembra un film già visto. Due anni fa Mario Monti prendeva il posto di uno screditato Berlusconi e rimproverava le stesse colpe all'Italia, riuscendo però a fare un disastro che oggi spinge chi lo sosteneva in Parlamento a criticare la politica di austerità e a chiedere un cambiamento.

Cambiamento non facile da ottenere per ragioni politiche. Il motivo lo spiega Paul Krugman (vedi qui).

Krugman si domanda perchè mai il rating francese è inferiore a quello inglese, nonostante i dati economici transalpini siano migliori. Il PIL pro capite reale francese è cresciuto di più e le prospettive di crescita sono migliori, mentre il rapporto debito/PIL francese è leggermente inferiore a quello inglese e le prospettive sono di un andamento migliore di quello inglese.

Krugman esclude che Standard & Poor's disponga di informazioni segrete o di modelli macroeconomici migliori da cui dedurre un futuro peggiore per la Francia. Inoltre spiega che le famose riforme di cui tanto si parla, non è affatto detto che facciano crescere l'economia. Le prove di efficacia delle riforme sono quantomeno dubbie.

Dunque perchè la Francia subisce i downgrade delle agenzie di rating che invece non colpiscono la Gran Bretagna, nonostante abbia un'economia più debole?

Il motivo secondo Krugman è che la Francia non fa le politiche economiche conservatrici. Invece di tagliare lo stato sociale perché troppo costoso, punta a aumentare le imposte. E questo non piace a Standard & Poor's come a Olli Rehn e a tutti i conservatori europei. Che due anni fa hanno dato il benservito a uno di loro, Silvio Berlusconi, colpevole di non aver realizzato con prontezza le stesse politiche economiche.



04 dicembre 2013

I milioni del PSG

Come ha fatto il Paris St. Germain (PSG) a spendere 63 milioni per Cavani, una quarantina a testa per Pastore, Lavezzi e Thiago Silva, solo per citare i più costosi?

Una società di calcio spende i propri ricavi soprattutto per acquistare e pagare i calciatori. L'acquisto dei calciatori incide sul bilancio principalmente attraverso l'ammortamento. Se un calciatore costa 40 milioni e ha un contratto quinquennale, l'ammortamento è pari a 1/5 della somma spesa, vale a dire 8 milioni all'anno per 5 anni.

Ai quali si aggiunge lo stipendio lordo, ovvero comprensivo di imposte e contributi dovuti per legge.

Non è difficile stimare i costi di uno dei tanti giocatori strapagati dal PSG. 4-5 milioni di stipendio significano 8-10 milioni di stipendio lordo a cui si aggiungono 8-10 milioni sotto forma di ammortamento. Quindi 15-20 milioni l'anno per un singolo calciatore.

Somme che una società di calcio può pagare solo se incassa diverse centinaia di milioni o se qualcuno ripiana le perdite.

Le regole del fair play finanziario impediscono ormai alle società di calcio di spendere a piacimento e di coprire le perdite con i soldi del presidente. Altrimenti rischiano di restare fuori dalle competizioni europee. Per cui devono incassare soldi sufficienti a pagare i costi della società.

Ora, come fa il PSG a pagare le enormi spese derivanti dall'acquisto dei giocatori più quotati?

Il proprietario del club è il figlio dell'emiro del Qatar, che agisce tramite un fondo di investimento del paese. Per finanziare il PSG, il fondo del Qatar ha stipulato contratto con società dello stesso Qatar.

Contratti di sponsorizzazione che mascherano un finanziamento della proprietà e che ora sono sotto la lente della UEFA. Entro fine anno la proprietà del PSG deve spiegare alla UEFA come intende sostituire le entrate riferibili a società qatariote con entrate provenienti da società diverse, dalla tv, dal pubblico.

Insomma, la UEFA ha introdotto regole di fair play finanziario per cercare di evitare che un ricco proprietario spenda somme gigantesche per vincere. Alcuni club hanno aggirato le regole e adesso si 
corre ai ripari.

02 dicembre 2013

Libertà di coniare moneta?

Cosa succederebbe se qualsiasi banca fosse libera di emettere moneta? 

La domanda non è solo teorica. E' successo davvero negli USA nel XIX secolo. Un gran numero di banche sono state autorizzate a emettere una propria moneta, sotto forma di banconote.

Il solo requisito per emettere moneta era di garantirne la convertibilità in oro. Chiunque avrebbe potuto prendere una banconota emessa da una banca e chiedere l'equivalente in oro, promesso dalla banconote.

Le banche naturalmente emettevano banconote per importi superiori all'oro posseduto. Se avevano ad esempio 1 milione di dollari in oro, emettevano banconote per 2 milioni.

Confidavano nel fatto che pochi avrebbero chiesto di convertire le banconote in oro. La maggior parte delle persone avrebbe usato le banconote.

Perchè si emettevano banconote? Non sarebbe stato più semplice usare le monete in oro?

La risposta è che l'emissione di moneta serviva a aumentare i prestiti. Se l'oro è la base monetaria, per far crescere la base monetaria servono nuove acquisizioni di oro. Ma non è facile trovare oro.

Se invece si emettono banconote, garantite parzialmente dall'oro, la base monetaria e con essa i prestiti possono crescere più rapidamente.

Ma se molte banche possono emettere banconote, non vuol dire che siano tutte ugualmente convertibili. Se una banca emette una quantità doppia di banconote rispetto a un'altra, prima o poi qualcuno se ne rende conto e allora è possibile che non sia disposto a scambiare un dollaro emesso da una banca con un dollaro emesso da un'altra. Chi disponeva di un dollaro per così dire di alta qualità, cioè emesso da una banca affidabile, comprava dollari emessi da banche meno affidabili solo in cambio di un forte sconto.

Il dollaro emesso da queste ultime valeva 70-80 centesimi di dollaro emesso dalle banche affidabili.

Il dollaro emesso da una banca con poco oro in cassaforte si svalutava rispetto al dollaro con un maggior grado di copertura e questo aveva un effetto sui prezzi, che salivano là dove il dollaro valeva meno in termini di oro.


30 novembre 2013

Felicità e reddito

I giornali hanno scoperto in questi giorni uno studio del 2012 di due economisti italiani, Proto e Rustichini, secondo i quali la felicità aumenta con il reddito ma soltanto fino a un certo punto. Poi, superato un livello di reddito, superato il quale la felicità tende a diminuire all'aumentare del reddito.

Si tratta in realtà, come spiegano gli autori, di una vecchia idea, proposta da Easterlin che ha osservato per primo, 40 anni fa, una situazione paradossale: un incremento del PIL procapite non determina un aumento della felicità.

Altri hanno osservato che dove il reddito è troppo basso, la felicità di una collettività è bassa e sale poco con il reddito, perchè l'incremento di reddito serve a soddisfare soltanto bisogni primari, mentre aumenta se il reddito è basso ma non troppo. In quel caso ci si può permettere l'acquisto di beni che migliorano la vita e quindi rendono felici.

Invece quando il reddito supera un certo livello, la felicità tende a non crescere più e anzi diminuisce.

La ragione è che si modificano gli obiettivi e i desideri. Se il povero aspira ad avere una casa più confortevole, cibo migliore, vestiti ecc., chi è ricco aspira a possedere una villa invece di un appartamento, vuole un'auto di lusso invece di un'utilitaria, e così via.

Ma aspirare a possedere beni o acquistare servizi più costosi non rende le persone più felici,  anzi scaturisce l'effetto opposto. Questo è il risultato a cui sono giunti i due economisti italiani, che hanno individuato l'intervallo di reddito oltre il quale il benessere non aumenta all'aumentare del reddito.

Ancora una volta si giunge alla conclusione che in una società con minori disuguaglianze si vive meglio. La qualità della vita diminuisce infatti dove è maggiore l'ambizione di possedere i beni, e quindi diminuisce con il grado di disuguaglianza.

28 novembre 2013

Economia e ideologia

Qualche tempo fa s'è scoperto che Oscar Giannino non solo non ha mai ottenuto un master a Chicago, ma neppure s'era laureato. Eppure molti lo consideravano un giornalista economico credibile e per questo lo invitavano a intervenire in televisione, a partecipare ai convegni, a tenere rubriche radiofoniche e a dirigere periodici economici.

Com'è possibile? Semplice: Giannino diceva quello che molti volevano sentire. Gli è andata bene fino a quando è entrato in politica e a qualcuno è venuta voglia di controllare se fosse vero quello che diceva di se stesso.

Il mondo degli economisti è pieno di persone che propagandano idee ideologiche al punto che un mese fa la direzione della commissione europea guidata da Olli Rehn ha prima pubblicato e poi rimosso uno studio molto critico verso l'austerità.

Jan in' t Veld ha creato un modello econometrico con il quale ha misurato gli effetti delle politiche di austerità, concludendo che in Italia uno sforzo di consolidamento dei conti pubblici pari a quasi il 4% del PIL ha prodotto un calo del PIL di quasi il 5%.

Analoghe le percentuali in Francia (3,68% di consolidamento, 4,78% di calo), Germania (2,6% e 3,9%) e Spagna (4,45%  e 5,39%), con conseguenze negative per disoccupazione (+3% in Italia) consumi e investimenti (-4,37% e -4,29% rispettivamente, sempre in Italia).

Dati che non sono piaciuti alla Commissione o almeno a qualche membro. Così lo studio è sparito, per un pò di tempo, dal sito della direzione affari economici e monetari. Forse qualcuno ha pensato che non sarebbe piaciuto ai paesi fautori dell'austerità.

Poi di fronte al rischio di figuraccia, il paper è tornato on line con l'avvertenza che rappresenta il punto di vista dell'autore.

Quello dei politici invece è ben rappresentato da qualche sedicente economista che dice quello che i politici si vogliono sentir dire.

26 novembre 2013

Questo stadio non s'ha da fare

Un piccolo contributo per far crescere l'economia potrebbe venire dallo sport.

Gli italiani fanno i conti con strutture sportive vecchie e inospitali. Gli stadi per il calcio sovente non sono altro che tribune su cui hanno montato seggiolini di plastica, il campo spesso è lontano, non ci sono servizi che invitino a frequentare lo stadio al di fuori delle poche ore in cui si gioca a pallone.

Sono pochissimi gli stadi "moderni" che dispongono di bar, ristoranti, musei, negozi. Tra i pochi c'è lo stadio della Juventus, che ha sostituito il vecchio Stadio delle Alpi. Se questo era spesso vuoto, il nuovo stadio fa quasi sempre il tutto esaurito, perchè coinvolge i tifosi che possono pranzare prima della partita o visitare il museo.

A fianco dello stadio sorge un centro commerciale con decine di negozi grazie ai quali la Juventus ha finanziato la costruzione dell'impianto sportivo, cedendo a gli spazi commerciali a Conad.

Un modello da replicare, deve aver pensato il governo, che ha inserito nella legge di stabilità una norma che dice più o meno così: chi progetta un impianto sportivo avrà un percorso burocratico privilegiato per accorciare i tempi tra la presentazione del progetto e la fine dei lavori di costruzione dello stadio (la Juventus ha impiegato 8 anni per costruire lo stadio, l'Udinese 9 anni), e gli diamo la possibilità di costruire altri immobili, utili per finanziare la struttura sportiva.

Apriti cielo. In molti si sono indignati per la futura possibile colata di cemento e il governo ha dovuto ritirare la norma, che certamente non farà parte della legge di stabilità, come ha spiegato Letta.

Risultato? Per adesso niente legge, niente stadi, nessun aumento degli spettatori e delle imposte che lo Stato incassa. Il mondo del calcio torna a aspettare i soldi pubblici per poter costruire impianti e iniziare a far crescere i ricavi. Soldi attesi da anni e mai stanziati...




24 novembre 2013

1:12 Referendum bocciato

Gli svizzeri hanno bocciato il referendum denominato 1:12 che puntava a limitare l'importo degli stipendi dei manager a 12 volte la retribuzione più bassa.

Oggi il rapporto tra i dipendenti meno pagati e i manager più pagati è 1 a 200. Se avessero vinto i sì i manager avrebbero subito un enorme taglio dei compensi e reso meno diseguale la Svizzera. Eppure gli svizzeri hanno rigettato la proposta.

La prima ragione è che gli svizzeri hanno paura che i manager cambino paese. La gestione del risparmio e magari del risparmio ottenuto in modo poco lecito è da sempre una grande risorsa per la Svizzera.

Ma altri paesi hanno imparato a fare lo stesso mestiere. Gestiscono i capitali, fanno pagare poche imposte, assicurano il segreto bancario, magari danno una mano a spostare capitali "sporchi". La Svizzera però subisce le pressioni di USA e Unione Europea per rendere trasparenti le attività bancarie e questo mette a rischio il ricco business bancario.

Business che è fatto di posti di lavoro ben retribuiti e imposte pagate da banche, lavoratori e tutti quelli che guadagnano grazie alla gestione dei capitali altrui.

Quindi meglio non correre il rischio che capitali e dirigenti si spostino altrove, magari in qualche piccolo paradiso fiscale su cui USA e UE esercitano poco potere.

La seconda ragione è che c'è già stata una riforma: gli svizzeri hanno deciso che i compensi dei manager nelle società quotate devono essere decisi dall'assemblea degli azionisti e non dal consiglio di amministrazione.

Se gli azionisti decidono circa le remunerazioni dei manager, difficilmente sceglieranno di premiare chi ha fatto male, e ciò consigliava di votare no.

Infine è possibile che ci sia un'altra ragione: la Svizzera è un paese in cui c'è un buon livello di benessere, con buoni servizi a favore di tutta la popolazione che preferisce lasciare le cose come stanno e non correre rischi.

22 novembre 2013

Via Solferino

Il Corriere della Sera è senza dubbio uno dei giornali italiani più prestigiosi, forte di una storia centanaria. Negli ultimi anni non sono mancati sul Corriere gli appelli per tagliare le spese statali, privatizzare, ridurre gli sprechi e via discorrendo.

Gianantonio Stella e Sergio Rizzo sono diventati famosi per il libro La Casta che elenca sprechi e privilegi dei politici. E lavorano naturalmente al Corriere, che appartiene al gruppo Rizzoli Corriere della Sera, da tempo alle prese con consistenti perdite.

Qualche mese fa, il gruppo RCS è stato costretto a lanciare un aumento di capitale per ridurre i debiti verso il sistema bancario, rischiando il commissariamento e anche il fallimento.

Per rimettere i conti a posto, la società ha deciso di vendere la storica sede di via Solferino a Milano al fondo Blackstone con la prospettiva nei prossimi anni di abbandonare gli uffici, prestigiosi per aver ospitato molti famosi giornalisti italiani.

E' facile immaginare cosa direbbe il Corriere di un politico che preferisce una sede prestigiosa e costosa a un ufficio "normale" magari in una via non prestigiosa. 

Al Corriere però l'idea che la sede prestigiosa con relativi privilegi di status possa essere abbandonata proprio non piace. I giornalisti hanno chiesto alle autorità di indagare su possibili conflitti di interesse degli azionisti del Corriere nell'operazione di vendita, si sono rivolti alle autorità locali che dovrebbero tutelare la sede storica impedendo all'acquirente di cedere l'immobile perchè vincolato, hanno raccolto migliaia di firme per chiedere che la proprietà rinunciasse alla vendita.

Un doppiopesismo molto italiano, come il giornale che da oltre un secolo orienta le opinioni di molti italiani.




21 novembre 2013

Tecnologia collettiva e individuale

Qualche sera fa mi è capitato di vedere su Rai5 un bel documentario della BBC sulle missioni spaziali degli anni '60-'70, quando gli astronauti americani sono andati sulla luna.

La tecnologia di quegli anni era poco sviluppata, gli astronauti erano eroi che rischiavano la pelle, e qualcuno morì davvero, ma le astronavi e le missioni avevano un fascino incredibile. Una ragione la spiegò John F. Kennedy quando annunciò il programma per conquistare lo spazio. Disse «Abbiamo scelto di andare sulla Luna e di fare altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili».

Una sfida che prometteva di ripagare i vincitori con un maggior benessere collettivo. Si immaginava un mondo, quello del mitico 2000, in cui le tecnologie avrebbero aiutato tutti, rendendo la vita più facile, dando più opportunità se non a tutti, certamente a molti.

Si immaginava di liberare l'uomo dalla schiavitù del lavoro manuale grazie alle macchine che sarebbero entrate nelle fabbriche e nelle case, cominciare dai lavori manuali, che poco per volta sarebbero stati sostituiti dalle macchine.

Cosa è rimasto di quei sogni, 40 anni dopo, anzi più di 50 anni dopo, se prendiamo come punto di partenza il discorso di Kennedy del 1962?

La tecnologia di oggi era inimmaginabile anche solo 20 anni fa, figuriamoci ai tempi di Kennedy. Ma sono cambiati gli obiettivi. Non si sogna più un mondo migliore per tutti o per molti. Forse lo fa qualche esperto di marketing che deve convincerci che Apple o Google non sono solo enormi macchine da soldi.

Gli altri sognano e pensano soprattutto al proprio mondo, fatto di oggetti personali che ci offrono nuovi modi di fare le stesse cose: siamo passati dalle chiacchierate al bar alle chiacchierate via facebook impiegando smartphone con cui possiamo anche sentire musica, scattare una foto, guardare un film ecc.

Insomma siamo passati da una tecnologia povera ma collettiva, che prometteva benefici per molti, a una tecnologia individuale che promette solo di farci fare meglio quello che facevamo anche prima, con poche novità e pochi o nessun sogno collettivo.


19 novembre 2013

Mazzucato vs Boldrin

 

Mariana Mazzucato, docente all'Università del Sussex, bolla come ideologiche le tesi di Boldrin... Finalmente qualcuno spiega cos'è Boldrin.

18 novembre 2013

TAV e costituzione svizzera

Da anni ormai in val di Susa ci si divide tra sostenitori e oppositori della TAV, la futura linea ferroviaria che collegherà Italia e Francia. Molte associazioni ambientaliste sono contrarie all'opera perché -sostengono- devasterà la valle e perchè sarebbe inutile.

Ora, possono gli ecologisti essere contrari a un'opera che porterà merci e passeggeri a transitare in val di Susa su rotaia invece che su inquinanti automobili e camion? Contrarietà che stranamente accomuna ecologisti e liberisti, quest'ultimi impegnati a avversare un'opera che significa spesa pubblica.

I liberisti non appoggerebbero mai la TAV anche per un'altra ragione: pensano che non serva. Formulano ipotesi sui traffici futuri e concludono che sulla futura linea TAV transiteranno pochi treni.

Non sono ipotesi irrealistiche, ma partono dal presupposto che chi viaggia o trasporta merci sia libero di scegliere quale mezzo usare. La linea ferroviaria entrerà in concorrenza con altri mezzi di trasporto e per questo i no-TAV pensano che senza un aumento drastico delle merci trasportate sarà inutile costruire una nuova ferrovia.

In Svizzera invece costruiscono le ferrovie partendo dall'idea che si devono limitare i transiti su gomma per tutelare le persone e le alpi. Lo hanno scritto in costituzione. L'articolo 84 dice che la Confederazione protegge la regione alpina dalle ripercussioni negative del traffico di transito, che le merci devono attraversare le alpi tramite ferrovia e che non si può aumentare la capacità delle strade di transito nella regione alpina.

Dunque niente nuove strade e obbligo di costruire ferrovie per trasportare le merci. Ma anche tasse sul traffico pesante per scoraggiare i transiti.

Questa è la Svizzera, dove gli ambientalisti sono favorevoli alla costruzione di ferrovie. Al contrario dei nostri che adottano le teorie liberiste e paiono preferire i camion ai treni, lasciando ai tir la libertà di viaggiare ovunque con il loro carico di inquinamento. Illudendosi forse di poter far diminuire il traffico attraverso le alpi.


17 novembre 2013

Bonus assunzione

Qualche mese fa il governo ha lanciato il bonus per l'assunzione dei giovani. Il ministro Giovannini aveva previsto 100.000 lavoratori beneficiati, grazie a 800 milioni (500 dei quali destinati al sud) stanziati in 3 anni.

I requisiti richiesti erano molto selettivi: i beneficiari non dovevano avere un diploma, disoccupati, con almeno una persona a carico.

E infatti gli incentivi hanno deluso le attese: le domande pervenute sono state meno di 14 mila.

Un fallimento? Probabilmente sì, sia perchè i requisiti erano troppo stringenti, sia perchè in un periodo di crisi, di investimenti assenti, di aziende che licenziano, incentivare l'assunzione rischia di essere un autogol fin troppo facile da prevedere.

Le aziende non assumono se la domanda non aumenta ma diminuisce, e ancor meno lo fanno le aziende del sud dove la domanda estera, che è la sola domanda che fa crescere alcune imprese, è più debole.

La politica di sostegno all'offerta non è una risposta a problemi che dipendono dalla scarsità della domanda: è un modo per lasciare il problema irrisolto.

Viene il sospetto che il governo stiagiocando a fare l'illusionista: i soldi non utilizzati verranno impiegati in altro modo, stanziati in futuro con tanto di conferenza stampa con un ministro speranzoso e magari una platea attenta e incapace di distinguere una buona politica economica da una pessima e inutile.




15 novembre 2013

Econoliberal su Facebook


Econoliberal è anche su Facebook all'indirizzo https://www.facebook.com/groups/193199597411710/, utile luogo per discutere, proporre argomenti, fare domande...


13 novembre 2013

Carceri chiuse

Qualche settimana fa il Presidente della Repubblica, in visita al carcere di Poggioreale, ha chiesto al mondo politico di prendere in considerazione l'ipotesi di amnistia. Le sofferenze dei detenuti, stipati in celle destinate a contenere meno persone di quante ve ne sono davvero, rischiano di far ocndannare l'Italia in sede europea.

I detenuti possono chiedere un risarcimento per il solo fatto di essere in carcere. Lo Stato prima o poi viene condannato a pagare. Di qui la richiesta di Napolitano, a cui si oppongono molte forze politiche, preccupate di non perdere voti.

Già perchè gran parte degli italiani pensa che chi sbaglia deve andare in prigione, senza se e ma, e non si cura di capire perchè si finisce in carcere nè delle conseguenze delle carcerazioni.

Pochi giorni fa invece arriva la notizia, ripresa dal Corriere (vedi qui), che in Svezia ci sono troppe carceri. La popolazione carceraria sta diminuendo ad un tasso dell'1% all'anno e con sempre più celle vuote, le autorità hanno deciso di chiudere alcune carceri.

Secondo la giornalista del Corriere non si sa il perchè ciò accada.

Invece una spiegazione c'è. Ce la offre una nostra vecchia conoscenza, il libro La misura dell'anima (ve lo ricordate? che per chi non l'avesse letto ora è disponibile anche in versione economica - vedi qui).

Il capitolo 11 è intitolato Incarcerazione e punizione, e si spiega ad esempio che i paesi con maggiori disuguaglianze di reddito sono anche i paesi in cui ci sono più detenuti in rapporto alla popolazione, ma anche quelli più punitivi.

E viceversa, naturalmente. La Svezia appartiene al gruppo dei paesi con meno disuguaglianze, meno carcerati e un maggior ricorso a pene alternative.

Per questo le prigioni restano vuote e alla fine si razionalizzano, chiudendone alcune.



12 novembre 2013

Citazioni divertenti: Grillo e i tassi

1. «tra settembre e ottobre il governo sarà a corto di soldi e avrà difficoltà a pagare le pensioni e gli stipendi»

Beppe Grillo, intervistato dalla Bild ad aprile 2013 (vedi qui).


2. Il BoT a 12 mesi scende al minimo storico: 0,688%.

Titolo del Sole 24 ore di oggi.



10 novembre 2013

Grillo e la Google Tax

Di recente il G8 (vedi ad esempio questo articolo) s'è posto il problema dell'elusione delle imposte da parte delle multinazionali: se una multinazionale americana colloca in Irlanda la propria sede europea, pagherà lì le imposte anche sui profitti realizzati nel resto d'Europa, lasciando a bocca asciutta o quasi il fisco di Italia, Francia, eccetera.

I paesi più grandi, dove le multinazionali realizzano la maggior parte dei loro ricavi europei, restano con i loro problemi di bilancio, mentre i paesi più piccoli possono permettersi di abbassare le imposte perché incassano le imposte delle multinazionali, attratte dalle aliquote inferiori.

E' una situazione a cui porre rimedio perchè le casse statali soffrono e per tutelare le aziende nazionali che pagano le imposte in patria.

La proposta del deputato del PD Boccia va in questa direzione. Vorrebbe obbligare le multinazionali a aprire filiali in Italia e a operare tramite queste, così da costringerle a pagare più imposte. La proposta è debole sul piano formale, ma interessante su quello sostanziale.

Oltre 70 parlamentari del Movimento 5 stelle l'hanno votata, scoprendo subito dopo che il blog di Grillo è contrario (vedi qui) con tanto di citazione tratta da Forbes.

L'autore delle righe citate è Tom Worstall, membro tra l'altro dell'Adam Smith Institute, un think tank inglese che propone tesi molto liberiste, tra cui la necessità di liberalizzare, di aprire i mercati, di ridurre le imposte.

Idee lontane dai giovani parlamentari pentastellati, ma vicine a Casaleggio, il vero leader del Movimento. Chi se non lo staff di Casaleggio può scrivere un articolo contro la Google Tax votata da decine di parlamentari pentastellati? E perchè scrive un articolo simile? Non soltanto per attaccare i politici, vista la posizione di molti parlamentari del suo movimento.

09 novembre 2013

BCE: 0,25%

La BCE ha deciso di abbassare ancora i tassi. Siamo arrivati allo 0,25%, perché l'Europa cresce poco e c'è il rischio di deflazione.

Ma come, la moneta abbondante non avrebbe dovuto causare una iperinflazione? Viene voglia di chiederselo, se non avessimo spiegato quasi quattro anni fa (vedi qui: http://econoliberal.blogspot.it/2009/12/esiste-un-pericolo-inflazione.html) che il pericolo non esiste.

No, il pericolo non c'è. Semmai c'è il pericolo contrario: nonostante l'aumento in Italia dell'IVA i prezzi non salgono. Casomai scendono. Le imprese non vendono e quindi abbassano i prezzi, con la conseguenza che chi vuole acquistare un computer o un'auto o un divano rinvia l'acquisto. Aspetta che i prezzi diminuiscano.

Il rischio di deflazione ha dato la possibilità alla BCE di fare un passo in avanti verso una politica monetaria simile a quella della FED. Le resistenze tedesche poco per volta sono state affrontate. La BCE è arrivata più tardi e ha agito con minor forza della FED, ma ormai i tassi sono vicini allo zero.

Cosa resta da fare? Forse la BCE potrebbe stabilire un tasso negativo sui depositi delle banche presso la banca centrale, così da spingere le banche, piene di liquidità, a non depositarla presso la banca centrale, prestandola invece a altre banche.

Forse può chiedere all'Europa di accelerare l'adozione di regole che riducano al minimo il rischio di default di un sistema bancario nazionale e spingano le banche a prestarsi capitali. O forse potrebbe compiere operazioni poco ortodosse come l'acquisto di crediti avariati delle banche.

Si calcola che le banche italiane e spagnole abbiano almeno 200 miliardi di euro di crediti inesigibili o quasi. La BCE potrebbe acquistarne una parte per finanziare le banche.

Lo ha già fatto, penserà qualcuno. Certo, ma lo scopo allora era soprattutto abbassare i tassi pagati dagli stati, per ridurre il rischio di una crisi del debito di paesi come Italia e Spagna. Ma una volta messo sotto controllo il problema del debito e del suo costo per gli stati, resta il il problema di aziende troppo indebitate che hanno difficoltà a restituire alle banche i soldi e di banche che, piene di crediti inesigibili, faticano a prestare soldi alle imprese.

In attesa delle mosse della BCE, c'è un aspetto positivo: l'euro è sceso rispetto al dollaro. Se il trend continuerà, l'economia europea ne trarrà qualche piccolo beneficio sotto forma di maggiori esportazioni verso i paesi che usano il dollaro.

08 novembre 2013

Pensioni ai politici: conviene eliminarle?

Che fine fanno i politici sconfitti alle elezioni?

Molti si riciclano nel sottobosco della politica, andando a occupare posti nei consigli di amministrazione di qualche municipalizzata, in una fondazione bancaria, nei partiti, in qualche associazione che sembra esistere più per servire gli interessi di singoli individui o di partiti che dei beneficiari dei servizi offerti dall'associazione.

Tutto questo comporta . Costi diretti sotto forma di stipendi, di benefit vari, di staff assunto per dare una mano al riciclato, e costi indiretti, soldi che si spendono per alimentare piccole clientele o dare un senso al lavoro del politico riciclato.
diversi costi

Da qualche tempo la lotta agli sprechi e ai costi della politica sta colpendo proprio questi politici, che un tempo andavano in pensione anche giovani e con un buon assegno. Una spesa che oggi si tende a ridurre, eliminando i privilegi dei politici.

Ma conviene? Meglio dare una pensione a un sessantenne che ha perso le elezioni dimenticato dagli elettori o meglio trovarselo in un consiglio di amministrazione magari intento a far assumere i figli o a scambiare favori con altri?

Forse un calcolo sarebbe necessario. Una pensione dignitosa erogata qualche anno prima potrebbe costare di meno alla collettività di una retribuzione a un consigliere di amministrazione che poi prova a far eleggere parenti e amici in un'azienda pubblica.

Certo, la mia è una provocazione e molti penseranno che sarebbe meglio non dare una pensione a chi non se la merita e che nei cda bisognerebbe assumere chi se lo merita, ma il problema esiste e forse sarà ancora più importante in futuro, perchè le opinioni politiche sembrano cambiare velocemente e sembra esserci un alto tasso di ricambio tra i politici: molti entrano in Parlamento o in un consiglio regionale e molti escono, senza sapere come riciclarsi e senza avere l'età della pensione.

07 novembre 2013

De Blasio

Bill De Blasio è il nuovo sindaco di New York. Padre di origini tedesche, madre di origini italiane, è considerato molto di sinistra, al punto che alcuni suoi avversari l'hanno accusato di essere un comunista, forti dei suoi viaggi a Cuba e nel Nicaragua sandinista.

Ha vinto con un programma di sinistra, più imposte per chi guadagna oltre 500.000 dollari, più soldi alle scuole pubbliche e meno alle private e un'idea ben chiara: ridurre le differenze.

La spiegazione di De Blasio è tanto semplice quando vera: la città dei ricchi, di chi vive nel lusso degli appartamenti da molti milioni di dollari ha bisogno di aiutare l'altra città, quella dei poveri e soprattutto della classe media che fa fatica a vivere nella grande mela. Altrimenti si rischia lo scontro, si rischia che la città dei ricchi venga assediata dall'altra.

I progressisti, anche se ricchissimi, newyorkesi, gli hanno creduto.

05 novembre 2013

Taglio alle spese? No, grazie

La puntata di Ballarò di oggi, 5 novembre, come sempre offre qualche sondaggio interessante.

Alla domanda: cosa accetterebbe in cambio dell'abbassamento delle tasse, gli intervistati hanno così risposto:

- il 18% è disposto a accettare il taglio dei posti di lavoro degli statali;

- l'11% il taglio delle pensioni;

- il 5% la chiusura degli ospedali poco utilizzati e il taglio dei posti letto;

- il 3% il taglio dei servizi pubblici locali.

E il resto? Il 59% preferisce non tagliare nulla e rinunciare al taglio delle tasse.

I dati del sondaggio arrivano giusto il giorno dopo la festa delle forze armate. Ieri, 4 novembre, il sindaco di Messina, Renato Accorinti ha celebrato la festa ricordando che l'articolo 11 della Costituzione afferma che l'Italia ripudia la guerra e chiedendo di rivedere la spesa pubblica tagliando la spesa militare e destinando più risorse ad esempio all'accoglimento degli stranieri che muoiono cercando di attraversare il Mediterraneo.

Qualche centinaio di chilometri più a nord, il Presidente Napolitano, celebrando la festa delle forze armate, ha detto: "non possiamo indulgere a semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa e di dotazioni indispensabili per l'esercito".

Insomma, tagliare le spese sembra un'illusione nella quale si crogiolano in molti, ma che pochi vogliono davvero e a una condizione molto stretta: che riguardi gli altri.

04 novembre 2013

Olivetti... e i neoborbonici

Rai1 ha di recente mandato in onda la fiction su Adriano Olivetti, geniale imprenditore a capo dell'ominima azienda nata a Ivrea oltre un secolo fa.

L'azienda Olivetti, a lungo un'azienda leader nel settore delle macchine da ufficio, oggi quasi non esiste più, limitandosi a fare da comparsa in settori dominati dai prodotti americani e asiatici. Gli edifici che a Scarmagno, vicino a Ivrea, ospitavano migliaia di dipendenti sono un monumento alla deindustrializzazione.

Olivetti è stata la prima impresa al mondo a costruire un computer, eppure oggi non c'è più. Qualcuno potrebbe storcere il naso e ricordare, come i neoborici, i record di Olivetti, come aver progettato e costruito il primo computer al mondo.

Ma essere stati primi un tempo , soprattutto se arrivare per primi a produrre qualcosa non comporta alcun vantaggio sul mercato. Un conto infatti è inventare un prodotto e conquistare i potenziali acquirenti, rendendo difficile per altri concorrenti entrare in quel mercato, un altro è costruire un prototipo o un bene che magari domina un mercato piccolo, destinato a crescere rapidamente. In questo secondo caso è facile perdere il primato.
non garantisce la possibilità di mantenere il primato

E se qualcuno mai pensasse a un complotto per eliminare Olivetti? Gli si potrebbe rispondere con un nome: Vobis.

20 anni fa era l'azienda tedesca che produceva più computer, aveva successo al punto che Microsoft agli inizi degli anni '90 fece di tutto per arrivare a un accordo con Vobis, convincendoli a adottare il proprio sistema operativo. Ebbe successo e per chi produceva sistemi operativi alternativi fu la fine.

Oggi Vobis cosa produce?

Ha fatto la fine di Olivetti, a ulteriori riprova del fatto che arrivare per primi o essere stati i migliori non significa nulla, checchè ne dicano i neoborbonici.





03 novembre 2013

Catasto

Esiste un modo di incassare più soldi senza creare ingiustizie e troppo scontento: la riforma del catasto.

Il pagamento dell'IMU e di altre tasse si basa sulla rendita catastale o più semplicemente sul valore secondo il fisco dell'immobile da tassare. Valore che andrebbe modificato nel tempo tenendo conto di eventuali cambiamenti dell'immobile (ad esempio molti edifici non hanno più il bagno sul balcone, come succedeva molto tempo fa) sia dei prezzi a cui gli immobili sono scambiati in un certo luogo.

Maggiore è il valore di un immobile, maggiore è l'incasso per lo stato e per gli enti locali, che dovrebbero aggiornare il catasto non solo per incassare di puù, ma anche per ragioni di equità.

Non è raro che un immobile di periferia costruito e accatastato negli ultimi decenni anni fa sia valutato più di un immobile delle stesse dimensioni ma collocato in una via del centro città, che è stato accatastato magari un secolo fa. La conseguenza è che il primo paga più imposte sulla casa del secondo anche se vale meno.

Lo stato ci rimette, perchè incassa meno, e i cittadini costretti a pagare di più nonostante possiedano un immobile che vale meno subiscono un'ingiustizia.

Dunque una revisione è necessaria quantomeno per rendere più eque le imposte sugli immobili, come ha fatto di recente la città di Roma, interessando 175 mila immobili, molti dei quali erano considerati di scarso valore nonostante si vendano a prezzi elevati.

Perchè s'è fatto? Per tamponare i problemi di bilancio. Il comune s'è messo d'accordo con l'agenzia delle entrate che ha battuto palmo a palmo il territorio e scoperto che non esistono più case senza bagno e che si spendono molte migliaia di euro al metro quadro per appartamenti fino a ieri considerati "ultrapopolari".



31 ottobre 2013

Pensioni di guerra

Sapete quanto si spende in pensioni di guerra?

822 milioni l'anno, secondo il bilancio dello Stato in forma ridotta scaricabile dal sito della ragioneria dello stato. Se ogni pensione costasse in media 20.000 euro l'anno, si tratterebbe di oltre 41. 000 pensioni. A quasi 70 anni dalla fine dell'ultima guerra. Incredibile.. o forse c'è altro?

Forse nelle pensioni di guerra ci sono anche spese relative a chi ha perso la vita o è rimasto invalido nelle cosiddette missioni di pace, come ad esempio la disgraziatissima avventura in Somalia dei primi anni '90?

Se è così almeno sarebbe opportuno ricordarsi dell'articolo 11 e non chiamarle pensioni di guerra...

30 ottobre 2013

Libri: Soldi, Galbraith

Si intitola Soldi, ma si dovrebbe intitolare Storia della moneta.

La Rizzoli ripropone un vecchio (l'edizione americana è del 1975, in Italia è stato pubblicato nel 1997) libro di John Kenneth Galbraith, economista canadese, grande divulgatore ma anche consulente di Kennedy, morto quasi centenario nel 2006.

Decisamente un bel libro. Non è una storia della moneta in stile accademico. Non ci sono grafici e numeri. E' un saggio piuttosto leggero, pieno di considerazioni intelligenti che aiutano a capire i meccanismi di funzionamento della moneta nel corso della storia.

Una lettura utile, da consigliare soprattutto a chi la spara grossa su argomenti come euro e emissione della moneta, a cominciare dai signoraggisti.

28 ottobre 2013

Teletrasporto

Chiunque abbia visto almeno una puntata di Star Trek sa bene cosa sia il teletrasporto.

Per chi non lo sapesse, Star Trek racconta le avventure di una nave spaziale che incontra pianeti e popoli spesso ostili. Per passare dall'astronave a un pianeta o ad un'altra astronave, i protagonisti della serie usano il teletrasporto. Entrano in una stanza, azionano una macchina, la loro immagine si dissolve e riappaiono altrove.

E' forse l'effetto più famoso di Star Trek. Quello che molti non sanno è che il teletrasporto venne inventato per questioni economiche.

Il progetto di Star Trek non ha entusiasmato la NBC, e, all'inizio, neanche il pubblico americano. Cosi registi e produttori hanno dovuto fare i conti con un budget limitato. Come trasportare i protagonisti dall'astronave Enterprise alla superficie di un pianeta?

Avrebbero potuto costruire un'apposita astronave, ma non avevano i soldi. Aguzzarono l'ingegno e inventarono così il teletrasporto: fantasioso e conveniente.

27 ottobre 2013

Grande distribuzione: rivincita degli italiani

Da alcuni mesi in un grande supermercato vicino a casa è iniziata una lenta ristrutturazione.

Dopo 20 anni l'edificio aveva bisogno di qualche restauro, e la proprietà, una catena di distribuzione francese, ne ha approfittato per rinnovare anche arredi, i prodotti, disposizioni delle merci, insomma un pò di tutto. Hanno rifatto a tappe il pavimento e introdotto nuovi servizi come

E' colpa della crisi, che spinge a innovare per cercare di non far diminuire il fatturato, ma c'è altro. Le due catene di distribuzione francesi molto presenti in Italia, Carrefour e Auchan, stanno perdendo terreno, superate dagli italiani.

E' una sorpresa. In testa alla graduatoria della distribuzione in Italia ci sono Coop e Conad, seguite dal gruppo Selex, che unisce diversi marchi come A&O e Famila, e Esselunga. Poi, al quinto e al sesto posto, i francesi di Carrefour e Auchan.

Fino a qualche anno fa i francesi occupavano il terzo e il quarto posto e per molti erano destinati a scalare le classifiche (ricordate le dichiarazioni di Tremonti sugli italiani che avevano venduto i supermercati ai francesi o di Grillo secondo cui la TAV Torino-Lione servirebbe a portare in Italia le merci francesi?). Oggi Carrefour e Auchan hanno perso posizioni e corrono ai ripari. 

I grandi supermercati all'interno dei centro commerciali costruiti in periferia attirano di meno il cliente per tre ragioni.

La prima è che i clienti, per spendere meno, preferiscono lasciare a casa l'auto e recarsi al supermercato più piccolo ma più vicino a casa.

La seconda ragione è che risparmiare sulla spesa significa evitare i grandi acquisti una volta a settimana per evitare di comprare troppe cose e in quantità eccessiva. Per evitare gli sprechi è meglio acquistare l'indispensabile più volte a settimana.

La terza ragione è che qualità per molti significa comprare il prodotto locale venduto in piccola quantità da un supermercato non troppo grande, in cui sia possibile instaurare un rapporto con il personale un pò come succedeva un tempo nel negozio sotto casa.

Dunque i supermercati più piccoli e vicini al consumatore stanno attirando clienti e costringono chi, come i francesi, ha puntato sui grandissimi spazi a rivedere le strategie di vendita. Con qualche ritardo, perché la "testa" dei grandi gruppi è altrove. Così gli italiani, più veloci a capire cosa vuole il cliente italiano, prevalgono su chi invece può cambiare strategia ma solo con l'approvazione della casa madre, che si trova al di là delle alpi.






26 ottobre 2013

Siro Lombardini

E' morto oggi a 89 anni Siro Lombardini, economista nato a Milano che però ha trascorso a Torino gran parte della sua carriera universitaria.

Non è stato solo un brillantissimo economista di fama internazionale. E' stato anche ministro delle partecipazioni statali, presidente della Banca Popolare di Novara, con l'ingrato compito di risanare l'istituto in difficoltà.

E' stato anche antifascista cattolico, che si ribellava alle ideologie e cercava di mettere in guardia i giovani dai rischi della massificazione.

Personalmente lo ricordo in una serata presso il mio ex liceo. Andai a sentirlo insieme a due compagni di università, c'era poca gente, ci sedemmo nelle prime file. Mi aspettavo un economista famoso che illustrasse teorie di non immediata comprensione.

Invece trovai una persona che univa le ottime conoscenze economiche, la sua cultura cattolica e, in generale, umanistica, molto buon senso, molto senso pratico e molta attenzione al futuro.

Futuro che quella sera era rappresentato da noi, tre studenti di economia incuriositi dal famoso economista, desideroso non solo di rispondere a una nostra domanda, ma anche di stringerci la mano e farci i complimenti.

23 ottobre 2013

Sicurezza e lavoro

So già di scrivere qualcosa di politicamente scorretto e di attirarmi parecchie critiche, però spero di stimolare la riflessione sull'argomento.

Recentemente sto frequentando il corso per datori di lavoro per responsabile per la sicurezza. Faccio presente che la mia "azienda" conta un dipendente (e la donna delle pulizie) e che la stessa dipendente deve frequentare il corso come rappresentante dei lavoratori (cioè di se stessa) per la sicurezza e ho avuto modo di scambiare alcune opinioni in maniera abbastanza vivace con i docenti.

La causa di tutto questo è il monumentale decreto 81/2008 che prevede una serie di obblighi a carico dei datori di lavoro al momento dell'assunzione del primo dipendente. Le critiche mosse da noi discenti erano sostanzialmente di tipo economico: tutti siamo consci che la sicurezza sul lavoro è importante, importantissima e che gli incidenti e le malattie professionali dovrebbero essere zero, ma come si conciliano con i costi connessi alla sicurezza? E soprattutto con la cultura necessaria per la sicurezza e con le tante scelte scomode che la politica per prima dovrebbe fare e che scarica sulle imprese?

Ma andiamo con ordine. Il decreto 81 prevede una serie di adempimenti a carico del datore di lavoro molto onerosi sia dal punto di vista dei costi (o del tempo necessario), sia dal punto di vista sanzionatorio, sia penale che civile. Considerate che in un'azienda perfetta, dove tutti rispettano la sicurezza in maniera impeccabile, in caso di infortunio il responsabile è il datore di lavoro.... sembra assurdo ma è così: si tende ad escludere l'imponderabile, tutto può essere previsto ed evitabile.

Ma fin dove si arriva ragionando così? E chi si assumerà il rischio e i costi connessi in caso di incidenti o malattie professionali?

I problemi sono terribili per le aziende piccole, le quali hanno più o meno gli stessi adempimenti di quelle grandi, con la differenza che in quelle piccole è il titolare (o l'amministratore) a dover fare tutto: fare i corsi, comprare le scarpe antinfortunistica, imporle ai dipendenti, controllare che le mettano e verificare che seguano tutte le prescrizioni. E se c'è un incidente?

Bisogna sperare che non ci sia: in caso di decesso le procure aprono fascicoli d'ufficio per omicidio colposo a carico del datore di lavoro e l'INAIL, se si omette anche un particolare negli adempimenti per la sicurezza, si rivale sull'impresa e in caso di decesso, parliamo anche di milioni di Euro. E questo significa la rovina per tutti, sia per il lavoratore deceduto, sia per l'imprenditore, sia per gli altri dipendenti, perché nella maggior parte dei casi l'impresa chiude!

Il problema sta proprio nel coniugare la sicurezza con l'economicità: come comportarsi se a causa della sicurezza (assoluta) un'attività diventa antieconomica?

Faccio alcuni esempi

Il docente accennava alla pericolosità del trattore in agricoltura e io ho proposto, per eliminare gli incidenti sui posti di lavoro di eliminare i trattori: in questo modo non si avrebbe più alcun caso di ribaltamento e incidenti. In maniera più economica si potrebbe installare un rollbar, che però non eliminerebbe del tutto il rischio in caso di ribaltamento. Poniamo (caso reale) che il nostro dipendente guidatore di trattore sia punto da un'ape e, essendo allergico, muore. Il datore di lavoro sarebbe responsabile perché avrebbe dovuto chiedergli un certificato sulle allergie, dotarlo di un antidoto e non mandarlo in giro da solo (è difficile autoiniettarsi un siero in shock anafilattico...).

E' chiaro, al di la di qualunque considerazione che si rischia, ragionando così, di arrivare all'assurdo: qualunque evento è evitabile in linea di principio, anche le pioggie di meteoriti, ma quale è il prezzo da pagare?

Facciamo un altro esempio.

Se l'ILVA (e tante altre aziende in Italia) inquina e provoca un aumento dei tumori tutt'intorno, allora perché tante remore a chiuderla?
Forse perché impiega 20.000 dipendenti e causerebbe un disastro economico a Taranto?
Però è' pericolosa, quindi va chiusa, esattamente come tutte le attività potenzialmente pericolose! E' possibile produrre acciaio in maniera assolutamente pulita a un prezzo concorrenziale, cioè che l'acciaio prodotto non costi 10 € al Kg? Se la risposta è no, allora non ci sono soluzioni: niente malattie e incidenti e chiusura immediata dell'azienda!

E' molto facile e vigliacco per la politica sanzionare ex post, la politica dovrebbe avere il coraggio e la responsabilità di dire che è impossibile produrre acciaio senza inquinare quindi l'azienda va chiusa subito e i dipendenti farebbero bene a trovarsi immediatamente un altro lavoro! E questo per tutte le aziende inquinanti in Italia, con il solo dettaglio che a quel punto la sicurezza sul lavoro diverrebbe superflua, perché non ci sarebbe più lavoro.

Il futuro sarà molto difficile per le aziende siderurgiche, petrolchimiche, chimiche, manifatturiere, edili, meccaniche! Cioè appartenenti a settori dove escludere del tutto incidenti è molto, ma molto difficile e sicuramente molto costoso.

Il futuro sarà la desertificazione industriale dell'Italia (in atto anche per altri motivi...) e il conseguente spostamento delle aziende inquinanti in altri paesi? Perché sporcare qui? Sporchiamo altrove!
I milioni di posti di lavoro persi in questi ultimi anni (e quelli che perderemo nell'industria prossimamente), non li recupereremo più, perché chi rischierebbe di aprire aziende minimamente pericolose qui in Italia? Voi lo fareste?

22 ottobre 2013

Semafori a LED: quanto si risparmia?

Quanto risparmiano i comuni se sostituiscono le lampadine nei semafori cittadini adottando i LED?


Il progetto dello scorso anno del comune di Milano (vedi qui) suppone un risparmio enorme, superiore al 90%. Analoghe sono le percentuali di risparmio secondo il comune di Capannori (vedi qui) mentre a Bressanone l'ing. Tarolli valuta il risparmio "fino all'80%" (vedi qui), come anche a Trieste (vedi qui).

A Bergamo il risparmio è tra il 70 e l'80%, a Pordenone (vedi qui) il risparmio di energia elettrica è attorno al 60%, a Genova si prevedeva un risparmio di spesa della metà circa (vedi qui), mentre a Torino (vedi ad esempio qui) la sostituzione di tutti i semafori risparmiare tra il 65% e il 75% di energia.

Insomma, il risparmio c'è ed è e vidente ma è a macchia di leopardo. Ogni comune dichiara risparmi, veri o potenziali, diversi.

21 ottobre 2013

Domande su IMU e TASI

L'IMU sulla prima casa non c'è più ma arriva la TASI, che in aggiunta a un'altra imposta calcolata sulla superficie degli immobili, darà vita alla TRISE.

La TASI avrà come imponibile lo stesso imponibile dell'IMU. L'aliquota di base sarà l'un per mille contro il 4 dell'IMU, aumentabile fino al 2,5 per mille. Niente esenzioni, previste invece nel caso dell'IMU.

I conti dicono che gli introiti derivanti dalla TASI non saranno molto diversi da quelli generati dall'IMU sulla prima casa. Ma come è possibile se l'aliquota è decisamente più bassa?

Dall'IMU erano esentate molte famiglie. I 200 euro di esenzione magari con l'aggiunta dei 50 per ogni figlio erano sufficienti a esentare molte famiglie. Tenuto conto dell'aliquota minima al 4 per mille, ciò significa che le famiglie esenti vivono in immobili che per il fisco valgono non più di 50.000 euro.


Sono dati realistici? A mio avviso no, la vecchia IMU era poco equa perchè il catasto offre valori poco realistici. E in alcuni casi offre situazioni paradossali, come dimostra questo articolo di Repubblica secondo il quale nella città di Genova esistono oltre 6000 case signorili, anche in quartieri popolari, e risultano esserci 62 castelli, secondo il catasto aggiornato oltre 70 anni fa.

Dati che appaiono ancora più assurdi se si considera che gli immobili di lusso nel capoluogo ligure sono oltre il doppio, sempre secondo i dati catastali, di quelli di Milano, nonostate Milano sia una città indubbiamente più popolosa e con un reddito medio più elevato.

La TASI ha forse qualche vantaggio: se in un comune i valori catastali fossero più altri di quelli di un altro comune, ma entrambi hanno bisogno di somme simili, il comune con valori catastali più elevati applicherà aliquote inferiori e i proprietari di immobili si troveranno a pagare somme simili.

Inoltre porrà un problema. Supponiamo che una famiglia possieda un immobile del valore di 100.000 euro (supponiamo 70.000 secondo il catasto) e un'altra un immobile che vale 300.000 euro (210.000 secondo il catasto). Il rapporto tra i due valori è 1 a 3. Con un'aliquota IMU al 4 per mille e 200 euro di detrazione, la prima famiglia paga 80 euro, l'altra 640 euro.

Il rapporto tra i valori degli immobili è 1 a 3 ma il rapporto tra le imposte è 1 a 8.

Con la TASI all'1 per mille, una pagherà 70 euro, l'altra 210. Si ritorna al rapporto 1 a 3.

Ora, considerando solo il rapporto tra le imposte cos'è meglio? l'IMU o la TASI? è meglio che il rapporto tra le imposte sia simile al rapporto tra i valori degli immobili o che una detrazione favorisca chi ha una casa di minore valore?

E sono accettabili i valori irrealistici che hanno esentato molte famiglie dal pagamento dell'IMU?

19 ottobre 2013

Stabilità

Si può fare una legge di stabilità che sia generosa verso i consumatori, le imprese e lo stato rispettando il vincolo di bilancio imposto dai patti europei e dalla necessità di non far salire i tassi di interesse?

Certo che no. Si spiegano così i tanti mal di pancia di fronte al progetto del governo, al punto da portare Mario Monti a dimettersi da Scelta Civica e Stefano Fassina a minacciare, per ora, di lasciare il governo.

Monti (e insieme a lui Fassina) avrebbero voluto mantenere l'IMU sulla prima casa, che invece il Pdl ha preteso prima di eliminare e poi di trasformare in una service tax finalmente federalista. Uno dei tanti contrasti tra forze politiche che offrono valori e politiche differenti.

Impossibile accontentarli tutti, e quindi s'è scelto il compromesso: un pò di soldi ai lavoratori, un pò di detrazioni in meno, un pò di imposta sulla casa, un pò di federalismo e così via.

Tutti un pò contenti e tutti delusi, con qualcuno che se ne va perché le sue proposte non sono state prese in considerazione.


Leggendo le proposte (vedi qui) mi pare che un indubbio merito la legge di stabilità ce l'abbia: si punta a non creare ulteriori squilibri, a non creare shock.

Due anni fa Mario Monti introdusse nella sua legge di stabilità molte novità, a cominiciare dall'IMU. L'austerità ha messo al tappeto l'economia, facendo crollare PIL, consumi e occupazione e creando un'Italia più insicura e instabile.

Per far crescere l'Italia servirebbero provvedimenti nella direzione opposta: meno imposte, più investimenti. Non è possibile, ma almeno si possono evitare altri shock all'economia, con una manovra che cerchi di distribuire i sacrifici.

E' questo l'aspetto positivo della legge di stabilità: sembra ispirata al nome della legge, promette stabilità per i cittadini che devono fare i conti con una pressione fiscale elevata e temono di dover fare i conti con nuove imposte, cerca di far intravedere agli italiani un futuro non roseo ma più tranquillo, che permetta a molti di incominciare a spendere qualche soldo in più, senza il timore di novità clamorose che spingono i consumatori a risparmiare di più e spendere di meno.




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