29 dicembre 2009

Il PIL e la decrescita felice

Cos'è il prodotto interno lordo (PIL)?

C'è da chiederselo quando si legge Maurizio Pallante, un ex professore di lettere esperto in questioni ambientali, che spesso tira in ballo il PIL affermando che consumi ecologicamente più responsabili fanno ridurre il PIL. L'esempio offerto è quello dell'autoproduzione di yogurt (1): chi si produce in casa lo yogurt genera meno imballi, meno trasporti, meno inquinanti ... e quindi meno PIL.

Ma è tutto vero?

Cos'è il PIL

Il PIL è una misura del valore dei beni e dei servizi prodotti e venduti in un certo periodo. Una lavatrice, ad esempio, è il risultato della trasformazione di alcune materie prime, pagate pochi euro, in un prodotto pagato alcune centinaia di euro. Il produttore crea perciò valore, con il quale paga il lavoro e il capitale impiegati.

L'insieme dei valori creati dalle imprese costituisce il PIL. Maggiore è il PIL, maggiore è la somma che finisce per pagare salari e stipendi e dunque maggiore è il numero di persone con un lavoro. Ma anche profitti, interessi e entrate fiscali sono legati al PIL. Tutti buoni motivi per preferire la crescita del PIL che, come ha scritto Samuelson, è “un preliminare indispensabile per affrontare i grandi problemi della disoccupazione, dell'inflazione e dello sviluppo”.

Non è auspicabile invece la diminuzione del PIL, anche perchè se il valore complessivo di salari e stipendi scende, la diminuzione non è uguale per tutti: qualcuno perde il lavoro e il suo reddito si azzera, mentre altri lo mantengono.

Cosa non misura il PIL

Il PIL non misura la ricchezza, la distribuzione del reddito, il benessere, il contenuto etico o ecologico delle produzioni o quel che produciamo per noi stessi.

Così si creano apparenti paradossi. Una torta cucinata in casa aumenta il PIL molto meno di una torta comprata dal pasticcere. Paradossale? No, se si conosce il vero significato del PIL: quando compriamo la torta dal pasticcere paghiamo qualcuno che la cucina al posto nostro, mentre quando ce la cucina la nonna la ringraziamo e la riempiamo d'affetto ma non le paghiamo il lavoro svolto.

La ricchezza comprende il valore di case, terreni, quote azionarie, gli importi dei conti correnti, il valore di barche, auto, gioielli, ecc.: se un terremoto distrugge un edificio, la ricchezza diminuisce, mentre il PIL resta immutato. Se ricostruiamo la casa il PIL cresce. Chi crede che il PIL misuri la ricchezza dice che il terremoto fa aumentare il PIL, anche se si distrugge ricchezza, e sottolinea che questo risultato è paradossale.

Il PIL però non misura la ricchezza, e il paradosso è figlio di un errore.

Poiché non misura la ricchezza, il PIL non può misurare il benessere, che in parte dipende dalla ricchezza e anche dalla distribuzione del reddito, anch'essa non misurata dal PIL.

Il PIL poi non misura la distribuzione del reddito o le caratteristiche della produzione: un euro di PIL prodotto dal panettiere vale come un euro frutto del lavoro di uno spacciatore. Un euro derivante da una produzione biologica vale come un euro generato dalla produzione di un bene inquinante.

Appare dunque un pò strano l'uso che Pallante fa del concetto di PIL. Ancora meno comprensibili le distinzioni che Pallante fa tra bene e merce o le parole sul PIL (2).

Prodotti ecologici e PIL

La scelta di produrre lo yogurt da sè ha un effetto certo sulle nostre tasche: si risparmia denaro, in cambio di tempo e impegno. Ma non è detto che gli effetti sul PIL o sull'ambiente siano a senso unico.

E' vero che si consumano meno risorse, impiegate per produrre e trasportare i prodotti dalla fabbrica al supermercato, ma questo è vero solo nell'ipotesi che i soldi risparmiati non siano usati in altro modo.

I risparmi possono essere impiegati direttamente, acquistando altri prodotti, magari più inquinanti. Oppure finiscono in banca, per essere prestati a soggetti che li impiegano per aumentare i loro investimenti, i consumi, la produzione di beni e servizi.

Il PIL non diminuisce, anche se produrre da sè una torta o uno yogurt offre molte soddisfazioni.

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(1) ttp://www.riflessioni.it/ecoriflessioni/manifesto_decrescita_felice.htm
(2) vedi http://www.decrescitafelice.it/?p=95 La distinzione tra bene e merce è estranea all'economia: il bene è per Pallante qualcosa che ha certe caratteristiche che non tutte le merci possiedono, mentre la misura del PIL non distingue affatto in base ai contenuti ecologici o etici

19 dicembre 2009

Il contadino e il liberista

Oltre 100 deputati hanno firmato un progetto di legge che vuole sostenere i prodotti “km zero”, vale a dire i beni agricoli prodotti vicino a chi li compra (il progetto di legge prevede una distanza massima, per accedere agli aiuti, di 70 km), con l'obiettivo di usare meno energia per il trasporto e quindi di inquinare meno.

Non è raro che le associazioni di categoria incentivino gli agricoltori a vendere i loro prodotti ai consumatori, portandoli nelle piazze delle città e non mancano le iniziative di valorizzazione dei prodotti agricoli, come testimoniano ad esempio i marchi DOP, DOCG ecc. che troviamo sugli scaffali dei negozi.

La proposta di legge è stata commentata sul Sole 24 Ore da un Alessandro De Nicola (1), avvocato e presidente di un'associazione liberista, la Adam Smith Society, il cui scopo è diffondere i principi del libero mercato. Il commento, ironico e anche sprezzante (2), immagina carabinieri impegnati a decidere se le zucchine sono state prodotte a 69 o 71 km di distanza, parla di antieconomicità, di aumento delle imposte che potrebbero essere usate meglio (anche se non dice come) e invoca la concorrenza perché anche come strumento a favore del terzo mondo, dove prevale la fame e poco importa dell'ambiente.

Stupisce un po' che il Sole 24 Ore affidi il commento ad un esponente di un'associazione liberista che evita di fare un'analisi un po' equilibrata.

L'analisi di De Nicola inizia infatti con un errore, affermando che “se fosse stato profittevole arare e seminare i terreni ... qualcuno lo avrebbe fatto” e che occorrono sovvenzioni per spingere l'agricoltore a “a impugnare la vanga”.

La realtà è ben diversa: non ci sono terre incolte che nessuno, se non sovvenzionato, coltiva, ma terre coltivate che rischiano l'abbandono, senza sovvenzioni. La causa è la concorrenza spietata tanto cara ai liberisti. Cerchiamo di capire il perché.


I mercati agricoli sono i più vicini alla concorrenza perfetta, come spiega qualsiasi manuale di economia. Se il consumatore deve comprare arance, sceglie le meno costose, se non ha buoni motivi per pagare di più preferendo un certo tipo di arancia ad un altro.

Così chi gode di costi minori, magari perchè vive in un paese povero con un costo del lavoro più basso, vende più facilmente e conquista i mercati a scapito degli agricoltori che non possono ridurre i costi al di sotto di una certa soglia. Costoro per non smettere di coltivare la terra e allevare animali hanno bisogno di aiuti pubblici, che vanno a sostenere il reddito e ad alzare il prezzo dei loro prodotti.

Si differenzia il prodotto in vari modi (dalla certificazioni sulla provenienza o sui metodi di coltivazione, allo sviluppo dei marchi o alla pubblicità) affinché i consumatori li percepiscano come diversi e migliori e siano disposti a pagarli di più.

La differenziazione del prodotto può anche riguardare l'impatto ambientale di un chilo di mele o di una bottiglia di vino e ciò perché ci sono persone che attribuiscono un valore al fatto di inquinare di meno e sono disposti a pagare di più un prodotto che richiede poca energia per arrivare in tavola.

Infatti consumare energia per trasportare una bottiglia di vino a migliaia di km di distanza vuol dire inquinare, attraverso l'emissione di sostanze che danneggiano tutti, non solo chi le produce. Gli economisti chiamano tutto ciò esternalità. Dare un prezzo alle esternalità, è un metodo da sempre usato per cercare di ridurre le esternalità.

Non ci deve stupire che qualcuno sia disposto a pagare per avere meno inquinamento, come non ci stupisce che ci sia chi, come il commentatore del Sole, ritenga la stessa cosa comprare un vino italiano della propria regione o vino australiano il cui trasporto causa un inquinamento molto maggiore. Ognuno ha i propri valori e il presidente dell'Adam Smith Society dimostra la tutela dell'ambiente e indirettamente della sua e della nostra nostra salute, per lui non ha alcun valore.

Stupisce invece che non si comprenda che la vendita di prodotti a prezzo maggiore conviene anche allo Stato: ad un maggiore valore aggiunto corrispondono introiti fiscali maggiori e si riduce la necessità di sostenere economicamente gli agricoltori.

Dunque ci sono buone ragioni per sostenere le produzioni locali. Senza dimenticare, poi, che già oggi l'agricoltura gode di sovvenzioni, senza le quali molte produzioni scomparirebbero dalle nostre campagne, costringendoci a dipendere dai prodotti stranieri: dunque se già si sovvenziona l'agricoltore, perché non spingere gli agricoltori valorizzare i loro prodotti e a perseguire altri obiettivi, come quello di inquinare meno?

Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai deve intervenire la mano pubblica e gli agricoltori non possono fare da soli?

La risposta banale è che se un agricoltore fosse esperto di marketing non si alzerebbe tutti alle 4 del mattino per mungere le mucche. I liberisti suppongono che le persone siano capaci di svolgere lavori differenti e di passare da uno all'altro facilmente (3), mentre nella realtà questo non accade. L'agricoltore è spesso un semplice produttore che cede il prodotto a un commerciante, per il quale è indifferente comprare da Tizio o da Caio, con l'effetto che il latte o i pomodori sono venduti dal produttore al prezzo più basso possibile, mentre cresce il divario tra il prezzo pagato al produttore e il prezzo pagato dal consumatore.

Se qualcuno non interviene a sostegno dell'agricoltore, è molto probabile che questo resti in balia di un mercato per il quale è non conta se i pomodori hanno fatto 50 o 5000 km per arrivare sulle nostre tavole.

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(1) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/13-dicembre-2009/vero-prezzo-alimenti-chilometro-zero.shtml

(2) Ecco cosa scrive: “Il ragionamento è semplice: per trasportare merce servono carburante e imballaggi che sono inquinanti. Il vino australiano consuma quasi 10 chili di petrolio al litro per arrivare sulle nostre tavole: che scempio!

(3) come testimonia la considerazione di De Nicola secondo cui i soldi si potrebbero usare in modo migliore.




16 dicembre 2009

Libri - La misura dell'anima

Siamo vicini a Natale e quindi consiglio un libro per fare o farsi un regalo. Il libro è un pò particolare e il titolo italiano, La misura dell'anima (di Richard Wilkinson e Kate Pickett, Feltrinelli) può far credere che si tratti di un testo religioso.

Invece La misura dell'anima si occupa di disuguaglianza e delle sue innumerevoli conseguenze. Significativo il sottotitolo in inglese: Why More Equal Societies Almost Always Do Better.

Gli autori, due scienziati sociali, partono dall'osservazione che nel mondo ricco l'accumulazione di maggiore ricchezza non migliora la durata della vita o la salute, mentre invece aumentano stress, problemi di salute, disagi mentali, uso di droghe, violenza, abbandono scolastico, ecc.

I dati (abbondanti) suggeriscono che la causa risiede nelle differenze sociali ed economiche. Dove sono maggiori, crescono i problemi. E per ogni problema, gli autori cercando una spiegazione.

Il libro ha poi grande pregio: mette a confronto la situazione di paesi diversi, con diverse caratteristiche socio-economiche, per mostrare spiegazioni errate e soluzioni sbagliate.

Difficile, alla fine, non convincersi, come suggerisce il sottotitolo, che in società più uguali si vive davvero di più e meglio.

13 dicembre 2009

Un grande economista, Paul Samuelson

Un grande economista, secondo me, è quello che riesce a fornire idee nuove e, soprattutto, a elaborare teorie economiche capaci di spiegare al tempo stesso le realtà più semplici e quelle più complesse, ad affrontare i grandi temi senza perdere di vista il loro effetto sulla vita quotidiana di imprese e consumatori.

Paul Samuelson, morto oggi all'età di 94 anni, è stato senza ombra di dubbio un grande economista.

Non solo perché ha vinto, primo tra gli americani, il Premio Nobel, ha insegnato in una delle più prestigiose università americane, e ha avuto tra i propri allievi altri Nobel, come Modigliani o Krugman, ma soprattutto perchè, leggendo il suo celebre manuale, diffuso in decine di paesi e ripubblicato innumerevoli volte, si affronta l'argomento "alto" considerandone anche gli effetti più banali, il tutto corredato da esempi e numeri che danno sostanza alle teorie.

Per questo non può che dispiacere la morte di Samuelson, che era anche uno dei pochi economisti liberal in un mondo di economisti liberisti.

12 dicembre 2009

Conti pubblici: lo strano caso del generale per un giorno

Qualche settimana fa i giornali hanno raccontato del pensionamento del comandante del RIS di Parma, il colonnello Garofalo.

Il giorno prima di lasciare il lavoro, il colonnello è diventato generale.
Generale per un giorno. Destinato forse a guidare le manovre per sgomberare la scrivania?

La promozione dell'ultimo giorno aumenta la pensione dell'interessato. Il fenomeno costa agli italiani un bel po' di soldi, aumenta le disparità di reddito e suscita le invidie di chi non può godere di questi privilegi.

Ma non finisce qui. La possibilità di ottenere un vantaggio in zona Cesarini rende il dipendente più fedele verso i superiori, più incline a non cambiare nulla e a coltivare l'amicizia con il dirigente influente. Magari a cercare voti. Sarà un caso, ma l'ex colonnello si è candidato alle elezioni europee con il partito La Destra.
Se poi il dirigente che può determinare la promozione è incapace, è più difficile che qualcuno dei suoi collaboratori segnali il problema.

C'è poi un altro aspetto che dovrebbe preoccuparci tutti: come gestire una spesa pubblica in balia di promozioni dell'ultimo minuto?

Sarebbe più sano per i conti pubblici programmare il più possibile gli aumenti salariali, evitando salti di retribuzione che discriminano i dipendenti, ricorrendo meno a misure come il blocco del turn over o alla precarizzazione del pubblico impiego che costringe ad esempio i ricercatori a cercare fortuna e certezze all'estero senza che ciò si traduca in minore spesa pubblica.

Perchè, come mostra il caso del generale per un giorno, ai problemi lavorativi per tanti corrispondono notevoli privilegi per pochi.

09 dicembre 2009

Crisi Grecia: qualche idea sulla sovranità monetaria

Fitch, società di rating, ha deciso di abbassare la valutazione del debito pubblico di Spagna e Grecia e le borse tremano. Il primo ministro greco ha dichiarato che per la prima volta dal 1974 è a rischio la sovranità (1) del paese.

C'è da chiedersi cosa sta succedendo e se le parole di Papandreu abbiano senso.

Sta succedendo quel che ormai accade da due anni in Europa e negli USA: chi ha prestato soldi a imprese o stati, di fronte al rischio di subire perdite, ritira i capitali. E' successo con le banche americane e questo ha fatto scoppiare la crisi, e sta succedendo con la Grecia.

Il debito pubblico greco è salito troppo e c'è il rischio che i greci non paghino? Meglio liberarsi dei titoli del debito pubblico greco, con la conseguenza che i rendimenti di tali titoli salgono, insieme al rischio, che per lo stato greco diventa più difficile e costoso indebitarsi e le banche greche hanno maggiori problemi a prendere a prestito soldi dalla BCE ando come garanzia i titoli del debito pubblico del proprio paese.

Ma per fortuna, i greci hanno rinunciato da un pezzo alla sovranità sulla propria moneta, aderendo all'euro. Se così non fosse, e ci fosse ancora la vecchia moneta nazionale, staremmo assistendo al crollo della moneta greca. Per effetto della svalutazione della moneta nazionale, i greci vedrebbero il loro debito in moneta straniera salire alle stelle e i capitali fuggire. Il rischio di bancarotta sarebbe in questo caso ancora più alto.

Con la rinuncia alla sovranità monetaria, vale a dire alla moneta nazionale, invece questo rischio non c'è. D'altro canto la sovranità è poco più di un'illusione, quando un paese ricorre a capitali stranieri per finanziare il proprio debito pubblico: per ottenere capitali occorre rispettare le condizioni di chi ti finanzia, anche se il finanziato è uno stato "sovrano".

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(1)
http://www.affaritaliani.it/ultimissime/flash.asp?ticker=091209151708

07 dicembre 2009

Quanto vale un esperto di signoraggio?

Giusto per ridere un pò ho fatto una ricerchina su qualche sedicente esperto di signoraggio, scoprendo una cosa assai interessante.

L'editore Macrolibrarsi oltre a pubblicare libri come Infiammazioni - Il killer nascosto oppure Maria - La vergine essena, organizza anche incontri a pagamento che hanno la virtù di dare un prezzo all'interesse per il tema del signoraggio.

Se volete comprendere "tutte le sfumature della leadership" (1) vi toccherà sborsare ben 2650 euro iva inclusa. Con lo sconto dell'11%. Altrimenti gli euro da pagare sarebbero quasi 3000.

Se invece volete sentire 7 persone parlare di signoraggio, dovrete pagare, con uno sconto del 42%, 7 euro (2). Un'euro per ogni relatore.

Ecco quanto vale un esperto di signoraggio.




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(1) http://www.macrolibrarsi.it/servizi/__manager-a-colori.php
(2) http://www.macrolibrarsi.it/servizi/__dal-signoraggio-bancario-alla-democrazia-diretta.php

06 dicembre 2009

Esiste un pericolo inflazione?

La crisi scoppiata nel 2008 è stata affrontata dalle banche centrali e dagli stati iniettando massicce dosi di liquidità nel sistema bancario. Ciò ha mandato in fibrillazione chi associa la creazione di nuova moneta e l'aumento dell'inflazione (1).

D'altro canto non c'è da stupirsi, se un anno fa anche il presidente della BCE, Jean Claude Trichet, mentre la situazione economica peggiorava rapidamente, lamentava il rischio di un aumento dell'inflazione (2).

Trichet a dire il vero ha le sue buone ragioni. La BCE deve intervenire quando il tasso di inflazione supera il 2%. Un limite piuttosto severo, il cui rispetto impone alla BCE di far rallentare l'economia, provocando parecchi disoccupati in più in cambio di mezzo punto di inflazione in meno.

Meno giustificato è chi lascia intendere che l'aumento della quantità di moneta causerà un aumento incontrollato dell'inflazione, ma non spiega come ciò possa accadere.

L'inflazione, ovvero l'aumento dei prezzi, dipende dalla domanda di beni e servizi. Se il fruttivendolo si rende conto che le arance vanno a ruba, e a una certa ora le ha vendute tutte, il giorno dopo aumenta il prezzo delle arance. Se le vendite vanno male invece tende ad abbassare il prezzo.

L'aumento della quantità di moneta normalmente fa aumentare il credito bancario e, di conseguenza, la domanda di beni e servizi domandati di imprese e consumatori finanziati dalle banche. L'aumento della domanda, reso possibile da un maggior credito, provoca quindi un aumento dell'inflazione, specie se le imprese producono a pieno regime.

La crisi scoppiata nel 2008 ha invece fatto scendere la produzione e crollare gli investimenti. La domanda è diminuita e i prezzi sono rimasti per lo più fermi, salvo qualche aumento delle materie prime per effetto della speculazione finanziaria.

I capitali erogati dalle banche centrali al sistema bancario sono serviti a tappare i buchi: quando è scoppiata la crisi i capitali hanno abbandonato gli investimenti a rischio, lasciando le banche senza soldi. Non sono serviti -se non in minima parte- a far crescere la domanda, che invece è diminuita per effetto della crisi.

Dunque con una domanda in calo, impianti che producono di meno e molti disoccupati non pare esserci alcun rischio di inflazione.

Un aumento della domanda, se e quando si verificherà, spingerà le imprese a riaprire gli impianti produttivi e a riassorbire parte dei disoccupati senza creare tensioni sui prezzi, tanto che un esponente di punta della BCE, Bini Smaghi, dichiara che per almeno 2 anni l'inflazione non sarà un problema.
Come non lo è stato negli ultimi 12-18 mesi: oltre un anno di moneta abbondante non ha fatto salire i prezzi, segno che è azzardato dire che un aumento della quantità di moneta causa per forza un aumento dei prezzi.

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(1) Un esempio si trova in http://www.usemlab.com/index.php?option=com_content&task=view&id=306&Itemid=1
Oltre a un atteggiamento poco simpatico verso chi viene definito ignorante come se, a cominciare dal titolo, l'analisi fosse particolarmente chiara, manca una qualsiasi analisi di come si verificherebbe un aumento dei prezzi

(2)
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200810articoli/37024girata.asp

03 dicembre 2009

La riforma sanitaria, un incubo per i conservatori

Una sera, poco prima delle elezioni USA 2008, Rai1 ha ospitato un dibattito sulle elezioni. Tra i commentatori c'era Antonio Martino, economista (ultra)liberista e amico di McCain.

Quando gli chiedono delle politiche di Obama a favore dei poveri, Martino reagisce dicendo che negli USA chi ha un reddito basso non paga imposte sul reddito e quindi non capisce cosa possa fare Obama per i poveri.

Logica banale: chi già non paga non può avere nulla. Perché per gli ultra-liberisti lo Stato può solo tagliare le imposte, come ha spiegato il premio Nobel Paul Krugman (1). Dunque se già non paghi nulla, nulla in più avrai, secondo loro.

Nella buona vecchia Europa o in Canada invece la sanità cura tutti, anche chi non paga alcuna imposta, e le spese sono a carico della collettività.

Se accadesse anche negli USA, i ricchi dovrebbero pagare le cure sanitarie dei poveri, che probabilmente disprezzano. L'incubo degli ultra-liberisti era passare da Bush, che regalava tagli alle imposte tanto maggiori quanto più grande è la ricchezza da difendere, a Obama, che vuole politiche a favore dei poveri, come i 45-50 milioni di americani privi di assistenza sanitaria e/o senza la certezza di mangiare regolarmente (2).

Il tentativo di creare una sanità "europea" è fallito almeno due volte. Negli anni '60 affossato dagli stati del sud preoccupati di dover ricoverare bianchi e neri negli stessi ospedali. Negli anni '90 dall'incapacità di Hillary Clinton di trovare un compromesso con i repubblicani (e forse quel fallimento le è costato la candidatura alla presidenza).

L'incubo per i conservatori si sta materializzando. Se la riforma sanitaria sarà approvata, le assicurazioni non potranno rifiutare le cure, secondo pratiche descritte da Michael Moore in SiCKO, e si realizzerà una forte redistribuzione del reddito a favore dei meno abbienti.

I poveri avranno più soldi da spendere (e aumenteranno i consumi), ma qualcosa cambierà per i ricchi, per le assicurazioni, forse per le forze armate, che Bush ha riempito di soldi sottratti ai programmi assistenziali. Oltre a non poter rifiutare le cure, le assicurazioni perderanno qualche privilegio derivante dall'essere spesso monopolisti che impongono regole e prezzi ai clienti. Medici, farmacisti e azionisti di varie compagnie forse guadagneranno meno. Per questo protestano e cercano di convincere i parlamentari, in cambio di contributi elettorali, a votare contro.


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(1) Paul Krugman, La deriva americana, Laterza, pagg. 115-118. Nell'articolo si ridicolizza Bush che, ad una domanda sulla qualità dei palinsesti televisivi, ha invitato chi lo ascoltava ad appoggiare il suo progetto di sgravi fiscali
(2) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=134148
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01 dicembre 2009

La fine dell'era del sacchetto?

Il comune di Torino ha deciso: da aprile quasi tutti gli esercizi commerciali non possono più vendere buste di plastica (1).

Al contrario il governo italiano ha chiesto all'UE una proroga: vuole che i sacchetti si usino anche nel 2010.

Sicuramente avranno delle buone ragioni per chiedere un rinvio. Cambiare i comportamenti e riconvertire le produzioni sacchetti richiede tempo, oltre che risorse. Ma questa decisione è negativa per almeno tre aspetti.

Primo, si continuerà a riempire le case, le discariche e l'ambiente con milioni di sacchetti, figli del petrolio e destinati a vivere per secoli.

Secondo, ancora una volta si dice agli italiani che le regole sono aleatorie, si possono non applicare, è sempre possibile un compromesso, un rinvio delle decisioni. I soliti italiani cialtroni, penseranno all'estero.

Terzo, si rischia, ancora una volta, di arrivare ultimi all'appuntamento con il cambiamento. Se un governo -supponiamo- non stimola l'installazione di pannelli solari, mentre altrove si incentivano, i produttori stranieri saranno agevolati e quando finalmente anche gli italiani decideranno di installare pannelli solari finiranno per comprarli altrove anziché produrli.

Essere ultimi non conviene quasi mai. Qualcuno se n'è accorto e cerca di accelerare i tempi, altri invece fanno finta che tutto vada bene e cercano chissà quale vantaggio di breve durata.

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(1) http://torino.repubblica.it/dettaglio/Proroga-per-le-buste-di-plastica-fuorilegge-da-aprile/1789343

Link Interni

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