19 dicembre 2009

Il contadino e il liberista

Oltre 100 deputati hanno firmato un progetto di legge che vuole sostenere i prodotti “km zero”, vale a dire i beni agricoli prodotti vicino a chi li compra (il progetto di legge prevede una distanza massima, per accedere agli aiuti, di 70 km), con l'obiettivo di usare meno energia per il trasporto e quindi di inquinare meno.

Non è raro che le associazioni di categoria incentivino gli agricoltori a vendere i loro prodotti ai consumatori, portandoli nelle piazze delle città e non mancano le iniziative di valorizzazione dei prodotti agricoli, come testimoniano ad esempio i marchi DOP, DOCG ecc. che troviamo sugli scaffali dei negozi.

La proposta di legge è stata commentata sul Sole 24 Ore da un Alessandro De Nicola (1), avvocato e presidente di un'associazione liberista, la Adam Smith Society, il cui scopo è diffondere i principi del libero mercato. Il commento, ironico e anche sprezzante (2), immagina carabinieri impegnati a decidere se le zucchine sono state prodotte a 69 o 71 km di distanza, parla di antieconomicità, di aumento delle imposte che potrebbero essere usate meglio (anche se non dice come) e invoca la concorrenza perché anche come strumento a favore del terzo mondo, dove prevale la fame e poco importa dell'ambiente.

Stupisce un po' che il Sole 24 Ore affidi il commento ad un esponente di un'associazione liberista che evita di fare un'analisi un po' equilibrata.

L'analisi di De Nicola inizia infatti con un errore, affermando che “se fosse stato profittevole arare e seminare i terreni ... qualcuno lo avrebbe fatto” e che occorrono sovvenzioni per spingere l'agricoltore a “a impugnare la vanga”.

La realtà è ben diversa: non ci sono terre incolte che nessuno, se non sovvenzionato, coltiva, ma terre coltivate che rischiano l'abbandono, senza sovvenzioni. La causa è la concorrenza spietata tanto cara ai liberisti. Cerchiamo di capire il perché.


I mercati agricoli sono i più vicini alla concorrenza perfetta, come spiega qualsiasi manuale di economia. Se il consumatore deve comprare arance, sceglie le meno costose, se non ha buoni motivi per pagare di più preferendo un certo tipo di arancia ad un altro.

Così chi gode di costi minori, magari perchè vive in un paese povero con un costo del lavoro più basso, vende più facilmente e conquista i mercati a scapito degli agricoltori che non possono ridurre i costi al di sotto di una certa soglia. Costoro per non smettere di coltivare la terra e allevare animali hanno bisogno di aiuti pubblici, che vanno a sostenere il reddito e ad alzare il prezzo dei loro prodotti.

Si differenzia il prodotto in vari modi (dalla certificazioni sulla provenienza o sui metodi di coltivazione, allo sviluppo dei marchi o alla pubblicità) affinché i consumatori li percepiscano come diversi e migliori e siano disposti a pagarli di più.

La differenziazione del prodotto può anche riguardare l'impatto ambientale di un chilo di mele o di una bottiglia di vino e ciò perché ci sono persone che attribuiscono un valore al fatto di inquinare di meno e sono disposti a pagare di più un prodotto che richiede poca energia per arrivare in tavola.

Infatti consumare energia per trasportare una bottiglia di vino a migliaia di km di distanza vuol dire inquinare, attraverso l'emissione di sostanze che danneggiano tutti, non solo chi le produce. Gli economisti chiamano tutto ciò esternalità. Dare un prezzo alle esternalità, è un metodo da sempre usato per cercare di ridurre le esternalità.

Non ci deve stupire che qualcuno sia disposto a pagare per avere meno inquinamento, come non ci stupisce che ci sia chi, come il commentatore del Sole, ritenga la stessa cosa comprare un vino italiano della propria regione o vino australiano il cui trasporto causa un inquinamento molto maggiore. Ognuno ha i propri valori e il presidente dell'Adam Smith Society dimostra la tutela dell'ambiente e indirettamente della sua e della nostra nostra salute, per lui non ha alcun valore.

Stupisce invece che non si comprenda che la vendita di prodotti a prezzo maggiore conviene anche allo Stato: ad un maggiore valore aggiunto corrispondono introiti fiscali maggiori e si riduce la necessità di sostenere economicamente gli agricoltori.

Dunque ci sono buone ragioni per sostenere le produzioni locali. Senza dimenticare, poi, che già oggi l'agricoltura gode di sovvenzioni, senza le quali molte produzioni scomparirebbero dalle nostre campagne, costringendoci a dipendere dai prodotti stranieri: dunque se già si sovvenziona l'agricoltore, perché non spingere gli agricoltori valorizzare i loro prodotti e a perseguire altri obiettivi, come quello di inquinare meno?

Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai deve intervenire la mano pubblica e gli agricoltori non possono fare da soli?

La risposta banale è che se un agricoltore fosse esperto di marketing non si alzerebbe tutti alle 4 del mattino per mungere le mucche. I liberisti suppongono che le persone siano capaci di svolgere lavori differenti e di passare da uno all'altro facilmente (3), mentre nella realtà questo non accade. L'agricoltore è spesso un semplice produttore che cede il prodotto a un commerciante, per il quale è indifferente comprare da Tizio o da Caio, con l'effetto che il latte o i pomodori sono venduti dal produttore al prezzo più basso possibile, mentre cresce il divario tra il prezzo pagato al produttore e il prezzo pagato dal consumatore.

Se qualcuno non interviene a sostegno dell'agricoltore, è molto probabile che questo resti in balia di un mercato per il quale è non conta se i pomodori hanno fatto 50 o 5000 km per arrivare sulle nostre tavole.

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(1) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/13-dicembre-2009/vero-prezzo-alimenti-chilometro-zero.shtml

(2) Ecco cosa scrive: “Il ragionamento è semplice: per trasportare merce servono carburante e imballaggi che sono inquinanti. Il vino australiano consuma quasi 10 chili di petrolio al litro per arrivare sulle nostre tavole: che scempio!

(3) come testimonia la considerazione di De Nicola secondo cui i soldi si potrebbero usare in modo migliore.




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